Il testo biblico che vorrei leggervi quest’oggi è un episodio della vita dell’apostolo Paolo come riportato nel libro degli Atti. Riguarda la famosa conversione del carceriere di Filippi. Paolo e Sila vengono cacciati in una prigione a causa della predicazione dell’Evangelo e la testimonianza della loro fede in Cristo è tale da portare alla conversione lo stesso carceriere e la sua famiglia.
“…e, presentatili ai pretori, dissero: «Questi uomini, che sono Giudei, turbano la nostra città, e predicano usanze, che a noi che siamo Romani, non è lecito di accettare o di osservare». Allora la folla insorse tutta insieme contro di loro; e i pretori, strappate loro le vesti, comandarono che fossero frustati. E, dopo averli battuti con molti colpi, li gettarono in prigione, comandando al carceriere di tenerli al sicuro. Questi, ricevuto un tale ordine, li gettò nella parte più interna della prigione e fissò i loro piedi ai ceppi. Verso la mezzanotte Paolo e Sila pregavano e cantavano inni a Dio; e i prigionieri li udivano. Improvvisamente si fece un gran terremoto tanto che le fondamenta della prigione furono scosse: e in quell'istante tutte le porte si aprirono e le catene di tutti si sciolsero. Il carceriere, destatosi e viste le porte della prigione spalancate, trasse fuori la spada e stava per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gridò ad alta voce: «Non farti alcun male, perché noi siamo tutti qui». E, chiesto un lume, egli corse dentro, e tutto tremante si gettò ai piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e disse: «Signori, cosa devo fare per essere salvato?». Ed essi dissero: «Credi nel Signore Gesù Cristo, e sarai salvato tu e la casa tua». Poi essi annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti coloro che erano in casa sua. Ed egli li prese in quella stessa ora della notte e lavò loro le piaghe. E lui e tutti i suoi furono subito battezzati. Condottili quindi in casa sua, apparecchiò loro la tavola e si rallegrava con tutta la sua famiglia di aver creduto in Dio” (At. 16:20-35).
Di questo testo vorrei oggi soffermarmi sulla domanda che
quel carceriere rivolge all’apostolo Paolo e che dice: “Che cosa
devo fare per essere salvato?”
(Atti 16:30). Questa è una domanda molto importante che ciascuna creatura umana
dovrebbe farsi. Il messaggio dell’Evangelo, infatti, risponde proprio
alle questioni di fondo dell’esistenza umana,
e la domanda: “Che cosa devo fare per essere salvato?”
è una di queste, tanto è vero che, nel Nuovo Testamento, non compare solo in
quel racconto, ma si ripropone per altri personaggi rappresentativi.
“Che cosa devo fare per essere salvato?”: è
una domanda fondamentale, ma oggi siamo arrivati al punto che – ne sono certo
- la maggioranza dei nostri contemporanei non la comprende più (la comprendete
voi?), oppure della cosa non se ne preoccupa minimamente… Salvati da chi, da
che cosa? Qualcuno persino ironizza e dice: “Che cosa devo fare per essere
salvato dai fanatici religiosi che si pongono questa domanda?”.
Questa
domanda non è compresa perché essa parte da presupposti diversi da
quelli condivisi dalla nostra generazione.
“Che cosa devo fare per essere salvato?”,
infatti, sottintende: “Che cosa devo fare per essere salvato dalla maledizione
del peccato che grava sulla mia vita e che pregiudica il mio rapporto con Dio,
escludendomi del tutto dal Suo favore e che solo mi destina al peggio?”.
Questa
domanda non la si comprende perché Dio non è più una realtà con cui la
maggior parte dei nostri contemporanei si vogliono confrontare. Pensano di
vivere benissimo senza di Lui e, si dice, quand’anche Dio esistesse,
sicuramente sarebbe buono e non sono quindi tenuto a fare nulla di speciale per
poter essere salvato ai Suoi occhi, se non vivere una vita più o meno decente,
“senza far del male a nessuno”... E poi il peccato: chi ancora sa che cosa
sia, chi ci crede più quando ne ha una qualche cognizione, chi lo prende sul
serio, chi teme le sue conseguenze temporali ed eterne? Queste
preoccupazioni – si pensa – facevano parte della mentalità superstiziosa e
credulona degli antichi, oggi la cosa sarebbe …superata!
