La concupiscenza: radice di tutti i mali
Introduzione
Nella Bibbia si parla di Achab, re di Israele. Aveva tutto quello che voleva d'altronde, come ogni re che si rispetti... Vicina al suo palazzo però c'era una bella vigna, che apparteneva ad un uomo semplice di nome Naboth (1 Re 21). Quella vigna piaceva al re e voleva averla a tutti i costi per sé. Era anche disposto a pagarla bene, ma Naboth non gliela voleva vendere: era un'eredità di famiglia che per lui era importante dal punto di vista sentimentale. Per questo il re era divenuto molto triste. Sua moglie Jezebel, però disse: Che cosa stai li a preoccuparti? Non sei forse un re? Non sei forse potente? non puoi forse fare tutto quello che vuoi? Ci penso io, tu quella vigna l'avrai". Allora Jezebel con l'inganno fa uccidere Naboth e il re Achab può godersi finalmente la sua vigna, non senza però che il giudizio di Dio, indignato per il suo comportamento, non cada su Naboth e Jezebel per bocca del profeta Elia.
Ecco un altro "edificante" episodio tratto dalla Bibbia che riguarda il re Davide. Così dice la Bibbia. Mentre il suo esercito va a combattere, Davide rimane a Gerusalemme. "Una sera Davide si alzò dal suo letto e si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno; e la donna era bellissima" (2 Sa. 11). Insomma, Davide vuole avere quella donna per sé a tutti i costi. Caso vuole che fosse già sposata. Non importa. Si fa forte della sua autorità, la fa venire nella reggia, la porta a letto, e alla fine questa rimane incinta. Che pasticcio! Che fare? Così non trova di meglio che far uccidere il marito della donna, che già si trovava in guerra, facendolo cadere "per caso" sotto i colpi del nemico. La donna così sarà finalmente sua. ...Non senza però il severissimo castigo di Dio, indignato per il suo comportamento, che per bocca del profeta Nathan gli manda a dire: "Così dice l'Eterno... Io ti ho unto re di Israele... ti ho dato tutte le donne che si potessero avere, e beni a non finire, ...e se questo era troppo poco, io ti avrei dato molte altre cose. Non ti bastavano? Hai dovuto prendere anche la moglie di un altro? Con l'inganno e l'omicidio?".
Già ...ardenti desideri di possedere, brama, gelosia, invidia, insoddisfazione, cupidigia, avidità. Hanno scritto: "O invidia, radici di mali infiniti, verme roditore di tutte le virtù!" (Cervantes) e ancora: "Se l'invidia fosse febbre, tutto il mondo l'avrebbe".
Ho citato casi di antichi re, ma questi sentimenti, come risulta chiaro a tutti, sono anche spesso i nostri. Non importa se questi desideri illegittimi risultino in comportamenti odiosi ed abominevoli, il Signore Iddio li condanna nel decimo comandamento, quello che tratteremo oggi, il quale dice: "Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo; né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo" [Es. 20:17].
I. La voglia matta
Non desiderare... Sebbene soprattutto certe religioni orientali definiscano la condizione ottimale per l'essere umano la cessazione di ogni desiderio, la beatitudine totale, desiderare qualcosa, è perfettamente legittimo. Solo i morti non desiderano più nulla perché non hanno più necessità...
Il verbo che qui però viene usato è più forte: si dovrebbe usare meglio il verbo "concupire", da cui "concupiscenza", "cupidigia". Anche se questo vocabolo oggi è usato raramente nel linguaggio moderno, il concetto sott'inteso è quantomai attuale. È il desiderio smodato, senza misura, eccessivo. Il vocabolario definisce "concupire" come desiderare ardentemente, bramare, per soddisfare un forte appetito dei sensi; avere una voglia viva ed ardente di qualche cosa, avere ... "una voglia matta" per qualcuno o per qualcosa che non ci compete, qualcosa di simile al forte desiderio che il tossicomane ha per la droga.
Si tratta perciò anche in questo caso dell'abuso di qualcosa di legittimo. Desiderare è normale, concupire no, perché diventa qualcosa di morboso e sta alla radice di tutti i peccati descritti fin ora. Perché si giunge ad uccidere, a commettere adulterio, a rubare, a mentire? Perché si è dato libero corso alla nostra concupiscenza!
L'intenzione di Dio è di proibire ogni umana concupiscenza; tuttavia Egli ci dà, come esempio, gli oggetti che più spesso ci attirano e seducono: moglie altrui, privilegi altrui, beni altrui, qualunque cosa che appartenga al nostro prossimo.
