Perché essere buoni?

"Perché essere buoni?" Questa è la domanda che si pone in un suo recente articolo di riflessione, il sociologo italiano Francesco Alberoni. E' una domanda che spesso anche noi ci poniamo ed alla quale rispondiamo amareggiati: "Non ne vale davvero la pena in questo tipo di mondo essere buoni e fare il proprio dovere... tanto ti fregano sempre... se vogliamo sopravvivere dobbiamo anche noi essere senza scrupoli".

Vorrei che oggi riflettessimo insieme su questo tema e che ascoltassimo quanto ci dice lo stesso Alberoni, sia nella sua analisi del problema, che nella soluzione che propone. Egli stesso ci condurrà verso una risposta che sappiamo essere distintamente cristiana, e sarà quella che dovrà plasmare il nostro modo di pensare e di agire. Ascoltate dunque con attenzione quanto ci dice il sociologo: sono sicuro che possiamo identificarci molto bene nelle sue parole.

"Perché dobbiamo essere buoni, giusti, generosi, entusiasti, perché dobbiamo amare il nostro prossimo, spenderci, prodigarci? Ne ricaviamo qualche vantaggio? Ne veniamo ripagati? L'unica risposta onesta è no. Non è affatto detto che i meriti vengano premiati, che i migliori ottengano i riconoscimenti meritati. I generosi vengono sfruttati dagli egoisti, gli onesti vengono derubati dai ladri, i miti vengono messi a tacere dagli intolleranti. Chi ha donato non riceve in cambio in modo proporzionale. Jenner, che ha eliminato il vaiolo dal mondo, è morto amareggiato. A Lavoisier, il padre della chimica moderna, i rivoluzionari francesi gli hanno tagliato la testa. Semmelweis, che ha salvato le donne dalla morte puerperale, è stato spinto alla pazzia. (...) In politica viene ammirato chi è sprezzante, alla televisione chi diverte, nei dibattiti chi riesce ad imporsi. Quando arriva qualcuno molto bravo, i mediocri, per invidia, lo fanno a pezzi. Quanto più lo ammirano nel loro intimo, tanto più lo denigrano. Sarà capitato anche a voi di esservi prodigati (...). Poi, quando avete realizzato la cosa più bella, al posto del riconoscimento avete ricevuto solo uno sguardo di disprezzo, una battuta ironica. E, dietro a questa critica, avete sentito il rancore provocato proprio dal fatto che eravate stati bravi. Ripetiamo la domanda. Perché dobbiamo essere buoni?".

Lo stesso Alberoni così soggiunge: "Ed è la stessa terribile domanda che risuona nella Bibbia e nel Talmud. Perché, si chiedevano gli ebrei, noi che siamo miti, che rispettiamo le leggi dello stato e della Torah divina, siamo oppressi e perseguitati dai violenti? Perché i giusti soffrono e gli empi sono tranquilli? (...)".

E poi aggiunge: "Ogni epoca è costretta a ripetersi la stessa domanda e a trovare la sua risposta. Nella nostra epoca disincantata, che non crede nell'inferno e nel paradiso, dovremmo poter dimostrare con un ragionamento che conviene essere buoni, darne la dimostrazione scientifica. Ma non c'è proprio nessun calcolo dei costi-benefici che giustifichi l'essere buoni. Non 'ci si guadagna nulla'. E allora, perché si deve fare?".

Alberoni giunge così ad una risposta molto interessante, soprattutto dal punto di vista cristiano: "L'unica risposta è questa: per dono, perché vogliamo bene a qualcuno. Perché vogliamo fare del bene a nostro figlio, ai nostri amici, alla nostra città, alla natura, a chi verrà. Se non c'è questo "voler bene" originario, libero, immotivato, gratuito, questo dono che sorge direttamente dalla nostra natura umana e dalla nostra libertà, non ci può essere alcuna moralità. Il progresso umano avviene perché ogni uomo è capace di donare. Tutta la moralità del mondo non viene da un calcolo egoistico, ma da un'energia primigenia che porta gli uomini a creare, a fare di più, a dare di più anziché prendere. Qualcuno può chiamarlo istinto, ma è un istinto la cui natura si contrappone a sé stessa, alle sue stesse leggi, alla pura lotta per l'esistenza, all'egoismo individuale, di gruppo. E' un andare al di là, trascendersi. E' questo che hanno fatto Jenner, Semmelweis, e milioni di altri che hanno speso la loro vita lavorando, creando. Una leggenda ebraica afferma che il mondo esiste perché trentasei giusti, umili e sconosciuti, controbilanciano il male che lo distruggerebbe. E' una verità profonda. Per fortuna i giusti sono molti, molti di più".