Quella
che si pongono uomini e donne nella Bibbia è dunque, per la nostra generazione,
una domanda inutile e irrilevante e, se questa domanda è irrilevante, la logica
conseguenza è l’inutilità anche della Bibbia che, secondo molti, non
risponderebbe più, a sua volta anch’essa, alla sensibilità e condizione
dell’uomo moderno…
Che
fare allora? Come cristiani ci dovremmo forse occupare solo delle questioni che
interessano i nostri contemporanei? Alcuni lo fanno, e quindi praticamente
“gettano la Bibbia alle ortiche”, conservandone, magari, un ricordo
simbolico o piegandola alle “nuove esigenze”.
Questa
“soluzione”, però, è inaccettabile. Il problema è diverso perché è
la nostra generazione ad essere tragicamente cieca sulla realtà e sulla propria
condizione. La Bibbia, infatti, è eterna Parola di Dio e non solo dichiara
chi è Dio, ma pure parla chiaramente della condizione umana, condizione di
autentica cecità spirituale e di tragica perdizione, perché le questioni che
pone sono eternamente valide per ogni creatura umana da questa parte
dell’eternità.
Si, non vedere questo problema è sintomo di cecità spirituale, non di progresso! Questa è ed era una cecità molto comune che Iddio vuole guarire, perché davvero tragica. E’ Dio stesso che aveva aperto gli occhi a Saulo di Tarso su Dio e su sé stesso, lo aveva trasformato in Paolo e gli aveva affidato questo preciso compito: “...alzati e sta in piedi, perché per questo ti sono apparso: per costituirti ministro e testimone delle cose che tu hai visto e di quelle per le quali io ti apparirò, liberandoti dal popolo e dai gentili, ai quali ora ti mando, per aprir loro gli occhi e convertirli dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, affinché ricevano mediante la fede in me il perdono dei peccati e un'eredità tra i santificati" (At. 26:18).
Ci volle la forte testimonianza di Paolo e Sila in carcere, e persino un terremoto a scuotere la coscienza di quel carceriere, e sicuramente ci vorrebbe proprio un terremoto a scuotere i nostri contemporanei dal loro torpore di morte e dalla loro arroganza. Grazie a Dio ancora oggi, però, vi sono persone che questa domanda se la pongono e ad essa trovano risposta.
“Che cosa devo fare per essere salvato?”
(Atti 16:30) è più rilevante che mai, e per questo vogliamo oggi esaminarne
accuratamente la risposta. E’ lo stesso apostolo Paolo che ci indica per noi,
nella sua lettera ai cristiani di Roma, quelli che potremmo chiamare “i sette
passi” o principi, della salvezza, passi che Paolo spiegherà poi alla stessa
famiglia riunita del carceriere, infatti è scritto: “essi
annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti coloro che erano in casa
sua”.
E’
necessario, così, “scuotere le fondamenta” anche del pensiero moderno per
vedere come la nostra esistenza stessa non possa essere considerata
indipendentemente da Dio, che abbiamo disperato bisogno di intrattenere un
consapevole rapporto con Lui e che questo rapporto è possibile attraverso la
Persona e l’opera del Salvatore Gesù Cristo, che la Scrittura ci presenta
come via, verità, e vita. In questo consiste la meravigliosa notizia
dell’Evangelo.
Immaginiamo
allora la famiglia del carceriere di Filippi riunita quella sera. Magari avevano
invitato ad udire anche dei loro vicini di casa. Immaginiamo di essere anche noi
fra quelli. Che cosa avremmo sentito dall’apostolo Paolo?
