In una vignetta umoristica che ho visto recentemente su una rivista si vede un conferenziere - ma potrebbe anche essere un predicatore - che pare molto infervorato nel suo discorso. Fra il pubblico, però, uno commenta: "E' il migliore: non ha nulla da dire, però lo dice benissimo!".
La routine di dovere predicare ogni domenica può far correre il rischio al predicatore di non aver più nulla da dire e di "parlare tanto per parlare" magari ripetendo triti luoghi comuni, vane generalizzazioni moraleggianti. E' peggio quando il predicatore è noioso e prolisso, un poco meglio quando il predicatore è capace di "parlare bene" infiorando tutte le sue espressioni. In ogni caso è tragico "non aver nulla da dire" soprattutto quando il mandato da parte del Signore Gesù ai Suoi apostoli di ogni tempo e paese è così chiaro e solenne: "Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato" (Mr. 16:15). Pure è esemplare la risposta dei primi apostoli, dei quali questo stesso testo dice: "E quelli se ne andarono a predicare dappertutto e il Signore operava con loro confermando la Parola con i segni che l'accompagnavano" (Mr. 16:20).
Annunciare l'Evangelo di Gesù Cristo, o evangelizzare, è dovere non solo del predicatore consacrato, ma anche di ogni cristiano. Evangelizzare significa presentare esplicitamente alla gente la Persona, l'opera e l'insegnamento di Gesù affinché ciascuno si ravveda di come ha condotto fino ad allora la propria vita e si affidi a Lui. Evangelizzare significa presentare in modo tale la persona di Cristo tanto da far si che - per l'efficacia dello Spirito Santo - uomini, donne e bambini si avvicinino a Dio tramite Lui, crescano spiritualmente in Lui e Lo servano come Signore della loro vita in comunione con la Sua chiesa estendedone il regno nel mondo.
Non solo è tragico quando un predicatore o un cristiano "non ha nulla da dire" oppure solo "intrattiene amabilmente" il suo uditorio con luoghi comuni e vuoti esercizi retorici, ma è un vero tradimento del preciso mandato che il Signore Gesù gli ha affidato: accompagnare la gente presso Cristo affinché in Lui trovi redenzione, rigenerazione, riabilitazione davanti a Dio e quindi una vita rinnovata qualitativamente ed eterna.
Evangelizzare deve essere attività urgente, primaria ed indiscutibile del cristiano perché il destino temporale ed eterno di ognuno dipende proprio dalla qualità dei propri rapporti con il Signore Gesù Cristo: per questo avvicinarlo a Lui è supremo atto di amore. Dice autorevolmente la Bibbia: "In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvato" (At. 4:12).
L'urgenza e la serietà dell'evangelizzare risulta dal testo biblico proposto alla nostra attenzione questa settimana, in cui l'Apostolo dice:
"Perché se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo! Se lo faccio volenterosamente, ne ho ricompensa; ma se non lo faccio volenterosamente è sempre un'amministrazione che mi è affidata. Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunziando il vangelo, io offra il vangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che il vangelo mi dà. Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni. E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri" (1 Co. 9:16-23).
Il contesto di queste parole vede l'Apostolo che - accusato di utilizzare Cristo solo come pretesto per tornaconto personale: diventare famoso, mettersi in mostra e addirittura, tramite la sua attività di predicazione, di arricchirsi - si difende dicendo non essere questo proprio il caso...
Egli dice: "Perché se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo!" (16). E' la porzione del nostro testo sulla quale particolarmente ci concentreremo oggi.
"...se evangelizzo, non debbo vantarmi", cioè: "...non posso vantarmi di annunziare la parola del Signore" (TILC). Paolo era indubbiamente un predicatore di successo. Avrebbe potuto vantarsi di questo. Sebbene predicasse l'Evangelo così bene e con così tanta franchezza che avrebbe potuto anche vantarsene, e pure si vedesse contro tanti falsi maestri che lo insultavano nel suo carattere e ministero ("molti nemici, molto onore", direbbe un proverbio), certo non poteva farsene bello davanti a Dio, perché era da Dio solo che aveva ricevuto il dono, la capacità e le qualifiche per predicare con efficacia l'Evangelo.
