PRED615
Dove andremo a finire di questo passo?
La nostra situazione e i propositi di Dio
Il tema dell’Agenda 1995 di "Pane per i Fratelli" si intitola "Cielo e Terra sono tuoi" e porta per sottotitolo "Campagna 1995 per la salvaguardia delle basi della vita". Ancora una volta essa desidera che noi ci interroghiamo seriamente sulle pessime condizioni ambientali di questo nostro pianeta oggi, su quali siano le nostre prospettive e le nostre responsabilità verso il creato.
Su una pagina dell’agenda sta scritto: "Su questa terra siamo di
passaggio. Non come invitati sprofondati in poltrona e con il bicchiere in
mano: piuttosto come dei giardinieri. Siamo responsabili del giardino nei
confronti delle generazioni future. Dobbiamo rendercene conto,
altrimenti..."
In effetti, le condizioni dell’ambiente naturale in cui viviamo stanno peggiorando sempre di più. L’intervento indiscriminato della "mano dell’uomo" sull’aria, sull’acqua, sulla terra, sta rendendo sempre più invivibile, sporco e contaminato questo mondo, creando squilibri, malattie, carestie... Molti si stanno così domandando, con angoscia "dove andremo a finire di questo passo?", "Che ne sarà dei nostri figli?". E’ un’angoscia crescente che non viene mitigata, anzi, aumentata, dai tanti buoni propositi ed esortazioni che si moltiplicano al riguardo, dalle tante parole che si fanno e si sentono sul tema dell’ecologia ...parole, parole, parole al vento di organizzazioni ecologiche, chiese, istituzioni, governi, che sembrano del tutto impotenti a far cambiare rotta a questa umanità che con cecità ed ostinazione irresponsabile, corre verso il precipizio. Sono forse parole di circostanza che nascondono solo ipocrisia? E’ più di un sospetto...
Dove andremo a finire di questo passo? E’ una domanda importante questa. Qualcuno dice "verso il peggio", altri confidano che l’essere umano maturerà e, magari dopo un violento choc tornerà alla ragione. Io rispondo: La storia umana andrà nella direzione che Dio per essa ha stabilito, secondo i Suoi propositi e promesse, propositi che Dio ci ha chiaramente rivelato attraverso la Bibbia.
Il testo biblico
Il testo biblico di quest’oggi offre a noi, che guardiamo con apprensione a questo mondo, una luce sui propositi di Dio. Si trova nella lettera ai Romani, capitolo 8, dal versetto 18. Parla della sofferenza, della sofferenza umana, ma anche della sofferenza della natura intorno a noi. Non si tratta però di un testo che esprima disperazione: i figlioli di Dio e la natura stessa guardano con grande aspettativa al ristabilimento di tutte le cose che avverrà a tempo debito, secondo le Sue promesse, dopo che verrà eseguito il giusto giudizio di Dio sulla ribellione di uomini e di angeli.
Leggiamo dunque quanto ci dice la Parola di Dio ed esaminiamola con attenzione.
L’Apostolo dice: "Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza" (Ro. 8:18-25).
I. Le nostre sofferenze e la nostra speranza.
Il nostro testo parte da una situazione di sofferenza e prospetta il tempo
in cui essa, secondo i propositi di Dio, verrà superata. L’Apostolo dice: "Io
ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili
alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi "(18).
1. Le sofferenze del momento presente (18a). Paolo considera le sofferenze del vivere in questo tipo di mondo.
Include le sofferenze di ogni tipo, ma in rilievo sono quelle particolari sofferenze che provengono dal voler vivere coerentemente la propria fede (opposizioni, persecuzioni ecc.).
Quando l’apostolo Paolo scriveva ai cristiani di Roma, egli era cosciente delle durissime persecuzioni a cui andava soggetto chi intendeva pensare, parlare e vivere nello stile di vita insegnato dal Signore Gesù, essere coerente con la volontà rivelata di Dio.
I cristiani del nostro tempo non riescono neanche ad immaginare quanto dure fossero le sofferenze dei primi cristiani, considerati spazzatura della società, discriminati ed emarginati, disprezzati, perseguitati, torturati, uccisi, situazioni vissute ancora da semplici cristiani e da ministri dell’Evangelo in diverse parti del mondo ancora oggi e di cui troppo spesso ci dimentichiamo. "Chi glielo fa fare?" dicono gli ignavi conformisti moderni, privi di ogni ideale che non sia il proprio immediato tornaconto e comodità. Aspiravano a qualcosa di meglio e affrontavano con gioia anche le situazioni più drammatiche. Come Mosè: "preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto; guardava infatti alla ricompensa" (Eb. 11:25,26).
