I. Il (vero) succo del messaggio cristiano
Vorrei iniziare col porvi una domanda: qual è il succo, l'essenza, l'anima, il nocciolo della fede cristiana? In che cosa si potrebbe riassumere il messaggio evangelico? Sono sicuro che a questa domanda voi rispondereste che l'essenza della fede cristiana è l'amore: amore per il prossimo ed amore per Dio.
Si sentono infatti dai pulpiti, non è vero, continue esortazioni a volersi bene... ad essere solidali... ad offrire denaro... ad aiutarsi... ad essere buoni... a fare la pace... ad ubbidire a Dio... salvo poi accorgersi che tutte queste esortazioni spesso cadono nel vuoto, sono parole al vento, perché non solo la gente è irrimediabilmente egoista e non la si riesce a spingere ad amare veramente se non solo di qualche centimetro... ma per lo più la s'innervosisce e "la si scoccia" a sentire sempre questi discorsi, non è vero? Magari poi, dopo, ci si lamenta perché il "messaggio cristiano" è un fallimento...
No, il messaggio cristiano non è un fallimento! Il problema è che qui siamo di fronte ad un grosso equivoco: l'amore non è il succo del messaggio cristiano, almeno nel senso umanistico oggi prevalente del "volemoce bene". L'amore verso Dio e verso gli altri è il frutto, la conseguenza, il risultato di che cosa? Di un'opera di profonda trasformazione della coscienza umana che solo Dio può operare attraverso l'opera efficace di Cristo. Il succo della fede cristiana non è il nostro amore, ma l'amore di Dio che nella persona di Gesù Cristo rende possibile quella trasformazione del cuore umano che sola gli può permettere d'amare davvero! La Bibbia dice: "In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ha amato noi e ha mandato suo Figlio per essere l'espiazione per i nostri peccati" (1 Gv. 4:10).
Già... è perfettamente inutile che io esorti ad amare chi è radicalmente egoista. E' inutile che m'arrabbi se un albero cattivo non fa frutti buoni Prima devo - tramite innesti e magari con l'ingegneria genetica... - farlo diventare buono, e poi darà frutti buoni! Una persona prima la devo accompagnarla presso Cristo affinché Egli la trasformi con l'opera efficace del Suo amore, e poi dopo essa amerà... ecco allora il vero succo del cristianesimo: l'opera d'amore che Dio può compiere nel cuore umano per trasformarlo.
Questo è il messaggio che traspare da tutto il Nuovo Testamento e che visivamente è rappresentato nell'ordinanza della Santa Cena, la Cena del Signore. Rileggiamoci le parole dell'istituzione della Santa Cena. Varrebbe veramente la pena di ripensarle anche al di fuori del contesto celebrativo. Facciamolo tramite le parole dell'apostolo Paolo in 1 Corinzi 11:
"Poiché io ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho anche trasmesso: che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Prendete, mangiate; questo è il mio corpo che è spezzato per voi; fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga" (1 Co. 11:23-25).
III. L'esperienza e la responsabilità di Paolo.
1. Ricevere. "Io ho ricevuto dal Signore" (23a): che magnifica ed espressiva frase è questa! Paolo poteva dire: "Io ero nemico del Signore Gesù, odiavo lui e odiavo quelli che in Lui credevano, tanto da perseguitarli senza pietà. Ero un bestemmiatore e un nemico dei propositi di Dio, anche se mi vantavo d'essere religioso! Eppure Gesù è venuto a cercare proprio me!
Io ho ricevuto da Lui ...non tante legnate in testa o un fulmine dal cielo come avrei meritato, ma il Suo amore, la grazia di comprendere che la mia avversione a Lui era del tutto ingiustificata e chi Lui era veramente. Ho ricevuto la grazia di una radicale trasformazione del mio essere, la grazia di ravvedermi dai miei peccati e di riporre in Lui la mia fede. Quanto è stato grande il Suo amore verso di me!
Non solo questo, ma ho ricevuto da Lui la grazia di diventare Suo apostolo, messaggero del Suo evangelo fra le genti".
2. Trasmettere. "...io ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho anche trasmesso". (23b). Si, "quello che dal Signore Gesù io ho ricevuto, io ve l'ho pure trasmesso, affinché anche voi possiate fare la stessa esperienza di grazia e d'amore che io ho avuto ... Poiché la promessa è per voi e per i vostri figli e per tutti coloro che sono lontani, per quanti il Signore Dio nostro ne chiamerà (1)". Si Paolo non era così diventato un vano predicatore di buoni sentimenti (ce n'erano già tanti anche allora...), ma annunciatore della potenza di Dio a trasformare cuori e menti.
