PREFAZIONE
SCRITTA DALLO STESSO MATTHEW HENRY
Sebbene
la mia principale preoccupazione sia di poter dare buona testimonianza di me
stesso a Dio ed alla mia stessa coscienza, ci si aspetta forse che io offra al
mondo qualche spiegazione circa quest’ardita impresa. Mi sforzerò di farlo
con chiarezza, come colui che crede che se in quel grande giorno si chiederà
conto d’ogni oziosa o malvagia parola che gli uomini avranno detto, a maggior
ragione si chiederà conto d’ogni oziosa o malvagia riga che avranno scritto.
E forse sarebbe utile, in primo luogo, esporre i grandi e sacri principi sui
quali mi fondo e dai quali sono governato in questo sforzo di spiegare e
valorizzare i sacri scritti; sforzo che offro umilmente al servizio di coloro
che con me sono d’accordo su questi sei principi (credendo che in effetti esso
sarà gradito solo a loro): I. Che la religione è la sola cosa utile; e che conoscere, amare e temere
Dio Creatore, osservando i suoi
comandamenti (Ec 12:15) con ogni devoto sentimento e con una sana condotta,
è il tutto dell’uomo. Questa è la
conclusione del ragionamento (il quod erat
demostrandum di tutto il discorso) cui giunge il più saggio fra gli uomini,
nel suo Ecclesiaste, dopo stringenti
ed ampie riflessioni. Mi si consenta, quindi, di porre questa affermazione come
un postulatum, una premessa non
discutibile, il fondamento di tutta l’opera. In generale, è utile, per
l’umanità, che nel mondo ci sia la religione: essa è assolutamente
necessaria alla tutela dell’onore degli esseri umani e, cosa non meno
importante, alla conservazione dell’ordine delle loro società. La pietà è
necessaria anche a ciascuno di noi in particolare; altrimenti non
corrisponderemmo all’obiettivo della nostra creazione, non otterremmo il
favore del nostro Creatore, non potremmo vivere bene adesso, e felici per
sempre. Un uomo che pur essendo fornito della forza della ragione, tramite la
quale può conoscere, servire, glorificare, e gioire del suo Fattore, vive senza
Dio nel mondo (Ef 2:12), è sicuramente l’essere più spregevole e
miserabile sotto il cielo. II. Che la divina rivelazione è necessaria alla vera religione, alla sua
esistenza ed al suo sostegno. La fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio, non può raggiungere alcuna perfezione
solo nella contemplazione delle opere di Dio: essa deve provenire dall’ascolto
della parola di Dio (Ro 10:17). Senza
quel soprannaturale disvelamento che egli fa di se stesso, dei suoi pensieri e
della sua volontà, l’anima razionale, avendo ricevuto il fatale colpo della
caduta, non riesce a produrre e a nutrire una corretta conoscenza del grande
autore della sua stessa esistenza, né può provare la giusta riverenza o
manifestare la giusta fede in lui, cose che sono insieme il suo dovere e la sua
gioia. Fino al punto in cui può giungere, la luce naturale è senz’altro di
grande utilità, ma la divina rivelazione è necessaria a correggere i suoi
errori, ovviare alle sue insufficienze, aiutare laddove la conoscenza naturale
non può più soccorrere. Questo vale soprattutto per quello che riguarda la via
ed il modo attraverso il quale l’uomo si rialza dallo stato della caduta,
riguadagnando il favore del suo Creatore; favore che non può non essere
consapevole di aver perduto, realizzando per triste esperienza che il suo stato
presente è peccaminoso e miserabile. La ragione ci mostra la ferita, ma nulla
di meno della divina rivelazione potrà rivelarci il rimedio nel quale possiamo
confidare. L’esempio e la natura di quelle nazioni della terra che (a parte
qualche piccola reminiscenza della divina istituzione dei sacrifici trasmessa
loro attraverso i padri) non possono affidare le loro pratiche religiose che al
governo della luce naturale, mostrano chiaramente quanto la divina rivelazione
sia il necessario fondamento della religione. Infatti, coloro che non ebbero la
parola di Dio ben presto hanno persero Dio stesso, diventando insensati nei loro
ragionamenti su di lui, ed incredibilmente indegni ed assurdi nell’adorazione
e nel culto. È vero, gli ebrei, che avevano il beneficio della rivelazione
divina, caddero talvolta nell’idolatria, e consentirono corruzioni molto
grossolane; tuttavia, con l’aiuto della legge e dei profeti, si ravvidero e si
riformarono. Al contrario, la migliore e più osannata filosofia dei pagani
nulla poté contro la volgare idolatria, nonostante si proponesse di abolire
almeno qualcuno di quei riti barbari e ridicoli, scandalo e condanna del genere
umano. Che gli uomini, dunque, deisti o atei, affermino ciò che vogliono:
coloro che osannando quelli della ragione, disprezzano gli oracoli di Dio e li
reputano superflui, minano le fondamenta d’ogni religione, e fanno tutto ciò
