di M. Roberts
Il dono di Cristo è la liberta: in che modo, però
la libertà è compatibile con le “regole” della vita cristiana? L’abuso
della libertà. Che si intende per “libertà”? I dieci comandamenti come
salvaguardia della libertà. La Legge morale. L’ubbidienza per amore.
Il cristiano è guidato dallo Spirito Santo o dalla Legge? Legalismo?
Uno dei privilegi più preziosi
della vita del cristiano è la sua libertà spirituale. Non è più servo
del peccato. Non è più soggetto alla podestà di Satana. La sua coscienza
non è più schiava di tradizioni umane o di rituali. Questa libertà si
contrappone radicalmente allo spirito servile che può essere trovato in
altre religioni. Essa si pone in contrasto con le superstizioni che
sfigurano le usanze di gran parte della razza umana e che ostacola una
grata e gioiosa libertà di mente e di cuore.
La libertà del cristiano è la
conquista pagata per lui a caro prezzo dalla Croce di Cristo ed essa
deve essere protetta gelosamente. Nessuna altra libertà è così feconda
di benedizioni per la personalità umana come quella che Cristo
impartisce a tutti coloro che sono Suoi devoti discepoli e servitori.
Quando scopriamo la nostra
libertà in Cristo, però, diventiamo consapevoli come essa sia un
privilegio del quale pure si può facilmente abusare. Per usare le parole
dell’Apostolo, il problema è apprezzare si di “essere stati chiamati
a libertà”, senza però giammai osare “fare di essa un’occasione
per vivere secondo la carne” (Ga. 5:13). La libertà comporta dei
limiti, la libertà ha dei confini.
Il cristiano può godere di una
libertà da regole ben maggiore di quella che aveva il credente
nell’Antico Testamento. Essa è fonte per lui di grande gioia, ma
comporta anche notevoli responsabilità. Un figlio che raggiunge la
maggiore età può godere di una libertà maggiore di quella che aveva da
minorenne, ora, però, ci si aspetta pure da lui che egli sia più maturo
nel modo in cui esercita la sua libertà. Non c’è padre che permetta che
la libertà si trasformi in licenziosità, e Dio non ne è eccezione.
Persino la libertà possiede le sue regole, sagge e buone.
C’è qualcosa, però, al riguardo
della stessa parola “regola” che sembra essere per noi una minaccia e
gettare un’ombra sulla nostra gioia. Lo spirito cinico che è
profondamente radicato nell’animo umano ci porta ad osservare come la
nostra libertà in Cristo non sia dopo tutto così “libera” se deve essere
limitata da regole e leggi. “Che razza di libertà potrebbe mai essere
quella di un cristiano, se essa deve essere, limitata da regole?”. E’
una domanda che certamente sarà venuta più volte in mente ai cristiani
immaturi e ai denigratori della nostra fede.
La risposta a questa domanda è
porre attenzione a che cosa si intende per “libertà”. In un mondo dove
non c’è Dio (se un tale mondo esiste veramente) libertà significa vivere
assolutamente come meglio ci aggrada. Laddove, infatti, non esiste alcun
criterio assoluto di bontà e di verità, tutto è vero e nulla è falso.
Naturalmente questo è il sogno dell’ateo: avere un mondo privo di
regole, leggi e regolamenti, dove si può fare tutto ciò che si vuole
senza timore di giudizio o di una cattiva coscienza. Se riflettiamo però
meglio, dovrebbe apparirci chiaro come una tale “libertà” sarebbe più
terribile che la prigione a vita.
La “libertà” dell’uomo in un
mondo privo di regole o di leggi, sarebbe infatti la “libertà” della
giungla o delle profondità del mare, là dove il più forte sbrana il più
debole ed più grosso si nutre del più piccolo. Sarebbe un’esistenza da
incubo. Un mondo dove non vi fosse paura di castigo sarebbe un mondo
dove prevarrebbe solo la paura.
Il termine “libertà”, quindi,
non dovrebbe essere inteso implicare l’assenza di leggi, ma l’osservanza
della legge. La libertà inizia là dove la legge viene osservata, non
dove essa viene abolita. Sono libero di viaggiare e vivere in pace
laddove so che la legge protegge me e la mia famiglia, i miei vicini la
rispettano ed essa viene fatta rispettare contro qualsiasi possibile
trasgressore.
