Una prospettiva cristiana del lavoro

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Introduzione

Un umorista disse: "Mi piace il lavoro: posso stare seduto a vedere lavorare per ore intere...", e un altro: "Il lavoro è cosa buona: non essere egoista, lascialo agli altri!", e ancora: "Voglia di lavorar saltami addosso, e fammi lavorar meno che posso".

Ci sarebbero altre massime umoristiche a proposito del lavoro: in effetti però, in questo periodo, sembrano solo di cattivo gusto, anche se in molti casi parlare contro la pigrizia rimane quanto mai opportuno. Si, c'è poco da scherzare sul lavoro in un tempo di recessione economica dove milioni, solo in Europa, sono i disoccupati. E' una priorità assoluta oggi creare infatti le condizioni in cui tutti abbiano un lavoro. Che fare per promuovere un'efficace politica del lavoro?

Ma che cos'è il lavoro? Una dura necessità per sopravvivere, direbbe qualcuno; un diritto, senz'altro; un dovere... E' davvero però solo una fastidiosa necessità? Certo, oggi spesso il lavoro, in certe condizioni, può essere qualcosa di veramente frustrante, ai limiti dell'angoscia, tutto meno che gratificante. Nella nostra società molti non aspettano che il week-end e le vacanze per "vivere davvero". E' giusto questo atteggiamento?

Che cosa dice la Bibbia, Parola di Dio, sul ruolo e sulla funzione del lavoro per la vita umana? Su questo argomento la Bibbia ha molto da dire ed è quello che vorremmo considerare oggi. Il problema è che l'argomento è così vasto che trattarlo in una sola riflessione è quasi impossibile e rischierei di essere semplicista e carente nella mia esposizione. Mi assumo però il rischio.

La Bibbia dice che l'uomo è stato creato per lavorare, che il lavoro è parte integrante dell'identità stessa della creatura umana. Il lavoro è di fatto una delle prime leggi che gli erano state date dopo la stessa sua creazione. Per questo un disoccupato è una contraddizione degli stessi propositi divini ed un'offesa alla sua dignità umana!

Il lavoro, nella prospettiva biblica, non è una maledizione, ma una fonte di benedizione. Nel paradiso non si oziava, come immagina qualcuno. E' grave e pericoloso errore immaginare che il lavoro sia conseguenza del peccato. E' vero, naturalmente, che il peccato ha reso il lavoro un grave fardello; il peccato ha reso il lavoro duro ed ingrato, e lo rende talvolta persino impossibile. Il lavoro, però, di per sé stesso, è una occupazione divina che realizza, sviluppa ed allieta la vita umana. Come?

Il testo

Forse l'affermazione più chiara e completa sulla desiderabilità e sulla responsabilità del lavoro ci è data dall'apostolo Paolo nel testo biblico di 1 Tessalonicesi 3:6-13. Leggiamolo.

"Ora, fratelli, vi ordiniamo nel nome del Signor nostro Gesù Cristo, che vi ritiriate da ogni fratello che cammina disordinatamente e non secondo l'insegnamento che avete ricevuto da noi. Voi stessi infatti, sapete in qual modo dovete imitarci, perché non ci siamo comportati disordinatamente fra di voi, e non abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e travaglio giorno e notte, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non già che non ne avessimo il diritto, ma per darvi noi stessi un esempio affinché ci imitaste. Infatti, anche quando eravamo tra di voi, vi ordinavamo questo: se qualcuno non vuole lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che vi sono alcuni fra di voi che camminano disordinatamente, non facendo nulla, ma occupandosi di cose vane. Ora a tali ordiniamo, e li esortiamo nel Signore nostro Gesù Cristo, che mangino il loro pane lavorando quietamente. Ma quanto a voi, fratelli, non vi stancate nel fare il bene" (2 Ts. 3:6-13).

Le persone alle quali l'apostolo rivolgeva queste affermazioni erano state convertite solo da poco alla fede cristiana ed ora nel nuovo interesse che avevano trovato nelle cose che riguardano il cristianesimo, tendevano a trascurare i loro doveri quotidiani nel lavoro. Non appena così Paolo ode di questa situazione, egli subito cerca di dare loro insegnamenti corretti sulla funzione del lavoro nella vita del cristiano. Fra gli importanti fattori di cui egli si occupa in questi versetti, possiamo così mettere in evidenza tre punti: la dignità del lavoro, la desiderabilità del lavoro, e il dovere del lavoro. Consideriamolo con ordine.

