Oggi vorrei leggere la parabola ben conosciuta del Buon Samaritano e commentarla brevemente (brevemente non significa però superficialmente!) per diversi motivi. Essa fa parte del programma di studio della Scuola Domenicale di quest’anno e i nostri bambini delle scuole primarie la hanno trattata per diverse lezioni, ma anche perché, io credo, bene si presti al periodo d’Avvento che noi stiamo iniziando. La cosa potrà forse sorprendere, perché essa non solo ci parla della necessità vitale, del dovere, che molti ritengono ormai “un discorso scontato” della solidarietà applicata a tutti, ma anche perché dietro al personaggio del “buon samaritano” in realtà si nasconde il Signore e Salvatore Gesù Cristo, l’unico che possa rispondere alle necessità ultime della nostra anima, “spogliata… ferita… mezza morta”, l’unico che possa efficacemente rispondere alle nostre “grida di dolore” esistenziali. Avvento… attesa… aspettative… quelle a cui solo Gesù può rispondere. Andiamo però con ordine.
Leggiamo il testo biblico di Luca 10:25-33.
“Allora ecco, un certo dottore della legge si levò per metterlo alla prova e disse: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Ed egli disse: «Che cosa sta scritto nella legge? Come leggi?». E quegli, rispondendo, disse: «Ama a il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso». Ed egli gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo e vivrai». Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù allora rispose e disse: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei ladroni i quali, dopo averlo spogliato e coperto di ferite, se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada e, veduto quell'uomo, passò oltre, dall'altra parte. Similmente anche un levita si trovò a passare da quel luogo, lo vide e passò oltre, dall'altra parte. Ma un Samaritano che era in viaggio, passò accanto a lui, lo vide e ne ebbe compassione. E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. E il giorno dopo, prima di partire, prese due denari, e li diede al locandiere, dicendogli: "Prenditi cura di lui e tutto quello che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno". Quale dunque di questi tre ti pare sia stato il prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladroni?». E quello disse: «Colui che usò misericordia verso di lui». Gesù allora gli disse: «Va' e fa' lo stesso anche tu»” (Lu. 10:25-33).
Che cosa ci vuole dire il Signore Iddio attraverso questo testo della Sua Parola? Cerchiamo di capire esaminando il significato di ogni frase:
1. “Allora ecco, un certo dottore della legge si levò per metterlo alla prova e disse: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?»” (25).
Un esperto in fatto di legge interpella Gesù e vuole verificare se Gesù “pensa giusto”, se è ortodosso, se Gesù è “a posto”, in linea con il pensiero accreditato in campo religioso e morale della fede di Israele, il popolo di Dio. In quel tempo lo studio e l’osservanza della legge morale e cerimoniale data da Dio attraverso Mosè erano considerati come la via maestra verso la giustizia e la vita. Per essere gradita a Dio, e quindi per aver diritto alle Sue benedizioni, alla Sua “eredità” spirituale, la persona doveva essere retta, cioè conoscere la volontà rivelata di Dio e vivere in armonia con essa. Ecco così che gli chiede: “Secondo te, che cosa dovrei io fare per poter aver diritto alle benedizioni temporali ed eterne di Dio?”. E’ una domanda seria che, in ogni caso, faremmo bene a farci anche noi.
2. “Ed egli disse: «Che cosa sta scritto nella legge? Come leggi?” (26).
