Una doppia cittadinanza
Qual è "il nostro paese"?
L’inno N. 268 dell’Innario cristiano rivolge la nostra attenzione alla nostra patria, il paese in cui noi abitiamo, e dice: "Grati siamo a Te, Signore, per la patria che ci hai dato, per i segni del tuo amore che le hai già manifestato. Verso lei, per ogni età, mostra ancor la tua bontà". Siamo cittadini di un paese, "apparteniamo" ad esso, possiamo esserne più o meno contenti o più o meno fieri, ma certamente dobbiamo essere grati a Dio per "i segni d’amore" che Dio gli ha manifestato, consapevoli che, come dice la Bibbia, "Egli ha tratto da uno solo tutte le stirpi degli uomini, perché abitassero sopra tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche prestabilite e i confini della loro abitazione" (At. 17:26).
In che modo, io chiedo, dobbiamo considerare, come cristiani, il paese in cui abitiamo, la nostra patria, come dobbiamo rapportarci con le sue istituzioni, le sue leggi, le sue autorità? "Oh bella," direbbe qualcuno, "come tutti gli altri! In che modo, altrimenti?". No, come cristiani, il nostro rapporto con lo stato non deve essere "come tutti gli altri" perché la nostra confessione di fede esige da parte nostra uno speciale modo di vedere le cose, ed un modo particolare di rapportarci allo stato.
In primo luogo, il cristiano non parlerebbe solo della nostra patria, ma piuttosto della nostra patria terrena. La cosa è riflessa in un altro canto dell’Innario cristiano che sembrerebbe quasi contraddire le parole del primo canto che abbiamo citato. Mi riferisco al N. 120, che dice: "Son straniero su questa terra, è la patria mia nel ciel. Il Maligno mi fa guerra, è la patria mia nel ciel! Se perigli, angosce o danno mi travagliano quaggiù, non mi opprime alcun affanno, seguo il Buon Pastor Gesù". E’ un linguaggio strano agli orecchi moderni, per qualche verso discutibile, ma che indica un fatto incontrovertibile: come cristiani, la nostra patria ultima, più vera, non è "di quaggiù", qualunque essa sia, ma la nostra patria "non è di questo mondo"!
Il nostro Re
Perché? Perché il nostro Re, Sovrano, Signore è Gesù Cristo, il quale, portato a rendere conto di sé stesso di fronte a Ponzio Pilato, autorità dello stato romano in Palestina, disse: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero affinché io non fossi dato in mano ai Giudei; ma ora il mio regno non è di qui". Allora Pilato gli disse: "Dunque sei tu re?". E Gesù rispose: "Tu dici giustamente che io sono re; per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità: chiunque è per la verità ascolta la mia voce" (Gv. 18:36,37).
Come cristiani il nostro re (politico e non solo "spirituale"!) è Gesù Cristo, a Lui dobbiamo l’ubbidienza ultima, perché, come dice la Bibbia a tutti coloro che appartengono a Lui, "La nostra cittadinanza infatti è nei cieli, da dove aspettiamo pure il Salvatore, il Signor Gesù Cristo" (Fl. 3:20). Questo fatto ha conseguenze pratiche di cui persino i cristiani spesso oggi non se ne rendono abbastanza conto, e questo è stato vero nell’esperienza storica della Chiesa di Gesù Cristo. Esaminiamo la cosa con attenzione.
La dichiarazione del nostro battesimo
Pensiamo al nostro battesimo, così spesso, purtroppo, banalizzato nella pratica comune. Si è molto discusso, dibattuto ed analizzato ciò che il battesimo cristiano comporti nei termini dell’appartenenza alla Chiesa, oppure nei termini del suo rapporto con l’esperienza della rigenerazione e della purificazione della nostra persona ed altro ancora.
Una dichiarazione. E’ importante avere chiarezza su queste questioni, ma c’è un altro aspetto del battesimo che pure deve essere considerato, cioè: il battesimo come dichiarazione di cittadinanza, nel senso che esso è come un certificato che attesta la nostra acquisita cittadinanza. Cittadinanza? Si, cittadinanza del Regno di Cristo. Col battesimo si dichiara che la persona battezzata è cittadina del Regno di Cristo! Non si tratta di una questione astratta o simbolica, ma la cosa comporta, appunto, precise conseguenze. Ce ne rendiamo conto?