Amore: forza creativa

La stessa domanda che il sociologo Alberoni fa nel suo articolo la potremmo riferire anche al Salvatore Gesù Cristo: "Che cosa ce n'ha guadagnato Cristo ad offrire l'intera sua vita per la salvezza morale, materiale e spirituale di creature umane che nulla meritano e che per di più si dimostrano del tutto irriconoscenti? Perché l'ha fatto?". Eppure il Salvatore Gesù Cristo realizza ciò che il nostro sociologo scopre come l'unica e vera forza di progresso e di redenzione sia l'amore, "originario, libero, immotivato, gratuito", dono completo di sé stesso che alla fine, nonostante le apparenze, trionfa, amore che, per usare l'espressione del sociologi, è "energia primigenia" che trascende la stessa logica di questo mondo, e che il mondo considera "pazzia" ma che, in realtà è l'unica a vincere.

Ascoltiamo l'apostolo Paolo che, ispirato da Dio per noi dice: "Perché, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente, infatti, qualcuno muore per un giusto; forse qualcuno ardirebbe morire per un uomo dabbene. Ma Dio manifesta il suo amore verso di noi in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Ro. 5:6-8).

I. Per natura tutti gli uomini sono empi

Cristo Gesù è morto per la nostra salvezza: siamo abituati a questa affermazione. Ci sembra un dato scontato: siamo nel bisogno, Dio è amore, e Lui viene in nostro soccorso. Forse saremmo anche noi pronti ad avere compassione ed a venire in soccorso di una povera vittima debole ed indifesa. Vediamo talvolta immagini commoventi di persone nel bisogno che attirano la nostra pietà e siamo pronti ad aiutarle. Il nostro testo dice però che "Cristo è morto per gli empi". Saremmo noi pronti ad aiutare e a soccorrere individui malvagi e riprovevoli, antipatici e ripugnanti, persone che non apprezzerebbero ciò che fai per loro e che anzi, ti riderebbero ancora in faccia? "Ah no, no, che si arrangino! Peggio per loro se si trovano in difficoltà! Ben gli sta!" diremmo noi. Agli occhi di Dio, però, noi siamo questi individui malvagi e riprovevoli, antipatici e ripugnanti, irriconoscenti e beffardi. Cristo, però, invece di respingerci con disgusto che fa? "Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi". Questo è il carattere stupefacente del Suo amore. Siamo così noi? Certamente. Che cosa vuol dire essere "empi"? L'empietà umana, la nostra empietà, prende molte forme.

Empietà significa vivere ignorando del tutto la legge che Dio ha stabilito per la vita umana e noi facciamo questo fino in fondo e con zelo... Lo vediamo chiaramente nella nostra società in cui tutti e dieci i comandamenti vengono infranti senza scrupolo alcuno.

- Si vive come se Dio non esistesse o palesemente si nega la Sua esistenza, solo per crearci noi stessi i nostri déi di comodo ai quali rendiamo in vari modi il nostro culto. Bestemmiamo il nome di Dio e disonoriamo la Sua gloria. -Trascuriamo del tutto il giorno a Lui consacrato trascorrendolo a fare soltanto i nostri comodi. - Non si onorano più i genitori con la nostra ubbidienza e cura diligente dei loro bisogni. - Si attenta continuamente alla salute ed all'integrità fisica, psichica e spirituale dei nostri simili. - Si disattendono del tutto le leggi che Dio ci ha dato per regolamentare la nostra vita sessuale: ci riteniamo liberi di usare del sesso come vogliamo e riusciamo a giustificare persino l'adulterio, la promiscuità, l'omosessualità ed altre cose che Dio considera un'abominazione. -La disonestà: il mitico Diogene andrebbe ancora oggi in giro con il lanternino per cercare un uomo davvero onesto. - La falsa testimonianza e la calunnia. Quale società o quale persona si può dire esente da queste? - La concupiscenza, l'avidità, il desiderio smodato per il denaro e i beni di questo mondo: pur di ottenerli si calpesta chiunque. Tutti i comandamenti di Dio vengono infranti perché gli uomini sono empi: in questa situazione che noi tutti condividiamo Dio dovrebbe aver pietà di noi? Cristo avrebbe voglia di morire per gente così? Eppure l'ha fatto.

