La potente efficacia dell'Evangelo di Gesù Cristo


L'arte di riassumere

Avete mai provato a riassumere, a condensare in poche frasi il contenuto di una conferenza che avete udito, di un libro che avete letto, di un film che avete visto, di un'esperienza che avete fatto? Riassumere, condensare, sintetizzare, è un'arte difficile. Sono pochi coloro che hanno "capacità di sintesi": a queste persone viene spesso chiesto di redigere verbali di riunioni, e sono sempre più richieste. La gente oggi, infatti, non sembra più essere in grado di soffermarsi a leggere o ad ascoltare per lungo tempo, a riflettere con attenzione: vuole cose veloci, rapide; dice di non avere più tempo…

Tutto questo, però, comporta grossi rischi. Vi sono poche cose che siano più insoddisfacenti e pericolose che dei piccoli libri, affermazioni abbreviate di grandi temi. Eppure la sapienza di Dio ha ispirato all'apostolo Paolo una sola frase che davvero condensa il contenuto e la dinamica della stupefacente opera redentrice che Dio ha compiuto per la salvezza dell'umanità perduta. Quel grande Evangelo che riempie tutta la Bibbia e straripa in intere biblioteche teologiche ci viene qui mostrato, senza danno alcuno al suo effetto dinamico, nell'ambito di un'unica frase che anche la persona più semplice può capire e che la persona più profonda non può esaurire. L'affermazione è questa:

"Io non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Ro. 1:16).

Questo testo esprime non tanto il contenuto, ma gli effetti, la grande efficacia dell'Evangelo di Gesù Cristo quando viene applicato diligentemente. Paolo conosce per esperienza la grande efficacia, la potenza di questo Evangelo. Per questo anela di portarlo nella grande metropoli di Roma, che allora era la mecca della civiltà e della cultura moderna. Egli scrive infatti ai cristiani di Roma: "chiedo sempre nelle mie preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi" (Ro. 1:10), e ancora: "sono pronto ad annunziare il vangelo anche a voi che siete a Roma" (Ro. 1:15). Il suo atteggiamento e condotta era dettato da un'unica cosa: gli effetti prodotti fino ad allora dall'Evangelo di Gesù Cristo, effetti che non mancheranno di farsi sentire ancora non appena esso sarà diffuso con forza anche in quella città.

Queste parole dell'apostolo manifestano i potenti effetti dell'Evangelo, prima di tutto in:

1. Un atteggiamento di personale fiducia nell'Evangelo

Paolo esprime un atteggiamento di grande fiducia nell'Evangelo. E' senza dubbio meraviglioso come Paolo possa parlare con tale assoluta fiducia e persuasione non vedendo l'ora che il nome disprezzato di Cristo diventi incomparabilmente più potente di quello di Cesare, quando le verità che avevano il loro centro nella croce, avrebbero prevalso su tutto lo sfarzo e l'orgoglio intellettuale del mondo antico.

La forma negativa dell'affermazione con la quale egli dichiara questa sua fiducia, "Io non mi vergogno dell'Evangelo", serve solo per sottolineare con maggiore forza la natura positiva della sua affermazione. Il senso che essa comunica non è che l'apostolo non avesse vergogna di proclamare questo Evangelo a Roma, ma che l'avrebbe proclamato con fierezza. In effetti, questa sua affermazione significa: "Io sono pronto ad annunciare l'Evangelo a Roma perché sono fiero dell'Evangelo".

Perché ne andava così fiero? Per diversi motivi.

(a) Paolo aveva trovato nell'Evangelo una filosofia di vita soddisfacente. Nell'Evangelo egli aveva trovato una spiegazione adeguata dei grandi enigmi della condizione umana - il peccato, la sofferenza, e la morte. Attraverso l'Evangelo, egli sapeva che il peccato, con tutti i suoi complessi diversi e distruttivi, era stato affrontato con efficacia e risolto con la croce di Cristo. Dall'Evangelo egli aveva appreso che la sofferenza - frutto e risultato della peccaminosa disubbidienza umana - avrebbe potuto essere correttamente compresa e pazientemente sopportata, solo se fosse stata considerata alla luce delle sofferenze di Gesù, perché là erano state manifestate la compassione, la cura, l'amore e la giustizia del Dio trino. Nell'Evangelo Paolo poteva tracciare il trionfo di Gesù sul terrore che incute la morte. Là, nella risurrezione del Dio-uomo, egli poteva apprendere l'eterna verità che "Dio è vita".

