Fra i tanti luoghi comuni e banalità che si sentono durante le festività natalizie, c’è l’idea che …a Natale si debba essere “più buoni”.
Non riesco proprio a capire da dove sia venuta fuori quest’idea! Invano l’ho cercata come tale nella Bibbia e, in particolare, nei racconti che parlano della nascita di Gesù.
Qualunque cosa voglia dire, però, la bontà è una virtù che l’essere umano, così com’è, non è veramente in grado in grado di produrre, né a Natale né mai. Infatti, è piuttosto la “cattiveria” ad essere una costante dell’animo umano. A dire questo sono forse pessimista o ingiusto? No, rifletto il realismo della Bibbia stessa, quando più volte afferma: “Tutti si sono sviati, tutti quanti sono divenuti inutili; non c'è alcuno che faccia il bene, neppure uno” (Ro. 3:12)
La Parola di Dio, però, offre pure autentica speranza. Bontà potrà sorgere soltanto quando il nostro cuore verrà purificato, trasformato, rigenerato, dall’azione diretta dello Santo Spirito di Dio. Bontà potrà sorgere in una persona quando essa si impegna a seguire fedelmente il Salvatore Gesù Cristo, lasciandosi modellare da Lui, l’unico ad essere davvero “buono”. La Bibbia infatti dice: “il frutto dello Spirito consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità” (Efesini 5:9).
In realtà c’è un’unica bontà di cui si possa parlare a Natale e non solo. La bontà, quella vera, quella autentica, è la bontà di Dio. Dio infatti, ha avuto pietà e misericordia di questa povera umanità, proprio quando ha inviato il Suo Figlio Gesù Cristo nel mondo per rendere possibile la trasformazione radicale di tutti coloro che a Lui si sarebbero affidati.
Un testo biblico, nella lettera dell’apostolo Paolo a Tito, parla di ciò che Dio ha compiuto in Gesù Cristo e ancora può compiere oggi in tutti coloro che a Lui si affidano.
“Ricorda loro di essere sottomessi ai magistrati e alle autorità, di essere ubbidienti, pronti ad ogni opera buona, di non dire male di alcuno, di essere pacifici e miti, mostrando grande gentilezza verso tutti gli uomini. Anche noi infatti un tempo eravamo insensati, ribelli, erranti, schiavi di varie concupiscenze e voluttà, vivendo nella cattiveria e nell'invidia, odiosi e odiandoci
gli uni gli altri.
Ma quando apparvero la bontà di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore verso gli uomini, egli ci ha salvati non per mezzo di opere giuste che noi avessimo fatto, ma secondo la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha copiosamente sparso su di noi, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, affinché, giustificati per la
sua grazia, fossimo fatti eredi della vita eterna, secondo la speranza che abbiamo.
Sicura è questa parola, e voglio che tu affermi con forza queste cose, affinché quelli che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a opere buone. Queste sono le cose buone e utili agli uomini” (Tito 3:1-8).
Il nostro testo non predica pie banalità, principi astratti, generiche esortazioni. Esso non parla di virtù che si auspica possano regnare nella società umana, per le quali si dice: “sarebbe bello che…”. Non sono discorsi di circostanza, fondamentalmente ipocriti, che lasciano il tempo che trovano. Non sono i sogni, le illusioni e le vane speranze di chi dice: “il nuovo millennio sarà diverso” o di chi dice: “Almeno a Natale fate un gesto di buona volontà”. No, il nostro testo è molto concreto e realistico: parla di fatti.
Il primo fatto è la reale potenza di trasformazione insita nell’Evangelo di Gesù Cristo quando esso è applicato coscienziosamente al cuore umano. Il secondo è l’evidenza di un cambiamento che realmente è avvenuto e del quale possono testimoniare i destinatari originali di questa lettera.
Parlando dell’esperienza diretta dell’Apostolo come dei cristiani a cui scrive, Paolo dice: Noi eravamo. Prima che Dio agisse con forza nella nostra vita attraverso l’Evangelo di Gesù Cristo, noi eravamo. Com’erano queste persone prima di incontrare il Salvatore Gesù Cristo?