È già chiaro così come la concupiscenza stia agli antipodi di tutto ciò che Iddio considera buono e che ci ha insegnato in Gesù Cristo. Concupire è smodato egocentrismo. E' stato scritto: "I punti cardinali dell'egoista sono quattro: io, io, io, io".
Essere cristiani è dimenticare sé stessi ed i propri desideri per compiacere gli altri.
Il decimo comandamento dipinge una persona che, in positivo, qualunque cosa concepisca, deliberi, desideri, o persegua, sia connessa con il bene del nostro prossimo, la persona che "rinnega sé stessa" e che si proietta totalmente per gli altri, come dimostrato da Gesù Cristo che, per la nostra salvezza, ha sacrificato l'intera Sua vita.
Questo può essere bene illustrato dall'episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto da parte di Satana: tentazioni di potere per sé stesso e di vantaggi personali che Gesù ha decisamente respinto.
Il decimo comandamento così ci prescrive il dovere di accontentarci della condizione in cui si è, con un atteggiamento giusto e caritatevole verso il nostro prossimo, e verso tutto ciò che gli appartiene, e ci proibisce ogni insoddisfazione e malcontento della nostra propria condizione, invidia o avvilimento per i beni del nostro prossimo, ogni brama disordinata e voglia per tutto ciò che gli appartiene.
E' ingiusto -fra parentesi- che questo comandamento metta poi sullo stesso piano persone (moglie, servi) e cose (casa, bestiame)? In realtà sono io, nel mio egoismo, che posso arrivare a desiderare la donna di un altro con lo stesso animo con cui desidero la sua automobile. Sono io che "mercifico" uomini e donne, quando ne faccio oggetto di uno smodato desiderio.
II. Un'inutile duplicazione?
Nei comandamenti precedenti il Signore aveva proibito ogni abuso dei buoni doni che Egli ci ha dato e vietava ogni desiderio di nuocere, ingannare, e derubare gli altri. Non è superfluo ora proibire separatamente il desiderio dei beni altrui? Comprendiamo bene.
Calvino ci fa notare come esista una differenza di fondo fra proponimento e concupiscenza.
Il proponimento è ciò che uno, dentro di sé ha deciso di fare, il pensiero fermo, risoluto, di fare una cosa, di comportarsi in un certo modo. Proponimento è una decisione presa che sfocia senz'altro nei fatti. Avere il proponimento di far qualcosa di male vuol dire essere già stati soggiogati e vinti dalla tentazione, è passare a vie di fatto, attendere il momento opportuno per farlo. Il re Davide si era proposto di portarsi a letto quella donna. La regina Jezebel si era proposta di sottrarre quella vigna a Naboth.
La concupiscenza, però, precede il proponimento, è coltivare, nutrire, intrattenere un desiderio illecito senza avere ancora preso una decisione su come e quando attuarlo. Quante fantasie Davide si sarà fatto su quella donna bellissima! Concupiscenza è così nutrire dentro di sé il forte desiderio di possedere una certa donna e fantasticare magari di portarsela a letto, senza però avere deciso ancora il se, il come, e il quando farlo. Il proponimento è il passo successivo, la decisione presa, il progetto concreto di passare ...ai fatti.
Se è vero che nessuno di noi può evitare di essere tentato, il decimo comandamento ci proibisce di accarezzare il desiderio illecito, di coltivarlo dentro di noi, di nutrirlo perché prima o poi esso sfocerebbe in un preciso proponimento, e allora se ne rimarrebbe irreparabilmente intrappolati. Il decimo comandamento ci comanda perciò di respingere la tentazione prima che sia troppo tardi.
Il desiderio deve essere controllato perchè esso può essere inteso come la radice di tutti i mali. Se tornando dalle ferie hai trovato l'appartamento invaso dall'acqua, è inutile che tu ti affanni con un secchio a fare uscire l'acqua: vai prima a chiudere il rubinetto, e la concupiscenza è il rubinetto da cui escono tanti altri mali. La brama di ciò che altri possiedono comincia da un cuore insoddisfatto, dal confrontare noi stessi con quanto agli altri è stato dato di godere e di cui noi siamo privi.
Il concupire ben raramente è destinato a rimanere un puro desiderio. Il Signore, vietando la concupiscenza vuole bloccare il male prima ancora che nasca, impedendone in anticipo il "concepimento". Potremmo quasi intendere il decimo comandamento come "mezzo anticoncezionale" del peccato! L'apostolo Giacomo scrive: "Ciascuno è tentato quando è trascinato ed adescato dalla propria concupiscenza. Poi, quando la concupiscenza ha concepito, partorisce il peccato, e il peccato, quando è consumato, genera la morte" (Gm. 1:14,15).