I. La dignità del lavoro

L'apostolo esorta la comunità in questo modo: "fratelli, non vi stancate nel fare il bene". Con queste parole l'apostolo eleva il lavoro e le attività quotidiane dell'uomo al di sopra della nebbia di un pensiero confuso verso la pura luce ed atmosfera del glorioso proposito che Dio ha per l'umanità. Nessuno può studiare la Parola di Dio senza osservare che il lavoro quotidiano dell'uomo deriva la sua dignità da:

1) Un preciso comando di Dio. Dice il testo:"se qualcuno non vuole lavorare neppure mangi". Persino prima che l'uomo decadesse, in tutta la forza della sua perfetta umanità, lo troviamo al lavoro. Il suo datore di lavoro era Dio stesso. Leggiamo infatti nella Genesi: "L'Eterno Dio prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino dell'Eden perché lo lavorasse e lo custodisse"(Ge. 2:15).

E' importante inoltre notare che il proposito vocazionale di Dio per l'uomo non è mai stato sospeso, abolito oppure alterato. Perché anche se l'uomo è decaduto dal suo stato originale, Dio chiaramente afferma: "mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra"(Ge. 3:19). Ogni figlio di Adamo responsabile da quel punto della storia ha continuato a lavorare per guadagnarsi il proprio pane e non solo per semplice necessità. Quando Dio enunciò le Sue leggi per l'uomo, mediante il Suo servo Mosè, Egli dichiarò: "Lavorerai sei giorni, e in essi farai ogni tuo lavoro"(Es. 20:9). Prima ancora del giorno del riposo, questo comandamento prescrive il lavoro. Il lavoro è dunque un comando di Dio.

2) Dio si associa al lavoro. "...a tali ordiniamo, e li esortiamo nel Signore nostro Gesù Cristo, che mangino il loro pane lavorando quietamente", testo che si può anche tradurre: "Io ordino e raccomando... di lavorare tranquilli e di guadagnarsi da vivere"(TILC).

Al fine di dimostrare la stretta associazione del proposito di Dio con la legge del lavoro, Dio stesso ha mandato il Suo Figlio nel mondo per lavorare. Anche da giovane Gesù non oziava né era disoccupato. Egli poteva dire: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio"(Lu. 2:49). Durante la sua vita, il Suo costante atteggiamento era impostato dalle parole: "Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare"(Gv. 9:4). Alla fine, appeso ad una croce, Gesù poteva gridare vittoriosamente: "E' compiuto"(Gv. 19:30); la Sua opera era completa.

E' stato Martin Lutero più che chiunque altro a sovvertire la nozione che il clero, i monaci e le suore fossero impegnati in un lavoro più santo che le donne di casa ed i negozianti. Il lavoro domestico, scrive Lutero, può anche "non avere apparenza di santità, ciononostante esso è più desiderabile di tutte le opere dei monaci e delle suore... La nostra ragione naturale considera la vita matrimoniale ... e dice: 'Ahimè, devo cullare il mio bambino, lavare i suoi pannolini, rifare il letto... lavorare al mio negozio'? Che cos'ha da dire la fede cristiana davanti a tutto questo? Essa apre i suoi occhi, guarda a questi insignificanti, sgradevoli e disprezzati lavori nello Spirito, ed è consapevole che essi sono adornati con l'approvazione divina come gli ori ed i gioielli più preziosi... Quando un padre va a lavare i pannolini... Dio, con tutti i suoi angeli e creature, sorride- non perché un padre lavi pannolini, ma perché lo sta facendo nella fede cristiana'.

3) La divina organizzazione del lavoro. "Sentiamo infatti che vi sono alcuni fra di voi che camminano disordinatamente, non facendo nulla", che si può anche tradurre: "vivono in maniera sregolata: non fanno niente, anzi fanno continue sciocchezze"(TILC). Queste parole sottintendono che il disordine nella vita o nel lavoro non è in sintonia con la divina organizzazione del lavoro: Dio è un Dio di ordine e di efficienza. Tutto quello che Egli progetta e compie è ordinato in modo saggio, funzionale e produttivo. Dio non perde e non spreca né risorse né tempo. Dio ha un piano per ogni vita, e noi non dispiacciamo a Lui se non scopriamo, perseguiamo e portiamo a compimento quel piano, perché non dobbiamo fare "un lavoro qualsiasi" ma quello per cui siamo preordinati e dotati. Ciascuno di noi ha una sua funzione specifica da adempiere nel mondo. Dio non ha sprecato le sue risorse quando ha creato ciascuno di noi. Qual è dunque il posto che personalmente dobbiamo occupare nel mondo?

Quando Paolo discute i doni vocazionali, egli ci rammenta che: "vi sono diversità di doni, ma non vi è che un medesimo spirito"(1 Co. 12:4). Il piano di Dio per ogni vita è che lo Spirito Santo ci guidi e ci controlli nell'uso dei nostri talenti e capacità.

