Il testo biblico che ci viene proposto oggi alla nostra attenzione contiene preziose esortazioni per la comunità cristiana che, ricca dei doni spirituali che Dio le concede e vuole concederle, desidera sempre meglio servire il suo Signore e Salvatore e che da Dio sempre si aspetta "grandi cose".
Nella prima lettera di Pietro troviamo scritto:
"La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l'amore copre una gran quantità di peccati. Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare. Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri. Se uno parla, lo faccia come si annunziano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen." (1 Pi. 4:7-11).
Vorrei che pensaste ai giocatori di una squadra di calcio o di un qualsiasi altro sport di gruppo: ad esempio la pallacanestro o la pallavolo. Ogni giocatore ha un suo ruolo, una sua funzione ben precisa da occupare all'interno della squadra, una sua "specializzazione". C'è chi è bravo come attaccante, chi è bravo in difesa, c'è chi fa il portiere o ...la riserva. Tutti contribuiscono al "funzionamento" della squadra e insieme hanno come obiettivo quello di vincere la partita. Essi hanno un allenatore che li addestra a svolgere il loro ruolo. Evidentemente, però, la partita non si gioca né si vince mandando in campo l'allenatore, mentre tutti i giocatori stanno in panchina ad assistere... ciascuno fa la sua parte e, dando il meglio di sé stesso, insieme giungeranno a dei risultati.
Nel testo della Parola di Dio sottoposto oggi alla nostra attenzione l'Apostolo si rivolge alle comunità cristiane come un allenatore farebbe con la propria squadra. La comunità cristiana, piccola o grande che sia, è sempre infatti intesa dalla Scrittura come una "squadra", un "team", che fa appunto "un gioco di squadra", come pure intende la vita cristiana, l'espressione della fede cristiana, "una partita" da vincere, un obiettivo da raggiungere insieme.
La comunità cristiana è - nella Scrittura, e così deve sempre essere, un gruppo di credenti in Cristo che il Signore addestra per il conseguimento del Regno di Dio, una comunità in cui ciascuno ha un compito ben preciso da svolgere, a seconda dei suoi doni e capacità per il comune obiettivo.
Si comprende quindi bene, in questa prospettiva, il tono che l'Apostolo usa. "La fine di tutte le cose è vicina", dice, "la partita per voi sta per finire... perseverate fino alla fine", non vi perdete d'animo di fronte alle difficoltà, non abbandonate la lotta. In che modo potranno perseverare?
Essendo "moderati e sobri" per non perdere mai "la forma spirituale" necessaria "al gioco". Evidentemente un atleta non si ubriaca, né trascura l'allenamento: è determinato e vede ogni cosa nella sua vita in funzione di quell'unico obiettivo da raggiungere, non si distrae, non perde tempo, non fa nulla che potrebbe pregiudicare la sua "performance".
L'Apostolo poi dice: "abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l'amore copre una gran quantità di peccati": è l'esortazione a conservare "lo spirito di squadra", la solidarietà e la cooperazione costante ("l'ospitalità") fra i membri della squadra, spesso messa in questione dal "mormorare", cioè dalle critiche che abbiamo spesso la tendenza a farci l'un l'altro.
L'apostolo rammenta poi loro "chi sono", quali siano i loro "ruoli" all'interno della "squadra", quali siano le capacità di ciascuno di loro e come essi devono esercitare le capacità che hanno ricevuto.
Si, le comunità cristiane alle quali l'apostolo si rivolgeva godevano di una speciale grazia: Dio concedeva, donava, a ciascun suo membro particolari capacità e facoltà da mettere al servizio del benessere spirituale e materiale della comunità cristiana e per l'avanzamento del Regno di Dio. La Scrittura, infatti, afferma che "l'unico e medesimo" Spirito Santo distribuisce i Suoi doni "a ciascuno in particolare come vuole" (1 Co. 12:11) e che "a ciascuno la grazia è stata data secondo la misura del dono di Cristo" (Ef. 4:7). Essi, evidentemente, non erano doni da tenersi tutti per sé o di cui vantarsi, ma qualcosa che era stato loro dato in fedele amministrazione che li avrebbe resi partecipi dell'opera del Signore. L'apostolo Paolo parla di "diversità di carismi" all'interno della comunità cristiana, di una "diversità di ministeri", di una "varietà di operazioni", e tutte queste "per il bene comune" (1 Co. 12:4-6). Quali erano i doni spirituali per il bene comune che Dio dà alla Sua chiesa? Egli mette in evidenza:
Pietro, per chi ha il dono di esprimere parole di sapienza, di conoscenza, e di profezia, esorta a farlo "come si annunziano gli oracoli di Dio", cioè con grande diligenza e premura di riflettere non l'erudizione umana, ma effettivamente ciò che Dio rivela. Ma pure chi "compie un servizio" deve farlo non di malavoglia o con fiacchezza, ma attingendo sempre da Dio la propria forza ed entusiasmo, cioè "come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce".
