Tornare a Dio
La nostra sola speranza
di Renato Giuliani



La delusione del ventesimo secolo

  Il più delle volte, quando lo studente dei primi anni Sessanta chiedeva ai suoi genitori, "Perché dovrei studiare?" gli veniva risposto, "Perché statisticamente una persona che ha studiato guadagna annualmente molto di più!" E quando poi il giovane chiedeva, "E a che scopo guadagnare più soldi?" gli si rispondeva, "Così che puoi mandare i tuoi figli all’università!" Secondo tale risposta, l’educazione dell’uomo non aveva alcun vero significato e tanto meno ne aveva la sua stessa vita.

Francis A. Schaeffer

 Il ventesimo secolo è stato sicuramente una grandissima delusione per l’umanità. Ci si aspettava ben altro! Com’è noto, durante tutta la seconda metà dell’Ottocento si era diffuso, nella cultura e nell’opinione pubblica, un grande ottimismo per il prossimo futuro dell’uomo.1 Fra il 1870 e gli inizi del secolo la produzione economica dei paesi occidentali si era quadruplicata. La scienza e la tecnologia facevano progressi impressionanti. Il tenore di vita migliorava a vista d’occhio: più opportunità, più ricchezza, più servizi, più comodità, più benessere. Alla luce di tale progresso si guardava al prossimo secolo, il ventesimo, come all’era nella quale l’uomo sarebbe riuscito a creare una società di benessere comune senza precedenti. La vita sarebbe stata più facile, più tranquilla, più agiata. Si sarebbero raggiunte mete di maturità sociale, di stabilità politica e forse, a detta dei filosofi del materialismo, anche la mèta che da sempre aveva eluso l’uomo: la piena soddisfazione dei desideri umani, la felicità ultima. Queste erano le aspettative! La realtà, come sappiamo, fu ben diversa!

Il sistema consumistico occidentale, basato essenzialmente sulla ricerca di un sempre maggiore benessere materiale, portò presto fra le nazioni europee un clima esasperato di competizione e di rivalità per il potere coloniale, economico, politico e militare.2 Il ventesimo secolo si aprì infatti con una grave crisi politica internazionale. Tutto precipitò nel 1914 e la Prima Guerra Mondiale ebbe inizio. L’orrendo conflitto durò per quattro anni e il prezzo pagato fu altissimo: più di 10 milioni di morti e la rovina dell’intera economia europea.

Negli anni che seguirono si lavorò per ricostruire un’Europa distrutta. Ma nel 1929 il sistema economico internazionale crollò. La crisi fu profonda e durò per tutta la prima parte degli anni ’30. Fra il disordine e la frustrazione generale trovarono terreno fertile di sviluppo forti ideologie nazionaliste. Così, ad una nuova crisi politica internazionale, seguì la Seconda Guerra Mondiale ( 1939-1945 ), un conflitto di proporzioni senza precedenti, nel quale persero la vita 50 milioni di esseri umani!

Nel 1945 avremmo dovuto cambiare

Nei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale il mondo sprofondò in un totale disorientamento. Nel 1942 l’economista Wilhalm Ropke scrisse: la confusione del mondo è giunta ad un punto tale che milioni di persone si trovano come coloro che, travolti dalla valanga, hanno perduto ogni orientamento ed ogni sensazione di ciò che sta sopra e sotto, seppellendosi, nel loro incosciente terrore, sempre più profondamente nella neve.3 Ci chiediamo allora: quale sarebbe stata la cosa giusta da farsi davanti ad una tale catastrofe mondiale? Certamente avremmo dovuto fermarci e farci, come individui e come collettività, un profondo esame di coscienza! E non mancò chi ci richiamò a questo dovere. Per esempio, nel 1948, Martyn Lloyd-Jones, predicando dal pulpito della Westminster Chapel di Londra, si esprimeva in questo modo: Guardando al ventesimo secolo e a tutta la sofferenza e lo spargimento di sangue che vi sono stati, considerando lo stato in cui il mondo si trova attualmente... dobbiamo prima o poi riflettere sulla causa del fallimento del mondo. Cosa c’è che non va nell’uomo, in un uomo che nella sua follia e stupidità deve ridurre il mondo a un tale scempio? Perché l’uomo è così crudele verso gli altri uomini?... Per quale motivo il mondo si trova oggi in tali condizioni, e perché deve essere come lo abbiamo conosciuto durante questo secolo? Queste sono le domande che ci dobbiamo porre.4 Sì, davanti all’odio, alla guerra, all’orrore dei campi di concentramento, davanti a 50 milioni di morti, davanti alla minaccia della distruzione atomica totale, non è sicuramente esagerato dire che avremmo dovuto ammettere di aver capito poco o nulla della vita, comprendere che i concetti ateistici, relativistici e materialistici sui quali avevamo fondato la nostra esistenza e la nostra società erano sbagliati e, come tali, andavano abbandonati. Insomma, avremmo dovuto fermarci e rivedere interamente tutta la nostra concezione della vita!