Dopo aver dovuto sopportare terribili esperienze, ad un missionario, ripieno dello Spirito di Cristo venne chiesto un giorno come potesse rimanere così gioioso nonostante le avversità. Replicò: "Supponi che qualcuno mi indichi la strada per arrivare ad un luogo magnifico e desiderabile, ma che onestamente mi avverta che per arrivarci è necessario attraversare un pericoloso fiume e poi una foresta piena di bestie feroci. Io sentirei un senso di soddisfazione quando di fatto incontrassi questi ostacoli, perché proverebbero che io sto percorrendo la strada giusta. Lo stesso è vero per la vita cristiana. Il Signore disse ai Suoi discepoli che avrebbero dovuto aspettarsi tribolazioni. Quando vengono le difficoltà, quindi, io ne sono incoraggiato, perché so di camminare sulla via stretta che Dio ha scelto.
Le sofferenze del vivere in questo mondo sono però anche quelle che consideriamo "normali": la lotta quotidiana per l’esistenza, la malattia, i conflitti, la morte... Tutte queste difficoltà trovano origine dalle "maledizioni" (Ge. 3) che fanno parte della vita di un’umanità che ha scelto di vivere lontano da Dio e contro le Sue leggi. Esse di fatto includono le conseguenze negative dello squilibrio nei rapporti con i propri simili e con la natura, la sofferenza fisica e la morte, come pure le conseguenze "legali" dell’aver infranto il patto che ci legava a Dio.
Non dovrebbero sorprenderci queste sofferenze se siamo coscienti di quale sia la condizione umana descritta veracemente dalla Bibbia. Il cristiano però non dispera, ma guarda al di là di esse alle promesse che Dio gli fa come fedele membro del Suo popolo.
2. La gloria futura (18b). Si, per quanto pesanti possano essere queste sofferenze, se noi le mettiamo sul piatto della bilancia e le confrontiamo con quanto Dio, nella sua grazia, ha riservato per noi che crediamo, per il futuro, esse appaiono leggere e sopportabili. Queste sofferenze sono poca cosa, dice l’Apostolo, in confronto a ciò che ci attende per promessa di Dio, quella che chiama "la gloria eterna".
Essa è il superamento degli attuali limiti, delle attuali contraddizioni e disfunzioni del vivere in questo tipo di mondo, una nuova qualità di vita e di esperienza, una nuova misura di capacità e possibilità, una nuova condizione esistenziale in completa e consapevole comunione con la Persona e i propositi di Dio.
E’ la stessa gloria che era stata manifestata ed esiste nel Cristo risorto e glorificato, e nella quale pure noi che ci siamo affidati a Cristo saremo coinvolti per grazia Sua. Non saremo semplici spettatori di questa gloria, ma ad essa partecipereremo appieno.
II. Anche il creato condivide sofferenza e speranza.
Pure il creato partecipa a questa sofferenza ed è in attesa di partecipare alla stessa gloria che il cristiano attende. Il testo dice: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (19). Si, non siamo solo noi ad essere in questa situazione, anche la creazione nel suo complesso ne condivide la tensione.
1. La sua grande aspettativa. Paolo qui personifica la creazione, proprio come facevano i profeti quando dicevano che i fiumi "battono le mani". L’intero mondo viene rappresentato come una persona che con grande ed intensa aspettativa, con mani tese e testa alzata (fervida, ardente attesa, Fl. 1:20), che non vede l’ora del giorno futuro di gloria quando un’umanità rigenerata avrà raggiunto il culmine della sua redenzione. "Non è ancora palese ora quel che saremo", dice l’apostolo, "continuiamo per ora a vivere in contraddizioni ed ambiguità. La gloria di chi si è affidato a Cristo per il momento è nascosta, ma sarà presto rivelata e manifestata. La creazione e ciascuno di noi, attendiamo il momento in cui "a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2 Co. 3:18).
La creazione attende il glorioso giorno in cui l’opera di Cristo, nelle persone che Egli ha chiamato a Sé, verrà completata, perché essa verrà ristabilita alla sua primordiale libertà e lustro. Allora si che giungeranno "i tempi della consolazione da parte del Signore" (At. 3:20).
E’ difficile immaginarci questa "simpatia mistica" della natura fisica, descritta qui in modo poetico, che attende il compimento dell’opera della grazia. Tutta la natura attende il grande giorno in cui potrà esclamare "Finalmente!". Ora però, la natura è un corpo che soffre ingiustamente, come un’animale incapace di sottrarsi alle torture che gli infligge un uomo malvagio.
2. Le sue attuali sofferenze. Dice il testo "essa
infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di
colui che l'ha sottomessa" (20a).
