La via che conduce all'autentica felicità


I. Un cambiamento di prospettive

Una delle maggiori aspirazioni della persona moderna è il conseguimento della felicità, del piacere, del benessere. Molti ritengono che la vita non abbia senso e che quindi l'unica cosa che conti sia strappare da essa, in qualche modo, momenti di godimento e di piacere. "Almeno questo", dicono, "prima di finire nel nulla, prima che la malattia, il decadimento fisico e la morte strappino da te ogni possibilità di vivere decentemente...". In questa prospettiva - naturalmente - la religione è vista come un ostacolo alla propria felicità, qualcosa che, a dir loro, vorrebbe solo toglierti "quel poco di soddisfazione che si può avere dalla vita", e quindi la religione sarebbe da evitarsi accuratamente! Pensano: "Chi se ne interessa è solo uno stupido...".

Questo modo di vedere le cose - anzi, direi io, questo modo oscuro, deprimente ed insano di non vedere le cose - però, è ben lontano dalla visione luminosa e promettente dell'Evangelo di Gesù Cristo che non solo apre la mente ed il cuore a prospettive ben più ampie, ma che può - questo si - infondere autentica felicità all'anima assetata di vita soddisfacente ed eterna che c'è in ciascuno di noi.

La lettura e la meditazione del Salmo 32 ci accompagnerà quest'oggi a scorgere la via che conduce alla felicità autentica, quella di colui o colei che torna ad essere in comunione con la fonte della vita: l'eterno Iddio.

II. Il testo biblico


Beato l'uomo a cui la trasgressione è perdonata, e il cui peccato è coperto! Beato l'uomo a cui il SIGNORE non imputa l'iniquità e nel cui spirito non c'è inganno! Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano tra i lamenti che facevano tutto il giorno. Poiché giorno e notte la tua mano si appesantiva su di me, il mio vigore inaridiva come per arsura d'estate. [Pausa] Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni al SIGNORE», e tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato. [Pausa] Perciò ogni uomo pio t'invochi mentre puoi essere trovato; e qualora straripino le grandi acque, esse, per certo, non giungeranno fino a lui. Tu sei il mio rifugio, tu mi proteggerai nelle avversità, tu mi circonderai di canti di liberazione. [Pausa] Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te. Non siate come il cavallo e come il mulo che non hanno intelletto, la cui bocca bisogna frenare con morso e con briglia, altrimenti non ti si avvicinano! Molti dolori subirà l'empio; ma chi confida nel SIGNORE sarà circondato dalla sua grazia. Rallegratevi nel SIGNORE ed esultate, o giusti! Gioite, voi tutti che siete retti di cuore!" (Sl. 32).


Nel testo originale questo salmo porta nel titolo l'indicazione che si tratta di un Maschil, espressione che si può tradurre "Cantico didattico". Non c'è infatti nulla di cui abbiamo maggiore bisogno di istruzione che nella natura della vera beatitudine - ciò che dobbiamo fare per essere felici.

In che cosa consiste - nella prospettiva biblica - la vera felicità? Essa consiste nell'essere in pace con Dio, in armonia con Lui godendo del Suo favore. La vera felicità, dunque, non proviene tanto dal tuffarci in ciò che questo mondo può offrire quanto a piacevoli sensazioni, ma dal perseguire le benedizioni spirituali che solo Dio può offrire. Il Salmista aveva detto precedentemente: "Beato l'uomo che non cammina nel consiglio degli empi ... ma il cui diletto è nella legge del Signore" (1:1,2).

III. La fonte delle benedizioni

Ecco così che - in modo estremamente pertinente - questo salmo ci indica la strada per ristabilire un contatto personale e vitale con Dio: l'abbattimento del muro che ci separa da lui, muro che la Bibbia chiama il nostro personale e tragico peccato o trasgressione. Ecco perché questo salmo inizia dicendo: "Beato l'uomo a cui la trasgressione è perdonata, e il cui peccato è coperto!" (1).

1. La necessità dell'invocare il perdono di Dio. Non fa meraviglia che l'uomo moderno veda la propria esistenza come priva di senso, futile e vana, impostata alla disperazione di finire nel nulla: questa condizione, questa autentica maledizione, è il risultato inevitabile della propria lontananza da Dio, dalla ribellione a Lui ed alle Sue sante leggi. La risposta a questa situazione non è perciò strappare dalla vita qualche effimero piacere, ma adoperarsi affinché la causa di questa maledizione venga rimossa, invocare Dio affinché rimuova, tolga, guarisca questa personale nostra colpevolezza e noi, avendo ottenuto così il Suo perdono, si possa tornare ad una vita significativa ed eternamente soddisfacente. "La trasgressione è perdonata... e il peccato coperto" : è la condizione fondamentale da cui poi sgorgheranno tutte le altre benedizioni.