Ma niente di tutto ciò! Scegliemmo invece di continuare esattamente per la stessa strada, preoccupandoci essenzialmente di una cosa: la ripresa economica! La nostra concezione della vita rimase fondamentalmente la stessa: ateistica, relativistica e materialistica.5 Continuammo a vivere negando Dio ( con la vita, se non con le stesse labbra ), affermando che tutto era accaduto e accadeva per caso, che la vita stessa si era formata per caso, che l’uomo era soltanto un animale evoluto la cui esistenza non aveva alcun significato ultimo. Continuammo a dire che tutto era relativo, che la verità e la moralità assolute non esistono. Continuammo a costruirci una società materialistica nella quale l’uomo è concepito come un "consumatore" per il quale vivere significa essenzialmente "consumare" beni materiali! Queste furono le "grandi" concezioni sulle quali, nel dopoguerra, ricominciammo a ricostruire ciò che chiamiamo "civiltà." In altre parole, raccogliemmo le macerie di un mondo distrutto e lo ricostruimmo esattamente con lo stesso materiale e sulle stesse fondamenta di prima! Così, ancora una volta, nella nostra folle cecità, riconfermammo appieno la nota affermazione del filosofo Friedrich Hegel: I popoli ed i governi non hanno mai imparato nulla dalla storia, né agito sulla base di princìpi da essa dedotti.

E per qualche tempo ci illudemmo. Con il "miracolo economico" degli anni cinquanta ed il "boom" degli anni sessanta riacquistammo orgoglio e fiducia in noi stessi. Ricominciammo a vantarci della nostra modernità, del nostro progresso scientifico e tecnologico. E poi? E poi ricominciammo a mangiare i frutti amari della nostra follia.

Il fallimento della società moderna

Caduti i valori morali fondamentali, abbiamo assistito ad un profondo impoverimento della vita, con un conseguente e drammatico aumento dell’insoddisfazione, della frustrazione, dell’immoralità, del crimine e della violenza a tutti i livelli. Abbiamo visto l’uomo decadere e divenire sempre più superficiale, vuoto e falso. Abbiamo visto i nostri matrimoni fallire, le nostre famiglie sgretolarsi, i nostri genitori alcolizzarsi, i nostri figli morire di droga. Abbiamo visto la nostra società ridursi ad un groviglio di conflitti: fra partiti politici, fra istituzioni statali, fra società in competizione, fra datore di lavoro e lavoratore, fra lavoratori stessi, fra famiglie, fra marito e moglie, genitori e figli, fratelli e sorelle.

A causa della frenesia della società moderna, della superficialità dei rapporti sociali e dell’inaffidabilità della gente, la maggior parte delle persone, dopo la giornata lavorativa, preferisce ormai rinchiudersi in casa e "dimenticare" tutto e tutti.6 A ragione, Francis Schaeffer ebbe a dire che, per l’uomo moderno, la pace personale significa essere lasciato in pace... vivere la propria vita riducendo al minimo le possibilità di essere personalmente disturbato dai problemi degli altri.7 E così, mentre i computer iniziano a dialogare con noi, i nostri vicini diventano sempre più distanti e anonimi.8 Ma questo modo di esistere, lungi dal risolvere i nostri problemi, non porta che alla solitudine. Ed è tristemente ironico, quanto indicativo, il fatto che, in una società sovraffollata come la nostra, uno dei gravissimi problemi sociali sia la solitudine! Sicuramente non è una coincidenza se, negli ultimi quarant’anni, vi è stato un progressivo aumento delle malattie mentali, dell’alcolismo, dell’uso delle droghe e dei suicidi ( le statistiche non lasciano scampo! ).