(1) Erano stati insensati. Quand’è che si vive in modo insensato? Quando si vive ignorando il destino ed il bene eterno della nostra anima. Quando si fa finta che Dio non esista e che Egli non abbia stabilito alcuna legge rispetto alla quale noi dovremo rendere conto. Quando noi scegliamo di rimanere ignoranti rispetto alla rivelazione che Dio ci ha fatto nella Bibbia. Quando noi trascuriamo e minimizziamo il Signore e Salvatore Gesù Cristo. La Scrittura dice: “come scamperemo noi, se trascuriamo una così grande salvezza? Questa, dopo essere stata inizialmente annunziata dal Signore, è stata confermata a noi da coloro che l'avevano udita” (Eb. 2:3).
(2) Erano stati ribelli. E’ la condizione più comune della creatura umana oggi quando si rifiuta la legittima sovranità di Dio sulla vita. Significa essere ostinati e indisposti ad accogliere la verità della Parola di Dio. Significa rifiutare di accettare la buona e santa legge morale che Dio ha stabilito e vivere come più ci piace. Però follia disubbidire a Dio ed alla Sua legge. E’ contro la ragione e contro i migliori nostri interessi.
(3) Erano stati erranti. L’esempio biblico al riguardo è quello della pecora che appartiene ad un gregge e che se ne allontana ignara perdendosi fra i monti: “Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via” (Is. 53:6). L’uomo nel suo stato decaduto e come una pecora errante, perduta, che deve essere ritrovata e ricondotta sulla retta via. Essere erranti significa davvero perdersi per le vie di questo mondo, ingannati dalle sirene che ci attraggono solo per sfruttarci e renderci poi schiavi. Significa diventare inconsapevolmente preda delle astuzie di Satana, preda degli inganni degli uomini. Significa essere fuori dalla via della verità e della santità. L’uomo nel suo stato decaduto e come una pecora errante, perduta, che deve essere ritrovata e ricondotta sulla retta via.
(4) Erano schiavi di varie concupiscenze e voluttà. Quest’immagine è pure molto attuale. L’uomo moderno viene educato a seguire ogni istinto e ad accondiscendere ad ogni voglia che pure viene suscitata in lui ad arte. Cedendo però indiscriminatamente ad ogni desiderio si diventa schiavi, vassalli, servi di ciò che ci ha attratto. Chi è ingannato è facilmente preso in trappola. E’ cieco sulla propria condizione e si crede libero!
(5) Vivevano nella cattiveria. Il mondo la chiama “furbizia” e dice che per avere successo nella vita bisogna essere senza scrupoli. Non importa se si danneggiano e si calpestano gli altri. “Mors tua, vita mea”. L’importante è andare avanti noi servendo solo i nostri propri interessi e bisogni. E’ “la legge della giungla” applicata alla società umana. La malizia desidera danneggiare gli altri e se ne rallegra.
(6) Vivevano nell’invidia. L’invidia è quell’atteggiamento per il quale ci si lamenta del successo altrui, che spesso è meritato e frutto di lavoro ed impegno, e si vorrebbe essere al loro posto, pur non avendone titolo, capacità, o merito. E’ radice di amarezza e sorgente di ogni male. Era il peccato di Satana e quello di Caino che, per invidia, aveva ucciso suo fratello, perché le sue opere erano malvagie e giuste quelle di Abele.
(7) Erano persone odiose e piene di odio l’uno per l’altra. Coloro che vivono nel peccato sono odiosi a Dio e alla società umana. Contese e dispute nascono dalla corruzione del cuore umano. Come bestie furiose lottano e combattono per ghermire la loro preda.
“Erano” dunque così. Oggi non lo sono più. Che cosa è avvenuto nella loro vita da essere così forte e decisivo tanto da invertire quella rotta rovinosa sulla quale si muovevano?
(1) Nella loro vita, dice il nostro testo, è “apparsa” la bontà di Dio. Dio, cioè, nella Sua misericordia, nel Suo amore, ha manifestato verso di loro la Sua bontà intervenendo direttamente in loro. Come?