L'empietà può però esistere in tutta la sua forza anche quando c'è poca o nessuna violazione dei comandamenti quando li si osservano con formalità e freddezza, senza alcun vero amore per Dio e piacere nel fare la Sua volontà, quando Egli viene trattato come uno straniero ed un nemico. Si può essere formalmente gentili ed educati verso una persona, ma senza amarla veramente, anzi, odiandola nel profondo del nostro cuore. Anche questo è empietà, questo siamo noi, eppure "Cristo è morti per gli empi".

II. Le conseguenze dell'empietà

L'empietà comporta sempre al suo seguito una grande quantità di mali: riprovazione e condanna da parte di Dio, perché Dio è giustizia, le selvagge passioni e miserie di questa vita, prospettive cupe e fosche per la sorte umana nel suo insieme ed individualmente, ma forse, la conseguenza più grave fra tutte è la paralisi morale. "Senza forza". Questo vuol dire che nella natura umana non c'è alcuna forza di ricupero per superare da soli questa situazione, non c'è modo alcuno che noi si possa escogitare per uscirne fuori da soli. Possiamo guardare in alto, ma non risalire. Possiamo saltare, ma non spiccheremo mai il volo, ricadremo sempre a terra. "Con la forza di volontà si riesce a fare tutto" si dice. Per quanto però ci sforziamo, non riusciremo mai a volare: non siamo forniti di ali. Possiamo sognare di volare, o ingannare noi stessi e gli altri dicendo di aver volato, ma non riusciremo mai a uscire da soli dalla nostra miseria morale e spirituale, né riusciremo da soli a renderci accettabili agli occhi di Dio. E' come quando in America si mette il trucco sul volto di un cadavere per renderlo più bello... Sarà bello esteriormente, ma rimane un cadavere che presto andrà in corruzione. Lo stesso vale per i nostri patetici sforzi di santità per conquistarci, noi diciamo, l'approvazione di Dio. Potremo anche discutere e discutere con Dio per giustificarci davanti a Lui e vantare un qualche diritto alla salvezza. A nulla però varrà neanche la migliore capacità retorica, in ogni caso siamo "senza forza" e la triste realtà è che andremo sempre peggio.

Siamo senza forza di ragione per trovare il Dio perduto, siamo senza forza di sapienza, per scoprire il vero proposito della nostra vita. Siamo senza forza di coscienza, per vedere e testimoniare di vera moralità. Siamo senza forza di volontà per compiere il dovere che ci è apparente. Siamo senza forza di affetti, perché questi sono stati tutti sprecati e perduti per amare Dio anche quando Egli si rivela.

E' una condizione molto triste. "Chi è causa del suo male pianga sé stesso", diremmo noi. Il giusto nostro giudizio sarebbe essere lasciati a noi stessi per gustare fino in fondo il sapore amaro della nostra ribellione verso Dio, eppure "Perché, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi" .

II. Nel tempo più appropriato

"A suo tempo" Dio è intervenuto in Cristo per la salvezza umana. "Per ogni cosa c'è la sua stagione, c'è un tempo per ogni situazione sotto il cielo"(Ec. 3:1) dice la Bibbia, e così Cristo è venuto nella storia umana nel tempo più appropriato.