L’esposizione
della Parola
In
primo luogo avremmo da lui udito che ogni essere umano nasce in condizione di
peccato, cioè alienato da Dio e trasgressore delle leggi che Egli ha
disposto per la vita umana. Noi siamo, infatti, secondo la Bibbia, creature non
giuste agli occhi di Dio.
L’apostolo dice: “…come sta scritto: «Non c'è alcun giusto, neppure uno. Non c'è alcuno che abbia intendimento, non c'è alcuno che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti sono divenuti inutili; non c'è alcuno che faccia il bene, neppure uno” (Romani 3:10-12).
Questo significa che davanti a Dio nessuno può considerarsi giusto. Difatti non c’è nessuno che veramente Lo cerchi. Ogni essere umano è in condizione di peccato e pecca. I nostri sforzi migliori non saranno mai sufficienti per superare questa situazione. Non è vero? E’ esagerato?
La Scrittura ribadisce: “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio“ (Ro. 3:23). Paolo direbbe puntando il dito verso ciascuno dei presenti: “Questo vuol dire che anche tu sei un peccatore. Per questo tu non hai alcun diritto o titolo a quella vita significativa ed eterna che Dio desidera che le creature umane godano”.
Ecco quindi che vi sono due presupposti da accogliere, due cose che ciascuno deve sapere per essere salvato dalla tua situazione esistenziale:
Prima di tutto bisogna accettare ciò che la Parola di Dio dice a nostro riguardo, che ci piaccia o meno, cioè che siamo peccatori che hanno violato le leggi di Dio.
In
secondo luogo dobbiamo sapere - è
sempre Paolo che parla – che c’è un prezzo terribile ed eterno da pagare
per il peccato. Il prezzo del peccato è la morte, la tragica ed eterna
separazione da Dio.
Dice l’apostolo: “Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato“ (Ro. 5:12).
Adamo cadde in peccato e diede a Satana l’occasione di agire indisturbato nel mondo. Noi nasciamo tutti in condizione di peccato, meritiamo la morte e l’eterna separazione da Dio in un luogo di sofferenza chiamato inferno.
Paolo, come Gesù, non è però venuto per accusare e condannare. Sebbene possa con queste parole lasciare allibiti i suoi uditori, egli continuerebbe e direbbe: …la buona notizia dell’Evangelo, però, è che Gesù ha pagato per te quel debito morendo al tuo posto sulla croce, difatti, dice la Scrittura: “Infatti il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore“ (Ro. 6:23).
Si, meritiamo solo la morte, non la vita eterna. Possiamo così dire che Gesù, di fatto, sia andato alla “Banca del Cielo” e si sia offerto di pagare il nostro debito. Gesù pagò per noi il prezzo, morendo al nostro posto, al tuo posto, affinché tu potessi ottenere salvezza e vita eterna. La vita significativa ed eterna deve essere accettata come un dono, qualcosa di totalmente per noi gratuito, immeritato ed immeritabile, da Dio.
Cristo è morto al tuo posto, ha pagato il tuo debito, ed ha sofferto affinché tu non avessi a soffrire eternamente. Difatti: “Dio manifesta il suo amore verso di noi in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi“ (Ro. 5:8).
Per il Suo amore incondizionato, Cristo è morto al nostro posto, pagando un debito che lui non era affatto tenuto a pagare.
La domanda così viene naturale: “Come si fa, allora, ad ottenere, a ricevere, a livello individuale, questi benefici? Forse che essi possono essere goduti da chiunque? Già, come si fa per avere i nostri debiti verso Dio pagati da Cristo?
No, questi benefici non ci cadono addosso automaticamente come la pioggia. La risposta di Paolo è altrettanto chiara: “Credi nel Signore Gesù Cristo, e sarai salvato tu e la casa tua“ (At. 16.31), in altre parole, è come se dicesse: “Se tu accetti il Suo pagamento del tuo debito ricevendo Gesù Cristo nella tua vita come Signore e Salvatore, Egli ti renderà Suo figlio adottivo, godrai oggi delle sue benedizioni ed Egli porterà con Sé la tua anima quando morirai nella gloria del cielo!”.