Egli dice: "Fra i doni preziosi che vi ho trasmesso dal Signore Gesù, è l'espressiva celebrazione della Santa Cena. Non si tratta di una cerimonia inventata da me, dagli altri apostoli o "copiata" da chissà chi. La Santa Cena è una precisa ordinanza di Gesù che racchiude in essa la sostanza di ciò che Lui ha compiuto soffrendo e morendo sulla croce, e che oggi vi trasforma. E' qualcosa che voi dovete ricevere e praticare con estremo rispetto, attenzione ed anche timore, perché in quel pane e in quel vino è racchiuso simbolicamente tutto quello che Lui è stato e compie per la salvezza della creatura umana.
3. Circostanze non casuali. "...il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane..." (23c). L'Apostolo così rammenta ai suoi lettori le tragiche circostanze e le modalità di quanto Gesù aveva compiuto istituendo l'ordinanza della Santa Cena. Ogni elemento di quanto avvenne quella sera è significativo.
3.1 Le tenebre. Era buio, e l'oscurità, le tenebre sono simbolo del male che vi si nasconde e che crede d'operarvi in modo libero ed impunito, il simbolo del cuore irrigenerato, di cui Giuda ed i suoi complici erano esempio. Era in quella notte che i nemici di Gesù avrebbero complottato e portato a termine il loro piano malvagio.
3.2 Un determinato proposito. Era la sera in cui Gesù sarebbe stato tradito, o meglio "consegnato", dato nelle mani dei Suoi nemici guidati da Giuda iscariota nel giardino del Getsemani. Questo però non sarebbe stata per Lui un increscioso incidente, una brutta sorpresa, perché tutto questo avveniva "secondo il determinato consiglio e prescienza di Dio" (2). In realtà sarebbe stato Lui, Gesù, a consegnarsi volontariamente alla cosiddetta giustizia degli uomini per pagare così il prezzo delle nostre trasgressioni, rispondendo così ad una giustizia ben superiore, rendendo così possibile la rigenerazione del malvagio cuore umano che a Lui si fosse affidato.
3.3 La Pasqua. Questi avvenimenti avrebbero poi anche coinciso con la Pasqua ebraica che celebrava la liberazione del popolo di Dio dalla schiavitù in Egitto, la notte in cui i primogeniti di Israele erano stati risparmiati dall'ira di Dio che avrebbe colpito solo gli oppressori egiziani. L'unigenito ed innocente Figlio di Dio però, non sarebbe stato risparmiato. Egli avrebbe operato, per chi a Lui s'affida, una liberazione ancora più significativa: quella dalla schiavitù del peccato, dalla propria natura corrotta che sfigura e deturpa l'immagine di Dio in noi.
3.4 L'agnello. Era la sera in cui gli ebrei si sarebbero nutriti di carne d'agnello, innocente vittima sacrificale. Gesù sarebbe stato additato come "l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Altro che futili e vani discorsi, come quelli di tanti predicatori ieri e oggi! Qui abbiamo un corpo vero che in sostanza si sacrifica.
3.5 Pane. Gesù prese dalla tavola del pane, il quale sarebbe diventato emblema del Suo corpo, dell'aver Lui assunto la natura umana, quel corpo che Dio Padre gli aveva preparato per essere spezzato per la salvezza del Suo popolo. Della concreta opera di quest'uomo, "del Suo corpo e del Suo sangue" il credente si sarebbe nutrito "per avere vita eterna", e di questo la Santa Cena è segno.
Quante "coincidenze" significative e volute quel giorno dal Signore Gesù, non è vero? Esse caricano la Santa Cena del suo stupefacente significato, significato che non può che incutere timore e gran rispetto da parte di chi vi s'accosta: ecco il messaggio che abbiamo davvero oggi bisogno di comprendere e che non sono "parole al vento".
4. Riconoscenza. "...e, dopo aver reso grazie". Il popolo di Dio aveva sempre avuto la consuetudine di ringraziare il Signore per i frutti della terra che, lavorati dall'uomo, nutrono e sostengono la nostra vita. Sono manifestazione della provvidenza divina che non dobbiamo prendere per scontate e per le quali dobbiamo sempre mostrare la nostra sincera riconoscenza. Il Signore Gesù, facendolo Egli stesso, rilevava l'importanza di ringraziare Dio per il nostro nutrimento. Quanta maggiore riconoscenza dovremmo avere per la Persona di Gesù, che la Scrittura indica come "pane venuto dal cielo per nutrire la nostra anima".
5. Pane spezzato. "lo spezzò e disse: Prendete, mangiate; questo è il mio corpo che è spezzato per voi". La parola "spezzato" denota come Cristo sia morto. Sebbene le Sue gambe non fossero state spezzate come gli altri condannati a morte, il Suo corpo fu severamente tormentato, piegato e ferito. Questo pure denota la Sua disponibilità a deporre la Sua vita, a soffrire ed a morire in luogo del Suo popolo, tanto che i benefici del Suo gesto potessero essere condivisi fra di loro come il pane stesso è così condiviso e mangiato a soddisfazione di tutti.