che possono per interrompere il dialogo fra l’uomo e il suo Creatore, ponendo
quella nobile creatura allo stesso livello delle bestie che periscono. III. Che la divina rivelazione non può essere rinvenuta né può trovare
coerenza che nelle e con le pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento,
dove, in effetti, essa si trova. È vero, anche prima della parola scritta
c’era una religione ed una divina rivelazione; ma argomentare per questo che
le Scritture non siano adesso necessarie, sarebbe assurdo come affermare che il
mondo potrebbe benissimo fare a meno del sole, visto che nella creazione quello
fu formato, come la stessa luce, tre giorni prima di questo. Nel momento in cui
furono date, le divine rivelazioni ricevettero conferma per mezzo di visioni,
miracoli e profezie; ma era necessario che fossero trasmesse, insieme alle prove
ed alle dimostrazioni che le accompagnavano, a luoghi remoti ed alle età
future, e che ciò avvenisse per mezzo della forma scritta, il più sicuro
sistema di comunicazione, attraverso il quale è preservata e propagata la
conoscenza d’ogni cosa memorabile. Abbiamo motivo di ritenere che anche i
dieci comandamenti, sebbene promulgati con tanta solennità sul Monte Sinai,
sarebbero stati perduti e dimenticati già da molto tempo, se fossero stati
affidati solo alla tradizione e non fossero mai stati messi per iscritto: ciò
che rimane è ciò che viene scritto. La Scrittura non è redatta come un
sistematico trattato di teologia, secundum
artem – secondo i canoni, ma sfruttando molte forme letterarie (storie,
leggi, profezie, canti, lettere, ed anche proverbi), in tempi diversi e da molte
mani, come la Divina Saggezza ritenne opportuno. Lo scopo viene di fatto
raggiunto; alcune cose vengono senz’altro date per presupposte e scontate, ed
altre sono specificatamente rivelate e rese note. Tutto l’insieme ci trasmette
sufficiente conoscenza circa le verità e le leggi della santa dottrina che
dobbiamo professare e dalla quale dobbiamo essere diretti. È certo che ogni
scrittura è ispirata da Dio (2 Ti 3:16) e che degli
uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo (2
P 1:21), ma chi può pretendere di spiegare l’ispirazione? Nessuno conosce le vie dello Spirito, né come si formarono i pensieri nei cuori di
coloro che furono ispirati, non più di come possiamo conoscere il modo in cui
l’anima vive nel corpo, o di come si
formino le ossa in seno alla donna incinta (Ec 11:5). Possiamo tuttavia
essere certi del fatto che non solo il benedetto Spirito preparò e qualificò
per tale servizio i redattori di quelle pagine, mettendo nel loro cuore il
proponimento di scriverle, ma venne anche in soccorso della loro intelligenza e
memoria, quando dovettero registrare le cose delle quali avevano conoscenza
diretta, proteggendo efficacemente dagli errori e dalle sviste. Per quanto
riguarda i fatti che essi stessi non potevano conoscere se non per rivelazione
(vedi, ad esempio, Ge 1 e Gv 1), lo stesso benedetto Spirito ne diede loro
chiara e soddisfacente conoscenza. E non v’è dubbio che quando ciò si rese
necessario per il fine prefissato, essi furono diretti dallo Spirito anche nella
scelta del linguaggio e delle espressioni da usare. Infatti, si trattava di
parole insegnate dallo Spirito (1 Co
2:13) e Dio stesso disse al profeta: «Riferisci
loro le mie parole» (Ez 3:4).Tuttavia, quando ci accostiamo alla legge, non
è essenziale per noi discernere quanta libertà ci si prese, dal punto di vista
letterale, nel redigerla: una volta ratificata, la norma diventa atto del
legislatore, ed obbliga i suoi destinatari ad osservarne il vero scopo e
significato. La Scrittura dimostra la propria autorità ed origine divina sia ai
savi che agli ignoranti. Ai meno saggi ed eruditi, tali caratteri vengono
ampiamente palesati dai miracoli narrati da Mosè e dai profeti, da Cristo e
dagli apostoli, prodigi che confermano la sua autenticità e la validità delle
norme che essa contiene: immaginare che il sigillo divino sia stato apposto
sopra una bugia sarebbe un’intollerabile affronto alla Verità eterna. Ma ai
più saggi ed avveduti, ai più prudenti e riflessivi, essa raccomanda se stessa
per le sue innate eccellenze: caratteri che servono a dimostrarne l’origine
divina. Se guardiamo con attenzione, coglieremo facilmente l’impronta di Dio
ed il sigillo suo. Una mente correttamente disposta in umile e sincera
soggezione al proprio Fattore scoprirà senza difficoltà l’impronta della
sapienza di Dio, nelle meravigliose profondità dei suoi misteri; l’impronta
della sua sovranità, nell’autorevole maestà dello stile; l’impronta
dell’unità, nella meravigliosa armonia e simmetria delle varie parti;
l’impronta della santità, nella purezza senza macchia dei suoi precetti; e
