Le altre religioni sono ugualmente vie che conducono alla salvezza?

Che dire delle altre religioni al riguardo della salvezza e della vita eterna? Molti dipendono dalla loro cultura, che spesso non è affatto cristiana (Islam, buddisti, ecc.). Come giudica Dio, cioè, coloro che sono sinceramente persuasi che la loro fede sia giusta, e che vivono di tutto cuore in modo buono ed onesto? Magari non hanno mai avuto la possibilità di apprendere della fede cristiana o di approfondirla.

La questione che si propone, in realtà, è “Una persona di una qualsiasi religione, se vive una vita religiosa e morale, potrebbe essere salvata?”.

L'uso pretestuoso di Atti 10:34,35. Sempre di più, anche in circoli evangelicali, a questa domanda si dà una risposta positiva, citando, in suo favore, le parole di Pietro in Atti 10:34,35 che dicono: “In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali; ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito”.

Superficialmente, questo testo sembrerebbe aprire e chiudere il caso, togliendo a molti, persino la possibilità di replica.

Non dovremmo, però, permettere che un unico isolato versetto stabilisse la dottrina, soprattutto quando essa sovvertirebbe duemila anni di storia delle missioni e, quel che più conta, il messaggio complessivo delle Scritture!

Uno degli importanti benefici dati dalla Riforma del XVI secolo, è il suo approccio all'ermeneutica (l'interpretazione delle Scritture), che intende esaminare le Scritture con accuratezza per ricuperarne il significato originale, spesso stravolto ed equivocato da secoli di scorretta lettura pretestuosa. Ci si trova spesso, infatti, di fronte ad interpretazioni del testo biblico, in cui, più che di esegesi, si dovrebbe parlare di “isogesi”, cioè di quella lettura che, di fatto, torce la Scrittura per farle dire ciò che corrisponde piuttosto alle proprie idee, dottrine preconcette o convenienza. E' così che sono sorte molte eresie. Un altro modo in cui spesso si torcono le Scritture, altrettanto grave, è quello di estrarre un versetto dal proprio contesto, e poi interpretarlo in modo disarmonico con il resto delle Scritture. I Riformatori asserivamo che un testo biblico controverso deve sempre essere interpretato alla luce di altri testi biblici che trattano dello stesso argomento, in maniera ovviamente più chiara.

Usare Atti 10:34,35 per sostenere che si possa essere salvati anche in altre religioni, senza avere conoscenza alcuna che Dio ha provveduto in Cristo un Salvatore, è possibile solo quando non si comprende o volutamente si ignora, che anche quei due versetti devono essere considerati alla luce di ciò che le Scritture nel loro insieme insegnano sull'argomento.

Le parole di Atti 10:34,35 devono essere considerate nel contesto dell'intero episodio che riguarda il pagano Cornelio, in cui esse sono inserite, ed alla luce dell'intero tenore delle Scritture. La grande questione in gioco nei capitolo 10 ed 11 di Atti non è “Che cosa debbo fare per essere salvato”, ma piuttosto: “Sono solo i Giudei che saranno salvati?”. E' per questo che Pietro dice: “In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali”.Qui egli manifesta il processo di apprendimento a cui è stato sottoposto in seguito alla visione da lui avuta e riportata in Atti 10:9-17. Egli si rende conto che la salvezza non solo è disponibile ai Giudei, ma ora anche a tutte le nazioni del mondo, cosa che non era possibile prima che Cristo compisse la Sua opera sulla terra.

Quando, così, Pietro dice: “...ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito”, è necessario rammentarci del fatto che, per essere accettati da Dio, è necessario credere nel Salvatorein modo prospettivo secondo la promessa di un Salvatore, se uno viveva nell'era dell'Antico Testamento (Eb. 11:13)1, o in modo retrospettivo secondo l'Evangelo, se uno vive nell'era del Nuovo Testamento (Gv. 3:18,19)2. Sebbene Cornelio, infatti, fosse descritto come: “Pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia, faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio assiduamente” (At. 10:2), egli aveva pur sempre bisogno di Cristo per essere salvato!