Il vostro lavoro trova in Dio la sua origine, è associato all'opera di Cristo e amministrato dallo Spirito? Se è così, allora adempite il proposito redentivo di Dio nel campo della vostra vocazione professionale. Se non è così, allora voi mancate di adempiere al meglio che Dio ha in serbo per voi, non importa quanto prosperi siate o quanto successo abbiate nei vostri affari.

II. La desiderabilità del lavoro

"Se qualcuno non vuole lavorare neppure mangi". In queste parole esplicite, dure e necessarie, Paolo riassume la desiderabilità del lavoro per ciascuno. Da questo testo e da altri connessi, è molto chiaro che il lavoro quotidiano è una salvaguardia per:

1) La vita fisica- "se qualcuno non vuole lavorare neppure mangi". Una tale affermazione non ha bisogno di molte spiegazioni, ma nel caso che essa non fosse registrata nella vostra mente e coscienza, chiedetevi: come potete aspettarvi di vivere se non lavorate? Dio ha ordinato che noi mangiamo il nostro pane con il sudore del nostro volto, cioè con uno sforzo(Ge. 3:19). Qualcuno ha detto: "Lavorare è il prezzo da pagare per avere il privilegio di vivere".

2) La vita sociale- "Ma se uno non provvede ai suoi e principalmente a quelli di casa sua, egli ha rinnegato la fede ed è peggiore di un non credente"(Ef. 4:28). Dio si aspetta che ogni persona responsabile lavori per sostenere chi dipende da lui. Paolo lo dice espressamente in 2 Co. 12:14: "Non sono i figli che devono accumulare per i genitori, ma i genitori per i figli".

Il lavoro del più umile operaio, è stato osservato, per quanto sia modesto, contribuisce al benessere sociale. L'ozioso vive e passa, lasciando poca traccia della sua esistenza, mentre l'uomo laborioso imprime il proprio carattere al suo secolo. Il lavoro è una delle condizioni indispensabili della felicità. Diceva Pasteur: "Mi sembrerebbe di commettere un furto se passassi un giorno senza lavorare". Quanti furti spesso impuniti si compiono anche alle alte sfere, quanti parassitismi. Ciascuno di essi è un freno allo sviluppo della società, materiale e morale, anzi, un regresso della nazione. Infatti, dice il testo:

3) La vita morale- "Chi rubava non rubi più, ma piuttosto si affatichi facendo qualche opera buona con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi è nel bisogno"(Ef. 4:28). Paolo contrappone il lavoro al furto, ed implica che il furto è la conseguenza logica del rifiuto di compiere un lavoro onesto quotidiano. E' stato dimostrato che se questo comando dell'apostolo fosse applicato fino in fondo, esso potrebbe veramente risanare molti mali della nostra nazione. Il lavoro però è anche salvaguardia de:

4) La vita commerciale- "Non rendete ad alcuno male per male; cercate di fare il bene davanti a tutti gli uomini"(Ro. 12:17). Tutti i giochetti immorali e crudeli del mondo del commercio sarebbero ben presto abbandonati, se uomini e donne lavorassero onestamente davanti a Dio ed agli uomini. E' un fatto incontestato che oggi vi sono nel mondo risorse sufficienti per sovvenire al bisogno di ogni individuo vivente, ciononostante vi sono paesi costantemente minacciati dalla scarsità di beni essenziali alla vita.

Qui vengono rivolte parole molto dure verso tre tipi di persone che impediscono lo svolgimento di una sana vita lavorativa. A loro ci si riferisce nel terzo capitolo di 2 Tessalonicesi- gente che non fa nulla, cioè gente che non vuole lavorare; gente che si occupa di cose vane, letteralmente gente che non si occupa degli affari propri, ma che mette il naso in ciò che non li riguarda; e letteralmente "piantagrane"- coloro che disturbano gli altri con le loro lamentele e malizia. Questo testo pare chiederci: siete voi gente che non fa nulla, che si occupa di affari che non li riguardano, "piantagrane" oppure lavoratori?

Abbiamo così visto qualcosa sulla desiderabilità del lavoro. Dio ha ordinato che sia conservata vita fisica, sociale, morale e commerciale. Chiediamoci: fino a che punto adempiamo noi il proposito di Dio in tutto questo? Esaminiamo infine rispetto a chi e a che cosa il lavoro è un dovere.

III. Il dovere del lavoro

Paolo dice: "Ora a tali ordiniamo, e li esortiamo nel Signore nostro Gesù Cristo, che mangino il loro pane lavorando quietamente". Questo: "lavorare tranquilli e guadagnarsi da vivere": è una frase significativa. Implica armonia e tranquillità nel triplice rapporto che deve coltivare il dovere che noi compiamo.