Nell'Evangelo, così, Paolo aveva trovato una filosofia di vita che non aveva timore di diffondere persino nei circoli intellettuali di quella città, così permeata di rinomate filosofie che a tutt'oggi il mondo stima. Paolo aveva una filosofia che poteva dare contenuto, proposito e significato alla vita nella sua totalità e che egli era disposto a contrapporre a qualsiasi altra filosofia che Roma potesse offrire.

(b) Paolo aveva fiducia nell'Evangelo che annunciava perché era davvero una buona notizia. Le religioni di Roma - e Roma ne aveva davvero tante - non avevano alcuna buona notizia da portare alla gente. Somma e sostanza del loro messaggio, rivolto all'umano istinto religioso, era quello di esigere prove e paure. Gli dei dovevano essere propiziati e "tenuti buoni"; era duro conquistarsi il loro favore, era difficile conquistarsi le loro benedizioni. Uomini e donne dovevano percorrere la loro vita inciampando disperati nel buio e spesso i loro affari erano determinati dai capricci di divinità prive di compassione ed insensibili. La religione romana adorava una molteplicità di dei, così tanti e vari da confondere e frustrare coloro che si sforzavano di vivere una vita religiosa.

Sospende così che da tutto questo risultasse solo ateismo, agnosticismo ed immoralità? Se mai un posto aveva avuto bisogno della "buona notizia" che Paolo portava, era proprio la grande ed imperiale città di Roma. E' proprio in questo ambiente che Paolo era fiero di portare il suo Evangelo, perché sapeva che sarebbe stato un messaggio efficace. Era un messaggio al riguardo di un Dio personale e vivente, un Dio che aveva cura del Suo popolo e che amava, l'unico che avrebbe portato speranza, pace e benedizione nella situazione umana priva di pace e di speranza.

(c) Inoltre, la fiducia che Paolo aveva in questo Evangelo era nel fatto che esso era centrato in Gesù. Non era l'Evangelo di Paolo, ma l'Evangelo di Cristo. Il suo messaggio non era uno che egli avesse dovuto prepararsi da solo, ma uno che gli era stato rivelato. Il suo insegnamento s'incentrava non tanto su una serie di princìpi, sebbene questi ne conseguissero, ma su una Persona vivente. Il suo messaggio ed il suo contenuto sarebbe stato a Roma lo stesso che egli aveva annunciato a Corinto: "Gesù Cristo e lui crocifisso" (1 Co. 2:2).

La realtà oggettiva che giace al centro dell'Evangelo - la persona di Gesù Cristo, era proprio il fattore che dava autenticità ed autorità al messaggio che Paolo doveva dichiarare. Il Suo messaggio riguardava una persona. Togliete Gesù dall'Evangelo che Paolo annuncia e non avrete più alcun Evangelo. Togliete dal messaggio cristiano l'incarnazione, la crocifissione e la risurrezione, ed allora non avrete più alcun messaggio cristiano. Paolo però conosceva Cristo, e proprio perché Lo conosceva, egli sapeva che il messaggio che predicava era vero. Paolo non aveva vergogna di predicarlo, anche a Roma, perché era la verità.

Questa personale fiducia che Paolo aveva è esattamente ciò che rende forte e sicuro qualsiasi predicatore dell'Evangelo, come pure ogni cristiano attraverso i secoli. Il fatto che sia esattamente così, mette voi e me di fronte a queste domande: Abbiamo noi oggi la stessa suprema e personale fiducia nell'Evangelo?

E' esso la filosofia di fondo della nostra vita? Si è esso per noi comprovato essere davvero "buona notizia"? Ci ha esso personalmente rivelato il Cristo, che ne è unico tema?

Avendo ora dato uno sguardo agli effetti che la prima frase del nostro testo manifesta nel contesto della vita dell'apostolo - il suo atteggiamento di personale fiducia nell'Evangelo, troviamo che la frase seguente: "perché esso è potenza di Dio per la salvezza" ci presenta la ragione per la quale la fiducia dell'apostolo fosse così incrollabile. Questa ragione la esprimeremo nel nostro secondo punto.