III. Una conformità interiore alla Legge
Una legge, di solito, è tesa a controllare e a reprimere degli atti, dei fatti, qui però, qualcuno osserva, nel decimo comandamento si legifera su quello che passa nella nostra testa! Non è possibile, non è giusto, si dice, non è logico, non è utile "fare un processo alle intenzioni". Diciamo: I pensieri non possono danneggiare gli altri -o almeno così ci sembra a prima vista- e non è quindi immaginabile che qualcuno possa essere incolpato per i suoi pensieri.
Certo, posso benissimo passare notte e giorno a struggermi nel desiderio di appropriarmi della villa al mare del mio amico danaroso, senza per questo rischiare di finire in galera.
I comandamenti però sono legge di Dio e non legge umana, legge di Colui che "conosce il cuore di tutti" (At. 1:24) e a Lui dobbiamo rendere conto non solo dei nostri atti, ma anche dei nostri pensieri.
Qualcuno però potrebbe anche dire: come può pretendere Dio che noi controlliamo i nostri pensieri? Le azioni e le parole si possono in una certa misura dominare. Ma i sentimenti di invidia? gli appetiti sessuali? Si tratta di impulsi interni: come si fa a dominarli? Essi vanno e vengono come vogliono, sono come i sogni che facciamo di notte, e che sforzo immane, disumano essere sempre attenti a ciò che si pensa! Chi è onesto verso sé stesso sa che è impossibile farlo.
È vero, è un'impresa sovrumana, a noi impossibile, ma qui sta proprio il punto. Come ogni altro comandamento esso ci vuol far prendere coscienza della nostra radicale corruzione ed impotenza. Ci deve far giungere a confessare che viviamo: "insensati, ribelli, erranti, schiavi di varie concupiscenze e voluttà, di vivere nella cattiveria e nell'invidia, odiosi e odiandoci gli uni gli altri" (Tt. 3:3).
Il comandamento ci umilia anche perché ci smaschera quando noi pensassimo magari di essere "persone a posto", che "non abbiamo mai fatto male a nessuno". Non è vero. Magari non abbiamo di fatto commesso tutti i peccati di cui i comandamenti parlano, ma nella nostra mente quante volte li abbiamo infranti? e questo per Dio vale altrettanto.
Gesù disse: "Voi avete udito ciò che fu detto agli antichi: Non uccidere... ma io vi dico: Chiunque si adira contro suo fratello... sarà sottoposto al giudizio.
...Voi avete udito ciò che fu detto agli antichi: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore... Avete udito ciò che fu detto: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico: Non resistere al malvagio. Avete udito ciò che fu detto: Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, e pregate per coloro che vi maltrattano e vi perseguitano".
Se il mio cuore è così, riuscirò forse a modificarlo con atti di volontà, decisioni, buoni propositi? No. L'unica decisione da prendere è lasciare che Qualcun'altro entri nella mia vita per purificare e per trasformare. Il comandamento ci indirizza verso la vera soluzione del problema del comportamento umano.
Qual è l'obiettivo di fondo dell'Evangelo di Gesù Cristo? È il rinnovamento profondo della persona umana, la radicale conversione del cuore, la conversione dall'egocentrismo a Dio e agli altri, la conversione alla pratica dell'amore autentico.
La Legge di Dio non viene proclamata perché noi la si osservi esteriormente, ammesso che sia possibile farlo, ma affinché noi si possa disporre noi stessi a che Dio ri-orienti l'intero nostro essere nella direzione dell'amore. Calvino disse: "Qualcuno obietterà che non è giusto condannare come concupiscenze (sentimenti che nascono nel cuore) fantasie che svolazzano nel cervello per poi svanire. Rispondo che tali fantasie non si agitano solo nel cervello, ma muovono il cuore a concupiscenza; infatti non concepiamo mai un desiderio o un'aspirazione con il cervello senza che il cuore ne sia toccato ed infiammato. Il nostro Signore... richiede un cuore perfettamente regolato che non deve essere punto neppure da un solo pensiero contrario alla legge di carità".
Il decimo comandamento mette così in chiara evidenza come prima ancora che noi si possa onorare Dio e gli altri, prima ancora che noi non si uccida, non si commetta adulterio, non si rubi, non si mentisca, sia il nostro cuore, il nostro pensiero, ad essere ri-orientato. È la "giustizia maggiore" che Gesù richiede e senza la quale noi non entreremo affatto nel Regno dei cieli (Mt. 5:20).
L'osservanza autentica della Legge di Dio richiede persone sante e rette interiormente. Un'impossibilità che richiederebbe un vero e proprio miracolo? Si, un miracolo che la Bibbia chiama "rigenerazione", quella che Dio opera attraverso Gesù Cristo, e che l'Evangelo chiama "nuova nascita". Hai sperimentato nella tua vita una rinascita interiore profonda operata da Dio, una radicale conversione a Lui? Senza di essa non potrai vedere il Regno di Dio.