Nella Chiesa antica. Nella Chiesa antica, il battesimo non era solo un atto che dichiarava l’appartenenza del battezzando nel Regno di Cristo, ma implicava ciò che, agli occhi dell’Impero romano, era un vero e proprio tradimento! Il Nuovo Testamento ci dice che il battesimo deve essere compiuto "nel nome del Signore Gesù" (At. 19:5; 1 Co. 6:11; At. 8:16). Il nome qui sta per persona, autorità, e potere, tanto che il battesimo nel Nome del Signore Gesù significava dichiarare fedeltà ad un sovrano, lealtà e sottomissione alla Sua Persona, autorità e potere, dichiarare di fare ora parte del Suo regno, di essere cittadino di quel regno. I cristiani, quindi, si ponevano di fronte al mondo, ed alle sue autorità, come cittadini ed ambasciatori di un altro stato sovrano, il Regno di Dio.
Una "licenza" compromettente. Nella Chiesa antica i cristiani dovevano confrontarsi con le leggi di Roma, le quali esigevano una "licenza" delle autorità stabilite per praticare questa "nuova religione", che nei locali di culto cristiano fosse apposta un’affermazione di sottomissione all’impero ed alle sue leggi. Non si trattava però solo di "un pezzo di carta", ma esso implicava che tutti dichiarassero che "Cesare è il Signore". Policarpo, martire della fede, aveva rifiutato di fare questa dichiarazione e per questo era stato condannato a morte. Il magistrato dell’impero, di fronte al quale era comparso l’ormai anziano Policarpo, cercava di persuaderlo a sottomettersi, dicendogli: "Ma che male c’è a dire che Cesare è il Signore?", eppure lui non l’avrebbe mai detto, anche a costo della sua vita, perché il suo solo Signore era Cristo, e neanche l’avrebbe fatto come "semplice formalità" (magari tacitamente mentendo), perché quella stessa sua professione di fede gli imponeva assoluta personale integrità.
O uno o l’altro. L’acclamazione Kyrios Kaiser (Cesare è il Signore), era popolare nella religione civile dell’antica Roma, ed i cristiani erano indubbiamente consapevoli che affermando Kyrios Jesus (Cristo è il Signore) avrebbero implicitamente negato la sovranità universale dell’imperatore romano. Di fatto, l’affermazione "Gesù Cristo è il Signore" era la confessione battesimale della Chiesa antica (At. 8:36-38; Fl. 2:9-11).
Un affronto a Roma. Roma si vantava di avere conquistato il mondo, e i suoi imperatori venivano considerati degli dei. La chiesa antica si opponeva a questo, e quindi il cristianesimo era potenzialmente sovversivo. 1 Giovanni 4:15 dichiara: "Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio". Il fatto era che con questo ad ogni credente era data una condizione più alta di quella dell’imperatore! Contro l’imperatore, come dominatore del mondo, Giovanni dichiara: "Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio?" (1 Gv. 5:5). Dato che il significato di Signore è Dio, le implicazioni della formula battesimale sono ovvie.
La sovranità universale di Cristo. Ogni credente confessava una cittadinanza più alta e più grande in un regno che avrebbe sovrastato ogni altro regno e regnante. Nei termini della sua fede, egli diceva: "I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli" (Ap. 11:15). La gioia della Pentecoste è inseparabile da questa fede. La fede nel Signore Gesù era così intensa, e così grande la soggezione a questo grande Re dei re, che Ignazio, antico padre della Chiesa, nella sua epistola ai Tralliani scrive: "Siate sordi, quando chiunque vi parla indipendentemente da Gesù Cristo" (Trall. 9). Pensate dunque all’orrore delle autorità romane nell’udire queste parole, un orrore che si avvicina quello delle nostre quando oggi si propone la disubbidienza civile quando le autorità dello stato ci vorrebbero imporre qualcosa che noi riteniamo in contraddizione con la nostra prioritaria ubbidienza a Cristo. Sareste pronti alla disubbidienza civile in nome di Cristo? Lo dovreste essere!
Lo stato al di sopra di tutti? Roma non riconosceva alcun potere e alcuna lealtà oltre a sé stessa. Anche gli dei di Roma erano resi tali dalle risoluzioni del Senato, ed erano quindi subordinati all’Impero. L’idea di un potere maggiore di quello dell’imperatore e dello stato di Roma era un puro atto di sovversione! Eppure questa era esattamente la fede della Chiesa antica. Gesù Cristo è Re dei re e Signore dei signori (1 Ti. 6:15). E’ difficile immaginare una fede che maggiormente fosse un affronto a Roma. Anche oggi un certo pensiero politico (sia a destra come a sinistra, lo statalismo) presuppone la supremazia incontrastabile dello stato sulla vita della società (scuola, industria, commercio, ricerca scientifica) e sull’individuo. No, secondo la concezione cristiana, lo stato non è e non può essere padrone, ma servo, e non ha alcun diritto di intromettersi nelle faccende dei cittadini e tanto meno della religione, se non nei limiti che essi glielo permettono, anzi, meno stato c’è, meglio è! Sarebbe necessario sollevare persino la questione del diritto dello stato ad esigere imposte e tasse sulla proprietà e sul libero commercio. Non è cosa da prendersi per scontata!