Lo stesso è per il cristiano nel
mondo. Egli comprende che la sua vita è circondata dalle leggi buone e
benigne di un Dio santo e potente. I Dieci Comandamenti non sono un
giogo di ferro da portare sul collo, ma vivere sulla terra in un
contesto di felicità e di serenità. Non potremmo vivere più felicemente
senza i Dieci Comandamenti di quanto potremmo vivere in sicurezza senza
la legge di gravità. Proprio come la gravità di ancora sicuramente alla
nostra dimora terrena, così LA LEGGE MORALE di Dio è stata
stabilita per impedirci di fare del male a noi stessi ed agli altri. La
Scrittura dice: “la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto
e buono” (Ro. 7:12).
La sola ragione per cui “le
regole” vengono percepite come un limite alla nostra libertà è perché
non ne comprendiamo la loro vera natura. Esse ci sono state date da Dio
non per restringere la nostra libertà, ma per definirla e
salvaguardarla. I primi tre comandamenti
ci danno libertà dalle false religioni. Il quarto ci dà un giorno libero
in cui rendere culto a Dio ed avere beneficio per la nostra anima ed il
nostro corpo. Il quinto comandamento ci libera dalla tirannia
autoritaria. Il sesto difende la nostra vita. Il settimo la nostra
castità. L’ottavo la nostra prosperità. Il nono la nostra reputazione.
Il decimo i nostri pensieri segreti.
I Dieci Comandamenti sono
bastioni per proteggerci dalla schiavitù e dalla miseria che il peccato
– in tutte le sue forme – riduce gli uomini ogni qual volta essi cercano
di vivere senza legge.
Il modo migliore per considerare
la Legge morale di Dio è quello di vederla come la formula celeste per
avere felicità sulla terra. Diciamo questo non nel senso che seguire la
Legge morale ci possa far conseguire salvezza eterna, ma che, una volta
salvati essendoci affidati alla Persona ed all’opera di Cristo, essa ci
mostra il tipo di vita dove può essere trovato ogni bene. “Grande
pace hanno quelli che amano la tua legge e non c'è nulla che possa farli
cadere” (Sl. 119:165).
La “grande pace” che ottengono i
credenti che amano la legge di Dio fluisce verso di loro come una
ricompensa interiore del loro gusto nel fare la Sua volontà. Questa
“grande pace” è proprio quella che dà al credente il suo senso di
libertà. La libertà è quella di un’anima colma di benedizioni ed un
godimento sentito dell’amore di Dio.
Vi sono parole di Cristo che
rendono molto chiaramente questo punto: “Chi ha i miei comandamenti e
li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io
lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv. 14:21). Se come cristiani
abbiamo mai sentito i comandamenti di Dio come una limitazione della
nostra libertà, certamente non lo possiamo fare quando comprendiamo
queste parole del Cristo!
La promessa citata prima del
Cristo ai cristiani è troppo preziosa e non dovremmo leggerla
frettolosamente. Il Signore ci vuole dire questo: “Se vuoi godere il
senso del mio amore nella tua vita, tu, come cristiano, devi mostrare il
tuo amore verso di me, il tuo Salvatore, osservando diligentemente le
mie Leggi morali”. E’ chiaro che i Dieci Comandamenti così assumono un
ruolo vitale nella vita del cristiano. Essi sono la via lungo la quale
dobbiamo camminare, l’aria che dobbiamo respirare, l’elemento in cui
dobbiamo vivere. Per dirla con una sola parola, dovremmo dire che la
Legge morale è la regola vita del credente. Il Salmo 19:11 dice infatti:
“Anche il tuo servo è da essa ammaestrato; v'è gran ricompensa a
osservarla” (Sl. 19:11).
Lo Spirito Santo dato ad ogni
credente è l’autore di ogni nostra benedizione e Colui che nutre la
nostra vita spirituale, ma Egli non è la regola della nostra vita. Se
diciamo che è lo Spirito Santo ad essere regola della nostra condotta,
diventiamo solo preda di ogni umore passeggero e di ogni capriccio
fugace. E’ la popolare, ma ingannevole regola del “vai dove ti porta il
cuore”. “Ho sentito l’impulso a fare questo? E’ la sollecitazione dello
Spirito. Devo ubbidire”. “Non ho sentito forse di essere spinto ad
andare qui o là? E’ Dio che mi sta conducendo in questo senso, e quindi
devo ubbidire”. “Ho sentito nel mio cuore un caldo pulsare. Sono stato
guidato in quel modo”.
