Quando sei scomodo e ti vorrebbero
"far fuori"
Introduzione
Il cristiano sa di essere chiamato dal suo Signore a vivere in questo mondo secondo i criteri buoni e giusti che Egli ci ha insegnato, a pensare, a parlare e ad agire come Gesù. Egli sa che mettere in pratica l'insegnamento della Bibbia è garanzia stessa della felicità e del benessere di tutti. Succede però che quando in questa società cerchi di fare il bene, di essere onesto e diligente nel tuo lavoro, perseguendo la giustizia e la dirittura morale, ben presto si incontreranno coloro a cui queste qualità danno fastidio e cercheranno così di "farti fuori".
Fra i ragazzi, chi cerca a scuola di essere diligente viene considerato "un secchione" e chi sente il dovere di andare regolarmente in chiesa "un santarellino". Nella migliore delle ipotesi ti prenderanno in giro. Succede anche talvolta fra gli adulti nel posto di lavoro. Ho sentito recentemente la testimonianza di un credente che mi ha detto: "Nel mio ufficio sono l'unico ad essere credente. Cerco di far bene il mio lavoro e di rispettare il padrone con umiltà e semplicità. Non dico parolacce e non parlo di sesso come gli altri. Il fatto stesso però che io voglia essere corretto in ogni cosa fa si che i miei colleghi di lavoro mi prendano in giro e mi trattino male, che mi rendano il capro espiatorio delle loro mancanze e delle loro negligenze. Non faccio assolutamente pesare il fatto di essere credente. Non sopportano però il fatto che io sia diverso da loro. La mia stessa presenza diventa per loro un atto di accusa per la loro coscienza. Che cosa debbo fare? Nient'altro che sopportare in silenzio e pregare che Dio tocchi il loro cuore. Come cristiano non ho altra alternativa che essere ciò che Dio vuole da me". E' la situazione che troviamo nel capitolo 6 di Daniele.
Esposizione di Daniele 6
In questa serie di predicazioni stiamo scorrendo i primi sei capitoli del libro biblico di Daniele. Daniele, in esilio in Babilonia insieme ai suoi fratelli e sorelle in fede, il popolo di Dio, non solo permane fedele alla fede dei suoi padri in un ambiente pagano e spesso ostile, ma, eccellendo in sapienza ed in rettitudine, acquisisce in Babilonia stessa un ruolo importante fino ad essere contato fra i consiglieri ufficiali dei regnanti ("capo dei maghi degli astrologi, dei Caldei e degli indovini" , 5:11). Serve così i babilonesi, sotto il regno di Nebukadnetsar e poi del figlio Beltshatsar. Le sorti politiche dell'impero babilonese però cambiano, siamo al sesto capitolo. Giungono al potere i Medi ed i Persiani (cosa per altro che egli aveva predetto, 5:28). Anche i nuovi arrivati si avvarranno ed apprezzeranno i suoi doni e ministero.
1. Daniele al servizio di re Dario. Dario (re dei Medi e dei Persiani) riconosce le qualità di Daniele, che era stato al fedele servizio come consigliere di Nebukadnetsar e del figlio Beltshatsar e lo pone fra i tre prefetti che soprastavano ai 120 satrapi che amministravano le province del regno. I satrapi dovevano rendere conto a questi prefetti e garantire gli interessi di Dario (1,2). Non solo questo, ma il re "pensava di stabilirlo su tutto il regno" (3c).
2. Le qualità di Daniele. Quali erano le qualità di Daniele? La regina, moglie di Beltshatsar, aveva già affermato di lui: "C'è un uomo nel tuo regno, in cui è lo spirito degli dèi santi; e al tempo di tuo padre si trovò in lui luce, intendimento e sapienza simile alla sapienza degli dèi … fu trovato uno spirito straordinario, conoscenza, intendimento, abilità nell'interpretare i sogni, spiegare enigmi e risolvere questioni complicate" (5:11,12).
a. "Eccelleva sugli altri prefetti e satrapi" (3a). Daniele eccelle in ciò che Egli compie nei compiti che professionalmente gli sono stati affidati, non per la propria gloria, ma per la gloria di Dio, affinché Dio sia esaltato e magnificato attraverso la sua diligenza. E' quello che pure ci insegna il Nuovo Testamento: "E qualunque cosa facciate, in parola o in opera, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui" (Cl. 3:17). "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun'altra cosa, fate tutte le cose alla gloria di Dio" (1 Co. 10:31).
