Non basta dire “Gesù ti ama” (Matteo 3:1-12)

Domenica 4 dicembre 2022 – Seconda domenica di Avvento

(culto completo con predicazione, 60′)

(solo predicazione, 30′)

Non basta dire “Gesù ti ama”…

“Gesù cominciò a predicare e a dire: ‘Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino’” (Matteo 4:7): questo era il messaggio del Salvatore Gesù Cristo sin dall’inizio della Sua missione come lo troviamo riportato nei vangeli. Ribadito in tutte le Sacre Scritture, l’appello al ravvedimento rimane essenziale all’annuncio dell’Evangelo cristiano autentico. Che cos’è il ravvedimento? Per rispondere a questa domanda potremmo rivolgerci a un vocabolario della lingua italiana, ma non ci aiuterà molto. Vi si avvicina nelle seguenti definizioni: “Il mutamento di vita conseguente al riconoscimento di errori o di colpe” (Devoto-Oli); “Cambiamento di vita in seguito a pentimento” (Sabatini-Coletti); “Riconoscimento, anche nei fatti, dei propri errori” (Zingarelli). Quest’ultima definizione è interessante perché “riconoscere” i propri “errori” formalmente in sé non basta perché, in effetti, è necessario che abbia delle tangibili conseguenze nella nostra vita. Che cosa vuol dire, però, biblicamente “ravvedimento” e perché è indispensabile? Lo possiamo apprendere dal testo biblico di cui ci occuperemo oggi e che riguarda la predicazione di Giovanni il battezzatore, il profeta che “ha aperto la strada” a Gesù. Perché dobbiamo comprendere bene che cosa sia il ravvedimento? Perché si ha la netta impressione che oggigiorno se ne senta parlare ben poco. È molto comune oggi, infatti, udire messaggi che si dicono di evangelizzazione limitarsi a un generico: “Gesù ti ama”, o “Dio ti ama”. È Evangelo quello? Si tratta di un Evangelo alquanto “difettoso”. Sarà “efficace”? C’è da dubitarne.

Il testo biblico

Ascoltiamo così quanto troviamo al terzo capitolo del vangelo secondo Matteo.

In quei giorni comparve Giovanni il battista, predicando nel deserto della Giudea e dicendo: “Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino”. Di lui parlò infatti il profeta Isaia quando disse: “Voce di uno che grida nel deserto: ‘Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’”. Giovanni aveva un vestito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi e si cibava di cavallette e di miele selvatico. Allora Gerusalemme e tutta la Giudea e tutto il paese intorno al Giordano accorrevano a lui ed erano battezzati da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Ma, vedendo molti dei farisei e dei sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire dall’ira a venire? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento. E non pensate di dire dentro di voi: ‘Abbiamo per padre Abraamo’, perché io vi dico che Dio può far sorgere da queste pietre dei figli ad Abraamo. La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto sta per essere tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo in acqua, in vista del ravvedimento, ma colui che viene dietro a me è più forte di me e io non sono degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha il suo ventilabro in mano, pulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula con fuoco inestinguibile” (Matteo 3:1-12).

Ecco dunque Giovanni, conosciuto come “il battezzatore” o il battista, che entra in scena come colui che doveva aprire la strada al ministero del Salvatore Gesù Cristo. Per questo è chiamato pure il precursore di Gesù. Era parente di Gesù e probabilmente si conoscevano sin da bambini. Di Giovanni troviamo nei vangeli come fosse figlio di Elisabetta e Zaccaria, troppo anziani per avere un bambino. Il racconto evangelico di dice come un essere angelico di nome Gabriele appaia a Elisabetta per annunciarne la nascita, lo stesso che avviene a Maria per la nascita di Gesù. L’anziana Elisabetta, così, rimane incinta proprio come lo era stata Sara, la moglie dell’antico patriarca Abramo. Entrambe le nascite, quella di Giovanni e quella di Gesù, avvengono in maniera miracolosa: Elisabetta, infatti, era troppo vecchia per avere un bambino e Maria troppo giovane. Il ministero di Giovanni precede quello di Gesù e pure Giovanni precede Gesù quando muore fatto giustiziare dalle autorità politiche. Sappiamo molto poco della vita di Giovanni se non quando egli emerge come messaggero di Dio – preparando la via del Signore, “raddrizzando i suoi sentieri”. Per l’evangelista Marco, il ministero di Giovanni è “il principio dell’evangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Marco 1:1). Una volta che Giovanni avesse preparato il terreno, Gesù avrebbe iniziato il suo ministero.

