
Ecco la
trascrizione di queste conversazioni, ripresa dal Florio:
Ragionamenti di Jane Grey con il Feckenham
(Da Michelangelo Florio)
F. Qual
è quella cosa che voi pensate che sopra tutte le altre sia di
bisogno, che nel cristiano si trovi?
J. Che
si confidi nel Padre, nel Figliolo e nello Spirito Santo, tre persone
ed un solo Iddio.F. Non giudicate, dunque, che si ricerchi altro di
più?
J. Non
solamente bisogna confidarsi in Dio, ma con tutto il cuore, con tutta
l’anima e con tutte le forze amarlo, ed il prossimo, allo stesso
modo, amare si deve come sé stessi.
F. Allora
non si deve, dunque, dire che per la sola fede noi siamo giustificati.
J. Anzi,
si deve concedere l’uno e l’altro, perché, come io
ho detto, amar si deve Iddio, e non di meno è vero quello che
dice Paolo, che per la fede la quale si ha in Cristo, noi siamo reputati
giusti.
F. Ma
che è quello che dice lo stesso Paolo? Non dice forse egli che
senza la carità e la benevolenza, la fede non vale un zero?
J. Sì
che lo dice, che come mai potrò io amare Colui nel quale io non
abbia fiducia veruna, e non anare quello in cui di cuore io mi fido?
Strettissimamente insieme sono congiunte, la fede e la benevolenza.
La benevolenza e la carità non meno contengono la fede che chi
vorrebbe l’una, bisogna che vogli anche l’altra.
F. Ma
come si deve amare il prossimo?
J. La
carità del prossimo si scorge soprattutto in queste cose: Che
all’affamato noi diamo da mangiare, e all’assetato da bere,
al nudo da vestirsi e difendersi dal freddo, e finalmente fargli tutto
quello che per noi stessi desidereremmo trovandoci nello stesso stato
di bisogno che quello vediamo.
F. Questo
nostro parlare, dunque, non vuol dire altro se non che le opere buone
si ricercano volendo noi salvarci, e che per salvarci la fede sola non
basta.
J. Ora
questo ti nego io, ed affermo che la fede sola è quello strumento
con cui quella salvezza che è in Gesù Cristo noi apprendiamo.
Egli bisogna, non di meno, che coloro che vogliano essere cristiani
davvero, e che tali si ritengono, che prendendo l’esempio da Cristo,
la liberalità loro inverso il prossimo benignamente mostrino,
e, se possibile, con la stessa carità che quello, i fratelli
abbraccino. Tuttavia, non si deve dire che alla salvezza necessarie
siano quelle cose che per noi medesimi facciamo. Che di vero, quando
ben fatto avremo tutto quello che per noi si sarà potuto, noi
saremo in ogni modo servi inutili. La sola fede in Cristo è quella
che dall’obbligo che abbiamo ci libera.
F. Or,
su, basta. Ditemi quanti siano i sacramenti.
J. Due,
il Battesimo e la Cena del Signore.
F. Che
è quel ch’io odo? Non sono dunque sette i sacramenti?
J. Questo
desidero io che mostrato mi sia con l’autorità della Parola
di Dio. Perché, quanto a me, io non conosco più che due
sacramenti.
F. Lasciamo
andare questo, per ora, che poi ne riparleremo. Io vorrei che intanto,
voi mi dichiaraste quel che significhino questi nostri sacramenti.
J. Il
battesimo mi mostra che non altrimenti dallo Spirito Santo io sono rinata
e purificata, di quel che il senso ci fa la fede che con l’acqua
il corpo sia. Io dico ed affermo, che nel Battesimo io son bagnata e
lavata di fuori; e dentro a me nello Spirito rigenerata e rinnovata.
E questo lavamento esteriore mi dichiara essere fatta figliola di Dio.
Ma la Cena è come un suggello del Nuovo Testamento nel sangue
di Cristo, che sparso fu sulla croce, mediante il qual sangue io credo
di essere partecipe del regno celeste.
F.
Che cosa pensate voi finalmente di ricevere in questo sacramento? Non
credete voi di ricevere il natural corpo e sangue di Cristo?
J. Tanto
è lontano che io creda questo, che io l’ho del tutto in
abominazione. Onde io confesso che nella Cena m’è dato
il pane ed il vino, che rimangono della natura loro, e non il corpo
ed il sangue naturale di Cristo o nel pane, sì che il pane nell’essere
suo si rimanda, ovvero negli accidenti del pane che spartito si sia.