Nonostante questa sua devozione a Dio ed alle buone opere, Cornelio non sarebbe stato salvato prima d'aver udito l'Evangelo di Cristo. Più tardi Pietro racconta alla comunità cristiana di Gerusalemme, ciò che era avvenuto a Cesarea, dicendo come Cornelio gli avesse fatto conoscere che un angelo gli era apparso in casa sua, il quale gli aveva detto: "Manda qualcuno a Ioppe, e fa' venire Simone, detto anche Pietro. Egli ti parlerà di cose, per le quali sarai salvato tu e tutta la tua famiglia" (At. 11:13,14). In altre parole, nonostante la sua devozione religiosa e buone opere, “il buon” pagano Cornelio non era salvato prima che Pietro gli annunciasse l'Evangelo di Gesù Cristo. Usare, così, Atti 10:35 “In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali; ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito”come prova che persino gli increduli possano essere salvati, è sia un caso molto grave di isogesi, “una frivolezza esegetica molto grande” (de Wette), come pure mancare di comprendere quel versetto alla luce del suo contesto immediato e dell'insegnamento complessivo delle Sacre Scritture.

L'insegnamento complessivo delle Scritture. Che cosa dicono le Scritture, nel loro complesso, sulla salvezza e sulla vita eterna in rapporto ai pagani? La Scrittura, nel suo insieme, insegna che: “mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato” (Ro.3:20; cfr. Ga. 2:16), e che Dio è Colui che “giustifica colui che ha fede in Gesù” (Ro. 3:26) e nessun altro. Al riguardo della capacità, sia dei Giudei che dei pagani che non credono in Cristo, di praticare la vera religione, la Scrittura nel Suo insieme, insegna in modo molto radicale che: “Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” (Ro. 3:10,12).

La Scrittura, nel suo insieme, insegna che, sia Giudei sia pagani, “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Ro. 3:23), ma che la salvezza si ottiene “mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono” (Ro. 3:22). La Scrittura, nel suo insieme, insegna che, per poter ottenere vita eterna, non solo si deve conoscere: “L'unico e vero Dio”, ma pure “Gesù Cristo”, che Dio Padre ha mandato nel mondo (Gv. 17:3). La Scrittura, nel suo insieme, mostra che “chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato” (Ro. 10:13); questo si trova nello stesso contesto in cui la Scrittura dice: “Chiunque crede in lui (Gesù Cristo), non sarà deluso” (Ro. 10:11), rivelando il corollario che coloro che non credono in Lui, saranno indubbiamente delusi. La Scrittura, nel suo insieme, insegna che: “...se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Ro. 10:9). Se poi si chiede: “E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?” (Ro. 10:14), la Scrittura, nel suo insieme, risponde: “Quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano buone notizie!” (Ro. 10:15).

La Scrittura nel suo insieme insegna che, per essere salvati, per tutti, è necessario conoscere il Salvatore provveduto da Dio. La posizione degli increduli è questa: “...senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo” (Ef. 2:12). Prima che credessero in Cristo, i cristiani di Efeso potevano solo essere descritti come “lontani” da Dio (Ef. 2:17), i quali solo avrebbero potuto “accedere” al Padre attraverso la fede nel Messia mandato da Lui (Ef. 2:18). Gesù stesso insegnava d'essere venuto “per cercare e salvare quelli che sono perduti”, un chiaro riferimento, questo, alla condizione precedente alla fede in Lui (Lu. 19:10). La Scrittura nel suo insieme insegna che, affinché qualcuno “abbia il Figlio” (e quindi “la vita”, vedi 1 Gv. 5:12), è necessario credere “alla testimonianza che Dio ha resa al proprio Figlio” (1 Gv. 5:10). E' credendo a questa testimonianza (e in nient'altro) che ha caratterizzato i credenti sia dell'Antico che del Nuovo Testamento. Le Scritture, nel loro insieme, insegnano che “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui” (Ro. 8:9; cfr. Giuda 17-19). La Scrittura, nel suo insieme insegna che: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (At. 4:12). La Scrittura, nel suo insieme insegna che la vita eterna: “...che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv. 17:3).

Quest'ultimo testo è particolarmente significativo – specialmente nell'uso che fa della congiunzione “e”, perché rivela come non sia sufficiente conoscere (o pretendere di conoscere) solo Dio. I mistici e le religioni hanno affermato questo per millenni, ma erroneamente. Per poter essere salvati (vale a dire, per poter avere vita eterna) bisogna pure riconoscere Gesù Cristo come il Figlio di Dio fattosi carne, mandato da Dio Padre come l'unica via che conduce al rinnovamento spirituale. Questa pretesa del cristianesimo è unica nel suo genere ed è del tutto assente dalla dottrina e dalla pratica delle religioni del mondo.

Come sono sorte le religioni del mondo? Le religioni del mondo sono false religioni che sono sorte attraverso uno o due processi.