2. La sostanza di questa preghiera. Davanti a Dio in preghiera siamo invitati a dire prima di tutto: (a) "Mi riconosco colpevole, o Signore, come veracemente Tu affermi nella Tua Parola, di essere un ribelle e un trasgressore all'ordinamento che Tu hai stabilito: mi pento di tutto questo e imploro la Tua misericordia affinché il grave fardello della condanna che merito sia sollevato da me". Così dobbiamo dire perché il nostro Salmo afferma: "Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni al SIGNORE», e tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato" (5). Che cosa magnifica agli occhi di Dio quando un uomo o una donna prende la risoluzione di non perdere più tempo e non ingannare più sé stesso e Dio cercando vanamente di nascondere i suoi peccati di fronte a Dio che tutto vede, ma che apertamente e candidamente confessa ed esprime il proprio cruccio per tutti i suoi peccati e il loro fardello in tutta la loro gravità.

(b) Visto poi che la vita giusta e buona del Signore Gesù Cristo adempie a tutti i requisiti che Dio ha posto alla vita umana e per grazia di Dio le virtù di Cristo possono essere accreditate alla nostra persona. Essa è come una veste che può ricoprire il peccato, immondo ed abominevole agli occhi di Dio. Per questo la nostra preghiera deve continuare e dire: "Sono stato davvero stolto, o Signore, di aver pensato di potere fare a meno di te e che questo mondo - con tutte le sue ricchezze - fosse abbastanza per rendermi felice. Non mi accorgevo invece di essere infelice, miserabile, povero, cieco, e nudo. Accolgo ora, o Signore, il tuo invito, ad acquistare le Tue ricchezze spirituali come le uniche che davvero valgano, la veste bianca della giustizia di Cristo che posso indossare perché non appaia la vergogna della mia nudità, il collirio per ungermi gli occhi della mia anima e vedere le cose come realmente stanno" (Ap. 3:18).

(c) Non solo la vita di Cristo, ma anche la Sua morte in croce - nei piani di Dio e per grazia Sua vale l'espiazione della condanna che il peccatore merita. Per questo siamo chiamati a dire: "Ho udito, Signore, il Tuo Evangelo che mi annunciava come il Salvatore Gesù Cristo avesse preso su di Sé, sulla croce, la condanna che spetta al peccatore per liberarlo da essa. Ti chiedo, Te ne prego, che la virtù di quella morte di Cristo in croce si applichi a me personalmente e anch'io possa godere dei suoi eterni benefici".

3. La dottrina dell'Evangelo. Questa è l'unica strada che conduce alla beatitudine. Privi di quella felicità che era stata conferita ai nostri progenitori, ora non abbiamo altro modo per ricuperare la perduta felicità se non cercando di ottenere il favore di Dio ed il perdono dei nostri peccati. È la dottrina dell'Evangelo stesso, a conferma della quale il Nuovo Testamento dice: "Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza le opere dicendo: Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Beato l'uomo al quale il Signore non addebita affatto il peccato" (Ro. 4:6,7).