2. Una testimonianza della sua personale esperienza dell'Evangelo

Qui Paolo delinea la dinamica che è in grado di realizzare il più grande effetto che l'Evangelo comporta in chi lo accoglie: la salvezza dalla morte e dal castigo eterno.

Come faceva Paolo a sapere che l'Evangelo avesse questa forza? Lo sapeva perché di questo Evangelo Paolo ne aveva fatto l'esperienza; perché questo Evangelo era la potenza che lo aveva accecato, reso umile e afferrato sulla via di Damasco; un Evangelo che aveva avuto su di lui un effetto così radicale, da trasformarlo da Saulo, il persecutore di Gesù, a Paolo, il predicatore di Cristo.

Era stata la potenza che aveva cambiato il modo in cui vedeva sé stesso. Prima considerava sé stesso "quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile" (Fl. 3:6), poi non solo un peccatore, ma il primo fra i peccatori (1 Ti. 1:15). Era la potenza che aveva infranto la presunzione religiosa che prima aveva: confidare nella propria giustizia, e che lo aveva costretto ad implorare la misericordia di Dio in Cristo. Quella stessa potenza era stata la prova più grande della misericordia di Dio.

Paolo non solo aveva fatto esperienza di questa dinamica nella sua vita ma, in seguito alla predicazione di quello stesso messaggio che egli aveva iniziato a fare, aveva visto la potenza dell'Evangelo nella vita di altri. Egli lo aveva visto all'opera nella vita di Lidia, il cui cuore era stato "aperto". L'aveva vista all'opera nell'esperienza del carceriere di Filippi e nella vita di innumerevoli altre persone. Egli aveva provato come questo Evangelo fosse davvero una potenza, la dinamite stessa di Dio, per la salvezza dei peccatori.

Qui sorge la questione al riguardo di ciò che Paolo intendesse quando parlava di "salvezza". Qual era la salvezza che l'Evangelo era così potente da realizzare? La salvezza che esso operava era triplice.

(1) Questa salvezza liberava dalla colpevolezza che rende una persona passibile di condanna da parte di Dio. Il suo Evangelo insegnava che Cristo aveva compiuto un'efficace espiazione per tutti i peccati, passati, presenti e futuri, di tutti coloro che avrebbero creduto nel Suo nome. La Sua morte aveva operato una riconciliazione fra Dio e un mondo perduto e ribelle, e su tale base di redenzione e riconciliazione, Dio avrebbe perdonato il peccato e, con giusta equità, giustificare il peccatore.

(2) Questa salvezza significava la liberazione dal potere e dal dominio del peccato sulla vita. Il peccato non avrebbe più dominato su tutti coloro che si fossero sottoposti alla potenza di questa salvezza, avessero ubbidito alle sue affermazioni e trovato pace nelle sue promesse. Un nuovo principio vitale sarebbe stato innestato in loro ed avrebbe suscitato il desiderio di conoscere ed essere in comunione con Dio e di essere santi, laddove prima essi avevano conosciuto solo desideri egoistici e peccaminosi.

(3) Questa salvezza significava essere liberati dalla giusta condanna che Dio infliggerà a chiunque sia in condizione di peccato. Il peccato verrà punito, e a meno che in una persona questo non sia stato "preso in carico" dalle sofferenze di Colui che aveva preso il posto del peccatore, morendo sulla croce del Calvario, il peccatore ne condivide tutte le conseguenze, e per l'eternità. Uno degli effetti più straordinari dell'Evangelo è la rimozione della sentenza di futuro castigo, ciò che la Bibbia chiama: la maledizione della legge. Essa è stata rimossa perché è stata trasferita - accreditata, o imputata - alla Persona di Gesù. Egli è stato reso per noi maledizione, Egli ha portato la nostra maledizione. Ecco in che modo Egli ha operato salvezza ed è divenuto il Salvatore di coloro che a Lui si affidano. Così facendo, Egli ha fornito una piena liberazione dalla giusta ira di Dio sul peccatore.