Supponete che Cristo fosse venuto troppo presto dopo la caduta, gli uomini avrebbero potuto dire: "Abbiamo ricevuto più aiuto di quanto ne avevamo bisogno, non siamo stati abbastanza provati, non abbiamo avuto la possibilità di mettere alla prova le nostre capacità". Se Cristo fosse venuto prima, i sacerdoti giudei avrebbero potuto dire: "Siamo stati mandati via dagli altari troppo presto, forse alla fin fine il sangue di tori e di capri avrebbe espiato i nostri peccati". I filosofi pagani avrebbero potuto dire: "Siamo stati sostituiti troppo presto. Il mondo, con la nostra sapienza, avrebbe potuto conoscere Dio, se ci fosse stato dato tempo abbastanza". I grandi conquistatori politici avrebbero potuto dire, in rappresentanza di re e di imperatori, "Lo scettro ci è stato strappato troppo presto, qualche battaglia in più e il mondo intero sarebbe stato un solo grande impero dove sarebbe regnata la pace, l'ordine e la giustizia". Nessuna protesta di questo genere però è venuta fuori. Tutti sono rimasti in silenzio, consapevoli dei loro fallimenti: saggi, sacerdoti ed imperatori.

L'intervento di Dio in Cristo, però, non è venuto nemmeno troppo tardi. Non dopo che il mondo fosse diventato ormai troppo vecchio nel peccato da aver perduto qualsiasi facoltà di udire una voce di riprensione. La coscienza è addormentata, ma non morta. E neanche quando il sale della terra, il popolo eletto di Dio aveva del tutto perduto il suo sapore, logorato nelle sue credenze e perduto definitivamente per la conoscenza di Dio. Non quando tutti i continenti e le isole della terra erano ormai piene e che non si potessero più trovare freschi tratti da rivendicare e popoli e razze da battezzare in una più nobile fede. Non troppo presto, né troppo tardi, ma quando il mondo ormai era stanco di attendere, come un sofferente logorato da una lunga malattia. "A suo tempo", a tempo debito, il Salvatore è venuto. Allo stesso modo, a livello personale, il Salvatore spesso attende, per manifestarsi a noi, che noi sentiamo tutto il peso del nostro peccato e la delusione per non aver trovato in questo mondo alcun efficace modo per venir fuori dalla miseria morale e spirituale. Come una mano misericordiosa che ti ferma e ti aiuta, prima che tu ti possa buttare ormai disperato, giù dal ponte.

III. E' venuto per morire

In certe situazioni di necessità, con certe persone che proprio pensiamo che non lo meritino, riluttanti, magari andiamo "un po'" ad aiutarli... ma che sia una cosa veloce e che non impegni troppo... Dio invece, in Cristo, non ha dato soltanto "un poco" di Sé stesso, ma Sé stesso completamente, fino a morire su una croce.

Che Dio fosse venuto sulla terra nascendo come un bambino a Betlemme in una stalla, sarebbe già stato considerato umiliante abbastanza, avrebbe già avuto in sé abbastanza virtù di salvezza. L'incarnazione, però è il fatto certo fondamentale, ma qualcosa bisogna costruirci sopra.

La Sua vita sarebbe stata abbastanza? Lavorare, dormire, passare per le vie di Nazareth per trent'anni? No, questa non sarebbe stata redenzione. Ci porta vicino, ma una vita così per sempre non ci avrebbe salvato.

Sarebbe bastato solo il Suo insegnamento? No. Certo aveva una grande forza, ed anche oggi gli avversari di Cristo ammettono la nobiltà di ciò che Cristo ha insegnato. Ma è come la legge di Dio, alta, elevata, ma irraggiungibile da chi come noi è radicalmente contaminato dal peccato.

Sarebbe stato abbastanza trasportarci così, gratuitamente, in cielo, senza nessun cambiamento sostanziale nella nostra condizione, semplicemente "perdonati"? No, non sarebbe bastato. "Perché, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi", come Colui che paga il prezzo per la nostra salvezza che noi non avremmo potuto pagare. Egli non è morto semplicemente per nostro vantaggio e beneficio.

