Il nostro mondo è pieno di quelli che sono definiti "gravi squilibri": popoli ricchi e popoli poveri, gente ricca che spende e spande senza ritegno e gente che è disperata perché non ha abbastanza per vivere. No, non siamo "tutti uguali". C'è chi giustifica questa situazione e chi se ne scandalizza reagendo e lottando per un mondo giusto e solidale.
Neanche spiritualmente davanti a Dio siamo tutti uguali: vi è gente incamminata verso un destino radicalmente diverso dagli altri, e non vi sarà alcun livellamento finale, alcun grande "colpo di spugna" o salvezza a buon mercato, come qualcuno si illude che vi sia o persino predica: ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato.
La seguente parabola del Signore Gesù è molto chiara a questo riguardo: è la parabola "del ricco e di Lazzaro", vangelo di Luca, capitolo 16. Ascoltiamola:
"Or vi era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e bisso, e ogni giorno se la godeva splendidamente. Vi era anche un mendicante chiamato Lazzaro, che giaceva alla sua porta tutto coperto di piaghe ulcerose e desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco, e perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Or avvenne che il mendicante morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu sepolto. E, essendo tra i tormenti nell'inferno, alzò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno. Allora, gridando, disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito per rinfrescarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma. Ma Abramo disse: "Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita e Lazzaro similmente i mali; ora invece egli è consolato e tu soffri. Oltre a tutto ciò, fra noi e voi è posto un grande baratro, in modo tale che coloro che vorrebbero da qui passare a voi non possono; così pure nessuno può passare di là a noi. Ma quello disse: "Ti prego dunque, o padre, di mandarlo a casa di mio padre, perché io ho cinque fratelli, affinché li avverta severamente, e così non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Abramo rispose: "hanno Mosè e i profeti, ascoltino quelli". Quello disse: "No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno". Allora egli gli disse: "se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti" (Luca 16:19-31).
Il messaggio dell'Evangelo presenta due aspetti, corrispondenti al carattere stesso di Dio. In primo luogo esso è un messaggio di amore e di misericordia. Iddio vuole salvare per l'eternità chi, dopo essersi ravveduto dei suoi peccati, si affida alla Persona ed all'opera del Signore Gesù. Questo può essere rappresentato dalla parabola del figliol prodigo.
In secondo luogo l'Evangelo rivela l'inappellabile e giusto giudizio di condanna da parte di Dio contro ogni persona impenitente ed ogni ingiustizia, com'è scritto: "Perché l'ira di Dio si rivela dal cielo sopra ogni empietà e ingiustizia degli uomini, che soffocano la verità nell'ingiustizia" (Ro. 1:18), e questo può essere rappresentato dalla parabola che avete udito.
Questa parabola è diversa dalle altre che Gesù racconta: di solito Egli usa illustrazioni prese dalla vita comune di questo mondo. Qui Gesù rappresenta le cose spirituali stesse , narrando esplicitamente con termini molto forti, quanto può essere diversa la sorte degli uomini sia qui che nell'aldilà e mettendoci in guardia a non prendere queste cose alla leggera.
Quelle di Gesù non sono favole, ma rivelazioni, come tutto quello che Egli dice. Sono forse immagini sgradevoli? Dovremmo prendere delle parole di Gesù solo quello che ci fa piacere? No. Guai a quel predicatore cristiano che, per far piacere al suo uditorio, annunciasse una grazia a buon mercato ed evitasse di "turbarlo" con immagini a lui sgradite negando con abili sofismi ciò che la Parola di Dio chiaramente afferma. Sarebbe un predicatore infedele e compiacente che Dio condanna. Cerchiamo allora di comprendere con attenzione ciò che il Signore Gesù vuole comunicarci attraverso questa parabola.
(1) "Or vi era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e bisso, e ogni giorno se la godeva splendidamente" (19).
Questo primo personaggio ci viene presentato come "un uomo ricco". Allora si riteneva che la prosperità fosse segno dell'uomo che Dio gradiva, tanto che essi non riuscivano ad avere buoni sentimenti verso i poveri e i miserabili.
Di quest'uomo non ci viene detto il nome. La sua identità viene definita in funzione delle cose che possiede! Quanti oggi pensano di valere in funzione di ciò che possiedono, e quanto spesso la nostra società è affascinata dall'uomo di successo, lo valuta e lo invidia!
Quest'uomo presenta due caratteristiche: (a) è vestito con abiti lussuosi: all'esterno di porpora e di sotto di bisso (lino); (b) si godeva tutto ciò che materialmente la vita poteva offrirgli.
Il testo non parla esplicitamente della sua condizione spirituale, ma lascia intendere come la sua vita fosse fatta solo di esteriorità e che pensasse solo a soddisfare sé stesso egoisticamente.
