Solo per gente sottosviluppata?

TROPPO UMILIANTE?

Non finirò mai di sorprendermi: oggi le scuse che molti accampano per giustificare il proprio disinteresse per “la religione” sono sconfinate. Ce n’è una in particolare sulla quale vorrei soffermarmi che ben potrebbe introdurre il testo della Parola di Dio oggi alla nostra attenzione, il Salmo 121.

Per alcuni la religione sarebbe solo come una stampella per gente psicologicamente debole, la quale avrebbe bisogno di “queste cose” per trovare il proprio equilibrio, quasi come una sedia a rotelle per invalidi. Questi stessi critici aggiungono, allo stesso modo, che l’impegno e le pratiche religiose caratterizzano soprattutto quei popoli o quelle persone che si trovano nel bisogno (economico e sociale) e che avrebbero quindi necessità di rivolgersi a delle divinità (naturalmente fittizie) per trovare un po’ di consolazione.

Non si tratta di una contestazione nuova. Il discorso implica, naturalmente, che questi critici non siano essi stessi né deboli, né invalidi, né nel bisogno, e che quindi non abbiano necessità né di Dio né di pratiche religiose. E’ vero questo?

Se poi si contesta loro che anche persone perfettamente equilibrate, sane e benestanti possano essere religiose, essi insinuano che queste abbiano, in realtà, motivazioni celate per sfruttare la religione a qualche proprio inconfessabile tornaconto.

Insomma, non ne vogliono proprio sapere di Dio. Semmai fossero nel bisogno, loro saprebbero ricorrere alle proprie risorse e non si “abbasserebbero” mai a pregare Dio, e …certamente sono troppo onesti per sfruttare la religione a loro vantaggio.

E’ il discorso tipico che l’ideologia dominante ha inculcato all’uomo ed alla donna d’oggi che si crede autonomo ed autosufficiente, maturo e progredito. E’ il discorso tipico di chi è stato educato a sospettare di tutto e di tutti, a mettere in questione ogni cosa, a “non credere” e a considerare questo come segno di intelligenza, di chi è veramente “uomo” e non un verme strisciante…

A tutto questo si potrebbe aggiungere anche quel diffuso pregiudizio maschile che vede l’impegno religioso come “cose da donne”, anzi, da “deboli donnicciole”, mentre “il vero maschio” non si interesserebbe di religione… Come dice una pubblicità: “…per l’uomo che non deve chiedere mai”. Il “vero uomo”, si pensa, non prega, non implora, non si mette mai in ginocchio a pregare nessuno…. Per lui la religione è “umiliante” e questo …non si addice al maschio... Conferma illuminante di tutto questo sarebbero, nella sua fantasia distorta, …le “sottane” che portano i preti! È forse per questo che oggi solo pochi uomini “vanno in chiesa”?

Si tratta, però, di discorsi del tutto offensivi per il credente che non si riconosce affatto in questa descrizione e che anzi vede questi ragionamenti come un’altra delle efficaci strategie di Satana per tenere la gente, il più possibile, lontana da Dio.

Ragionare nel modo che ho descritto, in realtà, è segno di una sconfinata duplice arroganza. La prima è l’arroganza di chi, ritenendosi Dio a sé stesso, non dà a Dio l’onore e la gloria dovuti al Suo nome e quindi si rende passibile della massima condanna che Dio potrebbe comminargli, quella dei ribelli alla Sua legittima ed universale sovranità. La seconda è l’arroganza di chi pensa di non avere bisogno di Dio e di essere sufficiente a sé stesso o comunque di non essere disposto a chiedere, a pregare, ad implorare... Assomiglia al re Nebukadnetsar di cui parla il libro di Daniele: “Quando però il suo cuore si innalzò e il suo spirito si indurì fino all'arroganza, fu deposto dal suo trono reale e gli fu tolta la sua gloria. Fu quindi scacciato di mezzo ai figli degli uomini, il suo cuore fu reso simile a quello delle bestie …finché riconobbe che il Dio altissimo domina sul regno degli uomini e su di esso stabilisce chi vuole” (Da. 5:20,21). Oppure assomiglia a quella comunità cristiana di cui parla il libro dell’Apocalisse: “Poiché tu dici: Io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me dell'oro affinato col fuoco per arricchirti, e delle vesti bianche per coprirti e non far apparire così la vergogna della tua nudità, e di ungerti gli occhi con del collirio, affinché tu veda” (Ap. 3:17,18).

