Le altre religioni
sono ugualmente vie che conducono alla salvezza?
Che dire delle
altre religioni al riguardo della salvezza e della vita eterna?
Molti dipendono dalla loro cultura, che spesso non è affatto
cristiana (Islam, buddisti, ecc.). Come giudica Dio, cioè, coloro
che sono sinceramente persuasi che la loro fede sia giusta, e che
vivono di tutto cuore in modo buono ed onesto? Magari non hanno
mai avuto la possibilità di apprendere della fede cristiana o di
approfondirla. |
La questione che si propone, in realtà, è
“Una persona di una qualsiasi religione, se vive una vita
religiosa e morale, potrebbe essere salvata?”.
L'uso pretestuoso di Atti 10:34,35.
Sempre di più, anche in circoli evangelicali, a questa
domanda si dà una risposta positiva, citando, in suo favore, le parole
di Pietro in Atti 10:34,35 che dicono: “In verità comprendo che Dio
non ha riguardi personali; ma che in qualunque nazione chi lo teme e
opera giustamente gli è gradito”.
Superficialmente,
questo testo sembrerebbe aprire e chiudere il caso, togliendo a molti,
persino la possibilità di replica.
Non dovremmo, però, permettere che un
unico isolato versetto stabilisse la dottrina, soprattutto quando essa
sovvertirebbe duemila anni di storia delle missioni e, quel che più
conta, il messaggio complessivo delle Scritture!
Uno degli importanti benefici dati dalla
Riforma del XVI secolo, è il suo approccio all'ermeneutica
(l'interpretazione delle Scritture), che intende esaminare le Scritture
con accuratezza per ricuperarne il significato originale, spesso
stravolto ed equivocato da secoli di scorretta lettura pretestuosa. Ci
si trova spesso, infatti, di fronte ad interpretazioni del testo
biblico, in cui, più che di esegesi, si dovrebbe parlare di “isogesi”,
cioè di quella lettura che, di fatto, torce la Scrittura per farle dire
ciò che corrisponde piuttosto alle proprie idee, dottrine preconcette o
convenienza. E' così che sono sorte molte eresie. Un altro modo in cui
spesso si torcono le Scritture, altrettanto grave, è quello di estrarre
un versetto dal proprio contesto, e poi interpretarlo in modo
disarmonico con il resto delle Scritture. I Riformatori asserivamo
che un testo biblico controverso deve sempre essere interpretato alla
luce di altri testi biblici che trattano dello stesso argomento, in
maniera ovviamente più chiara.
Usare Atti 10:34,35 per sostenere che si
possa essere salvati anche in altre religioni, senza avere conoscenza
alcuna che Dio ha provveduto in Cristo un Salvatore, è possibile solo
quando non si comprende o volutamente si ignora, che anche quei due
versetti devono essere considerati alla luce di ciò che le Scritture
nel loro insieme insegnano sull'argomento.
Le parole di Atti 10:34,35 devono essere
considerate nel contesto dell'intero episodio che riguarda il pagano
Cornelio, in cui esse sono inserite, ed alla luce dell'intero tenore
delle Scritture. La grande questione in gioco nei capitolo 10 ed 11 di
Atti non è “Che cosa debbo fare per essere salvato”, ma piuttosto: “Sono
solo i Giudei che saranno salvati?”. E' per questo che Pietro dice: “In
verità comprendo che Dio non ha riguardi personali”.Qui egli manifesta
il processo di apprendimento a cui è stato sottoposto in seguito alla
visione da lui avuta e riportata in Atti 10:9-17. Egli si rende conto
che la salvezza non solo è disponibile ai Giudei, ma ora anche a tutte
le nazioni del mondo, cosa che non era possibile prima che Cristo
compisse la Sua opera sulla terra.
Quando, così, Pietro dice: “...ma
che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito”,
è necessario rammentarci del fatto che, per essere accettati da Dio,
è necessario credere nel Salvatore – in modo prospettivo
secondo la promessa di un Salvatore, se uno viveva nell'era dell'Antico
Testamento (Eb. 11:13),
o in modo retrospettivo
secondo l'Evangelo, se uno vive nell'era
del Nuovo Testamento (Gv. 3:18,19).
