Una triplice tragedia

---

C'è un racconto dei vangeli che è stato chiamato la storia più bella del mondo. Si, quando altri libri si saranno sbriciolati nella polvere ed il mondo si sarà consumato come un vestito smesso, questo racconto rimarrà ancora giovane e fresco: è la parabola del figlio prodigo, storia riportata da Luca nel quattordicesimo capitolo del suo vangelo.

Questo racconto però non è isolato: Gesù lo associa ad altre due brevi parabole sullo stesso tema, e questi racconti insieme li potremmo definire come la descrizione di tre tragedie, di tre smarrimenti: quello della pecora, della moneta e del figlio prodigo.

Se vogliamo cogliere il cuore stesso di queste storie li dobbiamo inquadrare nella situazione concreta in cui Gesù li aveva raccontati proprio a gente come noi. Cerchiamo di ricostruirne la scena. Gesù le aveva pronunciate proprio quando l'opposizione contro di Lui stava crescendo.

Era ormai avviato verso la sua personale tragedia, quella della croce. Il popolo che Dio aveva scelto come Suo portavoce e testimone aveva respinto la sua stessa vocazione. Il Vangelo di Giovanni ci dice a proposito di Gesù: "Egli è venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto" (Gv. 1:11).

Cercate di immaginare un giorno come quello in cui un uomo paralizzato era stato fatto calare attraverso il terrazzo di una casa per essere guarito da Gesù, e gli scribi ed i Farisei avevano cominciato a brontolare e mugugnare, oppure al giorno in cui Levi, un noto peccatore e esattore delle tasse, aveva abbandonato la sua vecchia vita per seguire il Maestro, organizzando poi una grande festa per celebrare -e Gesù vi partecipa, naturalmente. E gli scribi e i Farisei? Se ne stanno là in disparte a borbottare a lamentare che un maestro di religione si abbassi a tanto, da entrare persino nella case di un simile peccatore!

I. La tragedia di insensibili orgogliosi

La prima delle tragedie che questi racconti illustrano, ha a che fare con l'atteggiamento di gente che a quel tempo si atteggiava a grande religiosità si, ma senz'anima né compassione. Nei versetti 1-3 vediamo la tragedia di un popolo di Dio totalmente insensibile alla condizione di chi ha sbagliato, e per questo ha reso miserabile la propria vita.

Un popolo che dice: "Hanno deciso di prendere una direzione diversa da quella indicata da Dio, si sono cacciati nei guai? Ben gli stà, che si arrangino, un'altra volta impareranno!". Questo atteggiamento, però, non è conforme al cuore di Dio. Dio soffre nel vedere la miserabile condizione di chi sbaglia e anche di chi gli si ribella contro. Egli non nutre desideri di vendetta, ma cerca sempre di ricuperare il colpevole, di fargli aprire gli occhi, di persuaderlo a cambiare strada.

Gesù va incontro, pieno di compassione, a chi sbaglia, nella speranza di ricuperarlo, e che fanno i Farisei? Dice il testo: "E i Farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Allora disse loro queste parabole..." (15:2,3a). Si questa gente Lo critica e Lo condanna, perché si interessa di loro.

Questo concetto è espresso molto bene, in questi racconti, nella figura del figlio maggiore della parabola del figlio prodigo. Ricordate? Questa è chiaramente l'immagine di chi afferma di conoscere Dio, che vuole essere come Lui e che pur tuttavia volta le spalle all'empio, al disadattato, al povero, all'emarginato, a colui che palesemente non si conforma al modello di vita proposto da Dio. Egli li condanna e basta, senza fare passo alcuno verso di loro. Anche i peccatori più deformi ed ostinati: quanto vorrebbero uscire dalla loro miseria e dalle tenebre per trovare posto in una comunità compassionevole che li accolga con gioia e che li guidi a riformare la loro vita, ma trovano forse accoglienza nella maggioranza delle nostre chiese così "per bene"?

Sono stato impressionato recentemente in Piemonte, sulla strada Torino-Cuneo, o in Lombardia, sulla strada Milano-Lecco, nel vedere in pieno giorno schiere di prostitute d'ogni colore che, sinceramente, mi facevano schifo, solo al pensiero che qualcuno voglia andare con loro. Chissà però quanto vorrebbero esse fare una vita diversa, non venire sfruttate, di essere amate veramente, sostenute, riabilitate, accolte come esseri umani dotati della dignità di esseri fatti ad immagine e somiglianza di Dio! Gesù si sarebbe fermato a parlare con loro, le avrebbe aiutate, ne avrebbe avuto compassione.

Io sono discepolo di quello stesso Gesù. Saprei io fare altrettanto, o forse troverei mille scuse per non agire?

