I nuovi barbari e la vera civiltà

Introduzione

Il messaggio autentico dell’Evangelo di Gesù Cristo è davvero meraviglioso perché promuove nella società umana ciò che comunemente viene chiamato: la civiltà. L’amore per ciò che è bello, buono, giusto, vero, pacifico, rispettoso, ordinato, pulito, elevato, moralmente nobile…

C’è un versetto della Parola di Dio che amo particolarmente e che contiene, io credo, proprio questo pensiero. E’ tratto dalla lettera ai cristiani della città di Filippi, e dice: “…quanto al rimanente, fratelli, tutte le cose che sono veraci, tutte le cose che sono oneste, tutte le cose che sono giuste, tutte le cose che sono pure, tutte le cose che sono amabili, tutte le cose che sono di buona fama, se vi è qualche virtù e se vi è qualche lode, pensate a queste cose” (Fl. 4:8). Così deve essere.

Credo che questo messaggio sia oggi quanto mai necessario. Si è udito recentemente, (lo cito come fatto sintomatico) come la polizia nel Belgio abbia scoperto un club di persone per altro “rispettabili” che organizzavano “battute di caccia” nei boschi in cui le “prede” erano dei bambini da violentare!

Barbari, si dice, barbari in cui è decaduto ogni scrupolo morale. Certo, ma non è forse vero che questo “imbarbarimento” della società è una tendenza sempre più accentuata nella società d’oggi? Lo si può notare a diversi livelli. Vediamo le guerre moderne, dove tutto è ammesso pur di distruggere l’avversario, guerre in cui è ormai estranea la stessa antica “etica della guerra”, dove si combatteva secondo certe regole. Oggi non si hanno più scrupoli verso nessuno: civili indifesi, bambini, donne: solo distruggere ed ammazzare il più possibile! Che dire poi della moderna degradazione dei costumi (promossa più o meno consapevolmente dai mass-media)? Che dire dell’arroganza, della “maleducazione”, della “inciviltà” presente nel mondo degli affari e della società nel suo insieme? Che dire dell’oggi prevalente disprezzo della cultura (l’arte, la letteratura, la musica), del senso del bello e dell’ordinato, del rispetto per l’autorità, della tradizione, della verità (di cui si nega persino l’esistenza), del buono... Tutto questo è infatti oggi sommerso da una valanga di spazzatura, di rozzezza, di maleducazione, di egoismo senza scrupoli, e lo si nota sempre di più nelle stessa scuola, perché queste tendenze sono evidenti nel comportamento e mentalità di bambini e giovani, quelli che tanto amano la “musica” rozza e selvaggia, come pure la trasgressione gratuita di qualsiasi regola accreditata. Ciò che infatti oggi più conta è il piacere e il tornaconto immediato, senza badare più a niente e a nessuno. Si, un vero e proprio imbarbarimento dei costumi… Si direbbe che davvero oggi non vi sia più limite al degrado morale e spirituale, segnato talvolta dell’esplicito ritorno al paganesimo (salutato con entusiasmo da alcuni).

Perché accade questo? La cosa non deve scandalizzare più di quel tanto perché è una logica conseguenza di una fallace concezione “ottimista” dell’essere umano e dell’attuale tendenza a “tollerare” sempre maggiori trasgressioni a quella che viene considerata la moralità “vecchia e superata” promossa dall’etica giudeo-cristiana.  Lo è davvero?

 

Chi sono questi “nuovi barbari”?

Chi sono questi “nuovi barbari”? Vi sono ancora dei barbari nell’anno 2000? Chi era originalmente “il barbaro”?