Giovanni predica dicendo: Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino!” (Matteo 3:2). Gesù avrebbe fatto eco a questo, predicando la stessa cosa. Anche se Giovanni, però, era stato primo cronologicamente, non lo era quanto a importanza. Giovanni, infatti dice di Gesù: “Io vi battezzo in acqua, in vista del ravvedimento, ma colui che viene dietro a me è più forte di me e io non sono degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Matteo 3:11). Sia Giovanni che Gesù stavano, in ogni caso facendo ciò che Dio li aveva chiamati a fare – stavano operando secondo il progetto di Dio e il loro scopo ultimo era la salvezza dal peccato e dalle sue conseguenze. Ecco perché sia Giovanni che Gesù chiamano al ravvedimento a una vita trasformata. Ravvedimento, nell’originale greco, era metanoia e ha a che fare con il cambiare modo di pensare e quindi di vivere, un “cambiare direzione di marcia” e procedere in una nuova direzione. “Salvezza”, infatti, non è un concetto astratto e incomprensibile come si sente spesso oggi in tante predicazioni. Sia Giovanni che Gesù predicano il ravvedimento, il che ha a che fare con il cambiare la nostra vita e andare in una nuova direzione.

Il messaggio dei veri profeti di Dio

Dunque: “In quei giorni comparve Giovanni il battista, predicando nel deserto della Giudea e dicendo: ‘Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino”. Molti anni erano trascorsi tra l’infanzia di Giovanni e quella di Gesù, ma “in quei giorni” suggerisce che era arrivato un “momento kairòs”, uno di quei momenti chiave che cambiano per sempre la storia e cambiano la nostra vita.

Tutti e quattro i Vangeli introducono il ministero di Gesù con un racconto su Giovanni il Battista. Luca sottolinea l’importanza di Giovanni dedicando la maggior parte del suo primo capitolo alla nascita di Giovanni e al rapporto tra le famiglie di Giovanni e Gesù. Più tardi, Gesù dirà di Giovanni: “In verità io vi dico che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista, però il minimo nel regno dei cieli è maggiore di lui” (Matteo 11:11).

Il profeta Malachia, vissuto quattrocento anni prima e ultimo profeta d’Israele (fino alla comparsa sulla scena di Giovanni Battista) profetizza l’avvento di Giovanni. Dice ad esempio: “Ecco, io vi mando il mio messaggero che preparerà la via davanti a me e subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo [o messaggero] del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene’” […]“Ecco, io vi mando Elia, il profeta, prima che venga il giorno dell’Eterno, giorno grande e spaventoso” (Malachia 3:1; 4:5-6). In questo Vangelo, Gesù identifica Giovanni come Elia, l’adempimento di queste profezie.

Egli viene “predicando nel deserto della Giudea”, una regione delle gole aspre e delle terre desolate nella parte orientale di Giuda, dove il terreno digrada verso la valle del Giordano. Tranne che per un breve periodo durante le piogge primaverili, il deserto era arido. Giovanni inizia il suo ministero nel deserto, forse anche perché il deserto è il luogo di nascita della nazione d’Israele e occupa un posto sacro nella sua storia. Il profeta Osea si era riferito al deserto come del luogo in cui Dio parla con tenerezza al suo popolo e dà loro speranza (Osea 2:14-15).