In primo luogo, in ogni essere umano, nel cuore stesso del suo essere, si trova un innato impulso religioso – quello che Giovanni Calvino chiamava “il seme della religione”, che pure B. Warfield chiamava “notitia Dei insita” (una naturale conoscenza di Dio) che, nei non credenti, si esprime in modo distorto a causa della soppressione della verità che avviene nella loro natura decaduta (cfr. Ro. 1:18-23). Da questo sorge l'idolatria ed altre forme di religione falsata

Un secondo processo, attraverso il quale sono sorte la maggior parte delle religioni del mondo, è attraverso l'intervento diretto e la manipolazione di demoni (cfr. De. 32:17; 2 Cr. 11:15; Sl. 106:37; 1 Co. 10:20). E' vero che vi sono certi aspetti della verità e di decenza morale che sono stati incorporati in molte delle religioni del mondo; è pure possibile che il Signore usi quegli aspetti delle varie religioni come via per portare a Sé le Sue pecore. Questo, però, non giustifica in alcun modo quelle religioni, dimostra solo la sovranità di Dio.

La conoscenza di Cristo è essenziale. E' pure vero che non è necessario conoscere in ogni dettaglio tutto ciò che riguarda Cristo per essere salvati, ma è necessario conoscere abbastanza di quei dettagli, per essere salvati. Come abbiamo già mostrato, non basta essere come era Cornelio prima che Pietro gli annunciasse l'Evangelo. Cornelio era: “Pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia, faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio assiduamente”, ma, come tale, non si trovava in condizione di salvezza, e non aveva Gesù che dimorava nel suo cuore finché non gli fosse predicato l'Evangelo su Cristo Salvatore e non gli fosse stato accordato da parte di Dio il ravvedimento “affinché avesse vita” (At. 11:18) ed avesse dato evidenza a quegli scettici Giudei, che lui, pagano, avesse ricevuto lo Spirito Santo (At. 10:44,45).

La cosa più stupefacente è che laddove molti abbiano cercato do usare At. 10:34,35 come prova che i pagani possano essere salvati nell'ambito della loro religione, di fatto questo brano prova l'esatto contrario! Esso mostra perfettamente che la devozione religiosa e le buone opere non sono sufficienti per essere salvati, altrimenti Cornelio non avrebbe avuto bisogno che gli si parlasse di Cristo; esso prova chiaramente come sia assolutamente necessario conoscere l'Evangelo di Cristo – o in modo prospettico (come ai tempi dell'Antico Testamento), o in modo retrospettivo (come nell'era attuale) per poter avere salvezza, redenzione e vita eterna!

Nessuno potrà essere salvato se è privo d'almeno una minima comprensione del contenuto dell'Evangelo. Questo è stato sempre così. Nessuno potrà essere salvato se non ha almeno una minima comprensione che Dio ci ha fornito d'un Salvatore. Questo ci era stato promesso persino ai tempi di Genesi 3:15 in ciò che conosciamo come il “Protoevangelo”, dimostrato come “tipo” attraverso lo spargimento del sangue di fronte ai nostri progenitori (Ge. 3:21). Se un pagano è molto devoto e, rendendosi conto della propria indegnità, cerca veramente, di tutto cuore, il vero Dio, allora Dio troverà la maniera che egli oda qualcosa di Cristo. Molto probabilmente, Cornelio era un pagano così, e, di conseguenza, Iddio gli fa comunicare l'Evangelo perché possa essere salvato. Allo stesso modo, il devoto etiope sul carro che stava riflettendo nelle Scritture sul sacrificio espiatorio in Isaia 53, non fu salvato fintanto che Filippo: “gli comunicò il lieto messaggio di Gesù” (At. 8:35), e non fu battezzato fintanto che non credette “che Gesù Cristo è il Figlio di Dio” (At. 8:37).

Se non fosse così, perché mai Iddio aveva fatto in modo che essi udissero l'Evangelo? La risposta è che solo Cristo è la via che porta alla vita ed alla salvezza. Dio non fa distinzione fra le persone: chiunque, uomo, donna o bambino, di qualunque nazione o tribù del mondo, può invocare l'unico e vero Dio, la cui gloria è rivelata nell'intera struttura dell'universo, e l'Evangelo della salvezza in Cristo gli sarà sicuramente rivelata3.

