PRED623

Le realtà della Passione

(Luca 19: 28-44; 22:14-23:56)

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La centralità della croce

La sofferenza e morte del Salvatore Gesû Cristo sulla croce hanno per la fede cristiana un’importanza che per molti osservatori esterni è del tutto stupefacente.

Nei quattro vangeli, il tradizionale quadro biografico di Gesù, la sua sofferenza e morte occupano uno spazio molto grande, del tutto sproporzionato rispetto alle altre fasi della sua vita. Ve ne siete mai chiesti il perché? Perché la fede cristiana pare così, direi quasi "ossessionata" con la croce di Cristo? Perché un terribile strumento di tortura come la croce, è diventata il simbolo per eccellenza della fede cristiana? E’ come se portassimo al collo invece che una catenina con la croce ...un cappio per impiccati.

E’ stato scritto: "L’uomo aveva fatto della croce un simbolo di vergogna. Cristo l’ha trasformato in un simbolo di gloria. L’uomo l’usava come orribile strumento di morte: Cristo l’ha convertito in uno strumento di vita. L’uomo l’aveva usata come crudele oppressione: Cristo l’ha messa al servizio della libertà. L’uomo l’aveva reso agente di giudizio e di castigo: attraverso Cristo è diventata mezzo di perdono e di misericordia. Nelle mani dell’uomo la croce era un albero maledetto: toccata dal Figlio di Dio è diventata un albero di benedizione. Prima del Calvario la croce incuteva solo paura: dopo il Calvario è diventata simbolo d'infinito amore. Prima del venerdì santo gli uomini distoglievano da essa lo sguardo con orrore: dopo il venerdì santo gli uomini l’hanno trasformata in strumento di conforto e di sollievo. Prima di quel giorno gli uomini tremavano al solo pensiero della croce; dopo quei giorni gli uomini si sarebbero inginocchiati davanti alla croce. Un tempo gli uomini consideravano quest’oggetto come collegato al crimine ed ad altri peccati: poi Cristo l’ha santificato con il Suo prezioso e santo sangue. Prima il Calvario era usato per far osservare la Legge: dopo il Calvario gioiosamente proclama l’Evangelo. Prima del Venerdì santo scagliava l’uomo nelle tenebre di fuori: dopo apriva la porta del Paradiso e della gloria. La vergogna della croce era l’uomo, la Gloria della croce è Cristo.

Alla croce di Cristo avviene un drammatico scontro, una sorta di conflitto cosmico fra quello che la Bibbia chiama il "gran dragone" e Dio, fra il bene ed il male, fra le tenebre e la luce: in che modo? Abbiamo letto il raccy<onto della Passione di Cristo. Focalizziamone alcune scene e cerchiamo di comprenderne il significato profondo per la nostra esistenza.

I. Il Signore ne ha bisogno

Dopo aver raccontato come fossero giunti fino al monte degli Ulivi, lo scrittore racconta di come Gesù avesse preso a prestito un asino su cui cavalcare, il che s'era dimostrato essere l’adempimento di una profezia (19: 29-34). In quest'episodio c’è un significato nascosto sia nella domanda degli astanti che vedono i discepoli mettere le mani sul mezzo di trasporto di qualcuno (a quei tempi era come vedere oggi qualcuno che ruba un’auto), sia nella risposta dei discepoli. La gente che stava li, aveva loro chiesto: "Chi siete? Ma che state facendo? Chi vi autorizza a farlo?". E’ la domanda che il mondo pone sempre al discepolo di Cristo. Era la domanda che pongono a tutti coloro che in nome di Cristo vanno per il mondo ad annunciare questo vangelo di ravvedimento e di conversione, a servire i poveri e gli afflitti.

Notate però la risposta che danno i discepoli: "Il Signore ne ha bisogno" (v. 34).

E’ un’affermazione profonda, non casuale. "Che presunzione", direbbe qualcuno. "Chi pensa forse d’essere questo Gesù? Vuole avere tutto a Sua disposizione? Quall’asino non gli appartiene!". Eppure Gesù è il Signore, ogni cosa appartiene a Lui, Lui l’ha creata, Lui la tiene in vita, Lui ne può disporre come e quanto vuole! Gesù non è "uno qualunque", Egli è "Dio con noi". Quell’asino era stato creato con dei "doni", per una funzione specifica, e Gesù sceglie d'avvalersene per i suoi scopi.

Su questo punto dovremmo riflettere molto bene e vederne tutte le implicazioni. Se ne avessimo maggiore coscienza, questo cambierebbe radicalmente il modo in cui usiamo "ciò che ci appartiene", la nostra chiesa, noi stessi. Spesso infatti anche noi cristiani sembriamo credere allo slogan femminista che dice: "Il corpo è mio e lo gestisco io!". Niente affatto! Esso appartiene a Dio e Dio ha il diritto di gestirlo come vuole, di determinare come debba essere usato, insieme con tutto quello che possiedi, tempo compreso!