“Ravvedetevi”, dunque. Gesù inizierà la sua predicazione con queste stesse parole (4:17). Il termine Teshuvah è l’equivalente ebraico del greco metanoeo ed era stato usato frequentemente dai profeti per sollecitare Israele a ritornare a un giusto rapporto con Dio. Quando Giovanni fa appello al ravvedimento, quindi, sta invitando i suoi ascoltatori a fare una rottura radicale con il loro passato di peccato e a rivolgersi nuovamente al Dio che verrà presto a giudicare. Il ravvedimento, infatti, è più che allontanarsi da ciò che Dio considera peccato – è anche un volgersi a una vita fruttuosa, feconda (v. 10) – un cambiamento fondamentale che coinvolge la mente e l’azione e include frutti conseguenti e in armonia con il ravvedimento. Ravvedersi non è solo essere dispiaciuti di aver fatto ciò che è male agli occhi di Dio, ma pensare in modo diverso – e quindi agire in modo diverso.

Giovanni manifesta lo stesso spirito degli antichi profeti e chiama il popolo al ravvedimento in preparazione per la venuta del regno di Dio, “il Giorno dell’Eterno”, il giorno in cui L’alterigia dell’uomo del volgo sarà abbassata, e l’orgoglio de’ grandi sarà umiliato; l’Eterno solo sarà esaltato in quel giorno” (Isaia 2:17).

Giovanni denuncia il male ovunque lo trova, anche all’interno della stessa famiglia del re Erode (14:4). Chiama le persone alla rettitudine. Dovunque il vangelo è ascoltato nella sua profondità, esso è preceduto dalla proclamazione della legge in tutta la sua serietà. Senza legge non c’è vangelo. Giovanni, si potrebbe dire, è la legge di Dio fattasi persona come Gesù è l’Evangelo di Dio fattosi persona.

Il ravvedimento implica una svolta: una nuova direzione, un cambiamento di cuore, un nuovo impegno. Giovanni invita le persone a ravvedersi, perché solo quando affrontiamo il peccato con fermezza e vi rinunciamo possiamo esserne liberati. Oggi siamo fortemente tentati di chiamare il peccato con altri nomi e d’incolpare altre persone per i nostri problemi piuttosto che accettare la responsabilità dei nostri peccati. Un tale atteggiamento nega la realtà del peccato, e quindi non offre scampo da esso.

“… perché il regno dei cieli è vicino”. “Regno dei cieli” significa lo stesso che “regno di Dio”, che è la frase usata da Marco e Luca. Matteo sta scrivendo a ebrei cristiani e usa l’espressione “regno dei cieli” per onorare la loro riluttanza a usare il santo nome di Dio per paura che in qualche modo lo profanino. Il regno di Dio/regno dei cieli è quel regno in cui Dio è re. Giovanni li sta chiamando ad allontanarsi dal mondo che hanno conosciuto in modo che possano vedere il Regno dei Cieli in mezzo a loro. Giovanni sta annunciando che una grande pagina della storia umana sta per essere girata. Sta arrivando il giorno in cui la storia giungerà al termine e Dio sistemerà ogni cosa. Il modo per prepararsi per quel giorno è ravvedersi da ciò che Dio considera peccato. Giovanni non chiama le persone a ravvedersi “in modo che” venga il regno: la venuta del regno non è opera loro ma di Dio. Li invita a ravvedersi perché il regno si è avvicinato, è su di loro, la venuta del regno è già stata compiuta. Gesù ripeterà l’affermazione di Giovanni che il regno è vicino. Dirà anche: “Ma se è per l’aiuto dello Spirito di Dio che io scaccio i demoni, è dunque giunto fino a voi il regno di Dio” (12:28) – i suoi miracoli dimostrano la sua autorità data da Dio sui poteri terreni. Indicherà anche la sua seconda venuta come il momento in cui il regno di Dio sarà pienamente stabilito (Matteo 24-25).