Anticamente. La parola “barbaro”, diventata così importante nella storia della civiltà, deriva da un verbo greco che significa “balbettare”, o “emettere strani suoni”, da cui chi parla una lingua straniera ed incomprensibile. Per i Greci dell’antichità, erano barbari tutti coloro che non erano legati con loro da un legame di sangue, quelli che non erano greci,  differenti per natura, privi di cultura, pieni di ogni vizio... Quanto ai Romani, essi cercavano di contenere le orde barbariche ai confini del loro impero. Il termine “barbarie”, poi, ha caratterizzato l’assenza di civiltà e di raffinatezza negli usi e nei costumi di una popolazione, essere selvaggi, crudeli, non civilizzati…

Attualità. La barbarie resta un problema d’attualità, e lo testimoniano i molti libri che si pubblicano al riguardo, anche se la questione non si pone più nei termini d’un tempo, quando il barbaro era sempre “l’altro”, lo straniero, il non-civilizzato alla nostra maniera.  Il XX secolo ha chiaramente provato come persino in Europa, così fiera della propria civiltà, la barbarie sia lungi dall’essere stata sconfitta. Le guerre più recenti hanno mostrato abbondantemente che noi europei continuiamo ad essere capaci anche degli atti di crudeltà più degradanti. La barbarie è dunque da intendersi come qualcosa di radicato in noi, al cuore stesso della nostra civiltà?

Un’antica distinzione. Non è indifferente il fatto che i Romani facessero la distinzione fra due tipi di barbarie. (1) La prima è quella a cui di solito si pensa: violenza sfrenata, crudeltà, guerra, saccheggio, distruzione, la ferocia senza misura che distrugge e disperde. Si tratta di una barbarie “hard”, più “nordica”, “mascolina”, eccitata dal furore e dalla brutalità. (2) Più sorprendente, invece, il secondo tipo di barbarie che essi identificavano, quella dolce, “soft”, caratterizzata da una vita molle, senza fermezza né energia: è la barbarie della debolezza, “orientale” e “femminile”, che favorisce gli eccessi della sensualità in un mondo ridotto a delle apparenze e a delle illusioni.

Non è difficile rilevare come questo punto di vista romano sia particolarmente rilevante rispetto alle situazioni d’oggi. Queste due forme, evidentemente, sono opposte l’una all’altra come due poli che reciprocamente non si sopportino, ignorando che sia l’uno che l’altro non sono che la manifestazione dell’identica barbarie.

La trasgressione. Vi è un punto in comune a questi due tipi di barbarie: l’idea del limite trasgredito, della frontiera oltrepassata. Possiamo pensare proprio all’esercito romano già evocato, consacrato alla difesa delle frontiere dell’impero, che segnavano il limite fra la civiltà e la barbarie. L’impero, però, con tutte le sue frontiere, è poi caduto, i barbari sono confluiti come una fiumana da una diga rotta, ma quanta barbarie era potenzialmente già presente nell’impero? Quali limiti gli antichi romani avevano essi stessi oltrepassato?

I limiti sono indispensabili: senza limiti è impossibile definirsi, darsi un’identità, una “consistenza”. Un uomo che non abbia limiti interiori è un mostro – un barbaro. Meglio un limite trasgredito, che l’assenza di limiti, dato che senza limiti non c’è più la consapevolezza della trasgressione (“trasgressione”, etimologicamente, significa “passare dall’altra parte”). “Mediante la legge infatti vi è la conoscenza del peccato” (Ro. 3:20), ricorda la Parola di Dio, giustificando così l’importanza delle regole chiaramente pubblicate, quelle stabilite da Dio stesso.

L’educazione ci insegna, infatti, mediante la conoscenza di quali siano i limiti, a scoprire e ad esercitare le nostre risorse interiori: l’istruzione ci insegna a resistere alle sirene della barbarie. “Educare”, significa infatti, letteralmente, “condurre fuori” da qualcosa. Fuori da che, se non dal magma delle forze oscure dell’anima, verso qualcosa di più determinato? Per questo bene si dice che si sta educando un bambino. Anche l’addestramento degli animali intende un movimento verso l’alto. Che cosa suggerisce questo a genitori ed insegnanti?