Il salmo 121

Una persona così, certo non pregherebbe mai con le magnifiche parole del Salmo 121 sul quale ci vogliamo soffermare oggi. E’ un salmo caro a molti credenti, la preghiera di chi, riconoscendo onestamente il proprio bisogno e fragilità (congeniti e non episodici) trova in essa il mezzo per diventare, in ogni circostanza, veramente forte, molto più forte di chi pensa di essere in sé stesso forte e che poi soltanto crolla miseramente. Leggiamolo:

"Io alzo gli occhi ai monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dall'Eterno, che ha fatto i cieli e la terra, Egli non permetterà che il tuo piede vacilli, colui che ti protegge non sonnecchierà. Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchia e non dorme. L'Eterno è colui che ti protegge, l'Eterno è la tua ombra, egli è alla tua destra. Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte. L'Eterno ti custodirà da ogni male; egli custodirà la tua vita. L'Eterno custodirà il tuo uscire e il tuo entrare ora e sempre" (Sl. 121).

La Bibbia stessa definisce questo Salmo come un “canto dei pellegrinaggi”, un canto, cioè, che tradizionalmente i credenti cantavano quando si recavano a Gerusalemme, a piedi, per adorare Iddio nel Suo tempio, il luogo privilegiato che Dio aveva scelto per incontrare il Suo popolo. Il canto è un’assicurazione semplice e bella della cura che Dio ha per il Suo popolo, in mezzo a tutti i pericoli non solo del pellegrinaggio verso Gerusalemme, ma del pellegrinaggio che è la stessa nostra vita.

LA PERSONA DEL PELLEGRINo

1. Conosce la sovranità di Dio. In primo luogo, questo credente che sale a Gerusalemme per adorare Dio, ci va perché riconosce la sovranità di Dio su ogni cosa e sulla sua stessa vita. Egli non crede perché questo gli convenga o gli comporti qualche tornaconto. Egli adora Dio perché questo è giusto e doveroso.

Dio è il Re dei re ed il Signore dei Signori, il Creatore, il Datore ed il Sostenitore della vita. Questo pellegrino sa che a Dio è dovuto ogni onore e gloria, perché tutto dipende da Lui. Certo la comunione con Dio comporta grandi benedizioni, ma questa per lui non è la cosa più importante. Si onora e si ringrazia Colui dal quale tutto dipende, Colui che ci ha fatto la grazia di chiamarci all’esistenza e di donarci la salvezza in Cristo. Questo pellegrino ubbidisce ai comandamenti di Dio perché sa che Dio ha diritto all’ubbidienza delle Sue creature e che in questo sta per lui ogni bene.

Noi non dobbiamo più fare alcun pellegrinaggio, né a Gerusalemme, né a Roma o in qualsiasi altro posto. Gesù disse alla Samaritana: “Gesù le disse: «Donna, credimi: l'ora viene che né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo; perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché tali sono gli adoratori che il Padre richiede” (Gv. 20:21-23). Iddio richiede “veri adoratori”, cioè creature che sanno qual è il loro posto e che adorano Dio “in spirito e verità” come il Signore Gesù ha loro insegnato.

2. Conosce sé stesso. In secondo luogo il nostro pellegrino, è implicito, conosce sé stesso. Egli sa di essere una creatura di Dio, non un dio a sé stesso. Sa che sarebbe assurdo pretendere di essere autonomo, autosufficiente. Rispetto alle altre creature, l’essere umano gode di grandi privilegi e libertà, ma mai indipendentemente da Dio. La vera libertà la si conquista nell’ambito della comunione con Dio. Qualsiasi altra cosa sarebbe una falsa ed illusoria libertà, un atto fondamentalmente autodistruttivo. Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Or lo schiavo non rimane sempre nella casa; il figlio invece vi rimane per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi sarete veramente liberi» (Gv. 8:34,35).