Nei suoi insegnamenti, Gesù non solo ci avverte che il regno è imminente, ma ci aiuta anche a comprendere, per così dire, il “codice della strada” per vivere nel Regno e ci incoraggia ad adottare uno stile di vita del regno qui e ora. Nelle loro dichiarazioni che il regno si è avvicinato, Giovanni e Gesù ci stanno dicendo che non dobbiamo morire e andare in paradiso per iniziare la vita del regno. Cominciamo a vivere la vita del regno nel momento in Dio diventa concretamente il nostro Re, nel momento in cui iniziamo, per quanto imperfettamente, a cercare di fare ciò che Dio vuole che facciamo, nel momento in cui adottiamo Cristo come Signore della nostra vita.

“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (v. 3). Matteo qui cita Isaia, il versetto citato in tutti e quattro i Vangeli. Nel suo contesto originario, parlava di preparare la via affinché il popolo d’Israele tornasse dall’esilio in patria. Costituiva una visione gioiosa di un viaggio benedetto e facilitato da Dio attraverso un deserto altrimenti mortale. Ora Matteo ci dice che, mentre la profezia d’Isaia indicava quel viaggio storico, il suo ultimo compimento sta avvenendo ora mentre Giovanni prepara la via per Gesù, chiamando le persone a ravvedersi e battezzando coloro che confessano la loro peccati. Il precedente esilio e il ritorno in Israele avevano lo scopo di riscattare Israele dal suo peccato. La predicazione di Giovanni e la venuta di Gesù hanno uno scopo redentore simile. Prepararsi per il Signore è un compito permanente: il ravvedimento non è un’azione “una tantum”. Né il nostro mondo né le nostre vite sono adatte alla presenza di Dio. Dobbiamo affrontare un compito erculeo per renderli adatti, un compito impossibile se non per grazia di Dio. Il nostro lavoro di preparazione non sarà completo fino al giorno in cui Gesù ritornerà e lo completerà.

Profeti “certificati”

Giovanni aveva un vestito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi e si cibava di cavallette e di miele selvatico…”. Il profeta Elia indossava abiti di pelo di cammello con una cintura di cuoio (2 Re 1:8). Gli ebrei si aspettano che Elia ritornasse prima della venuta del messia (Malachia 4:5), e l’abito di Giovanni lo identifica come l’adempimento di quella profezia. Più tardi, Gesù renderà questi collegamenti ancora più espliciti, dicendo: «questi è Elia, che deve venire» (11,14) e Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto; così anche il Figlio dell’uomo deve soffrire da loro” (17:12). Matteo spiega:Allora i discepoli compresero che egli aveva parlato loro di Giovanni il battista (17:13).

“…  e si cibava di cavallette e di miele selvatico”. Levitico 11:22 stabilisce locuste, grilli e cavallette come cibi ritualmente puri. In un ambiente desertico, i poveri devono vivere dei frutti della terra e le locuste sono una delle poche fonti di cibo. L’abbigliamento e la dieta di Giovanni indicavano come avesse adottato uno stile di vita modesto. Esso serve anche come modello sostenibile da adottare come testimonianza contro il materialismo e l’egoismo che tengono schiavi noi e il nostro mondo.

Prima di Giovanni, il battesimo serviva come rito d’iniziazione per i proseliti gentili che desideravano entrare a far parte della fede ebraica. Era un lavaggio frequente piuttosto che un rito una tantum. Il battesimo di Giovanni sembra essere un rito unico ed è associato alla confessione dei propri peccati da parte delle persone. Un solo battesimo implica la morte per un vecchio modo di vivere e la rinascita per un nuovo modo di vivere (Romani 6:3). Questo era vero nel battesimo del proselito, in cui i gentili venivano iniziati al popolo eletto di Dio. Ma Giovanni sta chiamando non proseliti, ma ebrei al ravvedimento e al battesimo. Gli ebrei erano già membri del popolo eletto. Perché dovrebbero essere battezzati? Perché il peccato era anche nella loro vita e doveva essere eliminato, e questo è dono e opera dello Spirito Santo (Atti 2:38).