Il Suo invito è altresì aperto a tutti coloro a cui questo messaggio viene rivolto, anche a ciascuno di voi che ora lo udite. Si, in questo momento stesso, come allora, il Signore Iddio, attraverso la Sua Parola, rivolge a ciascuno di voi il Suo appello al ravvedimento ed alla fede.
Dice infatti l’apostolo nella lettera ai cristiani di Roma: “Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato” (Ro. 10:13).
Che cosa vuol dire “invocare il nome del Signore”? Significa riconoscere onestamente e senza giustificarsi la condizione di peccato e di condanna tale e quale la Scrittura l’afferma, esprimergli per questo tutto il nostro dispiacere e riconoscere il Suo diritto ad essere Signore sulla nostra vita, e poi dobbiamo credere dal profondo del nostro cuore che il Signore Gesù Cristo ti può salvare e di fatto ti salva da questa tua condizione disperata, avendolo certificato nella Sua risurrezione dalla morte.
Esprimere la propria fede è essenziale: “…poiché se confessi con la tua bocca il Signore Gesù, e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato. Col cuore infatti si crede per ottenere giustizia e con la bocca si fa confessione, per ottenere salvezza“ (Ro. 10:9,10).
Si, la Bibbia promette che Dio può perdonare il nostro peccato quando accogliamo di tutto cuore che Cristo è morto per noi, quando morì sul Calvario.
Lo possiamo fare rivolgendoti semplicemente a Lui con una preghiera simile a questa:
“Signore Gesù, accetto pienamente la verità che la Bibbia mi proclama, cioè che io sono un peccatore e che ho bisogno di Te. Accolgo di tutto cuore ciò che essa mi dice sul fatto che Tu hai pagato il prezzo dei miei peccati morendo sulla croce. Ti chiedo perciò di perdonare i miei peccati e di farmi dono di una vita significativa ed eterna. Prendi Tu controllo del trono della mia vita. Fa’ di me il tipo di persona che Tu desideri che io sia”.
Quella sera, in casa del carceriere “essi [Paolo e Sila] annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti coloro che erano in casa sua”. Possiamo supporre che essi, poi, rispondessero alle domande dei presenti ed avessero dato loro pure istruzioni su come vivere la vita cristiana. Come nella vita naturale, infatti, si nasce nella fede, ma poi bisogna vivere e crescere nella fede. E’ così che si può dire d’essere autenticamente divenuti cristiani. Dalla nostra esplicita professione di fede in Cristo e dopo il battesimo, si inizia un cammino di fede in cui il Signore, con la Sua Parola ed il suo Spirito, ci accompagnerà per tutto il tempo che dovremo restare quaggiù.
Immaginiamo così Paolo che continua dando altre semplici ma importanti verità della Parola di Dio:
1. A coloro che esprimevano dubbi sulla reale loro
possibilità di seguire coerentemente la volontà rivelata di Dio, Paolo diceva:
Non saremo certo mai perfettamente in linea con la volontà di Dio, ma quando ci
accorgiamo di non esserlo e di cadere in ciò che non gli è gradito, possiamo
confessare a Lui i nostri peccati. La Bibbia dice: “Se
confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto, da perdonarci i peccati e
purificarci da ogni iniquità”
(1 Gv. 1:9).
2. A coloro che esprimevano dubbi se Dio li avrebbe eventualmente potuti respingere in seguito, non considerandoli più figlio Suoi, egli dice: non dovrete più dubitare dell’amore di Dio verso di voi, perché siete stati accolti come figli adottivi di Dio. “Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pure soffriamo con lui per essere anche con lui glorificati” (Ro. 8:16,17). Inoltre ci viene detto chiaramente: “Ho scritto queste cose a voi che credete nel nome del Figlio di Dio, affinché sappiate che avete la vita eterna e affinché continuiate a credere nel nome del Figlio di Dio“ (1 Gv. 5:13).