Ma quando si spezza questo pane, egli mi fa ricordare come già
sulla croce per i peccati nostri spezzato fosse il corpo di Cristo,
ed il suo sangue sparsi. Ricevendo io secondo l’ordinazione di
quello questo pane e vino, io sono veramente partecipe di quanto ci
meritò Cristo in sulla croce con quello spezzamento del suo corpo
e spargimento del sangue.
F. Che?
Non proferisce forse il Cristo stesso queste parole: “Prendete,
mangiate, questo è il corpo mio? E che cosa più chiara
di questa si può dire? Oh non afferma egli con chiarissime parole
quello essere il suo corpo?
J. Quanto
alle parole, noi siamo d’accordo, io confesso che è così.
Ma bisogna anche considerare che chi queste parole proferisce. Di sé
stesso ancora dice: “Io sono la vite, io sono la porta, e non
di meno egli non era né vite, né porta. Paolo dice che
Iddio chiama quelle cose che non sono, come se esse fossero. Ma per
dirtela in poche parole: Sia da me lontano il credere o dire che io
mi mangi il natural corpo di Cristo, o mi beva il suo sangue in qual
si voglia maniera. Tanto più che in tal modo, il corpo di Cristo,
di quelle proprietà che la Scrittura gli attribuisce, io sceglierei;
e quella redenzione che con l’unica offerta del corpo suo è
perfetta, io annullerei. Io dico che così credendo e dicendo,
come voi dite e credete, due bisognano essere i corpi e due i cristi,
e la Scrittura, tuttavia, non conosce che un Cristo solo, ed un solo
corpo attribuisce a Cristo, perché non si potrà egli dire
ancora ch’ei n’abbia tre? Perché non dieci, venti,
mille, ed infiniti finalmente? Della qual cosa nessun’altra è
più assurda. Posta la verità della tua ragione, egli bisognerebbe
dire che un corpo fosse quello che fu confitto in croce, ed un altro
quello che Cristo nella Cena diede ai suoi discepoli. Secondo questa
ragione, dunque, necessariamente bisogna dire o che Cristo avesse due
corpi, ovvero che uno solo avendone avuto, e quello stesso mangiassero
i discepoli nella cena, che in croce quello non è stato confitto:
e se stato ei sia confitto, che mangiato non l’abbiano i discepoli.
F. Che
volete vi dire con questo? Non potrà forse Cristo con la sua
potenza fare al dì d’oggi che nella Cena il suo corpo si
mangi, ed il suo sangue si beva, si come egli poté senza l’umano
seme nascer di donna, e sopra il mare come sopra dura terra a piedi
camminare, benché avesse un corpo pesante, come pure fare d’altre
cose, che chiaro si vede con la sua potenza aver fatto?
J. Io
confesso che l’avrebbe potuto fare con la sua potenza, se nell’ordinar
la cena egli avesse voluto fare un miracolo. Di quello che egli abbia
potuto fare, io non disputo. Ma ben dico essere cosa chiarissima, che
allora Gesù Cristo non volle far miracolo alcuno, né ordinar
opera veruna miracolosa. Il corpo suo volle che in croce fosse confitto
e spezzato, ed il suo sangue per i peccati nostri sparso. Ma io desidero
che a questa sola domanda tu mi risponda, cioè, in che luogo
Cristo fosse quando che egli pronunciò queste parole: Prendete,
mangiate, questo è il mio corpo. Non era egli forse a tavola
con i discepoli? Non era egli forse ancora in terra vivo, né
sofferse la morte che il giorno seguente? Or dimmi, dunque, che prese
egli in mano? Che spezzò egli? Non spezzò forse pane?
Che cosa diede egli? Oh, non diede egli pane? Quello che prese in mano,
quello spezzò, quello diede. Questo che finalmente egli diede
ai suoi discepoli, essi mangiarono, a meno che essi non fossero abbagliati.
F. Quei
dottori che in questa questione voi seguite tutto il tempo, il medesimo
negano ed affermano. Ma davvero, non vi attaccate punto all’autorità
della chiesa, a cui bisogna certamente rimettersi.
J. La
mia fede non s’appoggia che alla Parola di Dio, come essa deve,
e non a una non so che Chiesa. Che se questa nostra chiesa, cattolica
e santa sia, la sua fede bisogna che venga regolata dalla Parola di
Dio, e non la Parola di Dio da lei, e meno voglio io che da altri che
la Parola di Dio la mia fede sia regolata. Che? Crederò io forse
a questa Chiesa, come che antica ella si sia, togliendo ella via una
parte della Cena e privandone i laici, per non so che sia concomitanza,
con cui potrebbe ancora negarla ai chierici? Negandoci il beveraggio
del Signore, o non ci nega ella quello in che una parte della nostra
salvezza consiste? Quella cosa ella ci nega nella quale una singolare
consolazione ci è posta dinnanzi. A fronte scoperta, dunque,
io affermo, che codesta è una Chiesa immonda e piena di ogni
sporcizia. Io dico che siffatta Chiesa non è la sposa di Cristo,
ma una meretrice di Satana; e con ogni ragione posso dirlo sfacciatamente,
prendendo ardire di mutar una parte nella sacrosanta cena del Signore,
una parte aggiungerle, ed una parte di suo capo levarne. A codesta Chiesa
Iddio è per mandar una grande rovina, e cancellarla dal libro
della vita. Ha forse insegnato Paolo di così fare ai Corinti
nell’esporre loro come la Cena di celebrare s’avesse? Che?
