Non rubare!


Ecco alcuni detti e proverbi che la dicono lunga sul mondo in cui viviamo: Il furto è l'anima del commercio. A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera. Ruba un pezzo di legno e ti chiamano ladro, ruba un regno e ti chiamano 'maestà' (Chuang Tzu). Mi piace il lavoro: posso stare seduto a veder lavorare per ore intere (Jerome), e infine un detto più serio, di Louis Pasteur: Mi sembrerebbe di commettere un furto, se passassi un giorno senza lavorare.

Il furto, dunque. Nella nostra serie di prediche sui comandamenti siamo arrivati all'ottavo. L'ottavo comandamento dice: "Non rubare" (Es. 20:15). Pare che originalmente questo comandamento si riferisse al non rubare ...un uomo, cioè a non sequestrare una persona, a non privarla della sua libertà, consapevoli della straordinaria dignità dell'essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio.

Va da sé allora che tutto ciò che appartiene ad un uomo, tutto ciò che gli spetta per diritto, è sacro e inviolabile e non gli può essere sottratto impunemente, sia che si tratti di beni materiali o di beni spirituali. E' Dio stesso che stabilisce ciò che deve essere proprio ad un uomo. L'intenzione del comandamento è dunque che rendiamo a ciascuno quel che gli compete per diritto. Dio è un Dio di giustizia, ed il mondo che Egli ha creato può funzionare solo quando si muove secondo criteri di giustizia.

A. Il principio di base

1. Una distinzione semantica. L'ottavo comandamento ha dunque a che fare con tutto ciò che riguarda la proprietà, quello che si possiede o si ha diritto di avere come proprio.

E' stato osservato che bisogna fare una triplice distinzione giuridica per quanto riguarda ciò che si possiede, e questo ci può essere utile proprio per comprendere il nostro comandamento.

C'è una differenza fra "proprietà", "possesso", e "detenzione". Facciamo un esempio: una persona ha la proprietà dell'automobile che ha acquistato e interamente pagato; ha il possesso dell'appartamento in cui vive come inquilino e di cui paga regolarmente l'affitto, infine, detiene la bicicletta che ha rubato e che nasconde accuratamente nel suo garage.

2. Dio, unico proprietario. Nel contesto del messaggio biblico si può dire che sulla terra non ci devono essere "detentori" di cose rubate che a loro non spettano, e non ci devono essere nemmeno "proprietari" perché unico proprietario di ogni cosa è soltanto Dio. Si, noi abbiamo il compito di amministrare i beni di cui abbiamo ricevuto e godiamo il possesso. In questo mondo, cioè siamo solo come degli "affittuari".

La Bibbia insegna chiaramente il principio di base che è Dio il proprietario ultimo di tutte le cose. L'essere umano, per il beneplacito di Dio, non è perciò che un amministratore tenuto a dar conto della sua amministrazione.

La Bibbia dice: "All'Eterno appartiene la terra e tutto ciò che è in essa, il mondo e i suoi abitanti". "Ecco, all'Eterno, il tuo Dio, appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra, e tutto quanto essa contiene". "Le terre non si venderanno per sempre, perché la terra è mia; poiché voi siete forestieri ed affittuari con me".

Il popolo di Israele era entrato in possesso del paese non per la sua potenza o per la sua giustizia (De. 9:4), ma perché Dio aveva dato quella terra al popolo. Ogni famiglia ne aveva ricevuta una parte e su questa doveva lavorare e trafficare. Questo vale anche per gli altri popoli. E' infatti, in ultima analisi Dio che "determina le epoche loro stabilite ed i confini della loro abitazione".

La terra poteva essere usata per la produzione ed il commercio, poteva essere anche venduta per pagare i debiti. La proprietà della terra era limitata, relativa, e la terra doveva essere gestita non secondo il proprio arbitrio, ma secondo la volontà rivelata di Dio.

3. Metodi legittimi di possesso. Dio quindi concede all'uomo il possesso di cose delle quali Egli è l'unico proprietario. Nel quadro della proprietà di Dio, Dio accorda a ciascuno la facoltà di possedere e di avvalersi di una certa misura di ricchezza attraverso mezzi e capacità legittime da Lui donati.

Il diritto alla proprietà privata, regolata dai principi stabiliti da Dio, è quindi una Sua ordinanza, implicita allo stessa proibizione del furto. Il diritto alla proprietà privata è sacro, non nel senso che ciascuno del suo possa fare ciò che gli aggrada, ma che ciascuno può fare del suo solo quello che gli è consentito da Dio!