3. Dio si è legato a lui con un patto. In terzo luogo il nostro pellegrino è consapevole di essere membro di un popolo speciale, un popolo che appartiene a Dio, un popolo che Egli si è formato, affinché in questa umanità ribelle e peccatrice, fosse testimonianza di fede e di ubbidienza. Questo uomo fedele abita lontano da Gerusalemme, ma ogni anno, o quando gli è materialmente possibile, si reca in pellegrinaggio nella città santa per testimoniare la propria fede in Dio ed avvalersi delle risorse spirituali del tempio. Egli è legato a Dio, con l’intero Suo popolo, da un patto, un’alleanza, che egli intende onorare allo stesso modo in cui Dio è fedele alle promesse che ha fatto legandosi Egli stesso a questo patto. Un segno nel suo stesso corpo, un giuramento ed una promessa gli rammenta i suoi doveri. Per noi è il segno, il giuramento e le promesse sancite dal battesimo, le quali dobbiamo onorare.

4. Sa dove trovare le risorse necessarie per la sua vita. Notiamo come questo pellegrino vada a Gerusalemme perché è lì che può trovare le risorse morali e spirituali per vivere rettamente la sua vita. A Gerusalemme può trovare il tempio che Dio ha stabilito, dove sacrifici vengono a Lui offerti per il perdono dei suoi peccati. A Gerusalemme trova la principale scuola dove può apprendere ciò che riguarda Dio, sé stesso, la sua stessa vita, la sapienza necessaria per vivere con giustizia. Noi non dobbiamo più recarci a Gerusalemme, ma sappiamo che Dio ha stabilito, nella Sua grazia, i mezzi, le risorse necessarie per poter vivere con vera sapienza: nello studio della Bibbia, nella preghiera, personale e comunitaria noi possiamo trovare le risorse morali e spirituali per vivere una vita buona e giusta, veramente equilibrata. La Scrittura dice: “Poiché la sua divina potenza ci ha donato tutte le cose che appartengono alla vita e alla pietà, per mezzo della conoscenza di colui che ci ha chiamati mediante la sua gloria e virtù” (2 Pi. 2:3).

Squilibrati sono piuttosto coloro che vogliono vivere solo per sé stessi, così come il loro cuore comanda, in realtà “sballottati qua e là da ogni vento” e non con “i piedi saldamente poggiati sulla roccia”.

5. Sa che la stessa sua vita è un viaggio verso una “patria migliore”. Il pellegrino, però, è uno la cui prospettiva va molto al di là delle cose terrene. Per lui le cose di questo mondo sono relative. Guarda avanti, oltre ai molti di Gerusalemme, verso una patria migliore, quella celeste. In questa prospettiva anche le sofferenze del tempo presente gli sono più sopportabili e non dispera. Egli infatti, guarda più avanti degli altri. La lettera agli Ebrei dice: “Tutti costoro sono morti nella fede, senza aver ricevuto le cose promesse ma, vedutole da lontano, essi ne furono persuasi e le accolsero con gioia, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. Coloro infatti che dicono tali cose dimostrano che cercano una patria. E se avessero veramente avuto in mente quella da cui erano usciti, avrebbero avuto il tempo per ritornarvi. Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, perché ha preparato loro una città” (Eb. 11:13-16). Si, lo sguardo del fedele è fissato saldamente verso la sua meta finale, Gerusalemme, e Sion, il colle su cui era eretto il tempio, ma quelli sono ancora obiettivi limitati. Essi puntano più lontano ancora. Il pellegrinaggio non finisce a Gerusalemme.

