Il denaro, l'etica e la Riforma protestante

Gabriel Mützenberg*

L'etica protestante è madre dello spirito capitalista? E Calvino è il teorico del capitalismo moderno? Occorre rivedere le letture superficiali date del pensiero del riformatore di Ginevra e scoprirne lo spirito autentico.


Se il capitale è “la somma dei beni posseduti” e se si considera il denaro come “un bene di produzione” - non il denaro seppellito sottoterra della parabola del cattivo servitore, dunque, e non quello nascosto sotto il materasso o nel cassetto, ma quello che viene fatto fruttare, che è usato per creare cose utili, necessarie, che rispondono ai bisogni fondamentali dell'essere umano, posto al servizio dell'esistenza quotidiana, che crea lavoro e contribuisce alla creazione di un ambiente armonioso - il capitalismo è da considerare, nel quadro dell'organizzazione della società, come il sistema più adatto a favorire la realizzazione dell'individuo e il benessere dell'umanità. Come mai, allora, all'alba dell'anno 2000, il termine “capitalismo” suscita reazioni tanto negative ed è divenuto sospetto al punto che ci si guarda dal pronunciarlo - a meno di usarlo come ingiuria - e lo si sostituisce con termini quali “economia di mercato” o “libera concorrenza” (che non dovrebbero urtare la sensibilità del pubblico)? Dobbiamo forse individuare il male anche là dove finora sembrava risiedere il bene? La questione riveste una certa importanza. Tanto più che spesso l'etica della Riforma è stata messa in relazione con lo spirito del capitalismo, giungendo a concludere che (semplificando i termini della questione) la prima avrebbe generato il secondo. Ma le cose non stanno affatto così.

L'accusato principale nel processo, sempre di nuovo ripreso, aperto contro l'etica protestante, è Giovanni Calvino. Il Riformatore di Ginevra non è forse spesso indicato come il padre del capitalismo, e come una sorta di promotore del sacro risparmio? Tali giudizi assoluti, privi di qualsiasi fondamento per chi non ha solo una conoscenza superficiale di Calvino, sono parte integrante di una falsa immagine - che viene sempre di nuovo riproposta - di Calvino. Stando a questi autori, male informati o malevoli, che spesso non hanno mai letto neppure una riga di Calvino, egli sarebbe un uomo non solo sobrio, ma anche triste, austero, glaciale, disumano, avido di influenza e di potere. Di questa immagine si è impossessato l'ampio pubblico. Alcuni scrittori, che pretendono di scrivere di storia, sono giunti a farne un dittatore: Stefan Zweig accostandolo a Hitler, Georges Haldas a Stalin. Roba da non credere.

Calvino non corrisponde minimamente a queste descrizioni. Egli è un umanista convertito all'evangelo. “Dio” - afferma - “mi ha domato e ha reso docile il mio cuore”. A Ginevra, Calvino organizza una chiesa di credenti che cantano la gioia della propria salvezza e testimoniano la loro fede obbedendo alla volontà di Dio. Perché, come dice ancora Calvino, “la Parola di Dio non ci è data affinché diveniamo eloquenti e sottili, ma per riformare la nostra vita”.

I Riformatori iscrivono, nel loro programma di riforma sociale, la difesa della famiglia, il rispetto della donna e del bambino, una politica di alfabetizzazione di massa (Ginevra è il primo Stato a sancire il diritto all'educazione), la visione di uno Stato più giusto e attento ai deboli. Da questo punto di vista, è giustificato il divieto del prestito a interesse sancito dalla chiesa medievale? A Firenze, Augusta o Bruges, la prassi non è sempre conforme alla teoria. E neppure a Ginevra. Le leggi cittadine del 1387 affermano che i creditori non devono essere infastiditi, i loro beni non possono essere sequestrati, non è lecito fare l'inventario di ciò che possiedono… Lutero, come la maggior parte dei Riformatori, non condivide questo atteggiamento tollerante. Egli attacca i banchieri, denuncia gli speculatori e critica le grandi compagnie, che impongono i propri prezzi…

Che cosa fa Calvino in una città che, sebbene in fase declinante, non ha perso l'abitudine alle pratiche finanziarie? Egli ritiene che il comportamento dell'essere umano nei confronti del denaro sia espressione della fede che lo anima. Se uno è ricco, è “ministro del povero” e deve assisterlo. Se non lo fa, froda Dio. Se uno si trova tra i diseredati, la sua indigenza costituisce un appello rivolto ai suoi fratelli più ricchi affinché pratichino, nei suoi confronti, la condivisione prevista dall'evangelo. La ricchezza, che è proprietà di Dio, non è legittima se non è messa al servizio degli altri. Questa linea, basata sul rispetto e sull'amore, non impedisce a Calvino di ritenere che il denaro, come ogni altra merce, sia produttivo. È giusto farlo fruttare ed è corretto chiedere un interesse a colui al quale il creditore, privandosene per un certo lasso di tempo, lo ha prestato. Tuttavia l'interesse non va richiesto al povero e ci si deve accontentare di un tasso moderato. Inoltre non si deve fare del credito una professione: esso deve essere occasionale.

Calvino non si schiera dunque né a favore delle banche né dell'alta finanza. A Ginevra non c'è, nella seconda metà del XVI secolo, nessun vero e proprio istituto bancario. Il calvinismo, non per meritarsi la grazia celeste - la salvezza è gratuita - ma per aiutare il povero, promuove nel contempo l'aiuto ai poveri e il risparmio. Meglio di ogni altra dottrina, assicura l'assistenza agli indigenti (istituendo, a Ginevra, l'ospedale generale, sorta di previdenza sociale ante litteram) e promuove, nello stesso tempo, gli investimenti produttivi. Ma la vita economica, che pure è stimolata, è anche chiaramente regolamentata. È esclusa, nella città di Calvino, la possibilità di applicare tassi eccessivamente alti. Il consiglio li fissa tra il 5% e il 6 2/3%. Allorquando, nel 1580, è avanzata la proposta di portarli al 10% - per l'epoca non si trattava di un tasso molto elevato - i pastori si oppongono, ben sapendo che i tassi d'interesse influiscono sul costo della vita. Non è dunque opportuno rinvigorire ulteriormente l'inflazione, a detrimento delle classi meno abbienti, che già tormenta l'economia europea dell'intero XVI secolo.

Fintanto che la chiesa rimane fedele alla propria missione, il capitalismo ginevrino è caratterizzato da una moderazione che imprime, alla sua dinamica, effetti benefici per l'insieme della comunità. Anche i paesi influenzati dal calvinismo ne faranno, in modi diversi, l'esperienza. Essi saranno all'avanguardia del progresso, economico e sociale. Non solo i ministri della Parola di Dio ricordano all'autorità il suo dovere di controllo, ma ognuno, istruito da quella stessa Parola, si sente chiamato, da una imperiosa voce interiore, all'obbedienza volontaria e gioiosa a questa legge d'amore (trad. it. P. Tognina).


*Gabriel Mützenberg, storico, presidente della Società evangelica di Ginevra, autore di numerose pubblicazioni su Calvino e su aspetti della storia della Riforma e del protestantesimo, Ginevra.

 

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