Sono sicuro che una chiesa farebbe esperienza di un risveglio se solo si rendesse conto di essere identificabile proprio nella figura del "fratello maggiore" della parabola che riteneva d'aver fatto il proprio dovere verso il padre e che era rimasto scandalizzato al comportamento compassionevole del padre stesso nei confronti del figlio minore che aveva sbagliato. Guardiamoci allo specchio del fratello maggiore nel versetto 28 là dove il figlio prodigo, tutto stracciato arriva e comincia la grande festa. Il fratello maggiore ode la musica e le danze mentre è ancora nei campi, e chiama un servo affinché gliene dia spiegazione. Dopo avere udito la "buona notizia" si adira, e non vuole entrare in casa. Il padre esce e lo esorta ad entrare e ad unirsi alla festa.

Non ve lo immaginate? I suoi pensieri sono tutti solo concentrati su sé stesso: "son già tanti anni che IO ti servo... Io non ho mai trasgredito alcun tuo comandamento... non MI hai mai dato... ma quando è tornato questo tuo figlio...". Non ve lo immaginare là a ribollire di rabbia in quel caldo pomeriggio dietro la casa? Che personaggio sgradevole doveva essere questo fratello maggiore! Non avrei alcun piacere a dover stare in sua compagnia... Forse era proprio lui la ragione per cui suo fratello se n'era andato da casa!

Il figlio più giovane ha sbagliato, ma si ravvede, ritorna umiliato da suo padre, gli chiede perdono, e il padre lo bacia, riabilita, lo riveste, lo riaccoglie: non gli aveva forse sprecato tutti i soldi? Eppure... In questo intramontabile racconto il padre più che certamente rappresenta Dio, mentre gli scribi ed i Farisei, che altrettanto chiaramente vengono rappresentati nel fratello maggiore, sono certamente una delusione per Dio, non un vanto, seppure ritengano di aver fatto il loro dovere!

II. La tragedia dei perduti

La seconda delle tre tragedie è quella della nostra condizione di perduti. In tutt'e tre le parabole c'è un insistente interesse per la condizione di essere perduto.

La pecora si è perduta perché è curiosa, perché ama vagare, seguire i propri pensieri ed inclinazioni. Non le importano gli ammonimenti a fare attenzione, non guarda mai dove sta andando. Bruca la sua erba impassibile, senza avvedersi che va verso la confusione, il pericolo, la distruzione. Quanto è vero per molti oggi che sembrano del tutto insensibili agli ammonimenti, alle indicazioni della sapienza, e con ostinazione persistono nelle loro vie!

E' come un ragazzino ribelle che non vuole mai prestar fede a ciò che gli dicono i genitori, i maestri, il parroco, e poi va a cacciarsi nei guai.

La situazione della moneta smarrita è diversa da quella della pecora, ma la fine è sempre la perdizione. Non ha colpa di essersi perduta, ma rotola inesorabilmente nella polvere e fra le ragnatele sotto qualche mobile.

Nella società ebraica una moneta preziosa veniva data alla donna dal marito al momento delle nozze, come simbolo della loro unione, allo stesso modo in cui noi oggi usiamo un anello nuziale. Questa donna però perde la moneta, che è simbolo del suo matrimonio. Non è sostituibile, perché è unica. Che vergogna l'averla perduta!

Non vi fa pensare essa a quando manchiamo di onorare le promesse che ci legano a Dio e che sono state suggellate dal battesimo? Per alcuni il quadro della confermazione è un simbolo scomodo, e lo "perdono" chissà dove, oppure "lo dimenticano" da qualche parte.

La moneta perduta potrebbe però anche simbolizzare la persona perduta, come per esempio la pietosa condizione di quei figli che, a causa delle circostanze, della negligenza dei propri genitori, dell'ambiente, o della mancanza di interesse da parte dei cristiani, rotolano via come monete e cadono senza essere notati, negli angoli scuri della vita.

La terza immagine della condizione di chi è perduto è di un altro tipo ancora -quella del figlio deliberatamente ribelle. Questo ragazzo si era perduto da solo. Lui a casa si annoiava, lo irritava e lo frustrava come se essa gli togliesse tutto il bello della vita... Lui voleva la sua "libertà" e così Gesù dipinge in questa parabola l'illusione della libertà, ma senza responsabilità. E' la stessa ingannevole attrazione che questo mondo, con tutti i suoi luccichii e promesse, esercita su tanta gente anche nel nostro mezzo, o sui nostri ragazzi e giovani...

Le nostre "vecchie" chiese, il messaggio cristiano non riesce a vincere la concorrenza dei locali, delle attività e dei messaggi che vanno per la maggiore oggi, e tanti corrono dietro queste "attrazioni" e disprezzano la sapienza antica, il Salvatore Gesù, il Suo messaggio. Alla fine, però, come il figlio prodigo, si rendono conto che ciò che il mondo offriva era solo un inganno. Tornano però alla sapienza antica e a Dio, oppure sono troppo orgogliosi per ammettere di aver sbagliato? Non così il figlio prodigo.

Gesù considerava ogni anima come perduta -perduta come la pecora, sbadata e negligente; perduta come la moneta che rotola a terra andando a finire sotto un mobile nelle ragnatele e nella polvere del peccato che tutti ci circonda; perduto come quel giovane che aveva abbracciato una deliberata ribellione contro suo padre.

