PRED631
Vivere alla luce del sole
Il primo testo biblico che consideriamo quest’oggi è una parabola del Signore Gesù che si trova nell’Evangelo secondo Luca, al capitolo 18.
Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: - O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quel che possiedo -. Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: - O Dio, abbi pietà di me, peccatore! - Io vi assicuro che questo ritornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello: perché chiunque si innalza sarà abbassato; ma chi s’abbassa, sarà innalzato" (9-14).
Una situazione lontana da noi
Due uomini religiosi, dunque, che vanno al tempio per pregare. Il primo è un personaggio che appartiene ad un gruppo molto zelante del Giudaismo. Il Signore Gesù ce ne rivela i pensieri: si congratula con sé stesso e si vanta davanti a Dio di osservare diligentemente tutta la Legge che Dio ha stabilito per il Suo popolo. "Vedi come sono bravo," dice, "io non sono certo come quello là...".
"Quello là", il secondo personaggio, appartiene ad un gruppo di Giudei notoriamente molto negligente nei suoi doveri etici e religiosi. Egli è però consapevole della sua miseria morale e spirituale, se ne rammarica profondamente e chiede a Dio perdono. Il Signore Gesù mette in rilievo come Dio disdegni il primo nella sua arroganza e premi invece il secondo nella sua umiltà. Il messaggio della parabola è chiaro e parla a molte situazioni a noi contemporanee in modo molto incisivo.
Ho però la netta sensazione che il messaggio di una parabola come questa sia del tutto irrilevante per la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei. Se chiedessi al tipico "uomo d’oggi", infatti, a quale di questi due personaggi si sentirebbe di somigliare mi risponderebbe certamente: a nessuno dei due...
Il carattere dell’"uomo d’oggi"
Lontano da Dio. Perché? Indipendentemente dalla valutazione morale che si può fare delle persone di questa parabola, si tratta indubbiamente, in primo luogo, di due persone religiose che si recano in un luogo di culto ed intrattengono un personale rapporto con Dio. Non c’è nulla di più estraneo all’uomo moderno, infatti, di questo: il tipico uomo d’oggi non "sale al tempio per pregare", non si reca in alcun luogo di culto e non prega. Inoltre, se pure si recasse qualche volta in un luogo di culto, mi sembrerebbe strano se cercasse o intrattenesse un qualsiasi rapporto personale con Dio. Egli non dice "O Dio..." come rivolgendosi ad una persona: si sentirebbe stupido se lo facesse. Dio infatti per lui è qualcosa di irreale o, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un’entità astratta, lontana ed irrilevante.
Privo di riferimenti assoluti. In secondo luogo questa parabola parla di due persone che, bene o male mettono a confronto la loro vita con una norma etica e morale dal carattere assoluto. Sanno che esiste una legge oggettiva che Dio ha stabilito sul comportamento umano e rispetto ad essa si definiscono osservanti o trasgressori. Anche questo è estraneo al tipico uomo moderno. Rubare? Se si agisce con furbizia, a certe condizioni, riesce sempre a giustificarlo. Il senso della giustizia? Beh, se si tratta di difendere i propri diritti ce l’ha molto: se si parla di quelli degli altri ...se ne può discutere, dipende... Adulterio? Che roba vecchia: oggi pratica lo scambio delle mogli alla luce del sole, e "qualche scappatella" ogni tanto, "lo fanno tutti" ed è giustificabile. Digiuno? Qualche volta solo per dimagrire, non certo per Dio. "Soldi per la chiesa?" Se proprio si deve per convenzione sociale o per far tacere la propria coscienza... ma il minimo indispensabile! Si, allo stesso modo come Dio è estraneo alla sua vita, non esiste per lui alcuna legge oggettiva stabilita da Dio alla quale senta di doversi rapportare. Per l’uomo moderno le norme etiche sono relative, discutibili, legate alle circostanze, stabilite dalla consuetudine sociale, dal tornaconto individuale o collettivo, leggi in ogni caso stabilite dall’uomo, non certo da Dio.