La luce e la conoscenza che aveva dell'Evangelo, la profondità delle sue intuizioni, la libertà d'espressione, la fedeltà e l'integrità, il coraggio e l'audacia che dimostrava nell'adempiere alla sua missione, erano dovuti alla grazia ed assistenza di Dio. Il suo successo era merito dello Spirito di Dio, e quand'anche si fosse voluto vantare dei grandi doni che aveva ricevuto da Dio, beh, non era certo divertente essere apostolo. Ascoltate: "Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte negli abissi marini. Spesso in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti, in pericolo da parte dei miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, in pericolo nei deserti, in pericolo sul mare, in pericolo tra falsi fratelli; in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a tutto il resto, sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese. Chi è debole senza che io mi senta debole con lui? Chi è scandalizzato senza che io frema per lui? Se bisogna vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. Il Dio e Padre del nostro Signore Gesù, che è benedetto in eterno, sa che io non mento" (2 Co. 11:24-31).
In ogni caso - sebbene nessuno di noi debba diventare l'apostolo Paolo, la Scrittura ci esorta a perseguire quei doni di luce e buona conoscenza dell'Evangelo, di profondità nelle intuizioni, di libertà d'espressione, di fedeltà e l'integrità, di coraggio e audacia nell'adempimento della nostra comune missione.
Notate però quel: "Non posso farne a meno" (TILC) di predicare l'Evangelo di Cristo, "poiché necessità me n'è imposta". Perché Paolo "non poteva farne a meno" di evangelizzare? Non perché gli fosse necessario per vivere o perché non sapesse fare altro: aveva già una professione e la sua istruzione superiore gli avrebbe anche procurato una docenza di prestigio nelle scuole del tempo. Non ne poteva fare a meno non perché vi fosse in qualche modo costretto: nessuno lo faceva più volentieri di lui o più gioiosamente.
Annunciare la Persona e l'opera di Gesù Cristo e chiamare il mondo intero al ravvedimento, alla fede ed all'ubbidienza per lui era una necessità almeno per tre motivi: per questione di ubbidienza, per rispondere a quello che è il bisogno umano per eccellenza, e per l'onore e gloria di Cristo.
(1) Una questione di ubbidienza. Paolo aveva ricevuto da Dio stesso una chiamata specifica a predicare Cristo. Non era una sua propria idea, il frutto di un suo ragionamento. Non ha detto ad un certo punto della sua vita: "Ah, io credo proprio che sarebbe una buona idea andare in giro per il mondo a parlare di Cristo ed a persuadere tutti a diventare cristiani, a farsi battezzare e ad edificare delle chiese...". Non c'erano motivi reconditi per cui evangelizzava: Egli ubbidiva ad un preciso comando del Signore. Egli aveva fiducia che tutto ciò che dice il Signore è vero, buono e giusto per quanto a volte egli non ne capisse subito il senso. Il Signore è sovrano, e lui sapeva essere suo preciso dovere ubbidirGli.
Oggi molti tirano sempre fuori un mucchio di scuse quando vedono il comando del Signore a diffondere per il mondo il messaggio evangelico e trovano sempre delle giustificazioni per non doverlo fare. Non stiamo qui ad esaminarle. Se il Signore però ci ha comandato di farlo, noi dobbiamo ubbidirGli, che ci piaccia o meno, che lo riteniamo o no opportuno e quali che siano le nostre giustificazioni per non farlo. Se Egli è il nostro Signore, anche noi dobbiamo dire come Paolo: "Non posso farne a meno", in coscienza lo debbo fare.
(2) Il bisogno umano. Quella di Paolo, inoltre, non era un'ubbidienza cieca, perché Dio gli aveva rivelato il perché di questa missione. La missione dell'apostolo Paolo, la missione cristiana, non era tanto compiere opere di solidarietà sociale, per quanto importanti siano. Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, accogliere gli stranieri, vestire gli ignudi, visitare gli ammalati, aver compassione dei carcerati... è importante ed evangelico, ma questa non è né l'unica missione del cristiano, né quella primaria!
Nella chiesa dei primi tempi c'erano molte urgenze di carattere sociale a cui essa doveva rispondere, ed era importante rispondervi. Per questo Dio li spinge ad incaricare - per questo servizio - dei diaconi, delle persone addette all'assistenza sociale. L'assistenza sociale non era compito dei pastori. Dice il libro degli Atti: "I dodici, convocata la moltitudine dei discepoli, dissero: «Non è conveniente che noi lasciamo la Parola di Dio per servire alle mense. Pertanto, fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Quanto a noi, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola»" (At. 6:2-4).