E i giovani? È un tormento osservare i giovani, scrive Stefano Pistolini, perché si capisce che non sono in grado di rendere stimolante la propria esistenza... Si è diventati testimoni impotenti di un degrado sociopolitico senza precedenti. I figli di questa generazione sono stati travolti dall’edonismo consumistico e dalla prevalenza dell’avere sull’essere... Un divano nella penombra, un televisore acceso, qualcosa di smangiucchiato sul tavolo, cassette, video cassette, cd. Il sabato in centro, la discoteca, molta automobile, una vita senza senso che oggi fa sì che, tra i minori di 21 anni, il suicidio sia la seconda causa di morte, dopo gl’incidenti automobilistici!9 E, d’altra parte, nella società dei piaceri e dei consumi, se i giovani perdono la voglia di vivere prima di arrivare a vent’anni, agli anziani viene "consigliato" di affrettarsi a morire per non essere di peso al progresso della "civiltà"!

La miseria mondiale

Se misera è la realtà esistenziale dei paesi industrializzati, nel resto del mondo essa è ancora più tragica. Una lettura, anche generale, della storia e della realtà sociale dei paesi asiatici, africani e centro-sud americani, relativa agli ultimi cinquant’anni, rivela un quadro veramente drammatico:10 povertà, fame, miseria, decadimento morale, epidemie, carestie, continua instabilità sociale e politica, insurrezioni popolari, guerriglia, colpi di stato, governi militari, leggi marziali, repressioni, massacri, pulizia etnica, guerre tribali, guerre civili.11

I conflitti armati internazionali sono continuati incessantemente fino ai nostri giorni, portando morte e distruzione ovunque. Ricordiamo qui solo quelli più sanguinosi: Francia-Vietnam ( 1945-1954 ), India-Pakistan ( 1947-1949 ), Israele-nazioni arabe ( 1948- ), Corea del nord-Corea del sud ( 1950-1953 ), Francia-guerriglieri algerini ( 1954-1962 ), Francia, Inghilterra e Israele-Egitto ( 1956 ), Angola-Portogallo ( 1961-1975 ), Vietnam del nord-Vietnam del sud ( 1963-1975 ), India-Pakistan ( 1964-1965 ), Egitto-Israle ( 1967-1970 ), Somalia-Etiopia ( 1967-1988 ), Vietnam-Cambogia ( 1978-1989 ), Uganda-Tanzania ( 1979 ), Cina-Vietnam ( 1979 ), Iran-Iraq ( 1980-88 ), Libia-Ciad ( 1981-1988 ), Armenia-Azerbaigian ( 1989-1994 ), la guerra del Golfo ( 1990-91 ). Gli uomini continuano ad odiarsi e sterminarsi a vicenda. In questi ultimi cinquant’anni di conflitti e stermini oltre 22 milioni di persone hanno perso la vita!12

I nostri inutili tentativi

Questo dunque è il nostro mondo! Questa è la nostra misera realtà! Questa è la triste storia del nostro ventesimo secolo dal quale così tanto ci si aspettava! Eppure l’uomo ha fatto di tutto per tirarsi fuori da questa miseria. Ha pensato che il problema fondamentale fosse l’ignoranza della massa e così ha provveduto "educazione" per tutti. Ma benché abbia tentato con entusiasmo e grandissima spesa... i risultati non hanno confermato le previsioni. Oggi ci si è resi conto che l’istruzione ha i suoi limiti.13

Ha pensato che il problema fosse nei rapporti sociali e così ha cercato di risolverlo sviluppando imponenti studi sociologici. Ma questa speranza si è rivelata fuorviante ed illusoria.14