l’impronta della sua bontà, nel chiaro disegno complessivo, inteso al
benessere ed alla felicità dell’umanità in questo e nell’altro mondo. In
altre parole, è un’opera che si raccomanda da sé. Quindi, sia atei che
deisti, anche se si vantano orgogliosamente della loro ragione, come se la
saggezza dovesse morire con loro, incorrono nella più grossolana e disonorevole
assurdità che si possa immaginare. Infatti, se la Scrittura non è la parola di
Dio, non v’è alcuna divina rivelazione nel mondo, né alcun disvelamento dei
pensieri di Dio riguardo ai nostri doveri ed alla nostra felicità: e quindi,
per quanto un uomo possa essere desideroso ed ansioso di fare la volontà del
suo Creatore, sarà irrimediabilmente destinato a perire ignorandola, visto che
non c’è altro libro che si assuma il compito di esporla. Questa è una
conclusione che in nessun modo possiamo conciliare con l’idea che abbiamo
della divina bontà. Oltre a ciò (ed anche questa non è assurdità meno
grossolana) se le Scritture non sono la divina rivelazione, allora sono
sicuramente un grande inganno tramato ai danni di tutto il mondo. Ma un tale
pensiero non avrebbe alcun fondamento. Infatti, degli uomini malvagi non
avrebbero mai scritto un libro tanto buono, né Satana poteva essere così
astuto da aiutare a cacciare Satana; e uomini sinceri non avrebbero mai fatto
una cosa tanto empia, quale quella di contraffare il sigillo celeste, usandolo
per legittimare il prodotto dei propri pensieri, per quanto santi tali pensieri
protessero essere. No, queste non son
parole di un indemoniato (Gv 10:21). IV. Che le scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento sono state
specificamente pensate per il nostro insegnamento. Se fosse stata una
rivelazione utile solo a quelli nelle cui mani fu data da principio, noi, che,
che ne siamo così lontani, non dovremmo più preoccuparcene. Al contrario,
quelle parole furono sicuramente intese ad essere d’utilità e ad avere valore
normativo nei confronti di tutti quelli che, in ogni luogo ed età, ne fossero
venuti a conoscenza, anche fino agli estremi confini del mondo (Vedi Ro 15:4).
Sebbene non ci troviamo sotto la legge (in tal caso, essendo colpevoli, dovremmo
inevitabilmente perire per effetto della sua maledizione), non si tratta di
statuti superati. Al contrario, è la permanente dichiarazione della volontà di
Dio riguardante il bene ed il male, il peccato ed il dovere. La sua pretesa
d’ubbidienza è come sempre pienamente in vigore. A noi come a loro (cui all’inizio fu trasmessa) è
stata annunziata una buona novella (quella della legge rituale), in maniera
molto più chiara (Eb 4:2). I racconti dell’Antico Testamento furono scritti
per nostra ammonizione e direzione (1 Co 10:11), e non solo per nostra
informazione o per il diletto dei curiosi. I profeti, anche se sono morti da così
lungo tempo, continuano a profetizzare, attraverso i loro scritti, sopra
molti popoli e nazioni (Ap 10:11), e le esortazioni di Salomone parlano a
noi come ai suoi stessi figli. Il soggetto della Sacra Scrittura è universale e
perpetuo, e quindi, è di interesse generale. Il suo scopo è: 1. Ridare vita alle leggi di
natura, universali e perpetue, le cui vestigia (o meglio, rovine) che si trovano
nella coscienza naturale ci esortano a ricercarne altrove una più evidente
esposizione. 2. Rivelare la legge della
grazia, universale e perpetua, nella quale abbiamo motivo di sperare, se
consideriamo la generale benevolenza usata da Dio nei confronti dei figli degli
uomini, manifestata nel fatto di averli posti in una situazione migliore di
quella in cui si trovano i demoni. Allo stesso modo, la divina autorità, che in questo libro comanda la
nostra fede ed ubbidienza, è universale e perpetua, e non conosce limiti, né
di tempo, né di spazio. Da questo deriva che ogni nazione ed età cui questi
sacri scritti vengono trasmessi è obbligata a riceverli con la stessa
venerazione e lo stessa pia considerazione che essi comandavano quando furono
introdotti la prima volta. Sebbene Dio, in questi ultimi giorni, abbia parlato a noi mediante il suo Figliuolo, non dobbiamo tuttavia
pensare che quello che egli disse in molte
volte e in molte maniere ai padri (Eb 1:1) non sia più di alcuna utilità
per noi, o che l’Antico Testamento non sia altro che una vecchia storia senza
attualità. No. Noi siamo stati edificati
sul fondamento dei profeti, così come su quello degli apostoli,
essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare (Ef 2:20), nella quale si
incontrano ed uniscono entrambi i lati di questo benedetto edificio. Cristo e
gli apostoli fecero spesso riferimento e si appellarono a quelle istituzioni
dell’antica comunità ebraica, ordinandoci di investigarle e tenerle presenti.