Somigliante al pagano
Ecco, se l’uomo moderno dovesse assomigliare a qualche personaggio del tempo di Gesù, egli ne indicherebbe un terzo, un terzo che, pur non essendo menzionato dalla parabola, è indubbiamente presente al di fuori di quel tempio e al di fuori dall’ambito di una fede vissuta in quella maniera. Il terzo uomo a cui assomiglierebbe è il pagano, magari il greco o il romano di quel tempo: libertino, materialista... certo anche lui, a modo suo religioso, ma il cui Dio, per usare un’espressione biblica è "il suo ventre" o "basso ventre" o comunque una divinità molto "comoda", fatta a sua immagine e somiglianza, una divinità compiacente che si può condizionare a proprio piacimento e che non impegna più di quel tanto...
Il nostro testo di partenza è dunque irrilevante per l’uomo moderno? A questo punto della nostra analisi, provvisoriamente, dobbiamo dunque ammettere di si: il mondo che quella parabola rappresenta è lontano mille miglia dalla prospettiva dell’uomo o della donna d’oggi.
Una testimonianza pure oggi rilevante
E’ proprio a questo punto che vorrei introdurre un secondo testo biblico, tratto dalla prima lettera dell’apostolo Giovanni: è una testimonianza di vita vissuta. Narra di quand’era giovane. Non era particolarmente religioso: pensava al suo lavoro, alle ragazze, al divertimento... e queste tre cose in ordine casuale. Un giorno incontra un uomo di qualche anno in più di lui, un uomo straordinario che lo mette in crisi con le sue parole e il suo comportamento, un uomo che lo affascina, lo fa molto riflettere su sé stesso, gli prospetta un ideale di vita del tutto anticonformista: Gesù di Nazareth. Gli presta attenzione, la sua persona lo convince, comincia a seguirLo e la sua esistenza viene trasformata radicalmente: trova in Lui quello che nel mondo non aveva mai trovato: schiettezza, sincerità, onestà, trasparenza, altruismo, amore, forza e motivazione per vivere... trova in Lui quello che, in sintesi, chiama "la vera vita", una grande e profonda gioia.
Così Giovanni inizia la sua testimonianza e dice: "Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita, (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), quel che abbiamo visto ed udito - dico - noi lo annunciamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia completa" (1 Gv. 1: 1-4).
Questo non è un discorso religioso tradizionale ed è già più accettabile a quello che abbiamo definito il nostro "uomo moderno". Non parla di astrazioni, di riti religiosi e di "morale": è la testimonianza di un vero incontro esistenziale: Giovanni ha udito, ha visto, ha contemplato, ha "toccato con mano". Giovanni ha incontrato un uomo le cui parole e gesti lo hanno toccato profondamente, lo hanno fatto riflettere e lo hanno riempito di gioia. Giovanni ha fatto esperienza di una "vita vera" che messa a confronto con la banalità, la superficialità, la miseria, la meschinità e la sporcizia di questo mondo, beh, vale mille volte di più! Giovanni ha trovato una "perla" così pregiata che, pur di possederla, ha rinunciato a tutto il resto che il mondo offriva come a tanta inutile spazzatura. Giovanni ha trovato in Gesù qualcosa di così grande e importante che la sua gioia non potrà essere completa fino a quando non avrà comunicato questa sua scoperta a più gente possibile.
Finalmente il volto di Dio
Se chiedete ora a Giovanni quale sia "il succo" del messaggio che ha udito da Lui, egli vi dirà (è la continuazione della sua lettera):
"Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunciamo: Dio è luce, e in Lui non vi sono tenebre" (5).