Cristo è Signore non solo nella "sfera religiosa". I cristiani dichiaravano Gesù Cristo come Signore universale e cosmico. Egli è Signore, non solo sulla Chiesa, sull’individuo, e sulla famiglia, ma anche sullo stato, sulle arti e sulle scienze, sull’economia, sulla scuola, e su ogni altra cosa, non solo sulla "sfera religiosa", come ad alcuni farebbe comodo che fosse. O tutto serve Cristo, oppure deve essere giudicato da Lui. La Sua signoria è così grande, che non solo, a suo tempo, Egli giudicherà ogni cosa come Signore e Sovrano, ma all’ultimo giorno, alla risurrezione generale dei morti, "Egli giudicherà il mondo" (At. 17:31), cioè anche quelli che non Lo riconoscono o di cui Lui nulla importa! Quando Paolo parlava di questo, gli ateniesi sull’Areopago gli voltano le spalle e se ne vanno, perché questo era davvero troppo per loro.
Una cittadinanza più alta
Innesto in Cristo.
Vedete allora che cosa significava il battesimo per la Chiesa antica e per Roma? Era un atto di adesione, di cittadinanza, al Signore Gesù Cristo. Era una dichiarazione pubblica che ora il battezzando apparteneva ad un’autorità più alta, di un’ubbidienza più alta. Era del battesimo in Cristo e nel Suo Regno che la chiesa locale era avamposto visibile. Il battesimo come "ingresso nella Chiesa" è un concetto troppo limitativo ed equivocabile e, in fondo ne è solo un aspetto secondario. Il battesimo è essenzialmente innesto in Cristo e nel Suo Regno, soggezione alla Sua autorità. Dopo il battesimo, una persona era considerata essere "in Cristo" e "nel Signore".Un privilegio. La cittadinanza dell’impero romano, nell’era del Nuovo Testamento era un privilegio di gran prezzo. La maggior parte della gente erano sudditi, e non cittadini. Quando il comandante romano di Gerusalemme apprese che Paolo era cittadino romano: "Il tribuno rispose: «Io ho acquistata questa cittadinanza mediante una grande somma di denaro». Paolo disse: «Io invece l'ho di nascita»" (At. 22:28). Arrestare un cittadino romano poteva essere pericoloso: era una persona privilegiata. Ora, però, questi cristiani affermavano di avere una cittadinanza più alta, con maggiori poteri, e che questa fosse aperta per chiunque! Paolo, infatti, in Filippesi 3:20 dichiara: "La nostra cittadinanza … è nei cieli, da dove aspettiamo pure il Salvatore, il Signor Gesù Cristo": cittadinanza significa qui il privilegio di essere associati a Cristo e a coloro che appartengono a Lui, essere membri di Lui e l’un dell’altro, essere membri di un’unica e sola nazione di portata universale. Paolo ci dice che il segno del battesimo è il dono dello Spirito Santo e tutte le ricchezze ed il potere che il re assegna alla famiglia reale. "Ora noi tutti siamo stati battezzati in uno Spirito nel medesimo corpo, sia Giudei che Greci, sia schiavi che liberi, e siamo stati tutti abbeverati in un medesimo Spirito" (1 Co. 12:13).
Un completo cambiamento. Per questo l’appello al battesimo è vocazione alla completa rigenerazione di noi stessi, a mutare la nostra cittadinanza terrena in quella del regno di Cristo.. Pietro, in Atti 2:38 dichiara: "Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo". "Nome" significa "persona". Essere battezzati nel nome di Gesù Cristo significa essere battezzati nel Suo corpo, nella Sua vita, nella cittadinanza del Suo Regno, come membri di esso.