Come i funzionari di Giosafat (2 Cr 17:9), i predicatori del vangelo portavano
con sé questo libro della legge dovunque andassero, e se ne servivano
ampiamente quando parlavano a coloro che avevano
conoscenza della legge (Ro 7:1). La famosa traduzione dell’Antico
Testamento in lingua greca, realizzata dai Settanta, fra 200 e 300 anni prima
della nascita di Cristo, fu per le nazioni una felice preparazione al vangelo,
realizzata tramite la diffusione della conoscenza della legge. Infatti, così
come il Nuovo Testamento spiega e completa l’Antico, e quindi lo rende più
utile a noi di quanto non fosse alla comunità ebraica, allo stesso modo,
l’Antico Testamento conferma ed illustra il Nuovo e mostra che Gesù Cristo è
lo stesso ieri, oggi e per sempre. V. Che le Sacre Scritture non furono pensate solo per il nostro insegnamento,
ma costituiscono il corpo delle regole stabilite per governare la nostra fede e
la nostra vita pratica, quelle norme dalle quali, al tempo presente,
dobbiamo essere diretti, e fra breve, giudicati. Questo non è solo un libro di
generiche meditazioni (tali possono essere gli scritti degli uomini saggi e
buoni), ma è un’autorità sovrana e normativa, lo statuto del regno di Dio,
che dobbiamo osservare in virtù del patto di fedeltà che abbiamo giurato a
lui, nostro Signore supremo. Sia che ascoltiamo, sia che non ascoltiamo (Ez
2:5), occorre che ci si dica che questo è l’oracolo che dobbiamo consultare e
dal quale dobbiamo essere condotti, la pietra di paragone che ci misura e che
prova le nostre dottrine, la regola alla quale dobbiamo guardare per adeguare ad
essa ogni sentimento e condotta e per prendere tutte le decisioni. Questa è la testimonianza,
la legge chiusa e sigillata fra i discepoli, quella parola che, se non
parliamo in accordo ad essa, è perché non vi è per noi alcuna aurora (Is 8:16,20 – trad. King James). Farci governare
dalla luce interiore, che per natura
non è che tenebra, e che quando sia toccata dalla grazia non può che essere
una copia della parola scritta, alla quale deve conformarsi, sarebbe come porre
il giudice al di sopra della legge. Lasciare che le tradizioni della chiesa
rivaleggino con le Scritture non sarà certo meglio: sarebbe come se si
permettesse all’orologio, che ognuno può regolare avanti o indietro a proprio
piacimento, di correggere il sole, fedele misuratore del tempo e dei giorni. Se
tali assurde posizioni prendono piede, migliaia di persone le abbracciano, come
ben sappiamo per nostra triste esperienza. VI. Che per tali ragioni è
dovere di tutti i cristiani studiare con diligenza le Scritture, ed è compito
dei ministri guidarli ed assisterli in questo. Questo libro di libri, per
quanto possa essere utile in se stesso, non produrrà alcun bene a noi, se non
acquistiamo familiarità con esso, leggendolo e meditandolo giornalmente, in
modo da comprendere in esso i pensieri di Dio, applicando a noi stessi le cose
che apprendiamo, per nostra direzione, rimprovero, conforto, secondo
l’occasione. È nel carattere dell’uomo santo e felice di trovare diletto
nella legge del Signore. A riprova di questo, egli si intrattiene con essa
come col suo abituale compagno, e ne trae suggerimenti come dai suoi più saggi
e fidati consiglieri. Infatti, su quella
legge medita giorno e notte (Sl 1:2). Ci dobbiamo preoccupare di essere
versati nelle Scritture e di renderci tali attraverso la lettura costante e
l’attento studio, rivolgendo a Dio fervide richieste per ricevere il dono
promesso dello Spirito Santo, il cui ufficio è di rammentarci tutte le cose
dette da Cristo (Gv 14:26), di modo che possiamo avere a portata di mano l’una
o l’altra buona parola, che ci sia utile nel parlare a Dio, nelle
conversazioni con gli uomini, nel resistere a Satana e nella meditazione
personale. In tal modo saremo resi capaci, insieme al buon padrone di casa, di
tirar fuori da questo tesoro, cose nuove e cose vecchie (Mt 13:52), per la gioia e l’edificazione nostra e degli altri. Se c’è
qualcosa che può rendere l’uomo di Dio,