Sebbene Cornelio, infatti, fosse descritto come: “Pio e timorato di Dio
con tutta la sua famiglia, faceva molte elemosine al popolo e pregava
Dio assiduamente”
(At. 10:2), egli aveva pur
sempre bisogno di Cristo per essere salvato!
Nonostante questa sua devozione a Dio ed
alle buone opere, Cornelio non sarebbe stato salvato prima d'aver udito
l'Evangelo di Cristo. Più tardi Pietro racconta alla comunità cristiana
di Gerusalemme, ciò che era avvenuto a Cesarea, dicendo come Cornelio
gli avesse fatto conoscere che un angelo gli era apparso in casa sua, il
quale gli aveva detto: "Manda qualcuno a Ioppe, e fa' venire Simone,
detto anche Pietro. Egli ti parlerà di cose, per le quali sarai
salvato tu e tutta la tua famiglia" (At. 11:13,14). In altre
parole, nonostante la sua devozione religiosa e buone opere, “il buon”
pagano Cornelio non era salvato prima che Pietro gli annunciasse
l'Evangelo di Gesù Cristo. Usare, così, Atti 10:35 “In verità
comprendo che Dio non ha riguardi personali; ma che in qualunque nazione
chi lo teme e opera giustamente gli è gradito”come prova che persino
gli increduli possano essere salvati, è sia un caso molto grave di
isogesi, “una frivolezza esegetica molto grande” (de Wette), come
pure mancare di comprendere quel versetto alla luce del suo contesto
immediato e dell'insegnamento complessivo delle Sacre Scritture.
L'insegnamento complessivo delle
Scritture. Che cosa dicono le Scritture, nel
loro complesso, sulla salvezza e sulla vita eterna in rapporto ai
pagani? La Scrittura, nel suo insieme, insegna che: “mediante le
opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la
legge dà soltanto la conoscenza del peccato” (Ro.3:20; cfr. Ga.
2:16), e che Dio è Colui che “giustifica colui che ha fede in Gesù”
(Ro. 3:26) e nessun altro. Al riguardo della capacità, sia dei
Giudei che dei pagani che non credono in Cristo, di praticare la vera
religione, la Scrittura nel Suo insieme, insegna in modo molto radicale
che: “Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio.
Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che
pratichi la bontà, no, neppure uno” (Ro. 3:10,12).
La Scrittura, nel suo insieme,
insegna che, sia Giudei sia pagani, “tutti hanno peccato e sono privi
della gloria di Dio” (Ro. 3:23), ma che la salvezza si ottiene
“mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono” (Ro.
3:22). La Scrittura, nel suo insieme, insegna che, per poter ottenere
vita eterna, non solo si deve conoscere: “L'unico e vero Dio”, ma pure
“Gesù Cristo”, che Dio Padre ha mandato nel mondo (Gv. 17:3). La
Scrittura, nel suo insieme, mostra che “chiunque avrà invocato il
nome del Signore sarà salvato” (Ro. 10:13); questo si trova nello
stesso contesto in cui la Scrittura dice: “Chiunque crede in lui
(Gesù Cristo), non sarà deluso” (Ro. 10:11), rivelando il corollario
che coloro che non credono
in Lui, saranno indubbiamente delusi.
La Scrittura, nel suo insieme, insegna che: “...se con la bocca avrai
confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha
risuscitato dai morti, sarai salvato” (Ro. 10:9). Se poi si chiede:
“E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?”
(Ro. 10:14), la Scrittura, nel suo insieme, risponde: “Quanto sono belli
i piedi di quelli che annunziano buone notizie!” (Ro. 10:15).