(2) Il primo concetto che qui è in evidenza è che Dio è intervenuto nella loro vita, non perché se lo meritassero, o perché Egli avesse visto eventualmente la loro “buona volontà”. Non avevano né buona volontà né meriti da accampare che avesse potuto attirare l’attenzione di Dio e salvarli. Non c’è nulla in noi che possa meritare l’attenzione di Dio. Il nostro peccato ci rende odiosi al Dio tre volte santo. Dio non è intervenuto in loro, sulla base di “opere giuste” che essi avessero compiuto e che, in qualche modo, avessero attirato la benevola attenzione di Dio. Dio è intervenuto nella loro vita perché Egli ha avuto misericordia di loro, perché Egli ha voluto accordare loro la grazia.
(3) Grazia, però, non significa perdono a buon mercato, oppure che Dio semplicemente “li perdoni” passando sopra, come se nulla fosse, il loro peccato, ma è intervenuto per trasformare la loro vita. In che modo Dio ha agito in loro per trasformarli? Il testo dice: mediante “Il lavacro della rigenerazione”, qualcosa cioè che ha lavato, purificato, la loro mente, le loro parole, le loro azioni, qualcosa che ha rigenerato il cuore della loro personalità. Che cos’e questo “agente di purificazione”?
(4) Il nostro testo lo chiama: “il rinnovamento dello Spirito Santo”, cioè una speciale presenza di Dio nella vita umana che rinnova, ricrea l’umana personalità per riportarla, gradualmente, a ristabilire quella “immagine” di Dio in noi, che era andata perduta con il peccato. Come, in che modo, è pervenuto lo Spirito Santo con la sua forza di rinnovamento, a queste persone?
(5) Esso è stato “copiosamente sparso” su di loro per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore. Ecco la chiave del loro effettivo rinnovamento come persone. Dio è venuto nella Persona di Gesù Cristo e, chiamando a sé uomini e donne peccatori, chiamandoli a diventare Suoi discepoli, Egli inizia un’opera di profonda trasformazione in loro. Da che cosa parte quest’opera?
(6) Essa, come opera di grazia, parte da Cristo che visse in questo mondo una vita di perfetta conformità alla volontà di Dio. E’ Lui che vive quella “bontà” che a noi è impossibile. Essa diventa come un “assegno circolare” che il peccatore riceve e che gli permette di “pagarsi” l’accesso a Dio ed alla Sua opera di trasformazione e guarigione. Inoltre Cristo, morendo su una croce, Egli, giusto fra gli ingiusti, paga Egli stesso la pena che giustamente noi dovremmo pagare verso Dio a causa dei nostri peccati e ci dà titolo alla riconciliazione con Dio. La nostra impossibilità, così, a compiere opere meritorie e ad espiare noi stessi il nostro peccato, viene surrogata dall’opera di Cristo. Egli ci pone in comunione vitale con Dio e, attraverso questa comunione, inizia il rinnovamento interiore della persona che così si è affidata al Salvatore Gesù Cristo.
(7) Resi dunque “giusti” mediante la generosa grazia di Dio in Gesù Cristo, veniamo pure fatti eredi della vita eterna, una vita significativa ed eterna vissuta come deve essere, cioè in comunione con Dio. Pensate: “eredi della vita eterna”. Che titolo avevano, che titolo abbiamo noi per diventarlo? Nessuno. Dio però, in Cristo, ci dona qualcosa di altrimenti impensabile.
Queste cose non sono teoria, vane speranze, illusioni, pii discorsi, ma la concretezza di un’opera che, tramite Cristo, ancora oggi può avvenire nella vita della persona che a Lui si affida. Questa è una parola sicura e non al vento, parola che deve essere affermata con forza.
Questa trasformazione ad opera dello Spirito Santo, trasformazione vera, autentica, possibile è l’unica che, in realtà possa spingere la persona ad applicarsi ad opere buone, non ad essere “più buoni”, perché da soli non lo saremmo stati, ma “buoni” veramente rispetto ai criteri di bontà che Dio stabilisce nella Sua Parola, perché messi veramente in grado di esserlo.