b. "In lui c'era uno spirito superiore" (3b). La benedizione di Dio su Daniele non era limitata al suo benessere fisico, ma includeva un notevole sviluppo intellettuale e notevoli qualità spirituali. In lui era presente lo Spirito di Dio. Colui nel quale lo Spirito di Dio dimora porta in sé stesso una somiglianza di fondo col carattere stesso di Dio. Del Suo discepolo fedele Gesù dice: "Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla" (Gv. 15:5). "…quanto a voi, l'unzione che avete ricevuto da lui dimora in voi e non avete bisogno che alcuno v'insegni; ma, come la sua unzione v'insegna ogni cosa ed è verace e non è menzogna, dimorate in lui come essa vi ha insegnato" (1 Gv. 2:27).
c. "Egli era fedele" (4d). La fedeltà è la diligente osservanza di tutti gli impegni presi. Daniele era leale, degno di fiducia, veritiero, diligente e giudizioso in ciò che era chiamato a fare. Al giovane Timoteo, l'Apostolo scrive: "Nessuno disprezzi la tua giovinezza, ma divieni esempio ai fedeli nella parola, nella condotta, nell'amore, nello Spirito, nella fede e nella castità" (1 Ti. 4:12).
d. "Non si poteva trovare in lui alcun errore o corruzione" (4e). La società umana lontana da Dio è caratterizzata da decadimento morale, perversione della giustizia per interesse privato e i illecito guadagno. C'è diffusa disonestà, la negligenza dei propri doveri per guadagno, tornaconto, o altro. La Scrittura dice: "Lo stolto ha detto in cuor suo: "DIO non c'è". Sono corrotti, fanno cose abominevoli; non c'è nessuno che faccia il bene. DIO guarda dal cielo sui figli degli uomini, per vedere se vi sia qualcuno che abbia intelletto e cerchi DIO. Si sono tutti sviati, sono divenuti tutti corrotti; non c'è nessuno che faccia il bene, neppure uno" (Sl. 53:1-3).
3. La gelosia di chi serve solo i propri interessi. I prefetti e i satrapi, gelosi di Daniele ed irritati dalla sua rettitudine che impedisce loro di fare "i loro sporchi affari", cercano, così, qualche motivo per toglierselo di mezzo, cercando dei pretesti per farlo incriminare (4a). Non sopportano la sua rettitudine. E' come se avessero detto: "Se scaviamo bene nella sua vita, si dovrà per forza trovare qualche motivo per contestarlo", "ma non poterono trovare alcun pretesto o corruzione" (4b).
a. Non trovano alcuna disonestà, "riguardo all'amministrazione del regno" (4b). Avrebbero potuto accusarlo falsamente, ma non riescono a produrre prove alcune, ma il suo lavoro egli lo svolge in modo ineccepibile.
b. Magari potrebbero trovare incoerenze riprensibili "nella legge stessa del Suo Dio" (5b) o sfruttare la sua nota fedeltà a Dio. Il suo impegno verso il Dio di Israele e la sua pietà erano visibili. Non ne aveva mai fatto mistero, anche nella pagana Babilonia, e certo non se n'era mai vergognato! Riconoscono così che la sua "antipatica" dirittura morale è fondata nell'ubbidienza al suo Dio. Essi invece, pensavano solo ai propri interessi, non avevano alcun interesse ultimo superiore nella loro vita se non servire i loro interessi privati. Erano politicanti ambiziosi al servizio solo di sé stessi. Essi erano come il giudice iniquo della parabola di Gesù: "che non temeva Dio e non aveva rispetto per alcun uomo" (Lu. 18:2).
4. Il complotto ("Si radunarono tumultuosamente" 6a). I prefetti ed i satrapi allora decidono allora di operare furbescamente: creare apposta una legge pretestuosa su misura che costringa Daniele a dover scegliere fra la fedeltà al suo Dio e la fedeltà al re Dario, il cui sigillo sarà posto a questa legge. Sarà "un editto reale e un fermo decreto" (7a).
a. Il decreto consiste nel conferire dignità divina al re ed a costituirlo come oggetto unico del culto per chiunque. La fedeltà al re deve superare quella rivolta a chiunque altro "un editto reale e fare un fermo decreto, in base ai quali chiunque durante trenta giorni rivolgerà una richiesta a qualsiasi dio o uomo all'infuori di te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni" (7b). Dario non aveva mai preteso per sé dignità divina, come altri tiranni fanno. I prefetti ed i satrapi lo convincono che questa è la cosa da fare, che un dominio "intelligente" lo esiga (è un instrumentum regni), appunto per consolidare il suo dominio ancora recente. "Il re Dario quindi firmò il documento e il decreto" (Da. 6:9). Probabilmente alle rimostranze del re, questi lo convincono a decretarla per la durata di trenta giorni soltanto (7b), probabilmente come prova di fedeltà dei suoi sudditi, pena la morte (i trasgressori dovranno essere gettati in pasto ai leoni).