La cosa più importante è che qualunque funzione si svolga all'interno della comunità cristiana, tutto venga svolto avendo un'unica finalità: non un guadagno o la propria gloria, ma la gloria di Dio, "affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli".
Queste esortazioni dell'Apostolo, come innumerevoli altre simili contenute nella Scrittura, vengono percepite come qualcosa di molto prezioso oggi da molti cristiani che vogliono vivere e costruire la loro comunità "come Dio comanda" ed essi scoprono che Dio ancora oggi è disposto a donare - a tutti coloro che vogliono esserli fedeli - molto di ciò che già donava ai primi cristiani. Queste esortazioni, però, giungono come "una lingua straniera", un retaggio di "un tempo che fu", come una semplice "rievocazione storica" per quei cristiani "di tradizione" che vivono all'interno di istituzioni ecclesiastiche di tipo clericale. Ad essi è largamente estranea l'autentica vita comunitaria, la corresponsabilità nei compiti della chiesa, l'impegno in prima persona nella missione della chiesa, per essi sono sconosciuti i doni che Dio dava alla chiesa delle origini. Gran parte di coloro che oggi si professano cristiani oggi vive infatti la vita cristiana non come partecipanti, ma come spettatori, non come "produttori", ma come "consumatori".
Molti oggi vivono la chiesa come un'istituzione lontana ed in fondo estranea, a cui si chiedono dei servizi, ma alla quale non partecipano veramente. Per loro, anche nel campo cristiano, potrebbe valere la famosa frase pronunciata dal presidente americano John Kennedy, quando disse: "Non chiedere ciò che il tuo paese può fare per te, ma ciò che tu puoi fare per il tuo paese", cioè la società, lo stato, non deve essere tanto qualcosa che solo distribuisce benefici, ma che adempie veramente alla sua funzione e servizio quando tutti i cittadini contribuiscono fattivamente (non solo in denaro) per il suo beneficio. Così la chiesa cristiana, non deve essere qualcosa a cui si chiedono dei servizi, ma qualcosa a cui ciascuno contribuisce fattivamente per il bene comune.
La chiesa diventa spesso solo un canale per la distribuzione di risorse ai suoi membri (risorse, per altro, sempre meno richieste...) piuttosto che sfidare i suoi membri a divenire risorse essi stessi. La chiesa cristiana potrà essere quello che il Signore Gesù voleva che fosse quanto più alte saranno le aspettative di ciò che la gente potrà e vorrà contribuire in termini di talenti, creatività, tempo, energia, sacrificio personale, denaro, impegno per la causa comune. Le frustrazioni del pastorato come pure dei membri di chiesa possono essere superate dall'effettiva condivisione dei compiti all'interno della comunità cristiana, e forse anche la stessa funzione del pastorato tradizionale potrebbe allora essere superata. Quanto potrebbe essere più potente il beneficio della chiesa se solo tutti i suoi compiti fossero condivisi da tutti i suoi membri - a seconda delle loro capacità e bisogni - piuttosto che gravare sulle responsabilità di pochi! Quanto potrebbe essere più efficace l'azione della chiesa se dalle loro panchine tutti i cristiani "scendessero in campo", quando i cristiani, da consumatori soltanto, si trasformassero in "produttori"!
Tutto questo - è vero - è più facile a dirsi che a farsi, perché è tutto il sistema ecclesiastico clericale attuale che dovrebbe prima essere radicalmente smantellato o scavalcato da cristiani coraggiosi, pronti a quella che qualcuno ha definito come una "seconda riforma".
