Paolo De Petris,
pastore a Locarno Monti (Da "Voce evangelica", 2000)
Nella sua Teologia del nuovo Testamento, il
teologo evangelico Rudolf Bultmann, dopo avere ricordato che l'essere
umano esiste soltanto in quanto essere somatico e che il corpo non è una
realtà incollata da fuori sull'io autentico dell'uomo, bensì appartiene
essenzialmente a questo io, così sintetizza la concezione antropologica
dell'apostolo Paolo: “l'uomo non ha un corpo, ma è un corpo” (p.
188, Queriniana, 1976).
Non si può che concordare con questa coraggiosa
affermazione che sopraggiunge dopo secoli di fraintendimenti e penose e
sofferte polemiche. In realtà, come viene oggi ampiamente riconosciuto,
l'avversione per il corpo, che per influsso del tardo ellenismo si
introdusse nel pensiero cristiano, è in rotta di collisione con
l'antropologia biblica. Quest'ultima, infatti, è ben lungi dall'essere
dualistica o, se lo è, non lo è sicuramente dal punto di vista
ontologico, ma da quello storico-soteriologico in quanto è dominata
dalla contrapposizione non già tra materia e spirito, ma tra la realtà
umana, provvisoria e contrassegnata dal peccato e la realtà eterna
divina.
Conformemente alla impostazione rigorosamente
monistica che sottintende tutto il pensiero biblico il termine greco
soma, che in italiano traduciamo con la parola corpo, indica
il più delle volte la persona umana nella sua globalità (cfr. Rom 6,12 e
12,1) o più semplicemente il suo Io reale (così in I Corinzi 13,3; 9,27
e in Fil 1,20). È proprio su queste basi che l'apostolo Paolo rifiuta di
prendere in considerazione l'ipotesi di una esistenza dopo la morte
senza un corpo, come i suoi oppositori a Corinto avevano sostenuto (cfr.
I Corinzi 15). Se l'uomo, infatti, fosse privato di quella entità
essenziale e insostituibile che è appunto data dal corpo, avrebbe con
ciò stesso perso il suo principio di identità. Pertanto anche dopo la
morte l'uomo è destinato ad avere un corpo, anche se non si tratterà più
di un corpo carnale, bensì di un corpo spirituale (cfr. I Corinzi 15).
Se si vuole rendere il pensiero paolinico in termini
forse più comprensibili all'uomo moderno, si può dire che il corpo
spirituale che l'apostolo ipotizza altro non è che un nuovo essere, che
pur mantenendo la continuità con la precedente identità, non è più
soggetto a subire le leggi inesorabili del divenire e sarà quindi
strutturalmente adatto all'era nuova nella quale Dio sarà tutto in tutti
(I Corinzi 15). La speranza cristiana quindi non è diretta, come per
tanti secoli si è apoditticamente sostenuto, alla liberazione dell'anima
dalla prigione del corpo, ma alla resurrezione e alla trasfigurazione di
tutto l'essere umano che sfuggirà pertanto alle limitazioni del peccato
e della morte.
Accanto ai testi sopra riportati, ve ne sono tuttavia
degli altri nei quali il termine soma sta a contrassegnare la realtà più
circoscritta del corpo materiale: Rom 4,19; Gal 6,17 e I Corinzi 7,4. Ma
è soprattutto nella pericope di I Corinzi 6,9-20, in cui l'apostolo
Paolo affronta una serie di questioni relative all'etica sessuale, che
egli arriva a quello che può essere considerato il culmine della
valorizzazione del corpo che egli concepisce non come un qualche cosa di
neutro e di indifferente, ma addirittura come il tempio dello Spirito
Santo. Vale la pena di riportare questo passo nella sua interezza: “Non
sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non
v'illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né
sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né
rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi;
ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati
nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio.
Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile. Ogni cosa mi è lecita,
ma io non mi lascerò dominare da nulla. Le vivande sono per il ventre, e
il ventre è per le vivande; ma Dio distruggerà queste e quello. Il corpo
però non è per la fornicazione, ma è per il Signore, e il Signore è per
il corpo; Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche
noi mediante la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra
di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo per farne membra di una
prostituta? No di certo! Non sapete che chi si unisce alla prostituta è
un corpo solo con lei? 'Poiché', Dio dice, 'i due diventeranno una sola
carne'. Ma chi si unisce al Signore è uno spirito solo con lui. Fuggite
la fornicazione. Ogni altro peccato che l'uomo commetta, è fuori del
corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. Non sapete che
il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete
ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati
comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo”.
Leggendo questo testo vi sarebbe da domandarsi se il
rigore invocato da Paolo nella sfera sessuale, non dovrebbe essere
altrettanto legittimamente invocato in tutte quelle altre ipotesi in cui
al posto di trattare il nostro corpo con rispetto, lo si considera alla
stregua di una pattumiera rovesciando in esso disordinatamente e senza
discernimento alcuno ogni sorta di cibi e veleni. Forse il superamento
dell'edonismo imperante che sopraggiunge come reazione a secoli di duro
ascetismo passa attraverso una riscoperta del nostro corpo concepito non
più come un oggetto fine a se stesso da idolatrare narcisisticamente e
neppure come una realtà della quale vergognarsi, ma come uno strumento
prezioso e insostituibile che ci viene dato e che dobbiamo usare per
glorificare Dio.