Domenica 16 luglio 2023 – Settima domenica dopo Pentecoste
Letture bibliche: Salmo 119:105-112; Genesi 25:19-34; Romani 8:1-11; Matteo 13:1-23
(Servizio di culto completo con predicazione, 56’28”)
(Solo predicazione, 24′ 21″)
L’importanza della lungimiranza
Siete voi “persone lungimiranti” oppure “dalla vista corta”? Non mi riferisco alla condizione dei vostri occhi per la quale avete bisogno di lenti correttive della miopia, ma alla vostra percezione spirituale. Essere “lungimiranti” significa avere una visione o una pianificazione a lungo termine, essere in grado di prevedere e considerare le conseguenze future delle proprie azioni o decisioni. Una persona lungimirante è in grado di valutare le implicazioni a lungo termine di una situazione e di agire di conseguenza, pianificando in modo strategico per il futuro. È in grado di valutare la situazione in cui via via si trova e adottare misure preventive per evitare problemi futuri, fare scelte che portino a risultati per lui vantaggiosi nel lungo periodo. L’opposto di essere lungimiranti è essere “miopi” o “dalle prospettive limitate”, la condizione di chi si concentra esclusivamente sul presente o sul breve termine senza considerare le conseguenze o gli effetti a lungo termine delle sue azioni.
Giacobbe ed Esaù
Un esempio biblico di questi diversi atteggiamenti è la contrapposizione tipica fra il personaggio di Giacobbe (il lungimirante) e suo fratello Esaù (dalle prospettive limitate) così come viene descritta nel libro della Genesi – fratelli gemelli ma molto diversi l’uno dall’altro. È in particolare l’episodio che troviamo al capitolo 25 quello che è diventato esemplare a questo riguardo e che ha dato origine all’espressione proverbiale italiana: “È come vendere la propria primogenitura per un piatto di lenticchie”. Ascoltiamo questo racconto.
“19Questi sono i discendenti di Isacco, figlio di Abraamo. 20Abraamo generò Isacco; e Isacco aveva quarant’anni quando prese per moglie Rebecca, figlia di Betuel, l’Arameo di Paddan-Aram, e sorella di Labano, l’Arameo. 21Isacco pregò con insistenza l’Eterno per sua moglie, perché lei era sterile. L’Eterno lo esaudì, e Rebecca, sua moglie, concepì. 22I bambini si urtavano nel suo seno; e lei disse: “Se così è, perché vivo?”. E andò a consultare l’Eterno. 23E l’Eterno le disse: “Due nazioni sono nel tuo seno, e due popoli separati usciranno dalle tue viscere. Uno dei due popoli sarà più forte dell’altro, e il maggiore servirà il minore”. 24Quando venne per lei il tempo di partorire, ecco che lei aveva due gemelli in seno. 25Il primo che uscì fuori era rosso, e tutto quanto come un mantello di pelo; e fu chiamato Esaù. 26Dopo uscì suo fratello, che con la mano teneva il tallone di Esaù; e fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando Rebecca li partorì. 27I due fanciulli crebbero, ed Esaù diventò un abile cacciatore, un uomo di campagna, e Giacobbe un uomo tranquillo, che se ne stava nelle tende. 28Ora Isacco amava Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto; e Rebecca amava Giacobbe. 29Appena Giacobbe si era fatto cuocere una minestra, Esaù giunse dai campi, tutto stanco. 30Ed Esaù disse a Giacobbe: “Dammi da mangiare un po’ di questa minestra rossa; perché sono stanco”. Per questo fu chiamato Edom. 31E Giacobbe gli rispose: “Vendimi prima di tutto la tua primogenitura”. 32Ed Esaù disse: “Ecco io sto per morire; a che mi giova la primogenitura?”. 33Allora Giacobbe disse: “Prima, giuramelo”. Ed Esaù glielo giurò, e vendette la sua primogenitura a Giacobbe. 34E Giacobbe diede a Esaù del pane e della minestra di lenticchie. Ed egli mangiò e bevve; poi si alzò, e se ne andò. Così Esaù disprezzò la primogenitura.” (Genesi 25:19-34).
L’espressione proverbiale “È come vendere la propria primogenitura per un piatto di lenticchie” viene così utilizzata per descrivere la situazione in cui qualcuno sacrifica o rinuncia a qualcosa di molto prezioso o importante in cambio di qualcosa di poco o relativo valore. Viene oggi spesso utilizzata per criticare le persone che fanno scelte impulsive o che sacrificano qualcosa di molto prezioso per ottenere un beneficio immediato, senza valutare le conseguenze a lungo termine della loro scelta. Sottolinea l’importanza di prendere decisioni oculate e ponderate, considerando il valore reale delle cose in gioco. La scelta impulsiva e sconsiderata di Esaù di cedere il suo diritto di primogenitura a Giacobbe in cambio di ciò che sul momento sembra più importante continua ad avere molto da insegnarci.