Il rifiuto di ciò che è elevato. Ecco il secondo punto in comune: il barbaro rifiuta ciò che eleva l’uomo al di sopra di sé stesso, che disprezza ogni cultura che lo spingerebbe ad andare oltre, verso qualcosa di superiore, oppure a collegarsi ad una trascendenza. Il barbaro è colui che non vuole che niente lo superi: egli brucia i libri e le opere d’arte (si possono “bruciare libri” anche senza un letterale fuoco). Quando gli si parla di cultura, allora tira fuori il suo revolver, perché la cultura lo indirizzerebbe verso l’eccellenza che egli dovrebbe sforzarsi di raggiungere. La cultura rifiuta di vedere l’uomo come un essere dedito esclusivamente alla soddisfazione, al giorno per giorno, dalle sue invidie e pulsioni.

La cultura e l’educazione nel mondo contemporaneo, non sono al riparo della contaminazione barbara – dato che tutto può trasformarsi in barbarie quando perde il senso dei suoi limiti e la dimensione verticale. Le costruzioni che puntano al cielo, sia che si tratti dei templi dell’antichità, delle cattedrali, e forse dei nostri grattacieli, manifestano negli uomini un desiderio di grandezza, il che non è sempre identificabile nell’orgoglio e nell’arroganza. Questa tensione verso l’alto segna la volontà di raddrizzarsi e di tenersi in piedi, fisicamente, ma anche spiritualmente. Quando l’uomo cerca di salire fino al cielo, come a Babele, egli segna il suo desiderio di ricongiungersi a qualcosa che lo trascenda, a Dio, e che così dia un senso all’avventura di vivere. E’ proprio questo rapporto a ciò che va oltre a costituire il metro della barbarie.

Una concezione realista dell’essere umano

E’ estremamente importante, per questo, avere una concezione realistica dell’essere umano, quella che la Bibbia ci insegna, perché attraverso di essa è Dio che ci mostra la realtà, quella che vorremmo negare, ma l’unica vera. Dio solo può dire di conoscere l’uomo: noi spesso inganniamo noi stessi.

Un male radicale. La Bibbia parla di un male radicale che dimora nel cuore di ogni creatura umana: si tratta di una verità difficile da accettare per chi, come noi, è stato impregnato di umanesimo ottimista. Vorremmo credere, infatti, che, date le giuste circostanze, ciascuno di noi possa fare scelte sane e responsabili. Non è così. Questi “pii desideri” non solo sono contraddetti dalla rivelazione che ci fa la Scrittura sulla radicale corruzione della natura umana, ma ci viene pure confermata dalla storia, quando non si chiudono volontariamente gli occhi su di essa. Orribili calamità di barbarie e di brutalità riempiono, infatti, le pagine dei libri di storia, e sono dati pure del presente, che nessuna presunta evoluzione può negare. Inimicizia, crudeltà ed atrocità, infatti, sono diventati i simboli paradigmatici della fine dell’uomo e delle sue opere.

Un commercio con la morte. Come una tarma attirata dalla fiamma di una candela, l’uomo “commercia” con la morte. L’ha sempre fatto e sempre lo farà, perché questo è nella sua natura, in questo povero mondo decaduto. Proprio perché ogni essere umano, senza eccezione, è un peccatore, è il “fattore morte” quello che ci può far meglio comprendere le vicende umane e l’essenza stessa dell’uomo.  La Scrittura dice: “come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Ro. 5:12).

Un modo di essere. La Scrittura ci parla di un’umanità decaduta, destinata alla morte: “Alla morte i destinati alla morte” (Gr. 15:12). Per “morte” non si intende solo il termine fisico dell’esistenza, ma di un principio che caratterizza tutto il comportamento umano, tanto che essa parla di un patto concluso con la morte: «Abbiamo concluso un patto con la morte, abbiamo fatto un'alleanza con lo Sceol… abbiamo fatto della menzogna il nostro rifugio e ci siamo nascosti dietro la falsità» (Gr. 8:3). Che ce ne rendiamo conto oppure no, abbiamo scelto la morte, ne siamo ossessionati “la mente controllata dalla carne produce morte” (Ro. 8:6), il nostro cuore la persegue (Pr. 8:6), la nostra carne ne è governata come da una legge interna (Ro. 8:2), “danziamo” con essa, ed essa guida la danza (Pr. 2:18).  Iddio dice a coloro che Lo disprezzano: “tutti quelli che mi odiano amano la morte”  (Pr. 8:36).