b. Questa legge, come qualunque altra allora, avrà un carattere irrevocabile. Le leggi dei Medi e dei Persiani erano diventare famose (le evidenze a questo riguardo sono anche extra - bibliche) per il loro carattere inflessibile, leggi che non ammettevano né eccezione né grazia, irrevocabili persino dall'autorità del re stesso. Ipocritamente proprio coloro che non servivano altro che i loro interessi privati e che si distinguevano per circuire la legge, si fanno rigorosissimi difensori della legge.
5. La priorità del culto. Daniele, però, non ha dubbi su ciò che dovrà fare: la sua fedeltà a Dio va al primo posto, costi quel che costi. Costretto a scegliere, sceglie il valore ultimo del culto da rendersi al Dio vivente e vero. Questo culto non poteva essere "sospeso" per ragioni opportunistiche, neanche per trenta giorni, anche quando farlo era stato considerato crimine capitale. Daniele rende culto a Dio (10):
a. "In casa sua… nella sua camera superiore" . Daniele ha un rapporto personale e privato con Dio. "Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta, chiudi la tua porta e prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà pubblicamente" (Mt. 6:6). Qualche volta da solo, e qualche volta con la sua famiglia, il culto per lui era questione solenne. La sua era una casa di preghiera. Qualcuno disse: "Dovunque c'è una tenda, Dio deve avere il Suo altare, e su esso dobbiamo offrire sacrifici spirituali".
b. "con le sue finestre aperte verso Gerusalemme. La vista del cielo visibile avrebbe ispirato il suo cuore di timore e di sommo rispetto. Gerusalemme, la santa città, allora in rovine, significa l'affetto che egli aveva per il luogo in cui Dio scelse di rivelarsi. "Poiché i tuoi servi hanno affezione alle sue stesse pietre e hanno pietà della sua polvere" (Sl. 102:14). Le nostre "finestre" sono aperte alla preghiera? Quelle di Daniele lo erano.
c. "tre volte al giorno". Daniele adorava Dio con regolari atti di culto, "com'era solito fare", cioè le sue abitudini di preghiera erano di dominio pubblico e certo non se ne vergognava. E' bene avere i nostri propri regolari momenti di preghiera, non per legarci, ma per impegnare la nostra coscienza, e se mangiamo tre volte al giorno, non vorremmo altrettanto servire la nostra anima?
d. "si inginocchiava". L'intero suo corpo era in atteggiamento di sottomissione ultima a Dio. La posizione consueta della preghiera israelita era in piedi, ma inginocchiarsi, segno di umiltà, avveniva in circostanze di particolare solennità (Sl. 95:6: Lu. 22:41; At. 7:60; 9:40). In ginocchio e una posizione implorante, e noi veniamo a Dio come mendicanti.
e. "pregava e rendeva grazie al suo Dio". La preghiera si confà a chi appartiene al popolo di Dio. "pregava e supplicava il suo Dio" (11b).
f. "com'era solito fare prima". Non c'è nulla che possa far desistere Daniele dall'adempiere ai suoi doveri verso Dio.
6. Finalmente colto in fallo! I prefetti ed i satrapi , non perdono tempo, sono così subito pronti a "cogliere in fallo" Daniele, "accorsero tumultuosamente" (11a), proprio quando sanno che egli si raccoglie in preghiera.
a. "Denunciano" quindi Daniele, che "non mostra alcun riguardo per te, o re, o per il decreto che hai firmato" (13).
b. Manipolano e signoreggiano anche il re che, ragionevolmente, vorrebbe concedere grazia, liberare, Daniele.
c. Il re Dario pure è costretto così a proteggere la sua sovranità non smentendo né contraddicendo la sua sovranità, e per non essere accusato di parzialità.
7. Daniele spacciato? "Legalmente" gettato nella fossa dei leoni, Daniele sembra così spacciato, i suoi avversari hanno vinto. Essi possono, però, manipolare ogni cosa sulla terra, ma non riescono, con i loro giochetti, a piegare Dio ai loro privati interessi.
a. Il re Dario riconosce di essere stato "incastrato", ma spera che altrettanto non si possa fare con Dio. "Il tuo Dio, che tu servi del continuo, sarà egli stesso a liberarti" (16). Si rende conto che il Dio di Daniele non è un "dio di comodo", muto ed impotente, che la religione di Daniele ha essa pure una qualità molto più superiore. Dario così spera che Dio solo possa far prevalere la giustizia. Lascia a Dio ora il compito di liberarlo e di vendicarlo.
b. Naturalmente Dario è molto rattristato per la sorte di Daniele, che stima ed ama. " il re si ritirò nel suo palazzo e passò la notte digiunando, non fu portato davanti a lui alcun musicista e anche il sonno lo abbandonò" (18). Il Dio che ha servitori così retti e fedeli potrebbe mai abbandonare il Suo servo? Fino all'ultimo egli spera di no: "Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio, che tu servi del continuo ha potuto liberarti dai leoni?"I (20).