Il diritto di proprietà è legittimo, ma pure legittimi debbono essere i mezzi che si usano per acquisire questa proprietà. La Bibbia ne indica due: (1) per eredità, e (2) tramite il proprio lavoro. La ricchezza ottenuta in questi due modi non è un male, anzi, un privilegio che Dio ha dato all'essere umano. E' lo stesso che dire che non è vero dire che il denaro è la sorgente di ogni male: lo è piuttosto l'abuso del denaro, e, in questo caso, l'abuso della ricchezza.

E se il lavoro è il mezzo più appropriato per acquisire possesso, è implicito il comando del Signore alla scelta appropriata di una professione che corrisponda ai nostri talenti e possibilità; l'esercizio moderato, saggio, prudente ed onesto del proprio lavoro; l'uso parsimonioso del denaro che abbiamo; il risparmio come pure evitare le spese non necessarie, stravaganti e ispirate solo dall'avidità.

Siamo chiamati a svolgere la nostra attività con diligenza e laboriosità, e soprattutto in atteggiamento di dipendenza da Dio, usando con piacere quanto Dio ci dona ed essere pronti a condividerlo con altri.

B. Prescrizioni

1. Materialmente. L'ottavo comandamento il diritto al possesso ma pure prescrive che noi dobbiamo guadagnare e saper conservare quanto ci serve per vivere per il nostro e l'altrui benessere, in modo onesto e legittimo.

Dice la Scrittura: "Se uno non provvede ai suoi e principalmente a quelli di casa sua, egli ha rinnegato la fede ed è peggiore di un non credente".

Inclusa nel comandamento è così pure la responsabilità che abbiamo verso coloro che non possono, per qualche motivo, provvedere autonomamente per sé stessi. Dice la Bibbia: "Se un tuo fratello impoverisce e si trova nell'indigenza in mezzo a voi, tu lo sosterrai come un forestiero e un ospite perché possa vivere presso di te". Un luminoso esempio biblico di saggia provvigione è pure l'amministrazione di Giuseppe durante la carestia in Egitto.

Scrisse Calvino: "Ottemperiamo al comandamento quando ci accontentiamo della nostra condizione, cerchiamo di guadagnare solamente in modo onesto e legittimo, non desideriamo arricchirci facendo torto al nostro prossimo, non progettiamo di distruggerlo per impadronirci dei suoi beni, non ci adoperiamo ad accumulare ricchezze ricavate dal sangue o dal sudore altrui, quando non ci affanniamo smodatamente ... per soddisfare la nostra avarizia oppure scialare prodigalmente. Al contrario dobbiamo sempre avere il fine di aiutare ognuno, per quanto possiamo, con il consiglio o gli averi, a conservare il suo; e se ci accade di avere a che fare con malvagi o ingannatori, siamo pronti piuttosto a rimettere del nostro che a combatterli con analoga malizia. E quando vedremo qualcuno in povertà, aiutiamo la sua indigenza e alleviamo la sua necessità con la nostra abbondanza".

2. Moralmente. Il comandamento non si riferisce solo a possedimenti materiali, ma esige che a ciascuno sia dovuto quanto gli spetta, e che ciascuno adempia i doveri che la sua professione comporta. Sempre Calvino dice: "...ciascuno presti attenzione ai propri doveri verso gli altri, connessi con i doveri del suo ufficio, per adempierli lealmente... ciascuno consideri quel che deve al suo prossimo, a seconda della posizione e situazione, e renda quel che deve. Principalmente occorre che teniamo presente il Legislatore (cioè Dio), per non dimenticare che questa norma è stabilita per l'anima non meno che per il corpo: e che ciascuno così dedichi la volontà a conservare e a far progredire il bene e l'interesse comune".

Chiediamoci: rendo io alla mia famiglia quello che le è dovuto? Rendo io alla società in cui vivo il contributo che le spetta? Sono io pronto a difendere e a promuovere gli interessi di chi non sa difendersi? Adempio io il mio lavoro in modo cosciente e responsabile?

C. Proibizioni

In negativo, evidentemente, l'ottavo comandamento proibisce tutto ciò che possa ingiustamente privare gli altri di quanto possiedono od ostacolare il loro diritto al lavoro, alla proprietà o al benessere.