L'espressione: "Questo è il mio corpo" ha sempre causato discussioni fra i cristiani su cosa potesse significare. Il senso qui è figurato, come tanti altri paragoni che Gesù ha usato per Sé stesso: "Io sono la via, la verità, la vita, la luce, la porta, la vite, la roccia...". Il pane spezzato diventa per i Suoi discepoli segno e suggello del sacrificio della Sua Persona, offerta a beneficio di chiunque ne avesse partecipato con fede. Un sacrificio compiuto per ogni membro del Suo popolo, in modo sostitutivo, vicario, non solo per confermare la Sua dottrina, o da proporre come esempio di pazienza o d'altruismo, ma qualcosa d'oggettivo dal valore unico ed insostituibile, un valore applicabile universalmente a tutti coloro che in ogni tempo e paese l'avessero invocato.
6. Memoria. "fate questo in memoria di me". Per i cristiani la Pasqua da ora in poi avrebbe avuto un significato diverso e maggiore di quella degli ebrei. Gli ebrei la celebravano "affinché ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d'Egitto tutti i giorni della tua vita" (4). I cristiani l'avrebbero celebrata in vivo ricordo dell'evento ben più grande che la supera e di cui era essa stessa prefigurazione.
7. Un'intensificazione. Il pane, equivalente al corpo, però, non bastava per Gesù. Era ed è essenziale pure l'equivalenza vino - sangue. "Parimenti, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me". Perché era essenziale pure questa nuova equivalenza? Perché nell'Antico Testamento pure il sangue aveva un valore simbolico. "La vita è nel sangue", dicevano. E quando gli antichi ebrei essi versavano il sangue dell'animale sacrificato sull'altare, essi indicavano che una vita era stata sacrificata come espiazione della pena che il peccato dell'offerente meritava. Colui che portava l'offerta diceva: "Davanti alla santa Legge di Dio io sono un peccatore e so di meritare per questo la morte. Al posto mio però Dio mi permette di sacrificare una vittima sacrificale animale". Il sangue di un animale, però, dice il Nuovo Testamento, non avrebbe potuto realmente espiare il peccato. Esso piuttosto era prefigurazione di ciò che solo Cristo, come autentica vittima sacrificale e nostro sostituto, avrebbe compiuto. Gesù così evidenzia il fatto, nella Santa Cena, che il solo, vero ed efficace sangue sacrificale che può espiare il peccato umano era e rimane il Suo!
8. L'annuncio. Ed ecco l'ultima ed espressiva espressione dell'Apostolo: "Poiché ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga". Ecco, questi gesti compiuti nella Cena del Signore, questo pane e questo vino consacrato, mangiato e bevuto nei modi indicati dalla Parola di Dio, accompagnato dalla precise parole dell'istituzione e dalla fedele loro spiegazione, è annuncio pubblico unico ed insostituibile di ciò che veramente può contribuire all'umana salvezza: l'opera oggettiva, sacrificale, vicaria ed espiatoria compiuta dal Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Con la Santa Cena voi presenterete o esibirete in modo impressionante il fatto che per noi Cristo fu messo a morte, esibirete gli emblemi del Suo corpo spezzato e del Suo sangue versato, come pure così voi testimonierete personalmente della Sua efficacia. Per voi dovrà essere una testimonianza pubblica che tutto questo a voi è stato applicato. Va da sé che questa debba essere da parte nostra una testimonianza autentica di fede e non vana apparenza: se questo fosse il caso, ci metteremmo in condizione d'essere particolarmente condannati da Dio. Questo però è il discorso che Paolo farà nei versetti seguenti che oggi però non tratteremo.
Qual è dunque il succo, l'essenza, l'anima, il nocciolo della fede cristiana? In che cosa si potrebbe riassumerne il messaggio? Nell'amore che Dio ha manifestato in Gesù Cristo per la rigenerazione e la salvezza ultima della creatura umana che a Lui si sarebbe affidata. Ecco il messaggio particolarmente rappresentato nella Cena del Signore. Cristo Gesù è Colui che ha sacrificato la Sua vita come prezzo di riscatto affinché tu potessi essere riconciliato con Dio e da Lui trasformato, affinché tu potessi amare veramente come Lui ha amato.
Non v'esorterò quindi a volervi bene... ad essere solidali... ad offrire denaro... ad aiutarvi... ad essere buoni... a fare la pace... ad ubbidire a Dio... ma v'esorto a ravvedervi ed a credere all'Evangelo di ciò che per voi Dio ha compiuto in Cristo: solo questo potrà trasformare il vostro cuore di pietra, e tutto il resto seguirà a suo tempo, come il frutto buono dall'albero buono. Che il Signore voglia che possa accadere oggi stesso per voi che udite questo messaggio.
[Paolo Castellina, giovedì 27 marzo 1997. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991].
Note: (1) At. 2:39. (2) At. 2:23. (3) De. 16:3.