Pure farisei e sadducei, l’élite religiosa del tempo venivano al battesimo. Si consideravano giusti, quindi perché lo facevano? Tanti potevano esserne i motivi, ma non erano “quelli giusti”. Più tardi, Gesù dirà ai sommi sacerdoti e alle autorità del popolo: “Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia e voi non gli avete creduto, ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui” (Matteo 21:32). È per questo che Giovanni dice loro: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire dall’ira a venire?” (v. 7b). L’immagine è quella di serpenti che fuggono da un incendio. Giovanni è duro ed esplicito nei loro riguardi. Mantengono il tempio ed eseguono i rituali richiesti, ma la loro osservanza religiosa si è calcificata e il loro cuore si è indurito. Matteo non può accordare loro alcun rispetto, perché la loro vita non riflette l’adesione alla volontà di Dio. Giovanni da espressione a un’ira che noi siamo restii a esprimere oggi. Nella nostra predicazione, non riusciamo spesso a bilanciare la Legge e il Vangelo, il giudizio e la grazia, l’ira e la benedizione, il peccato e il pentimento. Il risultato è una risposta alla ricerca di una domanda. 

Cristo si offre di salvarci, ma da cosa? Dal peccato? Le persone non si sentono più colpevoli del peccato, ma si considerano vittime di forze impersonali che modellano la loro vita. Dall’ira di Dio? Le persone non credono che un Dio amorevole possa anche essere adirato. Di conseguenza, banalizzano la salvezza, equiparandola solo a Dio che li aiuta a superare una crisi personale. Non c’è da meravigliarsi che le chiese con una visione così stentata della salvezza abbiano perso la capacità di attirare le persone a Cristo. Se non c’è peccato, chi ha bisogno di Gesù? Chi ha bisogno di salvezza, a parte la malattia, la disoccupazione, la povertà e altri problemi di “questo mondo”. Chi ha bisogno di Cristo quando abbiamo le reti di sicurezza fornite da pensioni, assicurazioni, investimenti e programmi governativi?

Frutti degni di ravvedimento

Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento” (v. 8). Nella teologia cristiana c’è sempre una sana tensione tra la grazia e le opere. Giovanni non ci dice che le nostre opere ci salvano, ma dice che il ravvedimento produce buoni frutti. In fondo, il peccato dei farisei e dei sadducei era la presunzione. Sono tra il popolo eletto di Dio. Giovanni li avverte però che la loro connessione abramitica non li avrebbe salvati. Dio, però, non è legato a categorie umane predeterminate. Il Dio che crea gli uomini dalla polvere della terra potrebbe creare figli di Abramo dalle pietre che ricoprono in abbondanza il deserto. Sebbene Matteo non menzioni le genti in questo versetto, include molti riferimenti a esse in questo vangelo che sta scrivendo ai cristiani ebrei e conclude questo Vangelo con l’incarico di Gesù di “fare discepoli tutti i popoli” (28:19).

“La scure è già posta alla radice degli alberi” (v. 10a). L’immagine è quella di un’ascia che il proprietario ha prelevato dal capanno degli attrezzi per abbattere alberi improduttivi: la soluzione finale: tagliarli e bruciarli. Non ci sarà ritorno, nessun modo per riscattare gli alberi caduti. Possiamo immaginare la tristezza con cui il proprietario svolge questo compito, avendo piantato gli alberi con grande speranza. Quale appello convincerà il proprietario a risparmiarli? Sfortunatamente, il momento dell’azione era ieri ed è oggi! “Ogni albero dunque che non fa buon frutto sta per essere tagliato e gettato nel fuoco” (v. 10b). L’immagine è di un giudizio spaventoso e lo stesso Gesù ne parla frequentemente: Egli ha il suo ventilabro in mano, pulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula con fuoco inestinguibile” (10-12). Succederà.

Chiediamoci dunque se abbiamo preso seriamente l’appello al ravvedimento che Dio ci fa attraverso le Scritture e se questo è l’annuncio dell’Evangelo che udiamo dai pulpiti: un Evangelo differente non può che essere falso e non realizzerà ciò che promette.

Paolo Castellina, 26 novembre 2022