E' stato scritto con una bella espressione: "rubare significa ...in senso biblico, invadere lo spazio di libertà dell'altro, negargli la possibilità di disporre di ciò che gli è stato affidato e su cui ha riversato le sue fatiche. Il furto è... attentato all'integrità della persona: sottraendogli i beni a sua disposizione, si distrugge una parte di lui. Ecco perché il sequestro di persona costituiva la forma più grave di furto...". Non rubare è dunque:

1. Rispetto alla proprietà materiali. Dobbiamo tenere presente che quanto ciascuno possiede non lo ha per caso fortuito, ma grazie al dono di Colui che è padrone supremo e Signore di ogni cosa, per questo motivo non si può frodare qualcuno delle sue ricchezze senza violare la dispensazione di Dio.

Si può rubare in tanti modi: in modo violento (come la criminalità e la mafia), con la frode maliziosa che spesso vige nel commercio. Molti giustificano la propria disonestà dicendo con cinismo: ...gli affari sono affari! Furto è la falsificazione o gli abili stratagemmi per monopolizzare a proprio vantaggio il commercio o la proprietà dei terreni.

Calvino scrisse: "Tutti i mezzi di cui si serviamo per arricchirci ai danni altri devono essere considerati furti quando si allontanano dalla sincerità cristiana, che deve essere amata, e ricorrono ad astuzie equivoche o in qualsiasi altro inganno. Chi agisce in questo modo spesso vince la propria causa davanti al giudice: Dio però lo considera semplicemente come un ladro. Egli vede le trappole a lunga scadenza che gli astuti preparano per cogliere i semplici nelle proprie reti, vede la durezza delle richieste con cui i grandi opprimono i piccoli, vede quanto velenose siano le lusinghe di chi vuole lusingare qualcuno per ingannarlo, anche se tutto questo non giunge alla conoscenza degli uomini".

Alla base di tutto questo spesso c'è l'avidità e l'invidia, il desiderio smodato per il denaro, conquistato nel modo più facile possibile. Furto è lo sfruttamento senza scrupoli del lavoro altrui. Verso i ricchi sfruttatori, l'apostolo Giacomo dice: "E ora a voi, ricchi: piangete ed urlate per le sciagure che vi stanno per cadere addosso. Le vostre ricchezze sono marcite, e i vostri vestiti sono rosi dalle tarme. Il vostro oro ed il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi... Ecco, il salario da voi defraudato agli operai che hanno mietuto i vostri campi grida... Sulla terra siete vissuti nelle delizie e morbidezze; avete pasciuto i vostri cuori come per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto".

Può anche essere furto della propria salute l'eccessiva dipendenza al lavoro, e le eccessive ansie e preoccupazioni di chi non sa concedersi un attimo di pausa. Furto è lo sfruttamento commerciale del proprio corpo o del corpo altrui nella pornografia e nella prostituzione, perché è abusare di cose che Dio non ha previsto potessero essere fatte oggetto di commercio.

2. Rispetto al dovuto. Come abbiamo visto però anche in precedenza, la trasgressione di questo comandamento non consiste solo nel far torto a qualcuno per quanto riguarda il denaro, o le merci o i possedimenti: ma per quanto riguarda ogni diritto. Frodiamo il nostro prossimo se gli neghiamo i servizi di cui gli siamo debitori... chi non compie il dovere che la sua vocazione comporta verso gli altri, si trattiene per sé quanto appartiene agli altri.

Questo include anche la negligenza nel lavoro che ci è utile per sostentare noi stessi e quanti dipendono da noi. "Chi ama il piacere sarà nell'indigenza, chi ama il vino e l'olio non arricchirà... Chi persegue giustizia e misericordia troverà vita, giustizia e gloria... Chi lavora la sua terra avrà pane in abbondanza, ma chi va dietro a vanità avrà una grande povertà". "Chi rubava non rubi più, ma piuttosto si affatichi facendo qualche buona opera con le proprie mani, affinché abbia da dare a chi è nel bisogno". Dobbiamo svolgere il nostro lavoro in modo diligente. E' solo quando ci rendiamo conto che pure il nostro lavoro è in realtà servizio reso a Dio, che noi come dipendenti, avremo l'antidoto alla tendenza di rubare.

4. Altri esempi. Vi possono essere altri esempi di furto. Sarebbe interessante approfondirli, ma il tempo non ci permette che di menzionarli, e certo ciascuno ne potrebbe aggiungere altri. Se rubare è acquisire ricchezza in modo illecito (acquisire qualcosa non datoci in dono, né guadagnato con il nostro lavoro), illecito rispetto alla volontà di Dio è il gioco d'azzardo, la partecipazione a concorsi, lotterie, a giocare a carte per soldi. Quanti soldi si sprecano nel gioco del lotto aspirando ad improbabili vincite! Il gioco può diventare persino un vizio che genera dipendenza, si può infatti giungere a non poterne fare a meno, perché ti sorge dentro una vera e propria smania per il gioco, smania che ha gettato nella rovina intere famiglie.