E' quelli che vivevano ai tempi dell'Antico Testamento? Dopo aver detto, allora, tutto quanto precede, sorge la questione centrale: “Se uno deve conoscere Cristo per poter essere salvati, su quale base erano salvati coloro che vivevano nell'era dell'Antico Testamento, che era prima della venuta di Cristo?”. Il popolare sillogismo che viene proposto: “Se per essere salvati bisogna conoscere Cristo, su quale base erano state salvate le creature umane potevano essere salvati coloro che precedevano la venuta di Cristo? Questo popolare sillogismo logico, proposto oggi in siti funziona così: “Atti 4:12 dice che non c'è alcun altro nome oltre a Gesù per il quale potremmo essere salvati se non quello di Gesù. I credenti dell'Antico Testamento erano salvati, ma non sapevano di Gesù ed ovviamente non erano cristiani. Quindi deve essere possibile per un non cristiano, essere salvato”.

Questo, però, è un argomento specioso, e colmo di falsa logica.

In primo luogo, per credenti dell'Antico Testamento, non era necessario che conoscessero letteralmente il nome Gesù (dal greco Jesous, derivante dall'ebraico Giosuè). Quando la Bibbia afferma: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati”, non significa che essi dovessero conoscere letteralmente il nome “Gesù” per essere salvati, né Pietro intendeva questo. E' ovvio che i credenti dell'Antico Testamento non sapevano che il futuro Salvatore avrebbe portato per nome “Gesù”, perché esso era stato rivelato dall'angelo poco prima della nascita del Signore Gesù circa 2000 anni fa (Mt. 1:21; cfr. Lu. 2:21).

Quando Pietro disse: “... non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati, egli si riferiva non tanto al nome “Gesù”, ma al Suo potere ed autorità in quanto Messia, il Cristo. La risposta di Pietro fa riferimento alla questione posta originalmente dalle autorità religiose ebraiche in Atti 4:7, quando dissero: “Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?” in riferimento alla guarigione da loro operata sul paralitico alle porte di Gerusalemme (At. 3:1-10). Rammentate che Pietro aveva detto a quell'uomo: “Dell'argento e dell'oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At. 3:6). Non era la parola “Gesù” ad avere un potere magico di guarigione, né la cosa era avvenuta per la loro “propria potenza o pietà” (At. 3:12). Era per l'autorità riposta nel Cristo, il quale è l'unico che possa perdonare i peccati ed imputare giustizia. Credere nel nome di Cristo significa credere che “Yahweh salva” (il significato essenziale del nome Gesù in ebraico), cioè che Dio, in esclusiva, fornisce un Salvatore, l'unico Salvatore attraverso il quale possiamo essere salvati. Il nome di Cristo, come questo Salvatore, era stato rivelato nell'Antico Testamento: “In quei giorni e in quel tempo, io farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia, ed esso eserciterà il diritto e la giustizia nel paese” (Gr. 33:15).

La giustizia che salva è quella di Gesù Cristo. Il principio della salvezza è che non si può conseguire giustizia tramite i propri atti religiosi e morali, ma solo ricevendo la giustizia imputata di Cristo, il che è rivelato chiaramente nell'Evangelo (Ro. 1:17,18; cfr. Ro. 3:21). Nell'era dell'Antico Testamento la gente era salvata esattamente sulla stessa base che nell'era del Nuovo Testamento – l'opera espiatrice di Cristo sulla croce. Nessuno è stato mai salvato su altra base. Rendersi conto d'essere personalmente privi di giustizia, come pure del proprio bisogno di un Salvatore, è! Il punto di partenza della salvezza in qualunque tempo della storia. La percezione del Cristo nell'Antico Testamento, però, era ovviamente diversa dalla nostra percezione del Cristo nell'attuale era evangelica. Nell'A.T. Si doveva avere fede nella promessa del Salvatore che sarebbe venuto (cfr. Eb. 11:13); nell'era del N. T. Si ha fede nel Salvatore che si è pienamente rivelato (Eb. 1:1,2). Qualunque sia, però, l'era in cui si vive, è il Salvatore che fornito in modo esclusivo dall'unico Dio vivente e vero, ad essere la chiave della salvezza. Abrahamo, dapprima, era un pagano idolatra, ma egli giunse a credere nel Salvatore che doveva venire, il Messia. Come dice Gesù stesso: “Abraamo, vostro padre, ha gioito nell'attesa di vedere il mio giorno; e l'ha visto, e se n'è rallegrato” (Gv. 8:56). Anche ad Abramo era stato predicato l'Evangelo (Ga. 3:8). Sapeva di Cristo. Non pienamente come lo sappiamo noi oggi, ma ne sapeva abbastanza per poter essere salvato, proprio come tutti avrebbero fatto per essere salvati e per ricevere vita eterna.