compiuto in questo mondo, che possa perfezionare un semplice cristiano o un
ministro, che possa appieno fornirlo per
ogni opera buona (2 Ti 3:17), non può che essere questa. Dobbiamo anche
preoccuparci di essere potenti nelle
Scritture proprio come era Apollo (At 18:24). Questo vuol dire che dobbiamo
avere piena dimestichezza con il loro vero scopo e significato, in modo da
comprendere ciò che leggiamo, senza interpretarlo o applicarlo male, ma,
attraverso la guida del benedetto Spirito, essendo condotti in tutta
la verità (Gv 16:13), attendendo a queste cose con
fede e con l’amore (2 Ti 1:13), intendendo ogni parte della Scrittura
secondo lo scopo per cui fu concepita. Senza lo Spirito, la lettera, della legge
o del vangelo, giova a ben poco. I ministri di Cristo, quindi, sono ministri
dello Spirito per il bene della chiesa; il loro servizio consiste nello spiegare
ed applicare correttamente le Scritture. Perciò, essi devono affinare la loro
conoscenza, le loro dottrine, devozioni, direzioni, ammonizioni, e dunque il
loro stesso linguaggio e la loro attitudine. Nei primi e più puri anni della
chiesa, spiegare le Scritture era il modo più frequente di predicare. Che cosa
dovevano fare i leviti, se non insegnare gli statuti a Giacobbe (De 33:10), e
cioè, non solo leggerli, ma anche darne il
senso, per far capire al popolo quel che s’andava leggendo (Nehemia 8:8) E
come avrebbero potuto capire, senza alcuno che li guidasse (At 8:31) Così come
i ministri saranno difficilmente creduti, se dietro di loro non c’è la
Bibbia, allo stesso modo, difficilmente si potrà comprendere la Bibbia, se non
ci sono ministri che la spiegano; ma se pur disponendo di entrambi, periamo
nell’ignoranza e nell’incredulità, il nostro sangue ricadrà sul nostro
stesso capo. Essendo quindi profondamente convinto di queste cose, ne concludo che
qualunque aiuto offerto ai buoni cristiani nel loro studio delle Scritture è un
servizio che in verità viene reso alla gloria di Dio e a vantaggio del suo
regno fra gli uomini. Questo è ciò che mi ha indotto a questa impresa, nella
quale sono andato avanti con debolezza,
con timore e con gran tremore (1 Co 2:3), temendo di trattare cose troppo
alte per me, e che un’impresa tanto lodevole dovesse ricevere danno da una
maldestra gestione. A chi voglia sapere come mai mi sia avventurato in un lavoro
così imponente, io, così basso ed oscuro, inferiore al minino di tutti i servi
del mio Signore per istruzione, giudizio, felicità d’espressione ed ogni
altra dote necessaria a questo genere di fatica, non posso dare altra
spiegazione che questa: è sempre stata mia abitudine, nel poco tempo che mi
rimane libero dalla preparazione per il pulpito, di dedicarmi al commento di
varie parti del Nuovo Testamento, non solo per mia utilità, ma ancor più per
mio diletto. Non saprei, infatti, come impiegare in modo più soddisfacente i
miei pensieri ed il mio tempo. Trahit sua
quemque voluptas – Ogni studioso ha qualche materia prediletta, che gli dà
gioia al di sopra d’ogni altra. E questa è la mia. È
quell’apprendimento che era la mia felicità sin da quando, ragazzo, ero
educato dal mio onorato padre, la cui memoria mi sarà sempre molto cara e
preziosa: egli mi ricordava spesso che un buon conoscitore dei testi sacri è un
buon teologo, e che dovevo leggere gli altri libri sempre sotto la luce di
questo, in modo da essere quanto più possibile capace di comprendere ed
applicare la Scrittura. Mentre ero intento in tali cose, fu pubblicato il
commentario del signor Burkitt (prima dei Vangeli, poi degli Atti degli
Apostoli), che ebbe molto successo fra le persone avvedute e che sicuramente
continuerà, per la benedizione di Dio, a rendere un grande servigio alla
chiesa. Poco dopo che egli aveva finito quel lavoro, piacque a Dio di chiamarlo
presso il suo riposo. A seguito di ciò, fui incoraggiato da parte di alcuni
amici, mentre io stesso v’ero propenso, a tentare analoga impresa con
l’Antico Testamento, nella forza della grazia di Cristo. Questo commento che
riguarda il Pentateuco viene umilmente offerto come un saggio. Se troverà