La certezza del pellegrino

Il pellegrino si pone, così, una domanda: “Io alzo gli occhi ai monti: da dove mi verrà l'aiuto?“. A questa domanda con certezza egli sa rispondere: “Il mio aiuto viene dall'Eterno, che ha fatto i cieli e la terra”. La sua fede viene confermata dagli altri pellegrini o dai sacerdoti nel tempio, i quali proseguono il canto rassicurandolo della fedeltà di Dio verso il popolo a Lui legato da un patto.

1. Non si vergogna di chiedere aiuto. “Io alzo gli occhi ai monti: da dove mi verrà l'aiuto?“. Gerusalemme è posta su un colle che si eleva prominente alla vista di chi la raggiunge da fuori, e sulla sua sommità c’era il tempio. Guardando quel colle, il credente ha la certezza della presenza e disponibilità di Dio nei suoi riguardi, quella che era stata promessa, ma egli non si vergogna di sapere e dire di aver bisogno. Davide, in un altro Salmo, dice “Quanto a me, io sono povero e bisognoso, ma il Signore ha cura di me. Tu sei il mio aiuto e il mio liberatore; DIO mio, non tardare” (Sl. 40:17). Molti non chiedono mai: dicono di “aver paura di disturbare”. Sarà vero? E’ solo una questione caratteriale, oppure rivela carenze psicologiche profonde? Qui sta parlando Davide, il ricco e famoso Davide, uomo di successo. Eppure egli dice “Io sono povero e bisognoso”. Sa che sarebbe sciocco e folle affermare il contrario. C’è chi è nel bisogno e che si vergogna ad ammetterlo e a chiedere soccorso. “E’ un uomo orgoglioso” si dice di lui. Non c’è però nessuna virtù in questo “orgoglio”. E’ solo arroganza, presunzione. L’apostolo Paolo dice: “Infatti, per la grazia che mi è stata data, dico a ciascuno che si trovi fra voi di non avere alcun concetto più alto di quello che conviene avere, ma di avere un concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha distribuito a ciascuno” (Ro. 12:3).

2. Sa di poter godere di certezze. Il nostro pellegrino, e noi con lui, riceve in questo salmo preziose promesse, da parte di Dio, che gli permettono di avere certezze incrollabili. “Egli non permetterà che il tuo piede vacilli”. Oggi il nostro mondo ride di chi ha certezze. Si dice: “E’ dogmatico. E’ un fanatico”… Il nostro mondo oggi è privo di certezze e non vuole nemmeno avere delle certezze. Preferisce muoversi secondo l’impulso del momento, “decidere di volta in volta”, “secondo le circostanze”. La verità oggi sarebbe relativa… Ancora si tratta di una comoda scusa per il proprio disimpegno.

Il credente, però, non teme di avere certezze, se si tratta di verità rivelate dalla sapienza di Dio. La sapienza della Bibbia sfida secoli e millenni: sarebbe veramente sciocco e presuntuoso metterla in questione. “Egli non permetterà che il tuo piede vacilli” è un’immagine particolarmente appropriata della protezione accordatagli dal Signore. La terra di Israele è un terreno sassoso ed irregolare, sul quale facilmente si scivola. E come se dicesse: “Metterò il pio piede sul terreno sicuro e fermo se mi lascerò guidare dalla sapienza di Dio. Dio non permetterà che la mia determinazione sia ostacolata e frustrata”.

“Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchia e non dorme. L'Eterno è colui che ti protegge, l'Eterno è la tua ombra, egli è alla tua destra”. Magnifiche promesse, non è vero? Solo gli schernitori scettici possono negarne la realtà. Ricambiamo però loro il favore: “Mettiamo alla prova ciò su cui ciascuno di noi poggia le proprie certezze”. Come al tempo del profeta Elia che aveva sfidato i sacerdoti pagani di Baal. Potevano gridare fin che volevano, potevano appoggiarsi sul favore popolare e sui potenti di turno, ma le loro false divinità non avrebbero risposto, gli avrebbero fatti rimanere delusi. Il profeta Elia aveva deriso i profeti di Baal suggerendo loro sarcasticamente: «Gridate più forte perché egli è dio; forse sta meditando o è indaffarato o è in viaggio, o magari si è addormentato e dev'essere svegliato» (1 Re 18:27). Però… “colui che protegge Israele non sonnecchia e non dorme” (4). Dio non dorme mai, non c’è pericolo che il fedele sia dimenticato.