La conoscenza di Cristo nell'Antico Testamento. Si può anche chiedere: “Forse che Noè, Davide, Isaia e Geremia, conoscevano Cristo per nome?”. No, essi non conoscevano in modo specifico Giosuè figlio di Giuseppe, ma sapevano di Lui molto di più di quanto noi potremmo renderci conto. Essi non vissero abbastanza per poter vedere l'adempimento delle promesse del futuro Salvatore, ma “le hanno vedute e salutate da lontano” (Eb. 11:13). Davide conosceva Cristo come suo “Signore” molto prima che questi s'incarnasse (Sl. 110:1; cfr. Mt. 22:41-46). Davide conosceva Cristo come colui che doveva venire affinché lui potesse essere salvato (cfr. Sl. 2:12). Isaia sapeva così tanto sul Messia che il suo libro è stato spesso chiamato “Il vangelo di Isaia” (vedi particolarmente 9:6,7; 52:12-53-13). Per quanto riguarda, poi, Geremia, egli fu il primo profeta ad esporre in termini grafici il significato del Nuovo Patto in Cristo (Gr. 31:31-24).

E' così che, sebbene i santi dell'Antico Testamento non sapevano che il Salvatore sarebbe stato chiamato specificatamente Gesù, essi sapevano d'aver bisogno d'un Salvatore, riconoscevano che solo Dio n'avrebbe provveduto uno, ed essi abbracciarono le promesse che Dio aveva loro rivelato di Lui. Se altresì un pagano, oggi, riconoscesse il bisogno che ha d'un Salvatore ed invocasse il vero Dio affinché si prendesse cura di lui, Dio troverebbe modo di rivelargli il Salvatore in cui deve credere.

La comoda scappatoia del modernismo. Nessun pagano mai, né ieri né oggi ha mai avuto Gesù o lo Spirito Santo che dimora in lui. La ragione per cui oggi tanto si insegna che Gesù e lo Spirito Santo possono dimorare persino nei non cristiani, è comoda perché così si può aggirare il fatto che non debbano conoscere qualcosa su Cristo per essere salvati. Il modo comune oggi di pensare è che non ci si debba preoccupare che i pagani odano l'Evangelo, perché già Cristo dimorerebbe in loro. Questo modo di pensare, però, è un tradimento del messaggio complessivo delle Scritture e dell'intera storia dell'evangelizzazione e delle missioni. La missione cristiana è stata fondata sull'asserzione di Paolo che: “Consapevoli dunque del timore che si deve avere del Signore, cerchiamo di convincere gli uomini” (2 Co. 5:11). A quale “timore” l'apostolo Paolo si riferiva? Di che cosa questa gente doveva essere persuasa? A che cosa sarebbe andata incontro se Paolo non avesse comunicato loro l'Evangelo? Che temeva? Egli temeva la realtà dell'inferno, il destino di tutti coloro che non credono al Salvatore Gesù Cristo in modo esclusivo come Colui che era stato mandato dal Padre. Come dice Gesù stesso: “...non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna” (Mt. 10:28).

Quando Paolo parla di Gesù che verrà “...in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Co. 1:8,9), i primi sono i pagani increduli che non hanno udito l'Evangelo, e gli altri sono coloro che, pur avendolo udito, l'hanno respinto.

L'idea modernista che i pagani possano essere salvati semplicemente tramite le loro devozioni religiose e le loro buone opere, toglie dall'Evangelo ogni senso d'urgenza. Perché mai predicare Cristo, se è possibile essere salvati senza di Lui? Perché Pietro, molto semplicemente, non aveva lasciato che Cornelio rimanesse un pagano, senza condurlo a Cristo? La risposta è perché quelli che nulla sanno della salvezza offerta per fede nel Salvatore, provveduto in esclusiva dal Dio della Bibbia, passeranno l'eternità all'inferno per pagarvi giustamente il prezzo dei loro peccati. Come dice l'Evangelo con severa serietà: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui” (Gv. 3:36). Questa terribile realtà apparterrà pure a coloro che sono apparentemente religiosi seguendo una delle religioni di questo mondo, ma che non hanno mai veramente gridato a Dio d'essere salvati

(Da A. M.)

1“Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra” (Eb. 11:13).

2“Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv. 3:18,19).

3Si potrebbe dire molto qui anche sui concetti di elezione e predestinazione, ma qui trattiamo solo delle risposte che sono date all'Evangelo dal punto di vista umano. Una delle ragioni principali per la popolarità oggi della nozione che coloro che non sanno nulla di Cristo possono essere salvati, è il terreno stesso di coltura del Pelagianesimo e del rifiuto d'accettare la dottrina biblica del peccato originale.

Tempo di Riforma - a cura del past. Paolo Castellina  - Scrivimi!  Email Me!