Si, in Gesù, Giovanni ha scoperto finalmente il volto di Dio: quel Dio che prima per lui era irreale, un’entità astratta, lontana ed irrilevante o peggio, un’"invenzione dei preti" ora era lì, incarnato nella parola e nella vita di Gesù di Nazareth. E com’è questo Dio? Se prima pensava che fosse qualcosa di "poco chiaro", di losco ed ingannevole, di difficile e sospetto, di menzognero e patologico (!), Giovanni scopre che è luce, la luce luminosissima di tutto ciò che è buono, vero, onesto, santo, generoso, amorevole, sincero, luce da cui proviene vera intelligenza, purezza, e benedizione, assolutamente libera da contaminazione.
Tutto questo per lui non era più finalmente astrazione o proiezione di belli ma irrealizzabili desideri: era li, davanti a lui, nella persona di Gesù di Nazareth concretamente tangibile, visibile, udibile. E che non fosse "un abbaglio" era divenuto evidente nella "carriera" stessa di Gesù che dava sé stesso completamente agli altri in azioni di concreta solidarietà, guarigione, sostegno senza alcun secondo fine, anzi, che era terminata in una donazione completa di sé stesso fino alla morte, ed alla morte di croce. Ma c’è di più, in Gesù Giovanni scopre colui che trionfa sulla morte, sul peccato, sulla miseria umana.
Giovanni scopre che "in Lui non vi sono tenebre". La luce rappresenta la verità, la conoscenza e la santità. Le tenebre rappresentano l’ignoranza, l’errore, la falsità e il peccato. Queste qualità erano incarnate in Cristo, "luce del mondo" e potevano essere comunicate pure a coloro che, come Giovanni, avevano deciso di seguirLo come Suoi discepoli.
La scoperta della propria miseria
Nello scoprire Gesù Giovanni scopre anche tutta la miseria dell’umanità, la sua arroganza, la sua profonda ingiustizia, il suo peccato, che pure erano nascosti nel suo cuore. In Gesù Giovanni scopre che dopo tutto i valori assoluti che il mondo nega sono autentici, reali, e soprattutto possibili.
Egli scrive: "Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi" (8-10).
Davanti a Giovanni, in carne ed ossa, risplende la fulgida luce della gloria di Dio che risplende nel volto di Cristo, e questa luce gli rivela la realtà oggettiva, gli assoluti della legge immutabile ed eterna di Dio, la loro desiderabilità e fecondità quando sono applicati alla realtà di questo mondo. Scopre quanto la Legge oggettiva di Dio sia santa, giusta e buona e la mette a confronto con l’andazzo di questo mondo nella sua arroganza e improduttività.
Davanti a Giovanni, in carne ed ossa, risplende la fulgida luce della gloria di Dio che risplende nel volto di Cristo, e questa luce risplende così tanto da illuminare i profondi recessi del suo cuore di uomo corrotto, ben lontano da quanto gli traspare in Cristo. Scopre l’umana ostinazione a negare il concetto stesso di peccato, la loro colpevolezza fondamentale, la nostra condizione esistenziale di peccatori, e quindi pure il bisogno urgente che abbiamo di essere purificati. Scopre l’inganno che facciamo a noi stessi e la follia dell’affermare di non aver peccato e del nostro rifiuto della verace diagnosi che la parola di Dio fa sulla condizione umana. Dio non è bugiardo: la Sua Parola afferma la verità sulla nostra condizione.
Una vita illuminata
Giovanni poi scopre, seguendo quel meraviglioso Gesù di Nazareth che Lui è venuto non per condannare, ma per salvare. Egli scopre che il sacrificio di Cristo, il Suo sangue versato, ha un valore tale da liberarlo dalla contaminazione del peccato. Dice: "il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato", e poi che è possibile percorrere il cammino di questa vita illuminati proprio da quella luce.
Confessione. Come fare per ricevere nella nostra vita la virtù del sacrificio di Cristo? Lo dice in questa lettera: "Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e da purificarci da ogni iniquità" (9). Cosa vuol dire confessare a Lui i nostri peccati? Proprio quello che aveva fatto il secondo personaggio della parabola che avevamo letto all’inizio. (Fra parentesi: visto che il nostro racconto iniziale non è poi così irrilevante come avevamo pensato?).