3. Sa di poter godere della protezione di Dio. Le espressioni finali di questo Salmo sono, come del resto tutta questa composizione, poetiche. Dice: “Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte. L'Eterno ti custodirà da ogni male; egli custodirà la tua vita. L'Eterno custodirà il tuo uscire e il tuo entrare ora e sempre”. A queste come ad altre simili espressioni della Bibbia lo scettico reagisce e ride con sarcasmo. “…ma quando mai? Il credente non è forse colpito tanto quanto gli altri dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte? Dov’è il suo Dio? Il male coglie anche lui, e lui non è affatto custodito dalla violenza. Potrà anche entrare ed uscire, ma, sia dentro che fuori casa, anche lui andrà incontro a pericoli di ogni genere e non verrà risparmiato. Che sono queste espressioni? Stupide illusioni, smentite dalla realtà”. Lo scetticismo ed il nichilismo della nostra epoca sono davvero sconfinati. La prospettiva del credente è però più vasta e più profonda di quella dell’incredulo. Egli, però, vede, ha la vista più acuta, e può vivere e morire con una speranza non lo delude.

Questo era l’atteggiamento che spingeva l’apostolo Paolo ad affermare: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà l'afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? Come sta scritto: «Per amor tuo siamo tutto il giorno messi a morte; siamo stati reputati come pecore da macello». Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati. Infatti io sono persuaso che né morte né vita né angeli né principati né potenze né cose presenti né cose future, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Ro. 8:35-39).

Quando un giorno Paolo stava parlando della sua fede in Cristo ad un uomo colto del suo tempo, questi gli dà del pazzo, “Ora, mentre Paolo diceva queste cose a sua difesa, Festo disse ad alta voce: «Paolo, tu farnetichi; le molte lettere ti fanno uscire di senno». Ma egli disse: «Io non farnetico, eccellentissimo Festo, ma proferisco parole di verità e di buon senno.” (At. 26:25).

Solo “parole di verità e di buon senno” sono quelle di coloro che seguono fedelmente il Dio di Gesù Cristo. Non farlo sarebbe follia: è una questione di prospettiva!

Conclusione

Il credente, dunque, “alza con fiducia gli occhi ai monti”, segno e simbolo della maestà di Dio, perché sa che da Dio proviene quell’aiuto ultimo che gli permette di essere veramente forte ed equilibrato come deve essere, in comunione con Dio, in questo mondo che Egli ha creato.

Le scuse non reggono, come le bugie che hanno le gambe corte. Si rivelano sempre patetiche giustificazioni del proprio disimpegno e negligenza. La comunione con Dio fatta di fede e di ubbidienza è essenziale per ogni essere umano non solo perché ne ha bisogno – sempre, anche quando lo vuole negare – ma perché a Lui è dovuto ogni onore e gloria.

«A colui che siede sul trono e all'Agnello siano la benedizione, l'onore, la gloria e la forza nei secoli dei secoli». Amen.

 

(Paolo Castellina, sabato 23 ottobre 1999. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991).

letture supplementari

1.     Introduzione: Salmo 75: Dio abbassa il superbo ed innalza il giusto.

2.     Prima lettura: Il re di Babilonia Nebukadnetsar, come spesso i re dell’antichità, ha ambizioni megalomani. Si crede egli stesso un Dio e pretende l’adorazione dei suoi sudditi. Dio, il legittimo sovrano dell’universo, ne viene così spodestato. Il giudizio di Dio sulle sue smodate ambizioni gli viene annunciato per bocca del profeta Daniele: Daniele 4:28-37.

3.     Seconda lettura: Nel libro degli Atti degli apostoli un certo Simone, detto il mago ritiene di poter sfruttare a proprio vantaggio economico, il dono dello Spirito Santo. Il suo intento viene smascherato e viene duramente redarguito dagli apostoli.