Il paradigma dell’infanticidio. Fanno dunque meraviglia l’orrore dell’aborto, dell’infanticidio, dell’autodistruzione consapevole attraverso la droga e comportamenti consapevolmente pericolosi: l’umanità ha sempre giocato con la morte. Praticamente ogni cultura dell’antichità è, per esempio,  stata macchiata del sangue dei propri figli. Nell’antica Roma, i figli non desiderati venivano abbandonati fuori dalle mura della città ed esposti agli elementi ed all’attacco di animali selvatici. I Greci spesso davano alle donne incinte dosi massicce di pozioni abortifere. I Persiani avevano elaborato sofisticate procedure chirurgiche destinate a questo scopo. Le donne cinesi si legavano strette corde attorno alla vita fino ad abortire o a perdere i sensi. I cananei primitivi gettavano i loro figli su grandi falò come sacrifici al loro dio Moloch. Gli Egiziani eliminavano bambini non desiderati smembrandoli poco dopo la nascita ed usando il loro collagene ritualmente per produrre creme cosmetiche.

Nessuna delle grandi menti del mondo antico – da Platone a Cicerone, Seneca, Quintiliano, Pitagora, Aristofane, Livio, Cicerone, Erodoto, Tucidide, Plutarco, aveva mai denunziato l’infanticidio, anzi lo raccomandavano.  E’ proprio per il fatto di essere stati infangati dagli spiriti della morte e del peccato, che era naturale agli uomini ed alle donne dell’antichità, uccidere i loro figli. Per loro era istintivo come il raccolto d’autunno sabotare sommariamente il frutto del loro seno. Non vedevano nulla di particolarmente crudele nell’abuso e nell’eliminazione dei bambini.

Flirtare con la morte. La morte ha gettato la sua ombra oscura sull’intero contesto dei rapporti umani. A causa del peccato, tutti gli uomini flirtano e “giocano”  con la morte  senza alcuna vergogna. Questa impudenza ha condotto proprio alla più grottesca impudenza immaginabile: il massacro di bambini. Accecati dal bagliore dall’insidioso e nefasto angelo della luce (2 Co. 11:14), noi stiamo davanti a lui affascinati e paralizzati. Lo testimonia le smanie di onnipotenza della scienza, la pretesa dell’eutanasia a chiamare la morte “amica morte”, gli armamenti e le centrali nucleari che sappiamo essere letali per l’intera razza umana, l’inquinamento irresponsabile delle risorse naturali del mondo, ma anche solo i rischi dei moderni “sport estremi”. Il “fascino” della morte lo si vede rappresentato continuamente nel teatro di ogni tempo e paese, ma anche nel cinema, non solo con le rappresentazioni di violenza, ma anche con la malsana spazzatura dei vari Dracula (che vuol dire diavolo), zombi, fantasmi, occultismo, e via di questo passo. “Affascinano”, dicono, possibile però che molti non riescano a riflettere che questa è la prova più lampante della verità sulla condizione umana che la Bibbia, autorevolmente, ci presenta?

La vera civiltà possibile in Cristo

Tutto questo, dunque, è barbarie, “cose da barbari”, estranee alla “civiltà” autentica ce la Parola di Dio ci propone e rende possibile in Cristo. E’ proprio qui che sta la potenza del messaggio dell’Evangelo di Gesù Cristo.