Senza dubbio Gesù è ortodosso e conferma di essere totalmente d’accordo che i criteri secondo i quali si giudica la rettitudine di una persona e quindi il diritto che essa può accampare alla benedizione di Dio, si trovino nella Legge etica e morale rivelata da Dio. Egli quindi è come se rispondesse: “Bisogna osservare la legge rivelata di Dio”. Non lo dice però esplicitamente. Gesù non accetta di essere oggetto di scrutinio, e da esaminando diventa esaminatore, ed è Lui ora, che interpella e esamina se il Suo interlocutore se davvero lui sia l’esperto che pensa di essere… Spesso siamo noi che vorremmo mettere Dio sotto inchiesta, ma Egli non sta al gioco, Dio è Dio, e siamo noi a dover rendere conto di noi stessi a Lui. Gesù così gli chiede: “Che cosa leggi regolarmente ad alta voce pubblicamente nella sinagoga in giorno di sabato?”. Per Gesù, infatti, la lettura intensa della Scrittura è il presupposto di ogni discussione teologica e su ciò che veramente conta nella vita, e, più in generale, della stessa conoscenza di Dio. Di qui il Suo frequente rimprovero: “Non avete voi letto?” (Mr. 2:25; 12:10 ecc.). Nella domanda che, però, Egli rivolge al dottore della legge, vuole far venir fuori un altro problema: il problema di quell’uomo!
3. “E quegli, rispondendo, disse: «Ama a il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso»” (27).
Il dottore della legge così congiunge De. 6:4 (lo Shemà Israel) e Le. 19:18 (i testi fondamentali della fede israelita) per riassumere la sostanza della legge che Dio ha dato al Suo popolo. Questo egli lo fa correttamente, sarà poi anche Gesù stesso ad associare questi versetti. Il succo di ogni cosa, la sostanza, il “segreto” di una vita vera e completa sta nell’amore, l’amore completo, totale, dell’intera nostra persona per Dio e per il prossimo. Ecco la sintesi di ciò che Dio si aspetta da noi per poter essere “a posto” ai Suoi occhi e meritare la Sua benedizione. Non dobbiamo prenderlo per scontato o cercare di giustificarci dicendo di averlo fatto o di poterlo fare.
4. “Ed egli gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo e vivrai” (28).
Benché quell’uomo risponda a Gesù correttamente, non basta “sapere” le cose, bisogna metterle in pratica e qui dobbiamo renderci conto di essere estremamente carenti. Quali conclusioni potremmo trarne? Gesù dice: “Se sapete queste cose, siete beati se le fate” (Gv. 13:17), e poi: “Beati coloro che adempiono i suoi comandamenti per avere diritto all'albero della vita” (Ap. 22:14). L’ironia qui, inoltre, è che prima era il dottore della legge a voler esaminare l’ortodossia di Gesù, ma qui è Gesù che loda l’ortodossia del dottore della legge. Egli ha risposto orthos, cioè rettamente, correttamente. Quell’uomo, però ha bisogno di molto più che “ortodossia” (idee corrette), ha bisogno di “ortoprassi” (prassi, pratica, corretta)!
5. “Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?” (29).
Non gli è riuscito al dottore della legge di mettere Gesù in difficoltà. Così pensa: “Magari Gesù potrebbe cadere se io gli facessi una domanda su chi è quel ‘prossimo’ che io dovrei amare. Vediamo se si spinge ad affermare che io dovrei amare persino gli stranieri”. Allora, volendo giustificare la sua domanda, gli chiede chi, secondo lui, debba essere il prossimo. “Prossimo” (plesios) significa “il vicino”, “il proprio simile”. Il comandamento dell’amore (Le. 19:18) riguarda una qualunque creatura, anche lo straniero (Le. 19:34), ma i gruppi di più rigida osservanza il termine serve a designare solo chi è giudeo o proselito in senso pieno o, in Qumran, addirittura i membri della comunità soltanto.
6. Gesù, allora, racconta la parabola del Buon Samaritano. “Gesù allora rispose e disse: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei ladroni... ." (30-35).
E’ una scena consueta che non ha bisogno di molte spiegazioni. Un uomo viene derubato da dei briganti, dei pirati, viene bastonato e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada. Alcuni passano facendo finta di niente, pensando che non è affare loro… che non vogliono compromettersi… che non vogliono finire loro nei guai… che non hanno tempo… La sorpresa è che uno si ferma e si prende totale ed incondizionata cura di quel poveretto infortunato, uno che ha compassione, misericordia, senso del dovere di solidarietà verso chi vede in bisogno, e che lo fa senza riserve e senza porsi delle domande.