favore e sarà ritenuto in qualche modo utile, è mio proponimento, in
dipendenza dell’aiuto divino, continuare, fino a quando Dio mi darà vita e
salute, secondo quello che mi sarà consentito dagli altri miei impegni. So che
nella nostra lingua abbiamo molti sussidi di questo genere, che abbiamo ogni
motivo di apprezzare e per i quali dobbiamo essere molto grati a Dio: ma la
Scrittura è un soggetto che non può mai essere esaurito. Semper habet aliquid relegentibus – ogni volta che la leggiamo,
troviamo sempre qualcosa di nuovo. Dopo che Davide ebbe ammassato un grande
tesoro per la costruzione del tempio, disse tuttavia a Salomone: «Tu ve ne potrai aggiungere ancora» (1 Cr 22:14). La conoscenza
della Scrittura è un tesoro tale da poter sempre essere incrementato, fino a
quando tutti noi non giungiamo alla perfezione. La Scrittura è un campo, o una
vigna, che richiede il lavoro di molte mani ed intorno alla quale si può
impiegare una grande diversità
di doni e di operazioni, ma, notiamo, sempre per il medesimo
Spirito (1 Co 12:4,6) e per la gloria di un medesimo
Signore. Gli studiosi di lingue e degli antichi usi sono stati molto utili
alla chiesa (la benedetta affittuaria di questo campo) con le loro approfondite
e complesse ricerche circa i vari prodotti, la conformazione delle piante, gli
interessanti studi che hanno prodotto al riguardo. Per la fede, la critica
filologica è stata molto più utile della filosofia delle accademie teologiche,
ed ha gettato, sulle sacre verità, molta più luce di quanto quella non abbia
fatto. Anche i dotti polemisti hanno reso un grande servizio, nel difendere il
giardino del Signore contro i violenti attacchi delle potenze delle tenebre,
sostenendo vittoriosamente la causa delle Sacre Scritture contro gli oltraggiosi
cavilli degli atei e dei deisti, e le beffe profane di questi nostri ultimi
giorni. È giusto che costoro siano onorati e lodati, come in effetti sono, in
tutte le chiese. Tuttavia, la fatica dei vignaioli e dei contadini, i poveri del
paese, coloro ai quali viene affidata la terra per raccoglierne i frutti (1 R
25:12), non è meno necessaria e di beneficio alla casa di Dio, in quanto
consente che ciascuno riceva la sua giusta
porzione, a suo tempo, del prezioso prodotto della conoscenza. Questa è la
fatica alla quale ho posto mano, secondo la mia capacità. E così come i
semplici predicatori e i divulgatori non diranno mai degli eruditi che non c’è
bisogno di loro, così, si spera che quegli occhi e quei capi non diranno alle
mani e ai piedi: «Non ho bisogno di voi»
(1 Co 12:21). Ultimamente, gli studiosi hanno ricevuto grande utilità nei loro studi
su questa parte dei sacri scritti, in virtù dell’eccellente e validissimo
lavoro di quell’uomo grande e buono, il vescovo Patrick, al quale le età
future non mancheranno di attribuire un posto fra i tre più grandi
commentatori, in forza della sua vasta cultura, del solido giudizio e della
felicissima applicazione di tali virtù agli studi, continuata anche quando era
già avanzato di età e di onori. Dio sia benedetto per lui. Le “English
Annotations”, del sig. Pool (che contenendo così tante impronte diverse,
possiamo supporre siano il prodotto di molte mani) sono di ammirevole utilità,
specialmente nella spiegazione di certe espressioni scritturali, di cui aprono
il senso, facendo i riferimenti ai passi paralleli, ed eliminando le difficoltà
che possono sorgere. Quindi sono stato conciso su tutti quei punti che sono già
stati ampiamente discussi, e mi sono impegnato, per quanto ho potuto, a non
includere quello che si poteva trovare in quelle fonti. Infatti, non volevo actum agere – fare quello che già era stato fatto, né (se m’è
consentito prendere in prestito le parole dell’apostolo), gloriarmi … di cose bell’e preparate (2 Co 10:16). Quelle
“annotazioni” sono di più facile consultazione quando si utilizzano,
secondo l’occasione, per spiegare l’una o l’altra delle parole o frasi
alle quali si riferiscono e che ci si propone di approfondire, ma
un’esposizione come la presente, posta sotto forma di discorso continuo ed