Gesù ben vedeva il corso inevitabile del peccato nella nostra vita e lo proiettava nella triste fine dell'avventura del figlio prodigo: disintegrazione interiore, miseria esteriore e totale rovina. Questo è il messaggio dell'immagine, così ripugnante per l'ebreo, di quel giovane che sedeva accanto al trogolo dei maiali.

III. La tragedia di Colui che cerca

La terza della triplice tragedia è quella del Padre, afflitto e alla ricerca. Seppure essa sia la tragedia del Padre afflitto dal quale ci siamo allontanati, nonostante il suo amore e la sua cura, c'è qui un sorprendente accento sul fatto che egli ricerchi in modo paziente e persistente il figlio perduto.

Dio si interessa dei Suoi figli come un pastore che va alla ricerca della pecora smarrita; come colei che, da poco sposata, ha perduto la moneta segno del suo vincolo matrimoniale.

Forse il padre aveva chiesto al suo figlio maggiore di andare lui alla ricerca del fratello prodigo, ma lui si era rifiutato di farlo. Allo stesso modo i Farisei, neppure si sognavano di andare a cercare gente! Ciononostante è chiaro che, mentre udiamo Gesù raccontare queste parabole che noi abbiamo dato a questi racconti il titolo sbagliato. Non è la storia della pecora perduta, ma del pastore che la cerca. Non è la storia della moneta smarrita, ma della donna che la cerca. Non è la storia del figlio prodigo, ma del padre che lo cerca. In ogni caso, l'enfasi finale è sulla gioia per avere trovato ciò che era stato perduto.

Aggiungiamo alla condizione di perdizione di ciascuna persona e all'eterna immagine del Dio che cerca, la possibilità del ravvedimento -il ritorno a casa. Io posso immaginare Gesù che, dopo aver raccontato queste storie vede i Farisei che Lo condannano per andare a cercare gli emarginati, le prostitute, i pubblicani. Che reazione diversa, però, quando lo odono i perduti della sua società che, nelle sue parole, ritrovano la speranza. I farisei sono irritati, duri e chiusi nel loro guscio che li rende gretti ed insensibili. Gli altri però, all'udire le parole di Gesù, sentono un tonfo al cuore, gli occhi loro si bagnano di lacrime e scorgono in Gesù quella speranza che nel mondo nessuno aveva loro saputo dare. Torna loro la speranza di vedersi riconciliati ed in pace con Dio, che la loro vita davvero può cambiare.

Sapremmo dare al mondo noi, come discepoli di Gesù, una speranza corrispondente a quella che il Signore gesù poteva loro comunicare?

Ho letto recentemente la testimonianza di un giovane simile a quella del figlio prodigo. Era un giovane che non aveva riguardo alcuno né per Dio né per gli altri. Stufo del suo lavoro e della sua casa era partito, aveva preso tutti i suoi risparmi e li aveva sprecati in ogni sorta di cosiddetti divertimenti. Si era poi ritrovato solo e senza più denaro, sporco e disilluso, nella stanza di un motel una notte. Ora pensava solo al suicidio. Accanto al letto, sul comodino, trovò però un Nuovo Testamento. Con un gesto di rabbia e di derisione lo colpì con la mano e lo gettò a terra. Quella notte stava passando in bianco, ma no riusciva a distogliere lo sguardo da quel Nuovo Testamento. Ad un certo punto si alzò, e lo raccolse da terra. Era aperto all'Evangelo di Marco. Cominciò a leggere. Più tardi avrebbe raccontato: "Leggevo del Figlio di Dio che aveva detto al lebbroso: Sii mondato. Leggevo di quell'uomo paralizzato a cui Gesù aveva detto: I tuoi peccati ti sono perdonati, e di Gesù che aveva lodato una povera vedova per aver donato a Dio le ultime monete che aveva. ero rimasto impressionato dal leggere di Gesù che aveva preso in braccio dei bambini e che li aveva benedetti, e poi, nonostante il modo profondamente ingiusto in cui era stato trattato, promettere di dare il Suo stesso sangue per i peccatori. E poi quando lessi di come era morto, beh, ho confessato a Dio tutti i miei peccati e Gli ho chiesto perdono, nel nome di quello stesso Cristo del quale quella sera avevo letto. Ho trovato così la pace, quella pace che il mondo non aveva mai potuto darmi".

Quel giovane divenne un uomo nuovo, ed ora non manca occasione per donare agli altri quel libro che parlava di Gesù e che egli stesso aveva scoperto come un personalissimo appello che Dio, il Dio che lo cercava, quella sera gli aveva rivolto, affinché fosse salvato.

Anche lui era perduto, Dio lo ha cercato, ed è stato trovato: la tragedia della sua vita era diventata la gioia di una vita ricuperata alla gloria di Dio.

Che possa questa essere anche la vostra esperienza.

 

[Paolo Castellina, 25 marzo, 1995. Tutte le citazioni bibliche qui riportate, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione "Nuova Diodati", edizione 1991, La Buona Novella, Brindisi].

---

index.html