La Scrittura nel suo insieme insegna che,
per essere salvati, per tutti, è necessario conoscere il Salvatore
provveduto da Dio. La posizione degli increduli è questa: “...senza
Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della
promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo” (Ef. 2:12). Prima
che credessero in Cristo, i cristiani di Efeso potevano solo essere
descritti come “lontani” da Dio (Ef. 2:17), i quali solo avrebbero
potuto “accedere” al Padre attraverso la fede nel Messia mandato da Lui
(Ef. 2:18). Gesù stesso insegnava d'essere venuto “per cercare e salvare
quelli che sono perduti”, un chiaro riferimento, questo, alla condizione
precedente alla fede in Lui (Lu. 19:10). La Scrittura nel suo insieme
insegna che, affinché qualcuno “abbia il Figlio” (e quindi “la vita”,
vedi 1 Gv. 5:12), è necessario credere “alla testimonianza che Dio ha
resa al proprio Figlio” (1 Gv. 5:10). E' credendo a questa
testimonianza (e in nient'altro) che ha caratterizzato i credenti sia
dell'Antico che del Nuovo Testamento. Le Scritture, nel loro insieme,
insegnano che “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non
appartiene a lui” (Ro. 8:9; cfr. Giuda 17-19). La Scrittura, nel suo
insieme insegna che: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è
sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per
mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (At. 4:12). La
Scrittura, nel suo insieme insegna che la vita eterna: “...che
conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo”
(Gv. 17:3).
Quest'ultimo testo è particolarmente
significativo – specialmente nell'uso che fa della congiunzione “e”,
perché rivela come non sia sufficiente conoscere (o pretendere di
conoscere) solo Dio. I mistici e le religioni hanno affermato questo per
millenni, ma erroneamente. Per poter essere salvati (vale a dire, per
poter avere vita eterna) bisogna pure riconoscere Gesù Cristo come il
Figlio di Dio fattosi carne, mandato da Dio Padre come l'unica via
che conduce al rinnovamento spirituale. Questa pretesa del cristianesimo
è unica nel suo genere ed è del tutto assente dalla dottrina e dalla
pratica delle religioni del mondo.
Come sono sorte le religioni del
mondo? Le religioni del mondo sono false
religioni che sono sorte attraverso uno o due processi.
In primo luogo, in ogni essere umano, nel
cuore stesso del suo essere, si trova un innato impulso religioso –
quello che Giovanni Calvino chiamava “il seme della religione”, che pure
B. Warfield chiamava “notitia Dei insita” (una naturale
conoscenza di Dio) che, nei non credenti, si esprime in modo distorto a
causa della soppressione della verità che avviene nella loro natura
decaduta (cfr. Ro. 1:18-23). Da questo sorge l'idolatria ed altre forme
di religione falsata
Un secondo processo, attraverso il quale
sono sorte la maggior parte delle religioni del mondo, è attraverso
l'intervento diretto e la manipolazione di demoni (cfr. De. 32:17; 2 Cr.
11:15; Sl. 106:37; 1 Co. 10:20). E' vero che vi sono certi aspetti della
verità e di decenza morale che sono stati incorporati in molte delle
religioni del mondo; è pure possibile che il Signore usi quegli aspetti
delle varie religioni come via per portare a Sé le Sue pecore. Questo,
però, non giustifica in alcun modo quelle religioni, dimostra solo la
sovranità di Dio.
La conoscenza di Cristo è
essenziale. E' pure vero che non è necessario
conoscere in ogni dettaglio tutto ciò che riguarda Cristo per
essere salvati, ma è necessario conoscere abbastanza di quei
dettagli, per essere salvati. Come abbiamo già mostrato, non basta
essere come era Cornelio prima che Pietro gli annunciasse l'Evangelo.
Cornelio era: “Pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia,
faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio assiduamente”, ma,
come tale, non si trovava in condizione di salvezza, e non aveva Gesù
che dimorava nel suo cuore finché non gli fosse predicato l'Evangelo su
Cristo Salvatore e non gli fosse stato accordato da parte di Dio il
ravvedimento “affinché avesse vita” (At. 11:18) ed avesse dato evidenza
a quegli scettici Giudei, che lui, pagano, avesse ricevuto lo Spirito
Santo (At. 10:44,45).