A chi è destinato l’Evangelo. L’apostolo Paolo afferma che il messaggio dell’Evangelo è destinato anche e soprattutto ai “barbari”: “Io sono debitore ai Greci e ai barbari, ai savi e agli ignoranti. Così, quanto a me, sono pronto ad evangelizzare anche voi che siete in Roma” (Ro. 1:14,15).  Gli antichi romani consideravano “barbari” tutti coloro che non appartenevano alla loro civiltà, ma qui è interessante notare come per l’apostolo Paolo …barbari erano anche i romani! Il messaggio dell’Evangelo è anche per loro, anche per la loro salvezza! C’è dunque una “barbarie” che accomuna tutti gli esseri umani, e dalla quale solo Cristo può salvare. In Cristo può formarsi una “razza” totalmente nuova, una razza che accomuna Greci, Giudei, Sciti e barbari, perché in Cristo si forma una nuova umanità, un nuovo popolo, un nuovo modo di essere, di pensare, di parlare, di agire.

Prima, ma ora non più! Per questo l’apostolo può dire che prima di incontrare Cristo, essi tutti fossero stati “barbari”: “Ora, se siete di Cristo, siete dunque progenie d'Abrahamo ed eredi secondo la promessa” (Ga. 3:29). “…ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete stati avvicinati per mezzo del sangue di Cristo” (Ef. 2:13). “Un tempo infatti eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore; camminate dunque come figli di luce” (Ef. 5:8). “…voi, che un tempo non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia” (1 Pi. 2:10). “Eravate infatti come pecore erranti, ma ora siete tornati al pastore e custode delle anime vostre” (1 Pi. 2:25). Perché ora si può dire che i cristiani non siano più barbari? Perché essi hanno assunto uno stile di vita davvero “civilizzato”, quello che solo Cristo può insegnare.

E’ possibile, dunque, essere liberati dalla maledizione della morte, ossessione della nostra civiltà. In Cristo c’è speranza. In Lui c’è vita, sia temporale che eterna.

All’insegna ora della vita. Il Signore Iddio, il datore della vita, la fonte della vita, il difensore della vita, il principe della vita, Colui che ristabilisce la vita (sono espressioni della Bibbia), non ha lasciato che l’umanità languisse senza speranza fra gli artigli del peccato e della morte. Non solo Egli ci ha mandato il messaggio della vita e le parole di vita: Egli pure ci ha mandato la luce della vita, Colui che disse: “Io sono il pane vivente che è disceso dal Cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; or il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo” (Gv. 6:51). Iddio ci ha inviato il Suo unigenito Figlio, la luce del mondo, proprio per infrangere le catene della morte (1 Co. 15:54-56).  Egli ha “gustato la morte per tutti” (Eb. 2:9), di fatto “abolendo” per noi la morte (Eb. 2:9) ed offrendoci nuova vita (Gv. 5:21). “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Gv. 3:16).

E’ in Cristo soltanto che !e possibile sfuggire dalle insidie della morte. Grazie a Dio, il tiranno del “fattore morte” non è destinato inevitabilmente a produrre devastazione.

Quale civiltà cristana?

Io non credo che ci sia mai stata una “civiltà cristiana” a livello istituzionale, di nazioni, di continenti... Nel corso della storia, infatti, quando i governanti decisero di “abbracciare la fede cristiana” e l’ingenua dirigenza delle chiese, permettere una “evangelizzazione (forzata) dei popoli”, si sono create molto spesso nazioni ipocritamente cristiane, costrette magari con la forza ad abbandonare le loro forme religiose ed usanze per assumere formalmente quelle cristiane. Non credo alla conversione di popoli al cristianesimo, cosa che spesso era dettata da opportunismo politico. La conversione a Cristo è questione individuale che presume un reale e profondo cambiamento, non solo di forme, ma di sostanza, di pensiero, di fatti.