Egli è morto per soddisfare la giustizia di Dio. Non solo sarebbe stato impossibile per Dio salvare qualcuno violando in qualsiasi modo la Sua giustizia, attributo Suo essenziale, ma gli uomini, per la loro stessa natura morale, non avrebbero potuto accettare una salvezza che non consistesse nell'integrità e chiarezza della giustizia: una salvezza a buon mercato sappiamo bene che non vale nulla. Egli è morto per onorare la legge di Dio, che è la forza e la protezione visibile dell'universo. La legge di Dio impone che chi sbaglia deve pagare, e la morte dell'intera razza umana è giusta pena per creature responsabili che alterano e guastano l'armonia dell'universo. Cristo volle prendere su di Sé questa pena. Egli è morto per procurarci un giusto perdono, una pace calma, profonda e pura come la pace stessa di Dio, quella che giunge quando ogni giustizia è stata compiuta. Egli è morto per cancellare la nostra colpevolezza, per purificarci attraverso il sangue del Suo sacrificio. Egli è morto per esprimere la grazia divina ed il Suo illimitato favore.

Amore: forza produttiva

Questo grande atto sacrificale ci viene presentato come la prova più meravigliosa che ci potesse essere data dell'amore di Dio. Nell'intero corso della storia umana non c'è mai stato nulla come questo. "Difficilmente, infatti, qualcuno muore per un giusto; forse qualcuno ardirebbe morire per un uomo dabbene." (7). Chi ha mai udito che qualcuno morisse per un uomo che veramente non valesse la pena di salvare? Questo è però ciò che Egli ha fatto. Togliete l'amore, rendete la morte di Cristo solo un fatto storico, rendetela solo uno strumento di governo morale, e sebbene sia ancora un fatto impressionante, l'avrete privata della sua gloria. Non è più il magnete che attira ogni cuore. "Quando sarò elevato dalla terra trarrò tutti a me".

Ecco dunque la risposta alla domanda "Ne vale davvero la pena?" che il sociologo Alberoni intuisce. Notate come la sua risposta bene si presti a quanto Cristo ha compiuto. "L'unica risposta è questa: per dono, perché vogliamo bene a qualcuno. Perché vogliamo fare del bene a nostro figlio, ai nostri amici, alla nostra città, alla natura, a chi verrà. Se non c'è questo "voler bene" originario, libero, immotivato, gratuito, questo dono che sorge direttamente (...) dalla nostra libertà, non ci può essere alcuna moralità. Il progresso umano avviene perché ogni uomo è capace di donare. Tutta la moralità del mondo non viene da un calcolo egoistico, ma da un'energia primigenia che porta gli uomini a creare, a fare di più, a dare di più anziché prendere. Qualcuno può chiamarlo istinto, ma è un istinto la cui natura si contrappone a sé stessa, alle sue stesse leggi, alla pura lotta per l'esistenza, all'egoismo individuale, di gruppo. E' un andare al di là, trascendersi".

Il sacrificio di Cristo è una manifestazione di puro, sorprendente e "illogico" amore che però è l'unico che possa davvero trasformare una creatura decaduta e corrotta come noi siamo ad immagine di Dio. Questa è davvero l'unico "magnete" che, compreso fino in fondo e radicato nel nostro cuore, possa davvero trasformarsi nella nostra vita stessa in altrettanta manifestazione creatrice di "energia primigenia" che veramente produca in questo mondo qualcosa di utile. "Chi te lo fa fare? Ne vale la pena?" si chiede il mondo che si aspetta sempre un profitto personale. "Me lo fa fare l'amore". Quell'amore però che nulla chiede in contraccambio e neanche riconoscimenti, è l'unico che possa veramente realizzare in questo mondo qualcosa di davvero utile.

Terminiamo ascoltando l'apostolo Giovanni che ci dice da parte di Dio: "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, poiché l'amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio verso di noi, che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché noi vivessimo per mezzo di lui. In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ha amato noi e ha mandato il suo Figlio per essere l'espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato in questo modo, anche noi dobbiamo amare gli uni gli altri" (1 Gv. 4:7-12).

(Paolo Castellina, 1998 02 11. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione "Nuova Diodati", edizioni La Buona Novella, Brindisi, 1991).

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