Pregando davanti alle offerte che il popolo aveva fatto per la costruzione del tempio, Davide dice: "Tua, o Eterno, è la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore, la maestà, perché tutto ciò che è in cielo e sulla terra è tuo. Tuo, o Eterno, è il regno, e tu t'innalzi sovrano sopra ogni cosa. Da te vengono la ricchezza e la forza... noi t'abbiamo semplicemente dato ciò che abbiamo ricevuto dalla tua mano" (1 Cr. 29: 11-14).

Il Salmo 100: 3 dice: "Riconoscete che l’Eterno è Dio; è lui che ci ha fatti e non noi da noi stessi; noi siamo il suo popolo e il gregge del suo pascolo".

L’apostolo Paolo, parla dei cristiani come di coloro che sono stati strappati dalla podestà di Satana e che ora appartengono a Dio. Dice "Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale voi avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo, glorificate dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a Dio" (1 Co. 6: 19,20).

Il Signore ci ha creato, ci sostiene, ha messo in noi dei talenti e delle potenzialità, ci ha colmato di beni. Di chi è tutto questo? Di Dio. Per che cosa deve essere usato tutto questo? Per il Signore Iddio. Posso farne ciò che voglio? No. Come userò io le mie facoltà? Alla gloria di Dio: il Signore ne ha bisogno!

II. Vi deve essere la lode

Ora considerate l’ingresso trionfale di Gesù nella città (19:35-40). La maggior parte dei re entrava nelle città che avevano conquistato cavalcando un fiero cavallo, oppure su uno sfavillante carro. Gesù però volle cavalcare un asino.

Notate la folla. Era una gran moltitudine, una folla di "discepoli", una folla entusiasta dell’area di Gerusalemme. Giovanni osserva che molti fra questi erano stati presenti quando Gesù aveva fatto risorgere Lazzaro, a Betania, pochi chilometri più lontano. A causa di questo tutti l'acclamavano con i loro Evviva! La folla era apparentemente divisa in due grandi gruppi, un gruppo Lo precedeva deponendo sulla strada delle vesti come una sorta di "tappeto rosso" di benvenuto, tagliando rami verdi e mettendoli a terra (è interessante che solo Giovanni specificasse trattarsi di palme), mentre altra folla seguiva.

Alcuni studiosi osservano come questi due gruppi fossero una sorta di coro antifonale, che cantava un salmo a voci alternate, quelli cantati all’ingresso di re, oppure quelli che i pellegrini usavano cantare avvicinandosi a Gerusalemme per la Pasqua. Gli scrittori dei vangeli rammentano che il popolo gridava cose come: "Osanna al Figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Benedetto sia il Re di Israele!".

Frasi piuttosto impegnative queste grida e queste lodi! Luca dice che alcuni fra i Farisei sparsi nella folla (essi si trovano spesso nella folla, ma sono raramente credenti) raccomandavano a Gesù di far smettere ai suoi discepoli di dire quelle cose, tutti quei canti avrebbero potuto essere considerati un tradimento delle autorità politiche costituite e persino una bestemmia. Gesù però risponde con una frase memorabile: "Io vi dico che, se costoro tacessero, griderebbero le pietre!" (40).

Quanto è importante l’espressione della lode verso Dio e il Suo Cristo! Evidentemente non deve essere una lode formale, ipocrita o interessata... Deve essere il riconoscimento pubblico della Sua gloria e maestà, è il riconoscimento della Sua Signoria sulla nostra vita.

Uno scrittore raccomandava quanto fosse importante lodare Dio anche quando le cose sembrano andare male o addirittura nella sofferenza, ed osservava come questo sempre si rivela benefico al nostro spirito. Perché? Perché ci persuade che Dio è sempre in controllo della situazione e al nostro fianco, che nulla accade senza che Lui lo sappia o ne voglia far conseguire qualche fine sapiente, anche se a noi sconosciuto.

Potreste osservare come le lodi della folla quel giorno davanti a Gesû forse erano superficiali, oppure insincere. L’abuso che però si può fare della lode, non ne preclude l’uso legittimo, che è sempre benefico e pertinente.

III. Il Maligno pare instancabile

Oltre al diritto di proprietà che il Signore vanta su di noi, e la necessità che abbiamo di lodare il nostro Creatore e Redentore, considerate la realtà del Maligno.

All’ultima cena Gesù fa diverse osservazioni che illuminano le tenebre di quella sera. Nel mezzo della festa, Egli dice: "Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è sulla tavola con me" (22: 21). Poco più tardi Gesù annuncia che il diavolo aveva espresso insistentemente il desiderio di prendere possesso di Pietro (22: 31,32).