1) C'è un dovere verso Dio. Paolo comanda ed esorta nel Signore Gesù Cristo i fannulloni "che mangino il loro pane lavorando quietamente". Lavorare "quietamente" significa lavorare senza ansia, coscienti di essere rettamente associati nel nostro lavoro allo scopo vocazionale che Dio pone alla nostra vita.

Questo è bene messo in rilievo in Efesini 2:10 dove troviamo scritto: "Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo". Ancora troviamo qui il concetto che non siamo qui per caso, ma che, se ci troviamo qui noi abbiamo da Dio una funzione che dobbiamo svolgere come Suoi collaboratori. E' stato scritto: "Il lavoro è un'alta missione: esso è per l'uomo come una collaborazione intelligente e affettiva con Dio creatore dal quale ha ricevuto i beni della terra per coltivarli e per farli prosperare".

Non è tanto ciò che facciamo che importa, ma come lo facciamo che determina se noi piaciamo a Dio oppure Lo deludiamo. Anche i lavori di cucina possono essere atti di culto. La moglie di un noto predicatore mise un cartello al di sopra del lavello della sua cucina con su scritto: 'Qui si tiene il culto al Signore tre volte al giorno'.

2) C'è un dovere verso l'uomo. Paolo poteva scrivere: "non abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e travaglio giorno e notte, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non già che non ne avessimo il diritto, ma per darvi noi stessi un esempio affinché ci imitaste". L'apostolo avrebbe avuto il diritto di essere sostenuto dalla comunità cristiana, ma rinuncia a questo diritto per dare un esempio, per mettere in chiaro a tutti che il lavoro "secolare" è un lavoro "santo e religioso" da intendersi come servizio reso anche agli altri. In un altro luogo Paolo, infatti, ci rammenta: "servite gli uni gli altri per mezzo dell'amore"(Ga. 5:13). Un tale lavoro nel dovere quotidiano dovrebbe essere espresso con la fedeltà dell'amministratore diligente(1 Co. 4:2), con l'integrità di chi intende fare il suo dovere(Ro. 12:17) ed efficienza, secondo la parola che dice: "Siate impegnati, non pigri, pronti a servire il Signore"(Ro. 12:11 TILC). C'è però anche un:

3) C'è un dovere verso noi stessi. "fratelli, non vi stancate nel fare il bene". Nel considerare il lavoro in termini di guadagno personale, noi pensiamo inevitabilmente ad una ricompensa. Per il lavoro che si compie non c'è solo un guadagno materiale, ma anche uno spirituale. Il guadagno materiale lo si spende nel tempo, il guadagno spirituale lo si spende nell'eternità. Nel tempo il guadagno viene largamente determinato dal modo in cui il lavoro viene svolto e se il nostro "capo" è contento di noi; nell'eternità, il guadagno viene determinato dalla misura in cui il lavoro viene svolto per noi stessi o per il Signore. Il cristiano deve continuamente tenere fissi gli occhi alla ricompensa che lo attende al tribunale di Cristo. Niente varrà di più delle parole che il Signore pronuncerà quando ci dirà: "Bene, buono e fedele servo... entra nella gioia del tuo signore"(Mt. 25:23). Un uomo di Dio scrisse: "Lavoriamo continuamente in questa vita per salvare l'anima nostra e tante altre: ci riposeremo nella beata eternità".

Conclusione

La parola di Dio oggi ci domanda: il lavoro che svolgiamo è strettamente legato alla nostra professione di fede in Cristo? Si, perché la nostra fede implica che tutta la nostra vita sia un atto "religioso": in questa prospettiva soltanto scopriremo la vita autentica, quella che Dio aveva inteso per la creatura umana fin dall'inizio. Possiamo intendere così il lavoro come la preghiera del corpo. Preghiera indispensabile perché l'uomo deve mettere tutto sé stesso al servizio di Dio: anima e corpo.

In quale modo intendiamo noi il lavoro e in quale prospettiva lo svolgiamo? Il nostro atteggiamento di fondo è coerente con la nostra professione di fede? Prima di rispondere ascoltate che cosa ci dice un canto ristiano del nostro innario di Goudimel:

Voglio servirti, sempre, o mio Signore,

non già perché paura di penar,

ad evitarmi spinga il tuo rigore,

ma perché Padre, mi volesti amar.

Né vo' servirti, perché a me risplenda,

premio cui giunger possa mia virtù,

sia che già in terra, sia che in ciel m'attenda,

ma perché vinto m'ha il tuo amor Gesù.

(Paolo Castellina, 29 aprile 1994. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione "Nuova Diodati", ediz. La Buona Novella, Brindisi, 1991).

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