Compito degli apostoli era ed è quello di mettere a contatto uomini, donne e bambini con la Parola di Dio, avvicinarli esistenzialmente a Cristo, perché Dio, tramite la Parola e lo Spirito Santo, vuole - attraverso il ravvedimento e la fede - rigenerare spiritualmente il cuore umano, far si che ogni uomo e di ogni donna diventi interiormente una nuova creatura gradita a Dio e disposta a fare la Sua volontà. L'Apostolo scrive: "Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunzi?" (Ro. 10:14). L'apostolo Paolo evangelizzava, dunque, per amore dell'essere umano, tanto quanto bisogna essergli solidale materialmente, perché il cristiano sa che, oltre che ad essere corpo, la creatura umana ha pure un'anima immortale che, senza Cristo sarà perduta per sempre. Se noi davvero conosciamo i bisogni umani anche noi dobbiamo dire come Paolo: "Non posso farne a meno", in coscienza io debbo evangelizzare.
(3) L'onore di Cristo. Paolo portava nel mondo il messaggio circa la Persona e l'opera di Cristo per l'onore di Cristo stesso. Se il mondo respinge e crocifigge Cristo, escludendolo come un "corpo estraneo" che solo disturba i propri sporchi interessi, compito del cristiano è quello di esaltare Cristo, la Sua bellezza, sapienza e virtù, in tutto ciò che lui cristiano, pensa, fa e dice. I redenti in cielo cantano: «Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode». E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi, udii che dicevano: «A colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli» (Ap. 5:12,13). Se per te qualcuno o qualcosa è estremamente prezioso ed importante, certo non te ne stai zitto e cogli ogni occasione per esaltarne in pubblico l'onore e le virtù. Se noi sappiamo - ci rendiamo davvero conto - di chi sia Gesù Cristo anche noi dobbiamo dire come Paolo: "Non posso farne a meno", in coscienza io debbo evangelizzare. Tutto lo obbligava in dovere, amore, e gratitudine, di adempierlo. E noi?
Portare a tutti il messaggio dell'Evangelo, infine, anzi, non farlo, quando ci è espressamente comandato da Dio è una manifesta disubbidienza alla volontà del Signore che nessuno pensi rimanga impunita.
E' con timore che Paolo afferma: "...e guai a me, se non evangelizzo!". Guai se non lo facessi! Che cosa intende dire l'Apostolo con questa espressione?
(1) Le difficoltà del ministero. Non è che l'Apostolo, non evangelizzando, tema che Dio, per castigarlo, gli mandi afflizioni, censure, persecuzione, fame e cose di questo genere, perché questi e altri guai capitano di frequente a coloro che predicano l'Evangelo! Predicare l'Evangelo non è facile e comodo perché - cosi facendo - tu invadi il campo del Maligno, lo disturbi e non poco, gli sottrai delle anime che lui ben vorrebbe tenersi strette! Si, provate a predicare fedelmente l'Evangelo sulla stampa, alla radio, alla televisione, e soprattutto da persona a persona, e vedrete che cosa succede! Quali ostacoli! Quali rabbiose reazioni! Toccate gli interessi di qualcuno che vorrebbe tenere incontrastato il suo dominio, e pensate che ve lo lascerebbe fare facilmente! Gesù l'aveva pure preannunciato ai suoi discepoli: "Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: "Il servo non è più grande del suo signore". Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra" (Gv. 15:18-20). Questo vi spaventa? Dovrebbe però molto di più spaventarci di non compiere ciò che Dio ci comanda!
(2) Le responsabilità del cristiano. Disubbidire alla precisa volontà di Dio significa non solo ferire la nostra coscienza con giusti sensi di colpa per non fare così il dovere che ci è imposto, ma esporci, trascurando la nostra vocazione e con il disprezzo della volontà divina, all'ira ed alla maledizione di Dio per sempre! Non che l'Apostolo temesse che questo potesse essere il caso per lui, ma parlava così per mostrare che cosa lui o qualsiasi altro ministro dell'Evangelo meriterebbe dalla mano di Dio se Gli disubbidisse.