La stessa cosa è avvenuta purtroppo, anche per la Riforma protestante. Quando la popolazione, per esempio, della nostra valle “ha abbracciato la Riforma”, l’ha fatto veramente per convinzione, oppure per opportunismo? Certo sono state cambiate usanze, sono state svuotate le chiese dagli idoli del papismo, ma l’Evangelo ha davvero trasformato i cuori cancellando ogni superstizione ed iniquità dal profondo del cuore della gente, formando in loro l’autentica civiltà cristiana? Per molti questo è avvenuto veracemente, ma per la maggioranza No. “Battezzare” un popolo, tanto da chiamarlo “cristiano” o “riformato”, spesso ha creato finte chiese e finti cristiani, come pure false chiese riformate! Quando i “barbari” si cambiano d’abito, e da quello di “selvaggi” assumono quello “civilizzato”, certo non sono “cambiati dentro”, rimangono barbari elegantemente vestiti… “L’abito non fa il monaco”, dice il proverbio, come un battesimo o una confermazione formale in una chiesa riformata, fa di quella persona un vero riformato. Allora magari si riempiono le chiese ed i registri di chiesa di gente che fondamentalmente rimane pagana, idolatra, superstiziosa, e tali chiese possono perpetuarsi così, non “da fede a fede”, ma “da incredulità battezzata a incredulità battezzata”. Conviene avere “le chiese piene” di gente così? Sorprendono poi i problemi che hanno queste cosiddette chiese? Gli increduli che ne escono lo fanno per coerenza, perché sanno di non essere autenticamente cristiani. Sono da rispettare, perché almeno non sono ipocriti!

Le nazioni “cristiane”, però, almeno hanno avuto un punto positivo: stabilire e rendere pubbliche molte leggi bibliche e cristiane, stabilendo così chiaramente il limite di un comportamento secondo la volontà di Dio, da uno che non lo è affatto. Oggi i “pagani battezzati” vorrebbero liberarsi da questi vincoli, liberarsi dalla “etica giudeo-cristiana”, e gradualmente smantellano dalle nostre nazioni i principi etici e spirituali d’origine israelita e cristiana.  Vogliono tornare ad essere pagani, ad essere barbari (ho visto recentemente dei siti Internet che esplicitamente promuovono il paganesimo e la barbarie!). I loro figli, chiaramente, non vogliono più sottostare ai principi cristiani. In un certo senso fanno bene, almeno sono coerenti e non ipocritamente cristiani. Dall’altro, però, lo stile di vita che Dio prescrive non è un’opzione fra le tante possibili: è la via della vita contrapposta a la via della morte.

Tocca ai cristiani (quelli “veri”, “convinti”) proporre e votare leggi che rispettino i principi di vita stabiliti da Dio, e testimonino, con le parole e con i fatti, che quello stile di vita è il migliore, il più sano, il più produttivo, il più “civilizzato”, checché ne dicano gli avversari.

I cristiani sono chiamati a contrapporsi chiaramente ai “nuovi barbari” ed alla barbarie dilagante, proponendo l’Evangelo di Gesù Cristo, con coraggio e perseveranza, come l’unica strada che porta ad un’autentica civiltà. Ce la faranno? Forse non completamente in questa fase della storia del mondo. Almeno, però, la fiaccola dell’Evangelo, la fiaccola della verità rivelata, continuerà ad ardere e fare luce, come permanente testimonianza del nuovo cielo e della nuova terra che un giorno Iddio stabilità, in cui ogni sorta di barbarie sarà totalmente abolita.

Giovanni, in profezia, annuncia: “E cantavano un nuovo cantico dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato ucciso, e col tuo sangue ci hai comprati a Dio da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ci hai fatti re e sacerdoti per il nostro Dio, e regneremo sulla terra»” (Ap. 5:9,10). Così sarà.

(Paolo Castellina, venerdì 16 giugno 2000 . Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991).

LETTURE BIBLICHE

1. Deuteronomio 6:17-25 (“Farai ciò che è giusto e buono…”).

2. Proverbi 13 – (“La giustizia custodisce colui la cui via è integra”).

3. Romani 7 – (“La legge è certamente santa”).


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