Iddio, nella Sua Parola ci rende noto come l'uomo sia creatura di Dio tenuto a darGli onore e gloria riconoscendo e rispettando il suo Fattore, seguendo con fiducia la Sua legge e servendo nel mondo i Suoi propositi rivelati. Iddio fornisce all'uomo, per il suo benessere, dei beni sia materiali che spirituali (la sua "eredità"): ad essi deve dare il loro giusto valore relativo e devono essere condivisi.
Quest'uomo, però, non tiene in alcun conto tutto questo: non dà gloria a Dio onorandoLo ed osservando la Sua legge. Pur conoscendo la volontà di Dio (è "figlio di Abramo" 24a), si occupa in modo esclusivo dei beni materiali che Dio gli mette a disposizione abusandone, "ubriacandosene", "tu hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita" 25a). Ne fa il suo idolo (il suo cuore è tutto rivolto ad essi). Egli privilegia i beni ed i valori materiali (ignorando quelli spirituali, vive uno squilibrio di valori). Disattende così del tutto le sue responsabilità verso Dio e verso il prossimo, "prende", senza "dare". Tiene solo conto di sé stesso.
(2) "Vi era anche un mendicante chiamato Lazzaro, che giaceva alla sua porta tutto coperto di piaghe ulcerose e desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco, e perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe" (20,21).
Il secondo personaggio, però, è privo di ciò che dà un'identità al primo, i beni di questo mondo, ed è costretto a mendicarli. Gesù però gli assegna un'identità, una dignità intrinseca che da essi è indipendente: egli ha un nome, Lazzaro. Il suo valore come persona non dipende da ciò che possiede, ma dal suo rapporto con Dio, il suo unico bene duraturo, il solo che possa dare un'autentica dignità.
Egli giace, "diseredato", alla porta del ricco: almeno potesse avere "le briciole" di ciò che il primo uomo consuma! Lazzaro, poi, è coperto di piaghe ulcerose (20), simbolo delle sue sofferenze in contrasto con chi "godeva splendidamente". Solo dei cani vengono a consolarlo (i cani ben nutriti dell'uomo ricco): bestie che si comportano in modo più umano degli uomini! Quanto spesso è vero! Chi è qui "la bestia"?
La vita può essere stata molto diversa per gli uomini sulla terra, ma alla fine tutti dovranno passare per la strettoia del comune "imbuto" in cui siamo, il comune destino di tutti: la morte ed il giudizio. "Or avvenne che il mendicante morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu sepolto. E, essendo tra i tormenti nell'inferno, alzò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno" (22,23).
Qui abbiamo diversi preziosi insegnamenti:
Se "i giochi sono fatti" per il ricco e Lazzaro, e la destinazione del ricco non può più essere cambiata, che almeno i fratelli del ricco siano avvertiti del pericolo che corrono prima che sia troppo tardi! Per la prima volta il ricco pensa a qualcun altro, sebbene questo rimanga nell'ambito della propria famiglia. E ancora pretende che Lazzaro sia mandato a fare quel che lui vuole! "...Ma quello disse: "Ti prego dunque, o padre, di mandarlo a casa di mio padre, perché io ho cinque fratelli, affinché li avverta severamente, e così non vengano anch'essi in questo luogo di tormento." (27,28).
Il messaggio dell'Evangelo di Gesù Cristo ricevuto con fede e che scaturisce nel ravvedimento e nei suoi frutti, è l'unica possibile chance che Dio ci abbia dato per venire a capo della drammatica condizione degli increduli, quella situazione che nella loro cecità essi insistono a negare o ad affermare che sia altrimenti. Gesù in questa parabola ci mette chiaramente in guardia: dalle creature umane Iddio si aspetta un comportamento conforme alla Sua legge. La legge di Dio regola il giusto comportamento da tenersi sia verso Dio che verso il prossimo. Chi disattende queste sue precise responsabilità non si illuda che alla fine "tutto andrà comunque bene", perché siamo state fatte creature responsabili che dovranno rendere conto di sé stesse a Dio.
E' vero, tutti davanti alla santa legge di Dio siamo mancanti e giustamente meritiamo le eterne sanzioni che queste contravvenzioni comportano, ma Dio nella Sua misericordia ci ha offerto la sola uscita di sicurezza possibile: la grazia nel Suo Figlio Gesù Cristo. Chi segue il Salvatore Gesù Cristo con fiducia lasciandosi formare e riformare da Lui come Suo discepolo vedrà il proprio destino ultimo mutare radicalmente. Non aspettiamoci che Dio "ci persuada" tramite "rivelazioni convincenti". Ci ha rivelato tutto nella Sua Parola e non ve ne saranno più altre. Noi siamo "i fratelli" dell'uomo ricco della parabola: come sarà il nostro destino dipenderà da come ci rapporteremo al Signore e Salvatore Gesù Cristo!
(Thursday 29 May 1997. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, Ediz. La Buona Novella, Brindisi, 1991).