La bancarotta del razionalismo


Di R. J. Rushdoony



Il razionalismo ha spesso "provato" l'esistenza di Dio con l'uso che fa della ragione, ma il dio verificato dalla ragione del razionalista è il dio della sua propria immaginazione e, per fin troppa gente, l'unico dio che conosce. Il Dio vivente della Bibbia è motivo di scandalo per il senso morale dell'uomo decaduto. Gli angoli del dio dell'uomo decaduto vengono smussati fintanto che questo dio diventi accettabile alla ragione, e pure in sintonia con l'idea che il peccatore si fa su come Dio per lui dovrebbe essere.

I filosofi razionalisti della religione parlano raramente se non mai della caduta dell'uomo, né degli effetti della caduta sulla mente dell'uomo. Così il filosofo è reso immune dal peccato! Gli effetti noetici del peccato, però, sono centrali per la dottrina biblica della conoscenza. La ragione umana non è immune dagli effetti del peccato. Essa è piuttosto da esso radicalmente alterata.

Il peccato altera la prospettiva umana e la distorce radicalmente. Dato che il peccato originale dell'uomo è essere dio a sé stesso, la propria fonte ultima di conoscenza, e colui che determina da solo ciò che è bene e ciò che è male, la legge e la moralità, ne consegue che il peccato originale è collegato essenzialmente alla ragione umana. L'uomo, in quanto peccatore, non può tollerare il Dio della Bibbia, solo un dio accettabile alla propria ragione. Per cui, l'unico dio che possa tollerare è il dio della propria immaginazione, uno che approvi il razionalismo umano. Il dio dei filosofi è un idolo particolarmente ridicolo.

La caduta dell'uomo sta alla base di ogni autentica epistemologia o teoria della conoscenza, perché la caduta significò la distorsione radicale della ragione che costituisce il razionalismo. Prima della caduta, Dio era in comunicazione con l'uomo. Dopo la caduta, la situazione cambiò. Come disse Van Til: "Se Dio doveva continuare la Sua comunicazione con le Sue creature, doveva essere o per condanna o per redenzione" (Cornelius Van Til: An Introduction to Theology, vol. I, 104. Philadelphia, Pennsylvania: Westminster Theological Seminary, 1947). Condanna significa giudizio, morte, e riprovazione dell'uomo. Redenzione significa che la morte sacrificale di Cristi, morendo in luogo degli eletti, trasformando la condanna in vita, la colpevolezza in innocenza. I nostri teologi razionalisti agiscono come se non vi fosse rapporto alcuno fra redenzione ed epistemologia. Un tale presupposto li rende, nella migliore delle ipotesi, cristiani fortemente difettosi, quando non del tutto anti-cristiani.

In primo luogo è ovvio che l'uomo, in quanto peccatore, odia la verità. In questo egli si comporta logicamente (e quanto ama egli la logica!), perché la verità lo condanna. Per lui è più facile rivolgersi ad Aristotele che alla Bibbia, perché Aristotele non concepisce una caduta. Se non si dà spazio alcuno alla caduta nella nostra teoria della conoscenza, allora il nostro pensiero diventa infallibile ed otteniamo un dio razionale che presiede su un uomo razionale, ed entrambi in accordo con la logica di Aristotele.

In secondo luogo l'uomo decaduto non solo odia la verità, ma, quando la trova, nella migliore delle ipotesi la distorce. Secondo un tale pensiero, ragionamento univoco,  "si presume che l'uomo sia il punto di riferimento finale o ultimo della realtà". In contrasto con questo, parliamo della forma di ragionamento usata dal cristiano che riconosce come Dio sia il punto di riferimento ultimo, come di ragionamento analogico" (ibid., I, 97, n.).

Proprio come la mente e la volontà dell'uomo è stata corrotta dalla caduta, pure la sua capacità di pensare è stata corrotta. Il fatto di non aver conosciuto Dio come Signore implica pure quello di non riconoscere la nostra creaturalità. Iniziamo allora con un presupposto errato su noi stessi e sulla nostra capacità di conoscere.

In terzo luogo il pensiero dell'uomo è stato corrotto dalla caduta tanto che ora egli ritiene sé stesso come il "punto di riferimento metafisico ultimo" e normale della sua mente (ibid. I,92). La chiave della realtà, però, non è la mente dell'uomo, ma la mente di Dio.La mente dell'uomo è decaduta e finita, ed assolutamente incapace di comprendere il mondo indipendentemente dalla rivelazione scritta di Dio. Persino indipendentemente dal peccato, l'uomo non decaduto poteva solo pensare in dipendenza dai pensieri di Dio.

E' sorprendente come la teologia razionalista abbia riempito la Chiesa in ogni suo ramo, Occidentale ed Orientale, cattolico-romano o protestante. Troppi teologi e filosofi della religione presumono che, fintanto che non fosse entrato in gioco il loro razionalismo, l'uomo era ignorante di Dio, o lo conoscesse troppo poco. L'arroganza del razionalismo è l'arroganza del peccato originale.

Dire questo non significa disprezzare la ragione. Sarebbe davvero folle colui che pensasse che Abelardo fosse un pensatore migliore di S. Anselmo. La premessa di S. Anselmo era: "Io credo per poter comprendere", laddove Abelardo sosteneva che fosse necessario comprendere prima di credere, una premessa razionalista. Il punto di partenza di Abelardo era il razionalismo, quello di Anselmo era biblico. Non fa meraviglia come allora la filosofia di Anselmo fosse incentrata nella redenzione.

Il razionalismo stesso è la prova evidente degli effetti radicali della caduta nel mondo dell'epistemologia, la quale ha fatto scivolare il suo centro da Dio all'uomo. L'epistemologia è ora un ramo quasi dimenticato della filosofia perché è in bancarotta. Il flusso moderno del pensiero da Cartesio, attraverso Hume, Kant, Hegel, Sartre, Wittgenstein ed altri, è una bancarotta morale e spirituale come pure un disperare della conoscenza.


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