Lo stato non è divino… L’antico romano confessava "Cesare è il Signore", e questo voleva dire che Cesare, lo stato, è dio, è divino, e che siamo completamente consacrati a lui. Facciamoci una domanda: Per noi è più importante lo stato o la Chiesa? Se diciamo "lo stato", la "società civile", le sue leggi, noi implicitamente neghiamo che Gesù Cristo sia nostro Signore, e che il nostro battesimo sia solo una finzione, una falsa dichiarazione. "Nel nome della legge…", "nel nome del popolo…", dichiarano i tribunali… Invocare un nome era giurare fedeltà al proprio re e signore, invocare il suo aiuto e protezione, e i servi del re potevano affermare la loro immunità dichiarando che essi agivano in nome del sovrano. Allo stesso modo il cristiano prega "nel nome di Gesù", in nome del potere del Suo trono. Chiama sé stesso "cristiano" e così facendo afferma su di sé la protezione del Suo Nome e la cittadinanza del Suo Regno.
Implica la nostra ubbidienza a Cristo. Si, dire "Gesù Cristo è il Signore" significa rivelare la nostra fedeltà ed ubbidienza a Lui. Significa che la nostra cittadinanza è manifesta in tutto quello che siamo e facciamo. Lo è per noi? Inoltre, Paolo dichiara: "Perciò vi faccio sapere che nessuno parlando per lo Spirito di Dio, dice «Gesù è anatema», e che altresì nessuno può dire: «Gesù è il Signore», se non per lo Spirito Santo" (1 Co. 12:3), perché è la rivelazione del potere del Regno in ed attraverso di lui. La vita di tutti coloro che dichiarano "Gesù è il Signore" è manifestazione di questa loro ubbidienza di fondo. Significa portare il nome di Cristo, il Suo marchio, "sulla nostra fronte". Giovanni, nell’Apocalisse, scrive: "Poi vidi l'Agnello che stava in piedi sul monte di Sion, e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulle loro fronti" (Ap. 14:1). I battezzati confessavano la loro cittadinanza nel Nome, nel Signore, con tutto il loro essere.
Implica fedeltà assoluta ad una via. Essere cittadini significa fedeltà, obbedienza, lealtà, devozione al signore del campo in cui ci poniamo, che, a sua volta, li confessa, li riconosce, li protegge. Paolo così dice: "Tuttavia il saldo fondamento di Dio rimane fermo, avendo questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi», e: «Si ritragga dall'iniquità chiunque nomina il nome di Cristo»" (2 Ti. 2:19). Tanto è importante questo che l’antico scritto cristiano, La Didaché, prima di dare istruzioni sul battesimo, parla a lungo di due vie, la via dell’ubbidienza ad ogni parola di Dio (Mt. 4:4), la via della vita, contrapposta alla via della morte, e poi dice: "Battezzate così, solo dopo quando avrete ripetuto l’insegnamento or ora dato". In altre parole, il battesimo è in una via della vita, come presentata dalla Persona di Cristo e dalla giustizia di Dio, la Sua Legge. Pietro ne parla in 1 Pietro 3:21: "la quale è figura del battesimo (non la rimozione di sporcizia della carne, ma la richiesta di buona coscienza presso Dio), che ora salva anche noi mediante la risurrezione di Gesù Cristo". Cristo, avendo operato l’espiazione dei nostri peccati, ci ha impartito pure la vita della risurrezione; quindi, come fedele ed obbediente popolo del Signore, abbiamo una buona coscienza, perché manifestiamo la giustizia di Dio come presentata nella Sua legge, e quindi seguiamo Cristo come membri della Sua nuova umanità.
Un uomo vecchio – un uomo nuovo. La vecchia umanità del primo Adamo, aveva una vita comune, una cittadinanza nel peccato e nella morte. La nuova umanità dell’ultimo Adamo ha una vita comune, una cittadinanza in Gesù Cristo. I reggitori della vecchia umanità riconoscono una sola fedeltà ed una sola cittadinanza, a sé stessi. Tutti, dice Giovanni, sono invece chiamati ad uscire dal potere di questo mondo, a "spostare" la nostra lealtà dai suoi valori umanistici ed autonomi rispetto a Dio, a quella di Dio. Questo potere del mondo, il potere degli stati di questo mondo, persegue il controllo totale sull’umanità, un controllo esclusivo, al punto che vorrebbe che nessuno potesse comprare o vendere, o avere una chiesa o una scuola cristiana, se non dopo la sua "autorizzazione". E’ l’immagine che ne dà l’Apocalisse quando parla dello stato totalitario persecutore dei cristiani che vi sarà prima del ritorno di Cristo
I regni del mondo sono relativi. La Chiesa antica, però, considerava ogni essere umano come creature di Dio, e quindi sottoposte a Dio ed alle Sue leggi, e quindi sotto il giudizio di Dio. Per loro, la Parola di Dio era chiara su questa questione: "I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli" (Ap. 11:15). Il trionfo del Signore Gesù Cristo, dice la Bibbia, è assicurato. Questo significa che tutti i cristiani sono, in forza del battesimo, membri di Cristo e cittadini del regno di Dio. In Cristo, quindi, "siamo più che vincitori" (Ro. 8:37).
