Luca 23:50-56
"...aspettava
anch'egli il regno di Dio" (v. 51b). Aspettare: ecco un verbo impopolare nella
nostra società occidentale del 20. secolo. Questo lo si può ben comprendere se
attesa è sinonimo di passività e di perdita di tempo. Giuseppe d'Arimatea ci
(di)mostra molto bene che si può attendere non passivamente, ma facendo il
passo della fede. Il
passo della fede Uscire dall'anonimato. Il testo parallelo nell'Evangelo secondo Giovanni
(19:38) ci informa che Giuseppe d'Arimatea era "un discepolo di Gesù, ma
in segreto". Mentre Gesù era vivo, non aveva osato manifestare la sua
fede. Allo stesso modo Nicodemo, di notte, aveva dissimulato il suo approccio a
Gesù (v. 39). Ora che il Rabbi è morto, tutt'e due vengono alla luce del sole
per provvedere alla sepoltura di Gesù. L'evangelo sembra essersi introdotto,
misteriosamente, nel loro cuore in un momento del tutto sorprendente. Fedeltà. Le donne, che erano venute dalla Galilea con Gesù,
hanno proseguito il loro servizio al Maestro fino alla fine, fino alla tomba!
La loro fedeltà non si è fermata davanti alla morte di Gesù ed il loro amore
per la Legge divina, non si è sbiadito nella prova (v. 56). La parola greca
"pissi" si traduce in italiano con "fede",
"fiducia", o "fedeltà", secondo il contesto nel quale si
trova. Che ricchezza nel linguaggio del Nuovo Testamento! Preghiera. Signore, che la mia fede possa sempre essere il
riflesso della mia costante fiducia e fedeltà. |