organizzato per capitoli, è più facile e pratica da leggere di seguito, sia
per lo studio personale, sia per l’insegnamento. Credo che il tener conto
della connessione di ciascun capitolo (là dove possibile) con quello che
precede, l’esposizione dello scopo generale e dello sviluppo del racconto o
del discorso, il compendio delle varie parti fatto in modo che si possano tutte
abbracciare con una sola occhiata, saranno caratteristiche che contribuiranno
molto alla comprensione e daranno piena percezione del proposito generale, anche
se qua e là ci possono essere parole ed espressioni difficili che neppure i
migliori esperti riescono bene a spiegare. Questo è quello che ho cercato di
fare. Tuttavia, noi non ci preoccupiamo solamente di capire quello che
leggiamo, ma anche di utilizzarlo per qualche buon fine, di esserne toccati e
trasformati. La parola di Dio è destinata ad essere non solo una
lampada al mio piè, ossia, l’oggetto della nostra contemplazione, ma
anche una luce sul mio sentiero (Sl
119:105), per dirigerci sulle vie del dovere ed impedirci di allontanarcene per
via. Quindi, mentre studiamo le Scritture, non dobbiamo solo domandarci «Che
significa questo?», ma anche «Che significa questo per noi?». Quale buon uso
possiamo farne? Come possiamo applicarlo a qualcuno degli scopi di quella vita
divina e celeste che, per la grazia di Dio, abbiamo deciso di vivere? È a
domande di questo genere che mi sono proposto di rispondere. Giacché la pietra
è stata rimossa dalla bocca del pozzo, attraverso la spiegazione letterale del
testo, ci sono poi quelli che vogliono bere essi stessi ed abbeverare le loro
greggi? O si lamentano che il pozzo è profondo e che non hanno nulla per attingere e quindi non possono avere cotest'acqua viva (Gv 4:11) Forse alcuni di loro qui potrebbero
trovare una secchia, o dell’acqua già attinta per loro. In quanto a me, sarei
ben felice di avere solo il compito dei Gabaoniti: attingere acqua per
tutta la raunanza, dal pozzo della salvezza (Gs 9:21). L’obiettivo della mia esposizione è di dare quello che ritengo il
senso vero, e di renderlo quanto più possibile accessibile a tutti, non
mettendo in difficoltà i miei lettori con le diverse vedute degli scrittori, il
che sarebbe stato come riproporre la “Latin Synopsis” del sig. Pool, dove
tutto questo è ampiamente fatto, per nostra soddisfazione ed utilità. Per
quanto riguarda le osservazioni pratiche, non mi sono obbligato a tirar fuori
dottrine da ogni versetto o paragrafo, ma mi sono sforzato di inserire nella
spiegazione quegli appunti o quelle note che ho ritenuto utili a
insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia (2 Ti 3:16),
cercando, in ogni cosa, di promuovere
la santità pratica e di evitare accuratamente materie di contrasto o dispute di
parole. Solo il successo della potenza della religione nei cuori e nelle vite
dei cristiani riuscirà a fare piazza pulita dei nostri mormorii, trasformando
il deserto in campo fruttifero. E poiché il nostro Signore Gesù Cristo è il
vero tesoro nascosto nel campo dell’Antico
Testamento, ed è l’Agnello ucciso sin
dalla fondazione del mondo (Ap 13:18 – trad. King James),
sono stato attento ad osservare cosa Mosè, cui tante volte egli si appellò,
scrisse di lui. Negli scritti dei profeti ci imbattiamo nella maggior parte
delle promesse più chiare ed esplicite riguardanti il Messia e la grazia del
vangelo, ma qui, nei libri di Mosè, troviamo una maggiore quantità di tipi,
oggetti o persone che rappresentano colui che doveva venire, ombre raffiguranti
la realtà dell’essenza di Cristo (Ro 5:14). Coloro che vivono in Cristo vi
troveranno cose molto istruttive e coinvolgenti, che saranno di grande impulso
alla fede, all’amore, alla santa gioia. Questo è quello che soprattutto
cerchiamo nelle Scritture: la loro testimonianza di Cristo e della vita eterna
(Gv 5:39). Né si può dubitare della correttezza di quest’applicazione delle
istituzioni rituali a Cristo ed alla sua grazia, argomentando sul fatto che