4. Il modo della confessione. In che maniera dobbiamo dire al Signore tutto questo? Con assoluta sincerità e trasparenza e saremo salvati. Dice il versetto 2: "Beato l'uomo a cui il SIGNORE non imputa l'iniquità e nel cui spirito non c'è inganno!". Si, beato l'uomo che liberamente confessa tutti i suoi peccati senza dissimularli e nasconderli. Colui che è sincero nella sua professione di ravvedimento, che ha voltato le spalle al peccato per volgersi a Dio con tutto il suo cuore, e non per finta, non ne rimarrà deluso. Che grave errore sarebbe fingere il ravvedimento, o peggio, far finta di niente, far tacere la nostra coscienza distraendola! Che grave errore sarebbe chiudersi le orecchie per non volere udire la predicazione dell'Evangelo come se non ci fosse o non ci riguardasse. Credete che, così facendo, Dio ci lascerebbe in pace? No, nessuno può sfuggire alla Sua riprensione, per quanto ci provi. E' qualcosa che continuerà a roderci dentro per quanto cerchiamo di soffocarlo o anestetizzarlo. Il versetto 3 rileva proprio la futilità del "nascondere la testa sotto la sabbia" e persino le conseguenze fisiche del non ammettere la realtà: "Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano tra i lamenti che facevano tutto il giorno" (3). Mentre mi trattenevo dalla piena ed aperta confessione del mio peccato e dallo svuotare la mia anima davanti a Dio, cercando presso di Lui perdono e pace... mentre nascondevo i miei peccati o soffocavo le mie paure, e reprimevo gli stimoli della mia coscienza, le mie ossa si consumavano, lo spirito mi mancava e la forza del mio corpo decadeva. Tra i lamenti che facevo tutto il giorno a causa dell'orrore che sentivo nella coscienza ed il senso dell'ira di Dio, con cui ero oppresso e sconcertato, piuttosto che condotto a pieno ravvedimento. Non solo questo, ma: "Poiché giorno e notte la tua mano si appesantiva su di me, il mio vigore inaridiva come per arsura d'estate" (4). E' come se la tua mano, o Signore, mi affliggesse perché sempre mi rammentava i miei peccati e mi riempiva di terrore a causa di essi. Gli studi degli psichiatri sono si riempiono di gente la cui psiche soffre solo perché non hanno confessato a Dio il loro peccato, e inutilmente essi vorranno guarirli cercando di cancellare in loro il senso di colpa...

5. La disponibilità di Dio. Davide, che ha scritto questo Salmo, parla per esperienza e così ci esorta e ci ammonisce: "Perciò ogni uomo pio t'invochi mentre puoi essere trovato; e qualora straripino le grandi acque, esse, per certo, non giungeranno fino a lui" (6). Secondo cioè l'incoraggiamento del mio esempio, cercate, o peccatori, la misericordia di Dio "mentre puoi essere trovato", nel tempo in cui posso trovarti, cioè ora. Il tempo della grazia non sarà illimitato. Verrà il giorno che le porte della grazia verranno chiuse. Convertitevi "prima che si esegua il decreto" (So. 2:2), prima che la sentenza su di voi venga eseguita senza possibilità di ritorno. La persona saggia coglie senza ritardi l'offerta che Dio gli fa della grazia. C'è chi lo farà però quando ormai sarà troppo tardi. Il parallelo è qui fra l'umanità che non si pentiva dei tempi del diluvio, spazzata via inesorabilmente, mentre Noè e la sua famiglia, avendo colto la grazia di Dio riparandosi nell'arca, verranno messi al sicuro, protetti dal giudizio.

Non troverà forse la gioia del canto riconoscente chi avrà accolto così l'appello che Dio fa al ravvedimento e la fede? Si, "Tu sei il mio rifugio, tu mi proteggerai nelle avversità, tu mi circonderai di canti di liberazione" (7).

IV. Condividere la buona notizia

1. Appello alla responsabilità. Le parole finali di questo Salmo mostrano Davide che, avendo fatto personalmente esperienza della conversione, diventa egli stesso testimone, messaggero, guida e consigliere - e direi particolarmente qualificato - di altri suoi contemporanei, ma anche per noi. Dio infatti ha voluto che queste testimonianze bibliche diventassero lo strumento per cui Egli parla pure a noi personalmente chiamandoci al ravvedimento ed alla fede. Dio prende le parole di Davide e le fa proprie identificandosi con esse e trasformandole nella Sua Parola per noi. Dice: "Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te" (8).

La condizione umana ci accomuna tutti non solo nel peccato, ma anche nel dovere di solidarietà reciproca. Il predicatore dell'Evangelo, disse qualcuno è il mendicante affamato che, avendo trovato dove potersi sfamare, ne condivide la notizia con altri mendicanti affamati. Non deve aver paura di rimanerne senza lui, ce n'è per tutti. La donna samaritana dei vangeli incontra in Gesù il Suo Salvatore che gli dona grazia. Non tiene però la notizia per sé soltanto ma la condivide con i suoi compaesani affinché anche loro possano gioire della stessa grazia. Dice l'Evangelo secondo Giovanni: "Molti Samaritani di quella città credettero in lui a motivo della testimonianza resa da quella donna: «Egli mi ha detto tutto quello che ho fatto». Quando dunque i Samaritani andarono da lui, lo pregarono di trattenersi da loro; ed egli si trattenne là due giorni. E molti di più credettero a motivo della sua parola e dicevano alla donna: «Non è più a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo» (Gv. 4:39-42).