Bisogna proprio essere ciechi e incoscienti per non accorgerci che viviamo in un mondo che non funziona più come dovrebbe, un mondo squilibrato e malato, sporco e corrotto, un mondo ferito a morte e sull’orlo della distruzione, e questo per causa di chi? Dell’essere umano che non sa vivere come si conviene ed amministrare lo stesso suo habitat.
Il "contagio" del nostro proprio male, del nostro peccato, si è diffuso oltre i confini della nostra vita, e l’intera creazione sembra esserne stata coinvolta. Il creato è interdipendente, ciò che accade in un’area ha ripercussioni anche nell’altra.
L’essere umano che ripudia la condizione in cui era stato posto da Dio, fa si che anche il suolo sia pure "maledetto" a causa sua (Ge. 3:17). Non si possono isolare le conseguenze del peccato. L’interdipendenza delle diverse parti del mondo di Dio è così reale che l’uomo, senza freni nella sua follia, faccia si che pure la natura sia "frustrata" rispetto alla sua funzione originale.
La creazione, dice il testo, è stata soggetta a vanità, è diventata vuota, ha perduto il suo significato originale, non raggiunge il fine a cui essa era destinata quando l’essere umano non assume verso di essa le responsabilità che gli erano state affidate. L’essere umano è parte integrante della natura. Quando però non vi svolge la funzione che gli è stata affidata, tutta la natura ne rimane alterata. La sua "caducità" non era implicita ad essa o voluta, per volere di Dio, è stata coinvolta nell’umana rovina. Dio, a causa del peccato umano, ha maledetto la creazione e l’ha soggetta alla vanità ed alla corruzione (Ge. 3:17; 4:12; Le. 26:19,20).
Ora la natura "cerca senza trovare" chi se ne prenda cura. La natura si ritrova orfana, si vede usata ed abusata, non coltivata ed amministrata dall’intelligenza umana. Essa però nutre una speranza...
3. La sua speranza (20b,21). "...e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio". Benché sia decaduta, dice il nostro testo, le è rimasta però una speranza: attende la manifestazione degli esseri umani rigenerati dall’opera redentrice del Salvatore Gesù Cristo.. C’è motivo di aspettarsi che la creazione ritorni alla condizione di quando era stata creata, anzi, in una condizione migliore.
La natura stessa possiede, nel sentimento delle sue immeritate sofferenze una sorta di presentimento della sua futura liberazione. Sebbene soggetta a "vanità" (corruzione e morte) vi rimane ancora la speranza della liberazione finale. La condizione presente è "schiavitù alla corruzione". La speranza è liberazione dalla schiavitù. Nel giorno in cui verrà rivelata pienamente la gloria di Cristo "tutte le cose verranno fatte nuove" (Ap. 21:1). La natura intera guarda al fausto giorno in cui i figli di Dio avranno sollievo dalle loro pene e indicibile gioia. La natura si rammenta di quando era libera dalla vanità (frustrazione), schiavitù e corruzione ed attende quando ritornerà ad esserlo al termine di questa fase storica (At. 3.19,21; 2 Pi. 3:13). Nonostante il peccato di uomini e di angeli, il piano originale di Dio verrà ristabilito e non sarà più suscettibile di corruzione. Per l’Apostolo questa è una realtà certa.
4. Una realtà certa. "Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (22). Se prima la creazione era rappresentata come un uomo afflitto da un pesante fardello, ora viene rappresentata come una donna in attesa di partorire. In questo versetto la natura è vista come sofferente dei dolori del parto. Che sia travagliata è certo, vi sono "grida" dovunque. Forse non potrà comprendere i suoi guai, e forse nemmeno ciò che desidera, caduta,e gemente anela ad essere liberata. Si ode dalla creazione ciò che qualcuno ha definito come "una grande sinfonia di sospiri". I gemiti e le afflizioni della natura non sono un vano e disperato grido. Nella prospettiva della Bibbia sono una profezia del tempo di liberazione in cui "vi saranno nuovi cieli e nuova terra dove abiterà la giustizia" (Ap. 21:1). Quando la maledizione sarà completamente rimossa dall’uomo, come lo sarà quando la condizione di figli di Dio verrà pienamente rivelata, essa verrà rimossa anche dalla creazione; per questo essa sospira. La speranza è dunque latente.
III. La caparra della gloria
Forse che tutto questo non è che una pia speranza, un sogno irrealizzabile,
una fuga consolatoria dalla realtà? No. La rigenerazione dell’essere umano è
una realtà fin d’ora per chiunque si affida a Cristo. Una realtà parziale, è
vero, ma già abbiamo le primizie di quel giorno. Il nostro testo dice:
"essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello
Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione
del nostro corpo" (23).