3. A coloro che chiedevano a Paolo se essi avrebbero dovuto poi guadagnarsi il favore di Dio attraverso le opere, Paolo risponde: Dobbiamo continuamente rammentarci che, sebbene il nostro impegno sia necessario, che non è stato, non è e non sarà mai il nostro impegno, la base della nostra salvezza. Difatti la Scrittura dice: “Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio“ (Ef. 2:8). La nostra accettazione da parte di Dio, la nostra salvezza, infatti, è per grazia dal principio alla fine, dipendendo solo dagli eterni propositi di Dio e dal Suo amore.
4. Paolo inoltre, soprattutto nel contesto di quel tempo, mette in rilievo come la vita cristiana non sarà sempre facile, ma che anzi, avrebbero dovuto sempre confrontarsi con un ambiente indifferente od ostile, con le pressioni del conformismo alla società, con i sacrifici dell’impegno per Cristo. La vita cristiana non sarà sempre facile, dice, e potrete dover soffrire in vari modi, la Scrittura però ci dice: “Io ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non sono affatto da eguagliarsi alla gloria che sarà manifestata in noi“ (Ro. 8:18). Se terranno gli occhi sempre fissi sull’obiettivo finale, potranno sopportare qualsiasi cosa.
5. Paolo, infine, mette in rilievo come l’Evangelo di Gesù
cristo non solo è e sarà sempre una buona nuova, una buona notizia, ma che
esso è e sarà sempre creatore di cose nuove, di nuove realtà, trasformazioni,
conversioni, rivoluzioni, allo stesso modo in cui qualcosa di totalmente nuovo
era subentrato nella vita di quelle persone allora. Dice così loro qualcosa di
questo genere: La nostra vita ha subito una svolta decisiva, c’è qualcosa di
totalmente nuovo che per grazia di Dio ha preso avvio in noi. La Scrittura ne
parla come di una nuova creazione: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una
nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate
nuove. Ora tutte le cose sono da Dio, che ci ha riconciliati a sé per mezzo di
Gesù Cristo“
(2 Co. 5:17,18).
Oggi tanto sono i pregiudizi, la presunzione e l’ignoranza che preclude uomini e donne del nostro tempo di cogliere i meravigliosi frutti dell’Evangelo di Gesù Cristo. Anche noi, come il carceriere di Filippi, la sua famiglia, i suoi amici, dobbiamo aprire gli occhi sulla realtà. Noi pensiamo di conoscere la realtà, ma non la conosciamo. Quando Iddio però apre gli occhi del cuore e della mente di uomini e donne a Gesù Cristo, tutto veramente può cambiare, e di fatto, cambia.
Il racconto di Atti 16 termina dicendo: “E lui e tutti i suoi furono subito battezzati. Condottili quindi in casa sua, apparecchiò loro la tavola e si rallegrava con tutta la sua famiglia di aver creduto in Dio”. Riponendo la loro fede nell’Evangelo di Gesù Cristo, una grande gioia sorge nel loro cuore ed essi rispondono a Dio sottoponendosi all’ordinanza del battesimo, segno di una morte alla vecchia vita, ed alla rinascita alla novità di vita.
Può essere veramente così per chiunque accoglie con fiducia, anche oggi, il messaggio dell’Evangelo, il quale dà una risposta pienamente soddisfacente e produttiva alla domanda pertinente e non inutile: “cosa devo fare per essere salvato?”. Che pure ciascuno di voi qui presenti possa fare altrettanto.
[Paolo Castellina, mercoledì
29 novembre 2000. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono
tratte dalla versione Nuova Diodati,
edizioni La buona Novella, Brindisi,
1991].
1. Salmo 107:1-9
2. Atti 9:1-19 – La conversione di Saulo
3. Atti 2:37-47 – I primi convertiti