La responsabilità del diritto di primogenitura
Perché era importante il diritto di primogenitura? Il concetto del “diritto di primogenitura” come lo si trovava nell’antico Israele e in molte altre culture ha perso gran parte della sua rilevanza nella società moderna. Nell’antico Israele, la primogenitura aveva un valore significativo. La primogenitura era il diritto di nascita del figlio primogenito, cioè del primo figlio maschio che nasceva in una famiglia. Questo diritto conferiva al primogenito una serie di privilegi e responsabilità speciali. Il primogenito aveva il diritto di ereditare una porzione maggiore della proprietà di famiglia, solitamente includendo terreni, bestiame e altre risorse. Inoltre, il primogenito assumeva un ruolo di leadership nella famiglia all’interno della comunità, prendendo decisioni importanti e guidando il clan o la tribù.
Per la famiglia di Abraamo, però, non si trattava solo di una questione ereditaria di beni materiali e di leadership, ma della responsabilità di portare avanti l’eredità spirituale, la vocazione che Dio aveva affidato ad Abramo a formare il popolo di Dio: “Tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua progenie” (Genesi 28:14). Quello che sarebbe stato chiamato il popolo di Israele doveva essere il popolo eletto, il popolo legato a Dio da una precisa alleanza, “popolo di sacerdoti e profeti”. Costituito per servire Dio in questo mondo empio come testimonianza vivente e permanente di fedeltà a Lui e allo stile di vita buono e giusto della Sua Legge, il popolo di Dio trova in questo la sua vocazione e identità. Questo non valeva solo per l’antico Israele, ma continua a valere per il popolo di Dio che è in Cristo Gesù, la chiesa, che ne è il proseguimento. Siamo noi consapevoli della nostra vocazione ultima che vale molto di più che certi temporanei e contingenti vantaggi che oggi potremmo avere?
Era questa cosa che evidentemente Esaù non considerava importante, che disprezzava, e che era stato disposto a dare via per poco o niente: “Ed Esaù disse: ‘Ecco io sto per morire; a che mi giova la primogenitura?’” (32). In ogni caso non stava per morire… era il suo atteggiamento di fondo ad essere sbagliato! Riteneva che la soddisfazione di un suo bisogno immediato fosse più importante. La progenie di Abramo e Isacco aveva la responsabilità della gestione di un popolo che doveva essere il contesto dal quale sarebbe a suo tempo sorto il Messia, il Salvatore del mondo. È questo che Esaù disprezzava o considerava non importante, trascurabile, dando priorità alle sue necessità del momento.
Per Esaù questa era una costante del suo atteggiamento di fondo nella vita, del suo carattere. Notevole era pure stata la scelta di Esaù di prendere mogli tra i pagani, senza attendere di trovare una sposa più appropriata tra la sua gente. Nella Bibbia, infatti, si racconta che Esaù prende mogli dalle figlie di Ismaele e da altre donne di Canaan. Questa scelta di Esaù di sposare donne straniere, che non appartenevano, cioè, al popolo di Israele, la Scrittura la considera riprovevole e comunque non senza conseguenze negative. Non pensava che proprio quelle mogli avrebbero compromesso l’impegno famigliare a servire il Dio vero e vivente e di fatto lo avrebbero vanificato. D’altra parte, Giacobbe è mostrato come un uomo che riceve, comprende e rispetta istruzioni esplicite dal padre Isacco di sposare una donna della sua stessa parentela. Giacobbe, infatti, obbedisce a questa istruzione e si dirige nella terra di Padan-Aram per trovare una moglie tra le sue parenti. La Scrittura approva la scelta di Giacobbe di sposare una donna del suo stesso popolo perché c’era la più che giustificata preoccupazione di mantenere la purezza della linea di discendenza e preservare l’alleanza con Dio. La presenza di donne straniere nel matrimonio di Esaù avrebbe indubbiamente portato a influenze pagane e idolatriche nella sua famiglia, che avrebbero avuto conseguenze negative per le generazioni future. Già, c’erano tante belle donne lì dove abitava: che importava a lui la loro religione, usi o costumi? L’importante per lui era il soddisfacimento immediato. Esaù era privo di lungimiranza. Per questo rimane anche importante oggi per dei cristiani sposare chi condivide la stessa impostazione di fede evitando così futuri non indifferenti problemi.
La differenza fra i due personaggi
Esaù, dice il nostro testo, era “un abile cacciatore”, “un uomo di campagna”, “un uomo rustico”, “terra-terra, “materialista”, indifferente ai valori spirituali. Giacobbe, d’altro canto, era “un uomo tranquillo”, “che se ne stava nelle tende”, un sedentario. Era maggiormente riflessivo. Non era certo privo di difetti, ma dimostrava uno spirito di iniziativa tale da farlo preferire a chi era sì il primogenito, ma che non si sarebbe dimostrato degno delle sue prerogative.