2. Il perché della condivisione. Perché il "graziato" condivide la buona notizia con altri? Lo fa sia per esprimere la sua riconoscenza verso Dio per averlo liberato, sia per il suo zelo di far progredire l'onore ed il servizio di Dio nel mondo; ma lo fa anche come atto di riparazione verso coloro che lui stesso prima aveva danneggiato, e portarli al ravvedimento, coloro che erano stati scandalizzati dai suoi peccati e incoraggiato o indurito al peccato.

3. Una parola personalizzata. Davide così, e Dio con lui, rivolge questo canto didattico alla maggioranza dei peccatori impenitenti (non siate), nello stesso tempo, però, il discorso è molto personale. Non possiamo nasconderci dietro alla massa e dire che il discorso è generale o che riguardi qualcun altro. Esso mi interpella personalmente come quello che il profeta Nathan aveva fatto a Davide quando l'aveva indirettamente accusato di omicidio e di adulterio.

4. Scolari ribelli? Dio, dunque, attraverso la Scrittura, vuole guidare i Suoi figli. Dice loro: "Sarò i tuoi occhi" per consigliarti, dirigerti, avvertirti. Ti guiderò come il cavaliere fa con il cavallo, o come un maestro con il suo discepolo, o come una guida che conosce il retto cammino. Che tipo di scolaro però saremo? Uno scolaro diligente oppure "un asino" (qui un cavallo!) ribelle e resistente ad imparare? Il versetto 9 infatti dice: "Non siate come il cavallo e come il mulo che non hanno intelletto, la cui bocca bisogna frenare con morso e con briglia, altrimenti non ti si avvicinano!" (9). Non siate come le creature prive di ragione per governare sé stesse, né come quelli che mai danno retta all'altrui consiglio, se non sono forzati a farlo. No, uno scolaro così ne subirà il danno. "Molti dolori subirà l'empio; ma chi confida nel SIGNORE sarà circondato dalla sua grazia" (10): se gli uomini sono ribelli ed indomabili, egli avrà modo altrimenti di piegarli e di sottometterli al suo volere. Chi però confida sulla provvidenza e promessa di Dio per la propria preservazione e liberazione, e si affida alla cura e guida di Dio, sarà circondato dalla sua grazia. E' nostro onore e gioia avere buon senso, essere in grado di essere governati dalla ragione e dal ragionare con noi stessi. Dove c'è la grazia che rigenera non è necessario il morso e la briglia.

V. Una felicità realizzata

Ecco così che nell'ultimo versetto ancora il Salmo torna a parlare della gioia: "Rallegratevi nel SIGNORE ed esultate, o giusti! Gioite, voi tutti che siete retti di cuore!" (11). Coloro che sono "retti di cuore", coloro che hanno fatto in modo che il muro di peccato che li separava da Dio fosse abbattuto attraverso il ravvedimento e la fede, ora davvero possono rallegrarsi e conseguire ora quella felicità e serenità autentica che solo il Signore Iddio può realizzare in noi. Questa è la strada che porta alla vera felicità. Un cuore impenitente è soddisfatto di sé stesso, arrogante e freddo. Dio resisterà sempre ad un tale cuore. La Scrittura dice chiaramente: Dio resiste ai superbi. Il Signore però non può resistere e non vuole stare lontano dai peccatori pentiti ed è disposto ad offrire la gioia del perdono e della Sua amicizia.

Un'ultima parola sul ravvedimento è necessario dirla alla chiesa cristiana e ci proviene da un libro intitolato: "Il ravvedimento e l'uomo del 20° secolo" di C. John Miller. Egli scrive: "Pochi cristiani d'oggi comprendono l'importanza del ravvedimento nella riconciliazione fra Dio e uomo. Pochi persino si rammentano che il Grande Mandato include un comando a predicare il ravvedimento '...e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti" (Lu. 24:47). Essi non conoscono nemmeno la gioia dei peccatori che si pentono. Se lo facessero entrerebbero in essa ed essi andrebbero ed esorterebbero i peccatori a ricevere la stessa gioia. Una volta gustata, il ravvedimento parlerebbe loro della comunione con Cristo e della fecondità e potenza del regno di Dio".

Che il Signore ci conceda dunque quell'autentica felicità che solo procede dalla comunione con Lui stabilita attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo.

[Paolo Castellina, venerdì, 21. giugno 1996. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, società Biblica di Ginevra, 1994].


Ritorno alla pagina principale