Ricordate la storia del profeta Giona? "La parola del SIGNORE fu rivolta a Giona, figlio di Amittai, in questi termini: «Alzati, va' a Ninive, la gran città, e proclama contro di lei che la loro malvagità è salita fino a me». Ma Giona si mise in viaggio per fuggire a Tarsis, lontano dalla presenza del SIGNORE. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis e, pagato il prezzo del suo viaggio, si imbarcò per andare con loro a Tarsis, lontano dalla presenza del SIGNORE. ...Il SIGNORE scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave era sul punto di sfasciarsi. ...Egli rispose: «Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa gran tempesta vi piomba addosso per causa mia».. (Giona 1:1-4,12). Si, Dio non dà pace al profeta Giona fintanto che egli non adempie al suo mandato di annunciare alla malvagia città di Ninive la condanna che grava su di essa, se essa non si ravvede. Potremmo noi rifiutarci di avvisare la nostra generazione del giudizio che grava su di essa se essa non si ravvede e non si affida al Salvatore Gesù Cristo?
Chi annunzia l'Evangelo è come il profeta che Ezechiele equipara ad una sentinella: "Ora, figlio d'uomo, io ho stabilito te come sentinella ..... quando dunque udrai qualche parola della mia bocca, avvertili da parte mia. Quando avrò detto all'empio: "Empio, per certo tu morirai!" e tu non avrai parlato per avvertire l'empio che si allontani dalla sua via, quell'empio morirà per la sua iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano. Ma, se tu avverti l'empio che si allontani dalla sua via, e quello non se ne allontana, egli morirà per la sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso. ..."Com'è vero che io vivo, dice DIO, il Signore, io non mi compiaccio della morte dell'empio, ma che l'empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste...?" (Ez. 33:7-11).
Chi avesse la capacità di predicare e non predicasse, o se predicasse, ma non l'Evangelo, o solo una parte d'esso e non l'intero o dovesse smettere interamente, per interesse personale, paura dell'uomo, o vergognandosi di Cristo e del suo Evangelo, o se non sopportasse l'opposizione che esso implica e tacesse non dovrebbe forse ricevere il forte biasimo del Signore?
L'apostolo è cosciente che a lui è stata un'amministrazione (17). Non è un "hobby" quello che fa, ma un dovere che deve adempiere come servitore del Signore. La sua ricompensa più grande è quella di aver adempiuto il dovere che Dio gli chiede, di avergli dato gloria e di vedere molte anime convertirsi al Signore tramite la sua opera. Paolo è pronto ad accettare qualunque cosa pur di "guadagnare a Cristo" (19) il maggior numero di persone e di strapparle così da una vita senza senso né prospettiva, se non quella dell'eterna riprovazione da parte di Dio. Egli dice: Sono pronto a sopportare ogni cosa e a darmi tutto a tutti pur di diffondere il messaggio dell'Evangelo: "...faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri" (23) cioè per ricevere anch'io insieme con gli altri ciò che esso promette.
Molti dicono che oggi annunciare l'Evangelo della grazia di Dio in Gesù Cristo sia un compito ingrato, vista la scarsa rispondenza e la durezza dei cuori dei più. Non è vero: è un grande privilegio, e non è un compito disperato, perché non siamo noi a dover persuadere nessuno dell'importanza dell'Evangelo. Nostro compito è essere strumenti di Dio per accompagnare a Cristo il più persone possibili, "seminare" la Parola di Dio, e poi sarà compito del Signore soltanto farlo crescere. Avevamo iniziato la nostra riflessione scherzando sul fatto di come sia triste non avere nulla da dire... L'Evangelo della salvezza in Cristo è in realtà il discorso più importante che mai si possa fare, perché davvero riceverlo "è questione di vita o di morte". Il vero predicatore non sarà mai a corto di argomenti perché questo messaggio deve risuonare "fino alla fine del mondo". L'Apostolo scrisse: "Consapevoli dunque del timore che si deve avere del Signore, cerchiamo di convincere gli uomini; e Dio ci conosce a fondo... infatti l'amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; e ch'egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro" (2 Co. 5:11-15).
[Paolo Castellina, sabato, 15. giugno 1996. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, società Biblica di Ginevra, 1994].