Ha pensato che il vero problema fosse mentale e così ha cercato di risolverlo mediante la psicologia moderna. Ma anche in questo caso ha fallito. Oggi, chiunque ancora creda nell’idea romantica del meraviglioso potere guaritore della psicoterapia ignora completamente la cruda realtà delle recenti ricerche.15

Ha pensato che il vero problema fosse politico. Così ha provato ogni sorta di governo possibile. Ha riunito i suoi parlamenti, ha formulato le sue leggi, ha organizzato i suoi convegni, ha convocato i suoi esperti da tutto il mondo. Il risultato? Un completo fallimento! E la prova più evidente di ciò è proprio la rovinosa condizione in cui versa il mondo attualmente. I politici, i legislatori, i filosofi, gli psicologi, i sociologi, gli educatori, tutti hanno riflettuto, parlato, lavorato, dato il loro contributo. Ma siamo sempre lì, nella miseria! La nostra malattia non è stata guarita. Anzi, con il tempo i nostri problemi non fanno altro che moltiplicarsi ed ingigantirsi e sono ormai di una portata tale da mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della terra e del genere umano!16

La gente è disperata. Non sa più cosa pensare, cosa fare, dove cercare. Cos’altro c’è? Quale altra possibile via d’uscita le può fornire la società? Si è provato di tutto. Non rimangono che astrologi, cartomanti e maghi! E a costoro la gente si rivolge sempre più. Racconta loro i propri problemi, anche le cose più intime e personali. Chiede loro di risolvere le proprie difficoltà, di trasformare la vita, o per lo meno, di renderla più vivibile. E per ottenere ciò è disposta a fare tutto: spendere molti soldi, credere in talismani, inginocchiarsi e pregare degli idoli, adorare dei pezzi di legno, di pietra, di metallo. E cos’è questo se non il triste e patetico spettacolo di un uomo disperato?


 NOTE

1 Pasquale Villani, L’Età Contemporanea, Il Mulino, 1993.

2 Georges Livet - Roland Mousnier, Storia d’Europa, Euroclub, vol. 5.3 Wilhelm Ropke, La Crisi Sociale del Nostro Tempo, Einaudi, 1946, p. 3.

4 Martyn Lloyd-Jones, The Heart of the Gospel, Crossway, 1991, p. 66.

5 Le ideologie che hanno dominato durante tutto il nostro secolo, benché differissero nell’organizzazione del sistema politico e sociale, avevano in comune la convinzione che l’uomo in modo sovrano determina il suo stesso destino e che la felicità umana sia il risultato dell’interazione fra l’uomo e la natura (Bob Goudzwaard, Capitalism & Progress, Eerdmans, 1979, p.115).

6 Questo desiderio di isolarsi è evidente anche nei bambini. In Italia, quasi un bambino su due trascorre tra la metà e l’intero suo tempo libero davanti alla televisione (Roberto Volpi, Figli d’Italia, La Nuova Italia, 1996, p. 147).

7 Francis A Schaeffer, The Complete Works, vol. V, Crossway, 1982, p. 211.

8 David, F. Wells, God in the Wasteland, Eerdmans, 1994, p. 48.

9 Stefano Pistolini, Gli Sprecati, Feltrinelli, 1995, p. 26, 229, 226, 232.

10 Villani, op. cit., p. 697-801.

11 Fra le più tragiche guerre civili degli ultimi cinquanta anni ricordiamo quelle in India, Cina, Sri Lanka, Vietnam, Laos, Cambogia, Yemen, Iran, Afghanistan, Algeria, Zaire, Sudan, Libano, Angola, Etiopia, Mozambico, Somalia, Liberia, Ciad, Nigeria, Congo, Haiti, Nicaragua, El Salvador, Argentina, Paraguay Ungheria, Grecia ed ex Jugoslavia.

12 Il Libro dei Fatti 1996, Adnkronos, p. 457-462.

13 John Garraty - Peter Gay, Storia del Mondo, Mondadori, vol. III, p. 1113.

14 Neil Postman, Technopoly: La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, 1993, p. 147.

15 Martin e Deibre Bobgan, The Psycological Way/The Spiritual Way, Bethany, 1979, p. 21.

16 Villani, op. cit., p. 688.