La cosa più stupefacente è che laddove
molti abbiano cercato do usare At. 10:34,35 come prova che i pagani
possano essere salvati nell'ambito della loro religione, di fatto
questo brano prova l'esatto contrario! Esso mostra perfettamente che
la devozione religiosa e le buone opere non sono sufficienti per
essere salvati, altrimenti Cornelio non avrebbe avuto bisogno che gli
si parlasse di Cristo; esso prova chiaramente come sia assolutamente
necessario conoscere l'Evangelo di Cristo – o in modo prospettico (come
ai tempi dell'Antico Testamento), o in modo retrospettivo (come nell'era
attuale) per poter avere salvezza, redenzione e vita eterna!
Nessuno potrà essere salvato se è
privo d'almeno una minima comprensione del contenuto dell'Evangelo.
Questo è stato sempre così. Nessuno potrà
essere salvato se non ha almeno una minima comprensione che Dio ci ha
fornito d'un Salvatore. Questo ci era stato promesso persino ai tempi di
Genesi 3:15 in ciò che conosciamo come il “Protoevangelo”, dimostrato
come “tipo” attraverso lo spargimento del sangue di fronte ai nostri
progenitori (Ge. 3:21). Se un pagano è molto devoto e, rendendosi conto
della propria indegnità, cerca veramente, di tutto cuore, il vero Dio,
allora Dio troverà la maniera che egli oda qualcosa di Cristo. Molto
probabilmente, Cornelio era un pagano così, e, di conseguenza, Iddio gli
fa comunicare l'Evangelo perché possa essere salvato. Allo stesso modo,
il devoto etiope sul carro che stava riflettendo nelle Scritture sul
sacrificio espiatorio in Isaia 53, non fu salvato fintanto che Filippo:
“gli comunicò il lieto messaggio di Gesù” (At. 8:35), e non fu
battezzato fintanto che non credette “che Gesù Cristo è il Figlio di
Dio” (At. 8:37).
Se non fosse così, perché mai Iddio
aveva fatto in modo che essi udissero l'Evangelo? La risposta è che solo
Cristo è la via che porta alla vita ed alla salvezza. Dio non fa
distinzione fra le persone: chiunque, uomo, donna o bambino, di
qualunque nazione o tribù del mondo, può invocare l'unico e vero Dio, la
cui gloria è rivelata nell'intera struttura dell'universo, e l'Evangelo
della salvezza in Cristo gli sarà sicuramente rivelata.
E' quelli che vivevano ai tempi
dell'Antico Testamento? Dopo aver detto,
allora, tutto quanto precede, sorge la questione centrale: “Se uno deve
conoscere Cristo per poter essere salvati, su quale base erano salvati
coloro che vivevano nell'era dell'Antico Testamento, che era prima della
venuta di Cristo?”. Il popolare sillogismo che viene proposto: “Se per
essere salvati bisogna conoscere Cristo, su quale base erano state
salvate le creature umane potevano essere salvati coloro che precedevano
la venuta di Cristo? Questo popolare sillogismo logico, proposto oggi in
siti funziona così: “Atti 4:12 dice che non c'è alcun altro nome oltre a
Gesù per il quale potremmo essere salvati se non quello di Gesù. I
credenti dell'Antico Testamento erano salvati, ma non sapevano di Gesù
ed ovviamente non erano cristiani. Quindi deve essere possibile per un
non cristiano, essere salvato”.
Questo, però, è un argomento specioso, e
colmo di falsa logica.
In primo luogo, per credenti dell'Antico
Testamento, non era necessario che conoscessero letteralmente il nome
Gesù (dal greco Jesous, derivante dall'ebraico Giosuè). Quando la Bibbia
afferma: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo
nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale
noi dobbiamo essere salvati”, non significa che essi dovessero conoscere
letteralmente il nome “Gesù” per essere salvati, né Pietro intendeva
questo. E' ovvio che i credenti dell'Antico Testamento non sapevano che
il futuro Salvatore avrebbe portato per nome “Gesù”, perché esso era
stato rivelato dall'angelo poco prima della nascita del Signore Gesù
circa 2000 anni fa (Mt. 1:21; cfr. Lu. 2:21).