In questi e in simili modi i
cristiani ragionano quando fanno dello Spirito la regola della loro
vita. Non necessariamente che lo Spirito Santo non li guidi veramente a
prendere delle decisioni, ma i credenti tendono a pensare così quando
guardano solo ai loro sentimenti interiori come regola della loro vita.
Il modo che lo Spirito Santo usa
per guidarci non è soggettivamente secondo i nostri sentimenti, ma
oggettivamente attraverso la Bibbia. Lo Spirito Santo rivolge sempre il
nostro sguardo a Cristo, alla Parola. Qualunque possano essere le
esperienze eccezionali di un cristiano, esse non devono essere rese la
norma.
Non è legalismo cercare di
osservare la Legge morale di Dio coscienziosamente, se noi l’osserviamo
nella prospettiva di Cristo e per amor Suo. “Se uno mi ama, osserverà
la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo
presso di lui” (Gv. 14:23); “Se voi mi amate, osserverete i miei
comandamenti” (Gv. 14:15). L’abuso di qualcosa non pregiudica che
possa essere usata in modo corretto. Il fatto che vi siano Farisei che
osservano la Legge morale in modo legalistico, non è ragione sufficiente
per cui i cristiani non dovrebbero osservare la stessa in uno spirito
giusto.
La nostre ragioni per osservare
la Legge di Dio come regola della nostra vita sono molte. In primo luogo
siano chiamati a farlo da Cristo al fine di manifestare quanto sia
genuino il nostro amore per Lui. In secondo luogo, la Legge è modello
d’amore verso il nostro prossimo: “L'amore non fa nessun male al
prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge” (Ro. 13:10).
In terzo luogo la Legge morale è il criterio della santità del
cristiano: “Da questo sappiamo che l'abbiamo conosciuto: se
osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Io l'ho conosciuto», e non
osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi
osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente completo. Da
questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di rimanere in lui, deve
camminare com'egli camminò” (1 Gv. 2:3-6).
L’ubbidienza è più che cortesia.
Dobbiamo a Dio dedizione e sottomissione di tutto cuore. La Sua Legge ci
obbliga a conformarci alla Sua volontà nel modo più perfetto possibile.
In pratica questo significa che noi dovremmo guardare ai Dieci
Comandamenti come al più grande criterio di perfezione rispetto al quale
noi dobbiamo sforzarci di conformarci. La nostra beatitudine nel tempo e
nell’eternità è legata al nostro atteggiamento verso la Legge morale.
“corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di
Dio in Cristo Gesù” (Fl. 3:14). Quando noi scopriamo nel nostro
cuore indolente riluttanza ad ubbidire alla Legge morale, dovremmo
gridare a Dio in preghiera per poter avere la grazia di amarla e di
osservarla maggiormente. Anche l’apostolo Paolo, al culmine delle sue
capacità, scrisse: “Infatti io mi compiaccio della legge di Dio,
secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che
combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della
legge del peccato che è nelle mie membra” (Ro. 7:22,23).
Il cristiano considera i Dieci
Comandamenti come la regola perfetta che Dio ha dato alla sua vita (Sl.
19:7). Fintanto che saremo nel corpo certo non saremo mai all’altezza di
ubbidirvi del tutto, ma se non ci scoraggiamo o rinunciamo a farlo,
continueremo a fare meglio di quanto abbiamo fatto in passato.
L’ubbidienza a Dio non significa
mirare ad un obiettivo arbitrario di nostra fattura, ma significa
cercare di fare ciò che Egli ci ha comandato di fare. Ci vuole una vita
di impegno per far si che i comandamenti scritti sul nostro cuore
rinnovato si traducano in esempi di carne e sangue di quella matura
ubbidienza che richiede la Legge morale.
Per assisterci in questo grande
compito, Dio ci ha dato il Suo Santo Spirito, con il quale dobbiamo
cooperare con tutto noi stessi.
(Maurice Roberts, in The
Banner of Truth, Marzo 2002, numero 462, p. 1.
Traduzione di Paolo Castellina).
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