L’ombra del Maligno sembra essere proiettata quella sera su tutta la sala dove Gesù e i Suoi discepoli sono radunati. I discepoli potevano quasi palparla. Il loro cuore era aggravato, questo è ciò che Giovanni chiaramente mette in evidenza quando Gesù, in quell’occasione dice loro: "Il vostro cuore non sia turbato".

Il Maligno si era avvicinato, ed aveva preso posto persino alla tavola dell’ultima cena. E’ per noi indicazione di quanto il Maligno sia tenace ed instancabile, e che egli non abbia certo paura di noi. Se aveva l’audacia d'opporsi a Gesù fino alla Passione, se aveva l’audacia di sedere alla tavola stessa dove i discepoli di Gesù erano riuniti, sotto forma del traditore Giuda, se stava cercando d'afferrare saldamente Pietro persino in quell’ora, quanto è ben facile che egli voglia attaccare noi nella nostra situazione!

Possiamo trovarci in situazioni, forse la nostra, dove quasi è palpabile l’oppressione morale e spirituale del Maligno. Non deve essere necessariamente una situazione in cui accadono malvagità grossolane, ma anche una situazione di stallo e impasse spirituale, dove cuori e menti sembrano ostinatamente avverse a Dio ed a qualsiasi tentativo d'annunciare la verità, dove senti la tensione, la miseria morale e spirituale, il materialismo imperante...

L’unica speranza di Pietro e la nostra unica speranza sta nel fatto, fatto meraviglioso, che Gesù stia pregando per noi! Ascoltate: "Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venissi meno" (22: 31,32).

Non ê forse questa una fonte di gran sicurezza per noi, e certezza della vittoria finale sul Maligno?

IV. La realtà del Paradiso

Nonostante però la pesantezza dell’atmosfera dell’ultima cena, possiamo trovare in questo racconto la più bella e confortante espressione sul Paradiso, che la Bibbia ci comunichi (22: 28-30).

Siamo abituati a pensare al Paradiso, al Cielo, in termini che non dicono molto alla gente d’oggi -strade dorate, portali di perla, dimore... Si tratta di simboli presi dal libro dell’Apocalisse. Nel racconto di Luca sull’ultima cena, c’è un’immagine del Paradiso, che potrebbe ben apprezzare la gente d’oggi, alienata l’uno dall’altro ed assetata di comunione. Gesù, in questi versetti prima esprime il suo grande apprezzamento per l’amicizia che Gli dimostrano i Suoi discepoli: "Or voi siete quelli che siete rimasti con me nelle mie prove" (28). E’ vero che essi non sono certo stati grandi modelli di fede. Vi ricordate che cosa diceva loro Gesù: "Fino a quando io dovrò sopportarvi? ... Anche voi volete andarvene? ... Allontanati da me, Satana! (rivolto a Pietro) ". Ciononostante essi in modo persistente Lo seguono, imparando via via.

Poi Gesù dice loro che Egli assegna loro il regno, come Dio Padre ha assegnato a Lui un regno. E poi, come buoni compagni essi mangeranno e berranno alla tavola di Cristo, nel Suo regno. Il Paradiso, Gesù intende dire, è espresso con l’idea di buoni amici che si trovano insieme per mangiare e bere e per avere reciproca compagnia. Ma c’è di più: Gesù qui dice chiaramente che Egli stesso siederà, d’altro canto, con questi stessi undici uomini, fragili e peccatori come sono, e che essi parleranno dei vecchi tempi in cui essi si trascinavano per la Galilea. Che bell’immagine della realtà del Paradiso. Il Paradiso qui non è un "finalmente soli", ma un "finalmente insieme", con tutti coloro che amano il Signore, liberi finalmente dalle preoccupazioni, dalle frustrazioni, dal dolore, dalle infermità, dalle mosse del Maligno, per godersi finalmente "un po’ di pace", il calore della comunione con Dio e con i fratelli e sorelle nella fede.

Conclusione

Nel tempo dunque in cui commemoriamo la sofferenza e la morte del Signore Gesù, diamo noi stessi a Lui insieme con tutto ciò che possediamo, mettiamolo con gioia al Suo servizio Lui. Facciamo la risoluzione che la nostra vita un unico canto di lode verso Dio, in buona come in cattiva sorte. Teniamo sempre in mente la realtà del Maligno, e soprattutto concentriamo la nostra mente sulla comunione che per grazia potremo godere con Cristo nel Paradiso! Soprattutto contempliamo la croce di Cristo e chiediamo al Signore in preghiera di farcene intendere il mistero, il significato di salvezza in esso nascosto.

[Paolo Castellina, giovedì, 06. aprile 1995. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione "Nuova Diodati", edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991).

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