Solo in questa prospettiva, allora, hanno senso le esortazioni iniziali del nostro testo biblico. La trasformazione interiore ad opera dello Spirito Santo ci forma ed educa nei vari settori della vita:
(1) Ci forma ed educa al rispetto della legge e delle legittime autorità. Potremmo dire che Dio così ci educa ad amare la legalità e la giustizia, ciò che è legittimo e ciò che è giusto ai Suoi occhi. Il cristiano, salvato per grazia, ama, onora ed osserva ora la legge di Dio perché così facendo vuole onorare e ringraziare Iddio che l’ha salvato e perché sa che solo questo è buono e giusto per Lui, creatura di Dio, e non dio a sé stesso.
(2) Ci forma ed educa, quindi, ad essere ubbidienti a tutto ciò che è vero, buono, degno di lode, cioè ciò che Dio ha stabilito come regola di giustizia. L’apostolo Paolo scrive: “tutte le cose che sono veraci, tutte le cose che sono oneste, tutte le cose che sono giuste, tutte le cose che sono pure, tutte le cose che sono amabili, tutte le cose che sono di buona fama, se vi è qualche virtù e se vi è qualche lode, pensate a queste cose” (Fl. 4:8).
(3) Ci forma ed educa ad ogni opera buona. Il cristiano vive con il costante pensiero di come egli possa compiacere a Dio in tutto quello che pensa, dice e fa. Il cristiano vive pensando a come Egli possa imitare le opere e le virtù di Cristo nella sua vita, diffondendo amore, giustizia, felicità e salute.
(4) Ci forma ed educa a non dire male di alcuno. L’onore che il cristiano vuole dare a Dio è anche il desiderio di onorare tutto ciò che Egli ha creato, e soprattutto onorare ogni creatura umana, fatta a Sua immagine e somiglianza.
(5) Ci forma ed educa ad essere pacifici e miti. La pace e la mitezza, infatti, sono le caratteristiche di Dio, come Egli le ha manifestate nella persona di Gesù Cristo. Egli infatti disse: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime. Perché il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero!” (Mt. 11:28-30).
(6) Ci forma ed educa ad avere sempre grande gentilezza verso di tutti. La Parola di Dio dice: “Nessuna parola malvagia esca dalla vostra bocca, ma se ne avete una buona per l'edificazione, secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a quelli che ascoltano” (Ef. 4:29), e ancora: “"Perseguiamo dunque le cose che contribuiscono alla pace e alla edificazione reciproca...Ciascuno di noi compiaccia
al prossimo nel bene, per l'edificazione" (Ro. 14:19, 15:2).”
…ecco allora perché è completamente inutile, a Natale, e in qualsiasi altro momento, la vaga esortazione ad una generica, ma impossibile bontà. Tutto questo è impossibile perché l’essere umano non è buono e soltanto una trasformazione radicale attraverso Cristo potrà metterlo in condizione di incamminarsi su quella strada. SE c’è un messaggio che valga la pena di annunciare è proprio questo. L’apostolo Paolo diceva: “io non mi vergogno dell'evangelo di Cristo, perché esso è la potenza di Dio per la salvezza, di chiunque crede” (Ro. 1:16).
Ecco l’unico messaggio che vale, a Natale e non solo a Natale: non parole vane, non discussioni stolte, non contese e dispute su parole e intorno alla legge, cose “inutili e vane”, ma il chiaro annuncio e la chiara pratica dell’Evangelo di Gesù Cristo, il quale rimane vera potenza per la salvezza di chiunque davvero ad esso si affida coinvolgendosi in esso completamente. Solo allora non correremo il rischio di pascerci di banalità e luoghi comuni che non solo lasciano il tempo che trovano, ma che sono offensivi verso Dio e completamente inutili per chiunque li ascolta. Solo allora offriremo autentica speranza.
Paolo Castellina, sabato 25 dicembre 1999 . Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente specificato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991.
1. Salmo 18:1-6
2. Isaia 49:1-7 – Il servo dell’Eterno, luce delle nazioni
3. Giovanni 1:1-14.