Gesù aveva progettato la chiesa non come una struttura ecclesiastica clericale, ma come una rete di piccoli gruppi autosufficienti fatti di persone corresponsabilizzate, e questo affinché tutti potessero essere parte produttiva del corpo di Cristo. Fa meraviglia che nel Nuovo Testamento pressoché non si conosca la figura del "membro di chiesa passivo"? Già, allora nessuno si poteva nascondere fra la massa. Di chi è la colpa dell'attuale degenerazione clericale che ha così snaturato la chiesa cristiana? E' del sistema ecclesiastico che ci stiamo trascinando dietro fin dai tempi dell'imperatore romano Costantino!
La degenerazione clericale del cristianesimo comincia dall'anno 312 quando il cristianesimo - finiti i tempi delle persecuzioni - riceve sanzione ufficiale da parte dell'imperatore Costantino, si allea e si identifica al potere politico e si sostituisce al paganesimo come religione di stato. La chiesa cristiana, da movimento spontaneo di persone che si riuniscono informalmente nelle case e che condividono fra di loro i compiti e le responsabilità della fede e della pratica cristiana, diventa così istituzione. I cristiani vengono intrappolati ed inquadrati da un'istituzione. Ora che la persecuzione aperta non è più possibile, il Nemico spirituale della chiesa la neutralizza facendola diventare "una religione come le altre".
Una chiesa che ora diventa istituzione ufficiale non può più "certo" - a dire dei burocrati e dei politici - rimanere al livello di "anarchiche associazioni spontaneistiche". I cristiani - ora "maturi" per essere istituzione pubblica, devono riflettere in sé stessi gli ordinamenti e l'organizzazione dello stato. "Devono" essere inquadrati e controllati da leggi e regolamenti ben precisi, "devono" avere delle proprie autorità gerarchiche che li amministrano, "devono" riunirsi in un unico luogo, e le loro riunioni "devono" rispondere a criteri di ordine e di omogeneità. Ecco così che il cristianesimo, paga la sua libertà ed ufficialità il prezzo molto alto che lo trasforma radicalmente. Il popolo cristiano da partecipante diventa spettatore, da "produttore" diventa "consumatore".
Quali cambiamenti avvengono nella cristianità con la sua istituzionalizzazione?
Io non credo che tutta questa trasformazione del cristianesimo da movimento ad istituzione clericale sia ineluttabile e che non si possa ormai più tornare indietro. Riformatori come Martin Lutero e Calvino avevano avuto il coraggio di rivoluzionare la chiesa del loro tempo riscoprendo le dottrine della grazia offuscate dallo stesso clericalismo che sappiamo ha alterato pesantemente l'essenza stessa delle prime comunità cristiane. Il compito purificatore dei Riformatori non è terminato. E' tempo di mettere mano e di smantellare le strutture clericali che intrappolano ed inquadrano la comunità cristiana soffocando l'impulso dello Spirito Santo.
La storia sta già giudicando le istituzioni ecclesiastiche tradizionali che si dibattono in problemi di ogni genere e sono in aperta decadenza. In tutto il mondo cristiani consacrati smantellano e scavalcano le istituzioni clericali burocratiche vivendo la loro fede cristiana a partire da reti di piccoli gruppi locali di cristiani non solo ugualmente responsabilizzati, ma che trovano nel piccolo gruppo "il nido" nel quale adeguatamente vengono spiritualmente nutriti, educati e curati, cosa che non era stata possibile nelle strutture tradizionali.
Come ogni riforma la cosa non sarà né facile né comoda, perché molto probabilmente dovrà affrontare le resistenze e l'opposizione dei servitori del vecchio sistema. Lo Spirito Santo, però, che rinnova e vivifica non lo si potrà soffocare.
Solo muovendoci a riformare radicalmente le strutture istituzionali clericali costantiniane e cominciando a ritrovare nei piccoli gruppi responsabilizzati lo spirito della chiesa delle origini, sarà possibile leggere i testi biblici come quello di oggi non come una rievocazione storica, ma come una pulsante realtà.
Nel ricevere ciascuno i doni spirituali che Dio ancora oggi vuole concedere a ciascuno, potremo vivere ciò che scriveva l'Apostolo: "Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri. Se uno parla, lo faccia come si annunziano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen."
[Paolo Castellina, venerdì, 2. agosto 1996. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, società Biblica di Ginevra, 1994].