Gesù
sposta i termini della questione
7. Alla fine del racconto Gesù chiede al suo interlocutore: “Quale dunque di questi tre ti pare sia stato il prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladroni?» E quello disse: «Colui che usò misericordia verso di lui». Gesù allora gli disse: «Va' e fa' lo stesso anche tu»” (36,37).
Il messaggio del racconto che Gesù propone a quel dottore della legge, e oggi a noi, è meno scontato di quel che potrebbe sembrare. Qui Gesù non risponde solo alla domanda postagli, ma sposta completamente i termini della questione. Riflettiamo.
Primo livello. Qui Gesù non accetta una limitazione del comandamento dell’amore al fratello o all’amico, ma lo vuole esteso persino ai nemici. Esempio di questo, nel racconto di Gesù, non è un pio giudeo (qui i “pii giudei” non si vogliono “sporcare le mani” nemmeno con un proprio simile, una polemica, da parte di Gesù, neanche tanto sottile), ma è uno straniero, un Samaritano, che diventa qui l’esempio a cui Gesù addita. Non ci si aspetterebbe che un Samaritano facesse un gesto caritatevole verso un Giudeo, ma lo fa, superando così qualsiasi barriera fatta dagli uomini. Il protagonista del racconto di Gesù non è un pio ed esemplare Israelita (come ci si potrebbe aspettare). Il samaritano si pone al di fuori dagli obblighi formali imposti dalla legge (non è israelita) e presenta l’amore solidale come un principio che va oltre l’osservanza formale di una legge per diventare un salutare principio di vita universale. Quali implicazioni questo ha nella nostra vita?
Secondo livello. Gesù, però, in questo testo, ribalta anche il concetto di “prossimo”. Il dottore della legge, ma anche noi che udiamo questo racconto, ci aspettiamo che il prossimo sia “ovviamente”: qualunque persona si trovi in condizione di bisogno. La domanda di Gesù, però, capovolge il concetto! Essa è: “Quale dunque di questi tre ti pare sia stato il prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladroni?”. Gesù sembra dire: “mio prossimo è il mio simile che mi fa del bene”, cioè: “colui che usò misericordia verso di lui” (37). Fate molta attenzione qui: il beneficato non è chi riceve solidarietà, ma chi la dà! E’ quel poveretto che …fa del bene a chi lo soccorre, quasi a dire: “quando qualcuno si trova in condizione di necessità e mi chiede aiuto, quando io vado in suo soccorso, sono io che ne ricevo, in fondo, beneficio! Perché? Perché l’azione di soccorso mi spinge ad amare, ed amando concretamente io trovo me stesso, il senso vero, ultimo ed autentico della mia vita! Se io do solidarietà, sarò io stesso che alla fine ne avrò beneficio. Sono io, così, il prossimo del poveretto, colui che il poveretto stesso aiuta a liberarsi dalla sua chiusura in sé stesso! Qualcuno che non ricordo ha detto: Dio vuole che ci siano i poveri affinché io li aiuti, ed aiutandoli io ne avrò beneficio! Non sembri questo egoistico! Chi deve essere aiutato, oltre alla povera vittima, è dunque è chi è chiuso in sé stesso e non sa amare! Vedete dunque come il concetto vada molto al di là di una semplice questione di doveri da adempiere. Non ha in fondo senso l’interrogativo sul fondamento dell’amore, poiché il samaritano si dimostra mio prossimo con il suo atto misericordioso e mi provoca a comportarmi a mia volta con amore. “Vuoi essere benedetto? Allora ama e benedici! Questo è il segreto!