Avrò dunque io fede in una tale Chiesa? Sia da me lontano!
F. Quello
che voi riprendete, con ottimo consiglio fu mutato ed ordinato dalla
Chiesa per estirpare una certa eresia che allora nasceva.
J. O Dio
buono. Dunque la Chiesa di mutare quello che da Dio è ordinato,
avrà ardire? Cotanta autorità prenderà la chiesa
in tali misteri della nostra religione? Tu sai pure quello che avvenne
a Saul, e tuttavia il consiglio che a ciò fare lo mosse, un gran
di bel colore aver poteva, se al comandamento divino, il consiglio umano
fosse stato lecito opporre. Sia dunque lontano da noi il prenderci cosiffatta
licenza nelle cose della religione.
Or queste
sono le ragioni con le quali il Feckenham mi venne ad assalire, e fece
ogni suo sforzo per attirarmi a quella Chiesa, dalla quale ch’io
mi fossi partita pareva. Ma il Signore mi fece grazia si stare salda.
Di molte altre cose nel ragionamento e contrasto nostro trattammo. Ma
i capi principali sono questi che io v’ho scritti. Ed il tutto
fu alla presenza di testimoni. Il Feckenham, nel partirsi da me, egli
mi disse queste parole: “Di voi mi rincresce. Perché da
voi sì mi parto, ch’io non vedo speranza alcuna di poterci
accordare insieme”. Ed io a lui: “E’ così certamente.
Che di vero fra noi non essere accordo alcuno, se il Signore Iddio non
ti muti e converta la mente. Se tu di cuore non ti ravvedi, dovrai disperare
del tutto della tua salvezza. Ed io prego il Signore Iddio per le più
intime viscere della sua misericordia, che uno spirito retto donare
Egli ti voglia. Che la Sua divina maestà d’eloquenza t’ha
molto abbondantemente ornato, né pare che ti manchi altro se
non che Egli ti doni uno spirito nuovo, a ciò che tu ti muova
a magnificare ed illustrare la gloria Sua, la quale tu getti sotto i
piedi, spendendo tu questa tua eloquenza in altra cosa di quello che
bisogna”.
E qui
ebbe fine il nostro ragionamento, ed egli se ne partì.
L’opera di Feckenham aveva fatto rimandare l’esecuzione
fino a lunedì 12 febbraio. Nel frattempo, Jane si preparava a
morire con tutta la grazia e la dignità che poteva generare.
Così
risponde Jane a Fechnam che le annuncia che deve morire: “Io
non mi dolgo punto dell’avere io a morire, perché la morte
non meno che ad ogni altro m’è naturale. E’ vero
che alquanto mi duole il vedermi un sì corto spazio di tempo
assegnare, per piangere i miei peccati. Ma, da che così ha ordinato
e vuole la Regina che io non speri di campare la vita, non volendo io
dare dei calci a quella religione purissima, che dalla purissima dottrina
dei figlioli di Dio mi trovo ad avere imparata, mi sforzerò d’armarmi
il meglio che mi sarà possibile contro gli spaventi della morte.
Io so benissimo che tutti siamo nati con l’obbligo di non potere
schivare ciò che avvenne per giusto giudizio di Dio; perché
è per le nostre colpe che noi meriteremmo di soffrire ben più
gravi pene di queste. E chi sono io, che anche come ogni altro non meriti
la morte? Che come che la pena della Regina ordinatami (secondo le leggi
umane) la misura trapassi del dovere (…) Ma voglio ben che tu
sappia (…) che io voglio piuttosto morire confessando la verità,
e Gesù Cristo Signor mio, che viver con l’avermi a dolere
di averlo negato. Dunque la Regina vorrebbe che col negare la mia verissima
religione, io negassi l’unigenito Figlio di Dio, che col Suo nobilissimo
e preziosissimo sangue m’ha liberata e riscattata dall’eterna
morte, e m’attaccassi alle vane opinioni degli uomini? Oh questo
non sono io mai per fare!” (69, 70).