1. Non una vana illusione. No, ciò che attendiamo non è una pia ma vana speranza. I cristiani fin da ora possono godere quella che la Scrittura chiama "la caparra dello Spirito (2 Co. 1:22; 5:5; Ef. 1:14).
Non solo il mondo, ma i cristiani, sebbene abbiano le "primizie dello Spirito" (la giustizia, gioia, pace che i credenti hanno in questa vita), un pregustare del ricco e pieno raccolto, "gemono". Abbiamo l’attesa intensa di quella pienezza che verrà. Colui che si è affidato a Cristo è già stato adottato, ma non ha ancora ricevuto la piena eredità. Quando verrà la pienezza dell’adozione, noi non avremo più questi poveri nostri corpi, deboli, fragili, soggetti al peccato, al decadimento ed alla morte, ma corpi spirituali (2 Co. 5:2) simili a Cristo risorto, perfetta liberazione dal peccato e dalla miseria (cf. Lu. 21:28; Ef. 4:30).
Lo Spirito Santo che opera rigenerazione e guarigione non è una realtà di un futuro più o meno immaginario, ma venne nel gran giorno di Pentecoste e le Sue benedizioni perdurano nei doni morali e spirituali concessi ai figli di Dio (1 Co. 12-14; Ga. 15:22). E più grandi ancora dovranno venire.
Come la natura anche noi abbiamo i nostri "gemiti" di vivere in un mondo corrotto ed ostile, quella stessa corruzione che scopriamo in noi. Verrà però la nostra piena "adozione": "la redenzione del nostro corpo". Avremo quindi completa redenzione sia dell’anima che del corpo. Questa per noi è:
2. Una speranza viva. Dice il testo: "Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?" (24). Sebbene noi crediamo con certezza che vi sarà tale redenzione o salvezza e che essa ci appartiene, secondo le promesse di Dio, per il momento non ne abbiamo ancora pieno possesso. La salvezza che ora abbiamo è in speranza. Il nostro è ancora "il corpo vecchio" e mortale.
Siamo salvati in speranza, attraverso la speranza, in vista della speranza (della redenzione del nostro corpo). Quando ci siamo affidati a Cristo siamo stati salvati. Non che abbiamo ricevuto tutti i frutti della salvezza, ma abbiamo ricevuto la promessa di riceverli un giorno pienamente. Non si tratta nemmeno di un’attesa passiva:
3. Un’attesa perseverante. "Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza" (25). Se indubbiamente "speriamo" la redenzione e la salvezza, che non sono ancora in vista, allora è convenevole che noi sopportiamo con pazienza i mali e le sofferenze che oggi patiamo (1 Ts. 1:3; Eb. 4:12; 10:36) ed operiamo per proclamare con la parola e con la vita la "qualità" del mondo che ci è stato promesso.
La speranza compie così il proprio benedetto ministero. Se speriamo in una ventura piena realizzazione, possiamo lavorarci sopra attivamente ed aspettarla con pazienza. Noi non disperiamo come gli altri che non hanno la certezza che Dio realizzerà ciò che ha promesso.
Qualcuno ha scritto: "Il futuro appartiene a coloro che appartengono a Dio. Questa è la speranza" (W. T. Purkiser), e "La speranza cristiana non è un qualcosa che solletica la nostra mente, ma per cambiare la nostra vita e per influenzare la società" (S. Travis).
Conclusione
La domanda: "Dove andremo a finire di questo passo?" è importante.Tempi difficili, certo, tempi di sofferenza, sia per il mondo che per le creature umane. La malvagità umana non avrà però l’ultima parola. Andremo a finire verso "nuovi cieli ed una nuova terra" che sarà solo il risultato dell’opera misericordiosa di Dio: questa è la tensione e l’aspettativa di ogni figliolo di Dio e della natura stessa. Partecipare alla gloria dei nuovi cieli e della nuova terra, però, in un certo senso dipende da noi. Se fin da oggi ci affidiamo all’artefice della nuova creazione, il Salvatore Gesù Cristo, e siamo da lui rigenerati ci saremo. Allora anche noi vivremo in questa tensione ideale, sopportando pazientemente le afflizioni e seminando i semi di quel nuovo mondo che verrà. Che gioia per la natura vedere e sentire fin da ora le promettenti opere di quelle persone che Dio sta rigenerando! Siamo noi le persone che la natura attende, oppure quelle che solo vorrebbe espellere dal suo seno?
(Paolo Castellina, 11 febbraio 1995. Tutte le
citazioni bibliche sono tratte, salvo diversamente indicato, dalla versione
C.E.I. su data-base).