A questo punto il testo ci fornisce un'altra importante serie di domande personali. Abbiamo noi fatto esperienza della dinamica potenza dell'Evangelo? Gli effetti salvifici di quella potenza sono evidenti nella nostra vita? Conosciamo noi la pace che deriva dal sapere che i nostri peccati sono perdonati? E' stato infranto nella nostra vita il potere del peccato? Abbiamo la certezza che il verdetto che sarà pronunciato a nostro riguardo al Giudizio finale sarà "entra nella gioia del tuo Signore" e non "gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti"?

Se la nostra risposta a queste domande non è affermativa, che il solo conforto di questo testo sia per noi il fatto che esso parla di un Evangelo che è potente, anzi, che è l'unica potenza che possa realizzare quel cambiamento salvifico che deve avvenire nella nostra vita. Il nostro testo rende chiaro che Evangelo non è una parola che possa lasciarci indifferenti ed inattivi: essa è una "carica esplosiva" che, quando è posta sotto i massi che sono di ostacolo ad una vita piena e significativa, e viene accesa la sua miccia, essi si sbriciolano liberandocene.

Possiamo così chiederci: "Che dovrò allora fare?". La risposta la troviamo chiara nell'ultima frase del nostro testo. L'Evangelo di Gesù Cristo diventa potente per salvarci ed ha i suoi meravigliosi effetti, nel contesto della situazione umana, "…per la salvezza di chiunque crede". Questo ci porta a considerare.

3. Farla nostra attraverso la fede nei benefici dell'Evangelo

Abbiamo visto quali siano stati gli effetti dell'Evangelo sull'apostolo, la sua fiducia in questo annuncio. Abbiamo pure visto perché fosse così fiducioso nell'Evangelo che annunziava - perché è il potere salvifico di Dio e produce effetti dinamici. Abbiamo qui pure, però, il modo in cui questi effetti, o benefici si applicano, potentemente, all'individuo. E' per fede. Per fede questa potenza diventa efficace nella vita di uomini e di donne.

Il solo modo in cui possiamo avvalerci di questa potenza, di questa dinamica salvifica, è affidandoci totalmente al Signore Gesù Cristo. E' lo stesso Gesù che spiega questo fatto di potenza attraverso la fede quando dice: " Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv. 11:25). L'apostolo, rispondendo alla domanda del carceriere di Filippi (forse la stessa domanda che è nella vostra mente ora): "Che devo fare per essere salvato?", diede la risposta: "Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia" (At. 16:31). Credere, in questo senso, è cessare dal pensare di poterci salvare da soli e trovare la nostra pace più completa affidando noi stessi all'opera finita, completa, e perfetta del Signore Gesù Cristo.

Notate l'estensione di questa promessa: la salvezza è per tutti coloro che credono. Ogni tipo di persona, di ogni età, nazione e lingua è abbracciato da essa. Nell'Evangelo non vengono poste né qualifiche né limiti, nessuna restrizione. E' per tutti. L'unica limitazione è questa: è per tutti coloro "che credono". Non importa chi tu sia o che cosa tu sia, non importa quanto buono o cattivo tu sia, l'unica cosa che viene richiesta per farti possedere questa potente salvezza è che voi affidiate voi stessi a Cristo come vostro Salvatore e Signore.

In conclusione, il testo esige che vi faccia una domanda finale: Avete creduto in questo modo? Un Evangelo di tale potenza esige il vostro verdetto. Che il verdetto sia l'accettazione senza riserve e di tutto cuore del messaggio che esso porta. Chiedete al Signore Iddio quella fede che vi faccia aggrappare con forza a Cristo e che porti nella sua orbita la potenza e la dinamica di Dio a vita eterna.

Se ancora non avete creduto in questo modo e non intendete farlo, vi chiedo di pensare alle inevitabili conseguenze. Dove non c'è questa fede non vi è potenza; dove non vi è potenza non vi è salvezza; e se siete in questa categoria ripeterò senza scusarmene ciò che Dio afferma: "Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza" (2 Ts. 1:9).

Affidarvi ora al Signore Gesù comporta lo stesso effetto avuto sull'apostolo Paolo e su chiunque abbia così creduto. Allora anche voi sarete in grado di fare vostre le parole di questo versetto e dire: "Io non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede".

(Paolo Castellina, sabato 2 maggio 1998. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione "Nuova Riveduta", edizione Società Biblica di Ginevra, 1994).


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