Terzo livello. C’è, infine, ancora di più nel racconto che Gesù propone. Conseguenza di ciò che abbiamo detto prima è che per poter amare dobbiamo avere sperimentato noi stessi l’amore. L’amore come “legge” e “dovere” lascia il tempo che trova se noi non abbiamo mai fatto esperienza d’amore. L’amore viene prima sperimentato che richiesto, la promessa precede la richiesta. L’Evangelo viene prima della legge, e la chiave per intendere questa parabola è sempre la Persona di Gesù. Dietro la figura del samaritano c’è Gesù in persona: non a caso la Chiesa antica interpreta questa parabola allegoricamente facendone protagonista Gesù. Il buon samaritano rappresenta Gesù, l’uomo derubato e battuto rappresenta la condizione umana, la nostra condizione! Che cos’è la nostra vita? Il peccato e Satana ci ha spogliato di tutto e ridotti in fin di vita, e siamo lì per terra e chiediamo aiuto, incapaci di sollevarci da soli. Chi ci darà aiuto? Il sacerdote ed il levita rappresenta il vano aiuto che ci può dare una religione fatta di leggi di doveri imposti, di formule e di cerimonie. La religione ci dice: “Alzati, reagisci, non stare li per terra!”, ma noi non abbiamo forza alcuna per rialzarci! Noi non riusciamo a farlo, ed allora il sacerdote ed il levita passano oltre disinteressandosi di noi e dicendo: “Arrangiati”.
C’è qualcuno, però, che prende l’iniziativa di venire accanto a noi e di interessarci di noi: è Gesù che viene (l’avvento, la venuta di cui abbiamo bisogno!). Il samaritano è Gesù che è in viaggio dal cielo alla terra, che ci vede e ha compassione di noi (la grazia di Dio in Gesù). Fascia le nostre ferite (i nostri traumi) spirituali, cosparge sopra “l’olio ed il vino” dello Spirito Santo, ci prende “sulla sua cavalcatura” (si fa carico di noi – Gesù porta su di Sé i nostri peccati), ci porta in una “locanda” (la “comunità terapeutica” della chiesa cristiana) e si prende cura di noi. Egli provvede veramente tutto al nostro ristabilimento, anche quel “di più” di cui noi potremmo avere bisogno. Si, la parabola del Buon Samaritano di annuncia Gesù, l’Evangelo di Gesù Cristo, al di là di ogni legge. Grazie Signore!
Ecco chi è “il mio prossimo”: Colui che solo è in grado di beneficarmi: il Signore Gesù che “passa”, che “viene”, che viene per me! Egli è vicino, mentre gli altri “i sacerdoti ed i leviti” si allontanano non solo indifferenti, ma critici e con atteggiamento di giudizio!
L’amore è dunque il segreto per una vita vera, significativa, sensata ed eterna. L’amore è la somma di tutti i nostri doveri, un amore totale, verso Dio e verso il prossimo, un amore incondizionato ed illimitato verso Dio e verso il prossimo. L’amore ci umanizza davvero! Come faremo però ad amare davvero? Se è così, com’è così, poveretti noi: nessuno potrebbe mai conquistarsi l’approvazione e la benedizione di Dio. Ecco però l’annuncio dell’Evangelo: qualcuno è venuto in nostro soccorso: il più grande e vero “Buon Samaritano”: il Signore Gesù, che si prende cura delle nostre ferite spirituali e ci ristabilisce per poter veramente amare. Senza di Lui non avremmo speranza alcuna …nessuna buona intenzione, nessuna legge, nessuna religione. Ecco perché con gioia noi accogliamo il Signore e Salvatore Gesù Cristo, e gli diciamo: “Vieni, Signore Gesù!”.
Accolto Gesù nel nostro cuore, operando Egli in noi, anche noi allora potremo essere dei “buoni samaritani” per i nostri simili. Gesù anche a noi, allora, dirà: «Va' e fa' lo stesso anche tu».
(Paolo Castellina,
sabato 25 novembre 2000
. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente
indicato, sono tratte dalla versione Nuova
Diodati, edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991).
1. Deuteronomio 6:1-9
2. Levitico 19:1-18
3. Luca 10:25-33