Nel pensare al furto possiamo pensare a quando si derubano persone, interi popoli, o fuggiaschi della solidarietà a cui essi avrebbero diritto.

Possiamo pensare all'inquinamento ed allo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali come un furto perpetrato ai beni di cui solo Dio è proprietario e che non ci ha affidato.

Si può derubare lo Stato sottraendogli con l'inganno quelle imposte alle quali ha diritto legale ("Date a Cesare quel che è di Cesare).

Infine si può anche derubare Dio dell'onore, del culto, e del servizio che gli spetta come nostro Creatore, Signore e Salvatore in Gesù Cristo.

Ascoltate ciò che dice il profeta Malachia: "Un figlio onora il Padre e un servo il suo signore. Se dunque io sono padre -dice l'Eterno- dov'è l'onore che Mi dovete? E se sono Signore, dov'è il timore di me?... Voi Mi disprezzate, ed avete il coraggio di dire: In che noi ti disprezziamo?... Un uomo deruberà Dio? Eppure voi Mi derubate e poi dite: In che cosa ti abbiamo derubato? Nelle decime e nelle offerte. Voi siete colpiti di maledizione perché Mi derubate, si, tutta quanta la nazione".

E. Una prospettiva più vasta

Al di là della "semplice" applicazione del comandamento sul "non rubare, io credo che come cristiani, anche in questo caso, "la nostra giustizia deve essere maggiore". Siamo chiamati soprattutto a:

1. Non essere legati alla proprietà terrena. Il discepolo di Cristo non può limitarsi a non rubare, a non invadere lo spazio di libertà altrui. Egli vive nella prospettiva della risurrezione, sa di avere "nel cielo" un'eredità incorruttibile e inalterabile che è conservata per lui, e quindi non ha bisogno di legare la sua vita e la sua libertà a beni materiali, anche se ne riconosce l'intrinseca bontà. La lettera agli Ebrei può dire: "...infatti avete anche sofferto con me nelle mie catene e avete accettato con gioia di essere spogliati dei vostri beni, sapendo di avere per voi dei beni migliori e permanenti nei cieli" (Eb. 10:34). La capacità di lasciarsi togliere qualcosa senza inveire è la conferma di avere qualcos'altro più importante che non può essere tolto, e non può essere tolto perché non è stato sottratto ad altri, ma è stato ricevuto dalle mani di Dio. Noi possediamo veramente quello che riceviamo da Dio.

La serena gratitudine è quindi il sentimento della persona ricca. Chi invece si affanna ad arraffare e conservare gelosamente non può che essere dominato dalla paura: la paura di perdere quello che non è mai stato suo, perché non gli è stato affidato dal legittimo proprietario. E poi:

2. Non portare via ma arricchire altri. La presenza di un cristiano dovrebbe "arricchire" l'ambiente in cui vive, e non impoverirlo. Dovrebbe essere normale per un cristiano, dare agli altri più di quello che riceve. I primi cristiani erano generalmente persone povere, di bassa estrazione, però benché poveri, arricchivano molti, benché non avevano nulla, possedevano in realtà "tutto".

I cristiani nel mondo si distinguevano perché, invece di prendere, invece di rubare, "davano". Paolo diceva: "In ogni cosa vi ho mostrato che affaticandoci in questo mondo ci conviene sostenere gli infermi e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse: C'è maggiore felicità nel dare che nel ricevere". Chiediamoci: quale contributo do io per arricchire moralmente, spiritualmente, culturalmente, l'ambiente in cui vivo? E' la nostra vocazione cristiana quella di essere "sale", e "luce" del nostro ambiente.

Devo così chiedermi: come sto vivendo io? Quali sono i "valori" in base ai quali penso, parlo, agisco? Sono quelli che Dio Mi ha comunicato nella Bibbia? Sono consapevole che "farò fallimento" nella mia vita se non Mi conformo alla volontà di Dio per me, anche nel campo multiforme del "rubare"? Se si, Iddio Mi chiama al ravvedimento ed alla fede in Gesù Cristo, affinché la mia esistenza conosca un nuovo e positivo inizio. Che così possa essere per ciascuno di noi.

(p. 2934)


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