Quando Pietro disse: “... non vi è sotto
il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del
quale noi dobbiamo essere salvati, egli si riferiva non tanto al nome
“Gesù”, ma al Suo potere ed autorità in quanto Messia, il Cristo. La
risposta di Pietro fa riferimento alla questione posta originalmente
dalle autorità religiose ebraiche in Atti 4:7, quando dissero: “Con
quale potere o in nome di chi avete fatto questo?” in riferimento alla
guarigione da loro operata sul paralitico alle porte di Gerusalemme (At.
3:1-10). Rammentate che Pietro aveva detto a quell'uomo: “Dell'argento e
dell'oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù
Cristo, il Nazareno, cammina!” (At. 3:6). Non era la parola “Gesù” ad
avere un potere magico di guarigione, né la cosa era avvenuta per la
loro “propria potenza o pietà” (At. 3:12). Era per l'autorità riposta
nel Cristo, il quale è l'unico che possa perdonare i peccati ed imputare
giustizia. Credere nel nome di Cristo significa credere che “Yahweh
salva” (il significato essenziale del nome Gesù in ebraico), cioè che
Dio, in esclusiva, fornisce un Salvatore, l'unico Salvatore attraverso
il quale possiamo essere salvati. Il nome di Cristo, come questo
Salvatore, era stato rivelato nell'Antico Testamento: “In quei giorni
e in quel tempo, io farò germogliare per Davide un germoglio di
giustizia, ed esso eserciterà il diritto e la giustizia nel paese”
(Gr. 33:15).
La giustizia che salva è quella
di Gesù Cristo. Il principio della salvezza è
che non si può conseguire giustizia tramite i propri atti religiosi e
morali, ma solo ricevendo la giustizia imputata di Cristo, il che è
rivelato chiaramente nell'Evangelo (Ro. 1:17,18; cfr. Ro. 3:21).
Nell'era dell'Antico Testamento la gente era salvata esattamente sulla
stessa base che nell'era del Nuovo Testamento – l'opera espiatrice di
Cristo sulla croce. Nessuno è stato mai salvato su altra base. Rendersi
conto d'essere personalmente privi di giustizia, come pure del proprio
bisogno di un Salvatore, è! Il punto di partenza della salvezza in
qualunque tempo della storia. La percezione del Cristo nell'Antico
Testamento, però, era ovviamente diversa dalla nostra percezione del
Cristo nell'attuale era evangelica. Nell'A.T. Si doveva avere fede nella
promessa del Salvatore che sarebbe venuto (cfr. Eb. 11:13); nell'era del
N. T. Si ha fede nel Salvatore che si è pienamente rivelato (Eb. 1:1,2).
Qualunque sia, però, l'era in cui si vive, è il Salvatore che fornito in
modo esclusivo dall'unico Dio vivente e vero, ad essere la chiave della
salvezza. Abrahamo, dapprima, era un pagano idolatra, ma egli giunse a
credere nel Salvatore che doveva venire, il Messia. Come dice Gesù
stesso: “Abraamo, vostro padre, ha gioito nell'attesa di vedere il mio
giorno; e l'ha visto, e se n'è rallegrato” (Gv. 8:56). Anche ad Abramo
era stato predicato l'Evangelo (Ga. 3:8). Sapeva di Cristo. Non
pienamente come lo sappiamo noi oggi, ma ne sapeva abbastanza per poter
essere salvato, proprio come tutti avrebbero fatto per essere salvati e
per ricevere vita eterna.
La conoscenza di Cristo
nell'Antico Testamento. Si può anche chiedere:
“Forse che Noè, Davide, Isaia e Geremia, conoscevano Cristo per nome?”.
No, essi non conoscevano in modo specifico Giosuè figlio di Giuseppe, ma
sapevano di Lui molto di più di quanto noi potremmo renderci conto. Essi
non vissero abbastanza per poter vedere l'adempimento delle promesse del
futuro Salvatore, ma “le hanno vedute e salutate da lontano” (Eb.