8. L'innocenza affermata, la giustizia trionfa. Dio non ha abbandonato, però, il Suo fedele servo e dice: "Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le bocche dei leoni, ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma anche davanti a te, o re, non ho fatto alcun male" (22).
a. Daniele ode e riconosce la voce del re, non se la prende con lui, ma lo perdona di cuore. " O re, possa tu vivere per sempre!" (21).
b. "Daniele fu tirato fuori dalla fossa e non si trovò su di lui alcuna lesione, perché aveva confidato nel suo Dio" (23). Dario poteva tirare fuori Daniele senza pregiudizio, perché la sentenza era stata comunque eseguita (…non la morte, ma l'essere gettato ai leoni). Ciò che la legge esige è stato soddisfatto, ma non gli accusatori di Daniele. Dio si prende cura di chi Gli è fedele.
c. I responsabili del complotto vengono così smascherati e duramente condannati (24) alla stessa pena che volevano comminare a Daniele.
9. Il trionfo di Dio nelle espressioni del re Dario: "Io decreto che in tutto il dominio del mio regno si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno. Il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio non avrà mai fine. Egli libera, salva, e opera segni e prodigi in cielo e sulla terra; è lui che ha liberato Daniele dal potere dei leoni" (26,27).
a. Come nei racconti precedenti Dio manifesta il Suo sovrano controllo sulla natura e sulla storia, sui regni e sui re. Il decreto è eloquente testimonianza "al Dio vivente" ed al Suo indistruttibile regno.
b. Tutti dovranno "tremare di fronte a Dio e temerlo". Questo non riflette necessariamente fede personale da parte di Dario, infatti non si esige che essi Lo amino e confidino in Lui abbandonando i loro idoli per rendere a Lui soltanto il loro culto.
c. "Temere Dio" è però convenevole:
i. Egli è trascendente.
ii. Il Suo governo incontestabile.
iii. Il Suo Essere e governo sono immutabili.
iv. Egli è in grado di far rispettare tale Sua autorità.
v. Egli ne ha dato prova liberando Daniele.
Conclusione
Ecco dunque la testimonianza di un membro del popolo di Dio che, coerente con quanto Iddio ci insegna ed è confacente per chi appartiene a Lui, dà gloria a Dio in tutto ciò che è e compie. Coltiva la comunione con Dio e questo è per lui la fonte della sua rettitudine di fronte al mondo. La sua coerenza lo porta in conflitto con quanti, in questo mondo, "amano le tenebre più che la luce" e per questo soffre. Per chi appartiene al popolo di Dio, però, non c'è alternativa all'ubbidienza, costi quello che costi. E' stata pure la sorte del suo Maestro, Gesù. Sarà però il Signore alla fine a vendicarlo ed a far prevalere la giustizia. Il Signore Gesù è risorto ed alla fine tornerà per rendere a ciascuno ciò che merita.
Daniele, però, non era un super uomo: era uno come noi che, membro del popolo di Dio, faceva "semplicemente" il suo dovere davanti a Dio e davanti al mondo. Non era "perfetto" ma fare questo era l'obiettivo della sua vita. Lo Spirito Santo, invocato da lui e dimorante in lui era Quello che gli avrebbe fatto superare paure, peccati, incoerenza e debolezze. Lo stesso vale per noi, se Dio ci ha chiamato a far parte del Suo popolo. Nessuno pensi di non esserne all'altezza. Iddio ci dà tutti gli strumenti necessari per essere come Daniele. La presenza di uomini come Daniele nella nostra società le fa del bene, anche se molti lo vorrebbero negare, ma, come dice il profeta Ezechiele: "Anche se nel suo mezzo ci fossero questi tre uomini, Noè, Daniele e Giobbe per la loro giustizia salverebbero unicamente se stessi", dice il Signore, l'Eterno" (Ez. 14:14).
(Paolo Castellina, sabato 21 novembre 1998.
Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla
versione Nuova Diodati, ediz. La Buona Novella, Brindisi, 1991).