Giacobbe si distingueva per la sua astuzia, perseveranza e capacità di negoziazione. Giacobbe era di fatto astuto e intelligente. Questa non è una caratteristica necessariamente negativa. Il suo nome stesso, che significa “colui che tiene l’altro per il tallone”, allude alla sua natura ingegnosa, quella che dimostra nel sottrarre a suo fratello Esaù il diritto di primogenitura. Questo mette in luce la capacità di Giacobbe di cogliere l’opportunità e ottenere ciò che desiderava attraverso l’ingegno.
D’altra parte, Esaù è descritto come un cacciatore sì abile ma impulsivo. Questo carattere impulsivo di Esaù indica la sua mancanza di discernimento e considerazione per le questioni spirituali. La Bibbia “sta dalla parte” di Giacobbe perché, nonostante le sue azioni astute, Giacobbe manifesta anche una sete di conoscenza di Dio e una volontà di ricercare la benedizione divina, cosa che non si riscontra in Esaù. Un esempio è la sua esperienza notturna a Peniel, dove lotta con un uomo (che alcuni interpretano come un’incarnazione di Dio) e insiste per riceverne la benedizione. Questo episodio dimostra la determinazione di Giacobbe e la sua volontà di lottare per ottenere la benedizione di Dio.
Nonostante le imperfezioni di Giacobbe, come il suo inganno nei confronti di suo padre Isacco per ottenere la benedizione di primogenitura, la Bibbia riconosce la scelta e la sovranità di Dio nella sua vita. Dio opererà con Giacobbe, poi, disciplinandolo e guidandolo verso una trasformazione di carattere nel corso degli anni. Quindi, mentre Giacobbe può essere descritto come un personaggio ambiguo con una combinazione di astuzia e sete spirituale, la Bibbia “sta dalla sua parte” perché riconosce il suo desiderio di conoscere Dio e la sua volontà di cercare le benedizioni divine. Inoltre, la scelta di Dio di adempiere le promesse fatte ad Abramo attraverso Giacobbe mostra il suo ruolo speciale nella storia della redenzione.
Non “secondo la carne”
Non sorprende quindi che il Nuovo Testamento affermi a chiare lettere la controversa affermazione riferita a Dio stesso: “Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù” (Romani 9:13). Perché? Perché: “non tutti i discendenti da Israele sono Israele” (Romani 9:6). E’ la discendenza spirituale quel che più conta per Dio, fatta di fedeltà al Suo mandato. Esaù era primogenito “secondo la carne”, ma quello non gli avrebbe garantito incondizionatamente i suoi privilegi. Così gli “Israeliti, ai quali [pure] appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il culto e le promesse, ai quali appartengono i padri e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo” (Romani 9:4-5). Straordinari privilegi, ma, continua l’Apostolo: “… egli dice anche in Osea: “Io chiamerò ‘mio popolo’ quello che non era mio popolo, e ‘amata’ quella che non era amata” e “avverrà che nel luogo dov’era loro stato detto: ‘Voi non siete mio popolo’, là saranno chiamati ‘figli del Dio vivente’”. E Isaia esclama riguardo a Israele: “Quand’anche il numero dei figli d’Israele fosse come la sabbia del mare, soltanto il resto sarà salvato“ (Romani 9:25-27). Non tutti! Chiediamoci il perché!
La contrapposizione fra “i discendenti di Esaù” e “i discendenti di Giacobbe” continua ancora oggi. Come dice l’Apostolo: “Quelli che sono secondo la carne hanno l’animo alle cose della carne, ma quelli che sono secondo lo Spirito hanno l’animo alle cose dello Spirito (…) poiché ciò a cui la carne ha l’animo è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo; e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio” (Romani 8:5,7-8).
A chi vogliamo somigliare?
A chi assomigliate voi? Al “carnale” Esaù o al lungimirante Giacobbe per il quale le benedizioni spirituali di Dio erano più importanti di quelle materiali, per il quale il fine ultimo di Dio, la Sua gloria, era più importante che le soddisfazioni materiali contingenti? Troppi che professano fede in Cristo sono come Esaù. Pensano poco alla loro eredità in Lui e sono guidati dai loro appetiti, passioni e brame terrene, invece che da Cristo, la sua parola e il suo Spirito, alle temporanee soddisfazioni terrene più che a quelle eterne. Come dice, però, la lettera agli Ebrei: “Cercate la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore, badando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio, che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia così che molti di voi restino infetti e che nessuno sia fornicatore o profano come Esaù, che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura” (Ebrei 12:14-16).
Paolo Castellina, 8 luglio 2023