11:13). Davide conosceva Cristo come suo “Signore” molto prima che
questi s'incarnasse (Sl. 110:1; cfr. Mt. 22:41-46). Davide conosceva
Cristo come colui che doveva venire affinché lui potesse essere salvato
(cfr. Sl. 2:12). Isaia sapeva così tanto sul Messia che il suo libro è
stato spesso chiamato “Il vangelo di Isaia” (vedi particolarmente 9:6,7;
52:12-53-13). Per quanto riguarda, poi, Geremia, egli fu il primo
profeta ad esporre in termini grafici il significato del Nuovo Patto in
Cristo (Gr. 31:31-24).
E' così che, sebbene i santi dell'Antico
Testamento non sapevano che il Salvatore sarebbe stato chiamato
specificatamente Gesù, essi sapevano d'aver bisogno d'un Salvatore,
riconoscevano che solo Dio n'avrebbe provveduto uno, ed essi
abbracciarono le promesse che Dio aveva loro rivelato di Lui. Se
altresì un pagano, oggi, riconoscesse il bisogno che ha d'un Salvatore
ed invocasse il vero Dio affinché si prendesse cura di lui, Dio
troverebbe modo di rivelargli il Salvatore in cui deve credere.
La comoda scappatoia del
modernismo. Nessun pagano mai, né ieri né
oggi ha mai avuto Gesù o lo Spirito Santo che dimora in lui. La
ragione per cui oggi tanto si insegna che Gesù e lo Spirito Santo
possono dimorare persino nei non cristiani, è comoda perché così si può
aggirare il fatto che non debbano conoscere qualcosa su Cristo per
essere salvati. Il modo comune oggi di pensare è che non ci si debba
preoccupare che i pagani odano l'Evangelo, perché già Cristo dimorerebbe
in loro. Questo modo di pensare, però, è un tradimento del messaggio
complessivo delle Scritture e dell'intera storia dell'evangelizzazione e
delle missioni. La missione cristiana è stata fondata sull'asserzione di
Paolo che: “Consapevoli dunque del timore che si deve avere del
Signore, cerchiamo di convincere gli uomini” (2 Co. 5:11). A quale
“timore” l'apostolo Paolo si riferiva? Di che cosa questa gente doveva
essere persuasa? A che cosa sarebbe andata incontro se Paolo non avesse
comunicato loro l'Evangelo? Che temeva? Egli temeva la realtà
dell'inferno, il destino di tutti coloro che non credono al
Salvatore Gesù Cristo in modo esclusivo come Colui che era stato mandato
dal Padre. Come dice Gesù stesso: “...non temete coloro che uccidono
il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che
può far perire l'anima e il corpo nella geenna” (Mt. 10:28).
Quando Paolo parla di Gesù che verrà
“...in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non
conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro
Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla
presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Co.
1:8,9), i primi sono i pagani increduli che non hanno udito l'Evangelo,
e gli altri sono coloro che, pur avendolo udito, l'hanno respinto.
L'idea modernista che i pagani possano
essere salvati semplicemente tramite le loro devozioni religiose e le
loro buone opere, toglie dall'Evangelo ogni senso d'urgenza. Perché mai
predicare Cristo, se è possibile essere salvati senza di Lui? Perché
Pietro, molto semplicemente, non aveva lasciato che Cornelio rimanesse
un pagano, senza condurlo a Cristo? La risposta è perché quelli che
nulla sanno della salvezza offerta per fede nel Salvatore, provveduto in
esclusiva dal Dio della Bibbia, passeranno l'eternità all'inferno per
pagarvi giustamente il prezzo dei loro peccati. Come dice l'Evangelo con
severa serietà: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece
rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane
su di lui” (Gv. 3:36). Questa terribile realtà apparterrà pure a
coloro che sono apparentemente religiosi seguendo una delle religioni di
questo mondo, ma che non hanno mai veramente gridato a Dio d'essere
salvati
(Da A. M.)
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