IV. Saperci accontentare
Rigenerazione interiore significa anche imparare ad accontentarsi con ciò che Dio ci ha dato e questa è anche la chiave per non commettere peccati dei quali poi ce ne dovremmo pentire. Accontentarsi non significa che si possa desiderare di migliorare il nostro benessere e la nostra condizione esteriore: dobbiamo usare diligentemente le capacità che Dio ci ha dato. Dobbiamo però accontentarci dei limiti sia delle nostre capacità che delle nostre opportunità, senza lamentarci se qualcuno possa più di noi (Ga. 5:26; Gm. 3:14,16). C'è un senso in cui possiamo dire che non siamo stati creati uguali e lo dobbiamo accettare.
Il decimo comandamento in fondo è pure un'altra forma di ribellione a Dio. L'atteggiamento di invidia manifesta non soltanto una scontentezza per ciò che si è ricevuto da Dio, ma anche propensione a soddisfare la propria voglia con metodi illegittimi.
L'invidia acceca. Un arabo un giorno disse: "Io mi lagnavo di non avere scarpe. Passando davanti alla moschea di Damasco vidi un uomo senza gambe. Cessai di lagnarmi" (Saadi). L'invidioso non solo non ringrazia Dio per quello che ha, ma è anche disposto, non appena se ne presenti l'occasione, a prendersi quello che non ha da qualunque parte gli capiti, anche tra i beni che Dio ha concesso ad un altro. L'uomo non si accontenta dello spazio vitale che Dio gli ha dato e non si abbassa a chiedere a Lui quello di cui ha bisogno, ma occhieggia sulla proprietà del vicino e l'appetisce.
Se poi l'invidioso non passa sempre all'azione è solo perché la cosa è materialmente impossibile, o almeno altamente rischiosa. Così, anche se in apparenza non succede niente, il 10. comandamento viene trasgredito. L'uomo pecca di ingratitudine e di incredulità verso il suo Signore.
Da tenere conto poi che l'invidia, anche quando non esplode in azioni aggressive, avvelena lentamente l'atmosfera e sgretola in modo subdolo la stabilità delle buone relazioni umane. Qualcuno ha detto: "Dove c'è invidia non ci può essere pace, nel migliore dei casi c'è guerra fredda... l'invidia pone un'alternativa: o sei felice tu o sono felice io. Sembra che non si possa essere uniti nella felicità... L'invidioso, quand'è felice è solo".
Dio: unico nostro desiderio
Come possiamo allora giungere ad essere soddisfatti di ciò che abbiamo? Non lo impareremo mai fintanto che Dio stesso non diventerà la nostra ricompensa. E Dio non diventerà nostra unica ricompensa se non quando avremo riaggiustato nella nostra vita tutte le nostre priorità. Il salmista dice: "Prendo il tuo diletto nell'Eterno, ed Egli ti darà i desideri del tuo cuore" (Sl. 37:4). Quando noi troviamo in Dio il nostro tutto, cosa mai di più potremmo desiderare? Egli, e le ricchezze eterne conservate nel cielo, valgono più di tutto quanto potremmo avere qui sulla terra, e queste benedizioni sono nostre in Gesù Cristo (Mt. 6:19-21; 2 Pi. 3:12).
La nostra più grande fonte di consolazione e di soddisfazione non deve essere nei beni di questo mondo, ma in Dio, e allora saremo guariti dalla concupiscenza e i nostri desideri orientati su ciò che è legittimo.
Gesù disse: "Non siate con ansietà solleciti per la vostra vita... cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno sopraggiunte" (Mt. 6:25,33).
Non sarai mai soddisfatto con i beni di questo mondo, perché solo Dio può riempire completamente il vuoto della tua vita. Diventa colui che può ripetere quello la prima frase del catechismo di Heidelberg, che dice: "La mia unica consolazione consiste nel fatto che col corpo e con l'anima, in vita e in morte, non sono più mio, ma appartengo al mio fedele Salvatore Gesù Cristo, il quale col suo prezioso sangue ha pienamente pagato il prezzo di tutti i miei peccati e mi ha redento da ogni potere del diavolo; e mi preserva così che neppure un capello può cadermi dal capo senza la volontà del Padre mio che è nei cieli ed anzi ogni cosa deve cooperare alla mia salvezza. Pertanto, per mezzo del suo santo Spirito egli mi assicura anche la vita eterna e mi rende di tutto cuore volenteroso e pronto a viver d'ora innanzi per lui".
(p. 2964).
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