coloro alle quali tali cose furono primieramente date non potevano discernerne
il senso o l’utilità. Semmai, questa è una ragione per cui dovremmo essere
molto grati, giacché il velo che era davanti a loro quando leggevano l’Antico
Testamento è stato abolito in Cristo (2
Co 3:13:14:18). Sebbene essi non potessero fissare lo
sguardo nella fine di ciò che doveva sparire, questo significa solo che
noi, essendo stati felicemente forniti di una chiave che ci consente di
penetrare questi misteri, possiamo contemplare come in uno specchio, la gloria del Signore. E tuttavia, forse, nei
loro rituali i giudei pii videro del vangelo molto più di quello che noi stessi
possiamo pensare. Se non altro, essi vissero la generale attesa di benedizioni
che dovevano ancora venire, contando sulle promesse fatte ai padri, con una fede
simile a quella che noi oggi viviamo riguardo alla felicità del cielo. Tutto ciò,
anche se di queste cose non potevano avere una percezione molto più chiara e
distinta di quella che noi stessi possiamo avere del mondo a venire. Le nostre
idee circa lo stato futuro sono forse altrettanto scure e confuse, con così
poca verità e alquanto lontane d’essa, come quelle che essi stessi
coltivavano circa il regno del Messia. Ma Dio richiede soltanto una fede
proporzionata alla rivelazione che egli dà. Ad essi, dunque, non si può
chiedere conto, se non per la luce che hanno ricevuto, mentre da noi si può
pretendere di più, in ragione della luce ben più grande che abbiamo nel
vangelo, per effetto del quale, possiamo trovare di Cristo, anche nell’Antico
Testamento, molto di più di quello che essi stessi poterono riconoscere. Se qualcuno pensa che talvolta le nostre osservazioni possano prendere
spunto da particolari troppo minuti, ricordi quella massima rabbinica: Non
est in lege vel una liters a qua non
pendent magni montes – La legge non contiene una sola lettera che non possa
sostenere il peso di una montagna intera. Siamo certi che nella Bibbia non
c’è una sola parola oziosa. Vorrei che il lettore non solo leggesse il testo
biblico, per intero, prima di leggere il commento, ma, riguardasse di nuovo i
vari versetti ai quali via via si fa riferimento nell’esposizione, per avere
una migliore comprensione di quello che va leggendo. E se ne avrà il tempo,
troverà utile andare a guardare i passi ai quali talvolta, per amore di brevità,
si fa soltanto un semplice riferimento, confrontando cose spirituali a cose
spirituali. Lo scopo dichiarato dalla Mente Eterna, in tutte le operazioni dei suoi
proponimenti e della sua grazia, è di
rendere la sua legge grande e magnifica (Is 42:21), o meglio, di magnificare
la sua parola oltre ogni rinomanza (Sl
138:2), di modo che quando preghiamo «Padre, glorifica il tuo nome»,
intendiamo dire, fra l’altro «Padre, magnifica le Sacre Scritture». Possiamo
essere certi che ad una tale preghiera, fatta con fede, sarà data la stessa
risposta che il nostro benedetto Salvatore ricevette quando egli stesso pregò
similmente, avendo particolare riguardo all’adempimento delle scritture che
riguardavano la sua passione: E l'ho
glorificato, e lo glorificherò di nuovo (Gv 12:28)! A questo grande
progetto desidero umilmente essere in qualche modo utile, nella forza della
grazia in virtù della quale sono quello che sono, sperando che tutto ciò che
potrà essere fatto per rendere la lettura delle Scritture più facile,
piacevole ed utile, sarà benevolmente accettato da colui che sorrise ai due
soldi gettati dalla vedova nella cassetta. E se l’obiettivo non fosse
raggiunto che per pochi, riterrei i miei sforzi ampiamente ricompensati, anche
se da parte di altri il mio lavoro dovesse essere disprezzato e vilipeso. Non ho altro da aggiungere, se non raccomandare me stesso alle preghiere dei miei amici, e raccomandare loro alla grazia del Signore Gesù, mentre indegnamente riposo su di essa, aspettando, per suo mezzo, la gloria che ha da essere rivelata. Chester, 2 ottobre 1706 M.H. |
La vita esemplare e le opere di Matthew Henry
E' sempre... Tempo di Riforma, a cura del past. Paolo Castellina