La "veste" del cristiano. Nell’antichità, uomini e donne portavano le vesti ciascuno della propria condizione sociale. La loro veste, quindi, indicava a quale classe sociale appartenevano, alla loro condizione, status. Era proibito portare una veste che non corrispondesse al proprio rango. L’apostolo Paolo ha un sorprendente riferimento a questa pratica: "Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Ga. 3:27). Questo significa che noi portiamo i segni dell’appartenenza a Lui, della nostra cittadinanza celeste, della nostra appartenenza al Re dei re ed al Signore dei Signori! La parabola della festa di nozze ci dice la stessa cosa (Mt. 22:1-14). Nessuno può essere ammesso alla corte regale, se non ha la veste che gli assegna il re, cioè se non è membro della famiglia del re in parole, pensiero, ed azioni. E vero questo per noi personalmente? Il battesimo è quindi l’atto di cittadinanza ultimo.
Le imposte di Cristo. Come cittadini del grande Regno di Dio, noi paghiamo le nostre tasse, la decima, al Re, Cristo, ed alla Sua opera e, oltre e al di sopra di questo, noi gli portiamo i nostri doni ed offerte: questo gli è sommamente dovuto. Come consideriamo noi il nostro dovere finanziario verso l’opera del Signore? Se siamo cittadini del Regno di Dio abbiamo anche un obbligo finanziario. Inoltre, proprio perché apparteniamo al Re, anche i nostri figli devono essere offerti o consacrati a Lui, affinché ne faccia quel che Lui vuole, e questo è il significato ultimo della circoncisione israelita e del battesimo. Come cittadini del Regno di Dio, noi ci impegniamo verso di Lui in ogni dovere che ci richiede.
Un’ubbidienza relativa. Allo stesso modo noi ubbidiamo ai governanti delle nazioni, non perché siano loro a richiedercelo, ma perché il nostro Signore lo richiede e soltanto fino al punto che Lui lo permette, e non oltre. La nostra ubbidienza alle autorità degli stati terreni, è dunque relativa, "per motivo di coscienza" (Ro. 13:5), come parte di ciò che il battesimo ci richiede, perché è verso Dio che noi dobbiamo avere "buona coscienza" (1 Pi. 3:21). Domandiamoci come noi intendiamo rapportarci a leggi che, nelle nostre nazioni, contraddicono ciò che Dio, nella Sua legge, concepisce come giusto e buono. Noi dobbiamo disubbidire allo stato, assumendocene tutte le conseguenze, quando vorrebbe imporci ciò che la Parola di Dio non considera giusto. Non importa se quelle leggi abbiamo avuto o meno un’origine "democratica"…
Conclusione
Così grande era il senso di ricchezza, potere e gioia nel Salvatore e Re della Chiesa antica, che Paolo poteva dire ad Agrippa: "Volesse Dio che in poco o molto tempo non solo tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all'infuori di queste catene" (At. 26:29)! Era il riconoscimento del potere che rendeva i primi cristiani "più che vincitori". Solo la stessa fede e cittadinanza può trionfare oggi.
In quale modo noi dunque ci rapportiamo alla nostra "patria terrena", allo stato ed alle sue istituzioni, alle sue leggi ed ideologia (perché ogni stato ha la sua ideologia, non esiste uno stato neutrale, anche se pretende di esserlo)? Come cristiani noi dobbiamo fare differenza, se la nostra professione di fede è autentica, pagando, se è il caso, tutte le conseguenze della nostra "doppia cittadinanza". E’ vero, i cristiani di fatto hanno una "doppia cittadinanza": quella che ci lega alle nazioni di questo mondo, e quella che ci lega al Regno di Cristo. Per un cristiano è molto più importante la sua appartenenza al Regno di Cristo, del quale, in questo mondo, egli deve esserne ambasciatore.
(Paolo Castellina, venerdì 15 settembre 2000. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati. Edizioni "La Buona Novella", Brindisi, 1991).
Letture supplementari
1. Salmo 2 – Il Regno del Messia
2. Salmo 96 – Inno alla maestà e gloria di Dio
3. Romani 13:1-7 – Apocalisse 13:1-10