Invece di pretendere di essere a posto, dovremmo ammettere di aver peccato. La confessione dei nostri peccati a Dio e l’un l’altro è indicata nel Nuovo Testamento come necessità costante. Se confessiamo i nostri peccati, il Signore sarà fedele alle Sue promesse. Egli sarà giusto nell’imputarci giustizia a causa dell’espiazione compiuta in nostro favore da Cristo
Illuminati dalla luce di Cristo, persuasi della nostra miseria, giungere a
fare come quel pubblicano: "Ma il pubblicano se ne stava a distanza e
non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: -
O Dio, abbi pietà di me, peccatore! Oh Signore guardando Te comprendo
quanto grande sia la mia miseria morale e spirituale. Vorrei abbandonarla,
vorrei essere e vivere come sei vissuto tu, poter vivere una vita pulita,
significativa, eterna. Oh Signore, io confesso il mio peccato: applica a me le
virtù del Tuo sacrificio, purificami da ogni iniquità". Allora accadrà
proprio come l’uomo della parabola del quale il Signore Gesù dice: "Io
vi assicuro che questo ritornò a casa sua giustificato".
Camminare sotto la luce. E dopo? Dopo c’è una vita da scoprire "camminando" illuminati da Cristo: "Se camminiamo nella luce, come Egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro" (7a). Che cosa vuol dire? Vuol dire scoprire le meraviglie della riconciliazione con Dio, con noi stessi, con gli altri, e con il mondo: un frutto che procede soltanto dall’opera rigeneratrice dello Spirito di Dio nel nostro cuore. E’ quello di cui ha fatto esperienza il nostro Giovanni, e la sua gioia non sarà completa fintanto che questa non sarà pure la nostra esperienza.
Al capitolo 2 dirà: "Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (2: 1,2).
Vivere come cristiani significa essere caratterizzati dalle luminose qualità di Cristo. Come Dio è luce e dimora in una luce inaccessibile, il cristiano è chiamato a riflettere una tale luce. Camminare nella luce vuol dire vivere, comportarsi seguendo la luce di Dio che gli è conferita per grazia e che non gli è propria per natura. In essa il cristiano progredisce, aspirando al pieno godimento di quella natura.
Conclusione
I nostri testi biblici oggi ci hanno parlato oggi di assoluti morali e di leggi decretate da un Dio, di mancata conformità a queste leggi e quindi di trasgressione, di confessione di peccato, espiazione di pena e di vita rinnovata e rigenerata. In effetti sembra di parlare di un mondo lontano mille miglia dalla scena contemporanea, eppure proprio di questo abbiamo bisogno.
Non siamo di fronte ad una società evoluta, ma ad una società degradata che è stata descritta come una società dove si è operata una castrazione senza scrupoli della verità. Una generazione è stata descritta come "intellettualmente priva di saldi punti di riferimento, moralmente smidollata e senza freni". Secoli dopo Gesù, siamo diventati gli eredi impoveriti di una cultura che con comprende più né legge né grazia, dove gli assoluti sono stati sgonfiati come il boccheggiamento di un antiquato modo di pensare, e il perdono considerato solo come il rifugio del mendicante. Non sorprende come nello studio della storia operato da Toynbee noi siamo la prima di 21 civilizzazioni che hanno intrapreso a costruire una "civiltà" senza punti di riferimento morali. Siamo per giunta arrivati a queste conclusioni attraverso un processo che fa si che noi si affondi sempre di più in un abisso di nichilismo, dove la vita ha perduto ogni suo significato. E’ questo il tipo di società in cui vorremmo vivere? No, il Signore e Salvatore Gesù Cristo ci offre molto di meglio. Chi si affida a Cristo deve rinunciare solo ai suoi stracci e ad un mondo di tenebre per vivere la vita luminosa vissuta camminando al chiarore del Dio che è la sola luce che possa illuminare la nostra esistenza di senso e di prospettiva.
[Paolo Castellina. Tutte le citazioni
bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione "Nuova
Riveduta", Società Biblica di Ginevra, 1994].