Di Edoardo Labanchi, da “I quaderni” (Novembre 1997)
Invito i
lettori a far lavorare un po' la loro fantasia. Immaginatevi Piazza San Pietro,
a Roma, piena di pellegrini venuti da ogni parte del mondo. Il Papa sta parlando
da una lontana finestra del suo palazzo. Non ha la Bibbia in mano, ma legge da
un foglio di carta. Tutta la gente lo guarda fisso e pende dalle sue labbra. Di
solito parla in italiano, ma a volte saluta i vari gruppi presenti nella piazza
nelle loro lingue. Ogni tanto la gente sovreccitata batte le mani. In certe
occasioni particolari si stabilisce una specie di atmosfera magica, che può
coinvolgere perfino i non cattolici che si trovano là per pura curiosità. So
di fatto che vi sono evangelici, specialmente stranieri, che vanno a San Pietro
"per vedere il Papa". E infatti tutto questo costituisce una grande
attrazione per i turisti che visitano Roma.
Il colonnato di San
Pietro sembra fatto poi di due braccia che accolgono calorosamente i pellegrini
- è una scena davvero impressionante, non c'è che dire! Sono come le
simboliche braccia della "Madre Chiesa", che è sempre pronta ad
accogliere anche tutti i suoi "figliuoli prodighi", tra cui spera che
vi siano perfino alcuni evangelici.
Roma, e specialmente la
Città del Vaticano con la chiesa di San Pietro, è considerata da molti
"il centro della Cristianità" per la presenza del Papa, che si
ritiene sia il capo della Chiesa Cristiana ed il cui potere, in questioni
religiose, sembra quasi illimitato. Leggiamo a tal proposito nel nuovo Codice di
Diritto Canonico, edito dal Vaticano nel 1983 e, com'è scritto sul
frontespizio, "promulgato con l'autorità di Giovanni Paolo II" - in
questo Codice, dico, nel canone 331 leggiamo:
"Il Vescovo della
Chiesa di Roma, che esercita l'ufficio dato dal Signore nostro a Pietro, il
primo degli Apostoli, e che viene trasmesso ai suoi successori, è il Capo del
Collegio dei Vescovi, il Vicario di Cristo e il Pastore della Chiesa Universale
sulla terra. Grazie a tale ufficio, egli esercita un'autorità suprema,
completa, diretta ed universale sulla Chiesa, e può esercitare tale autorità
liberamente in ogni tempo".
Questa è una mia
traduzione letterale dall'originale latino, che, del resto, può essere
consultato facilmente da chiunque, dato che il Codice di Diritto Canonico è in
vendita nelle librerie cattoliche. Nel canone 333, paragrafo 3, è poi
affermato:
"Contra sententiam
vel decretum Romani Pontificis non datur appellatio neque recursus", cioè
"Non è possibile alcun appello o ricorso contro una sentenza del Pontefice
Romano".
Com'è scritto poi nel
canone 338, soltanto il Papa può convocare i Concilî Ecumenici a cui tutti i
vescovi cattolici sono invitati a partecipare. Il Papa, inoltre, può
interrompere o revocare del tutto un Concilio Ecumenico, e spetta solo a lui
approvare tutte le decisioni o decreti dei Concilî . In altre parole, i Concilî
Ecumenici o Universali e tutti i sinodi dei vescovi cattolici in tutto il mondo,
sono soltanto degli organi consultivi, mentre il Papa mantiene sempre la sua
personale autorità suprema per quanto riguarda tutte le questioni che hanno a
che fare con la dottrina e la morale. I sinodi locali hanno per lo più poteri
in questioni puramente amministrative. Ne segue che l'autorità dei vescovi
dipende completamente da quello del Vescovo di Roma o Papa.
Il Codice di Diritto
Canonico qui non fa altro che riassumere le decisioni del Concilio Vaticano I,
convocato da Pio IX e tenutosi dall'8 dicembre del 1869 al 20 ottobre del 1870,
e specialmente i decreti della IV sessione tenutasi il 18 luglio 1870 e che
hanno a che fare, appunto, con l'autorità del Papa. In questa famosa sessione
fu solennemente definita l'infallibilità personale del Papa. Ecco il testo di
questa definizione, sempre in una mia traduzione dal latino:
"Noi definiamo che
il Pontefice Romano, quando parla 'ex cathedra', cioè quando, come Pastore e
Dottore di tutti i Cristiani, definisce una dottrina concernente la fede e la
morale e che deve essere creduta da tutta la Chiesa, a causa della Sua suprema
autorità apostolica, aiutato com'è da Dio secondo la promessa fatta al beato
Pietro, gode di quella infallibilità di cui il divin Redentore volle che la Sua
Chiesa godesse, quando avrebbe definito una dottrina concernente la fede e la
morale. Ne segue che tutte le definizioni del Pontefice Romano sono immutabili
in quanto tali e non per l'approvazione della Chiesa. Se qualcuno osa non essere
d'accordo con questa nostra definizione, sia scomunicato" ( Denzinger -
Schoenmetzer, Enchiridion Symbolorum et Declarationum de rebus fidei et morum,
n. 3074 ).
Ciò significa che se uno
non crede nell'infallibilità del Papa, è fuori della Chiesa Cattolica, e se
non si pente, corre il rischio di andare all'inferno.
Fino a che non fu
definita l'infallibilità papale, i Cattolici potevano non credervi, ma una
volta che tale dottrina è stata solennemente definita dal Concilio Vaticano I,
tutti i Cattolici devono accettarla.
Bisogna però precisare
che prima di questa definizione, nella Chiesa Cattolica si riteneva che solo i
Concilî Ecumenici fossero infallibili, quando definivano dottrine riguardanti
la fede e la morale. Si riteneva certamente che il Papa fosse il Capo Supremo
della Chiesa, ma non che fosse personalmente infallibile - almeno tale dottrina
non era ufficiale. Ma proprio a causa della definizione dell'infalibilità
papale, le cose cambiarono radicalmente per quanto riguardava la costituzione
della Chiesa Cattolica. In pratica, il Concilio Ecumenico rinunciò all'autorità
fino ad allora riconosciutagli. E' vero che nel Concilio Vaticano II il ruolo
dei Vescovi della Chiesa Cattolica è stato messo particolarmente in rilievo, ma
sostanzialmente nulla è cambiato rispetto al Concilio Vaticano I, come si
deduce specialmente dalla cosiddetta Costituzione Dogmatica "Lumen Gentium"
( Luce delle Genti ) sulla Chiesa, promulgata il 21 novembre 1964. Difatti al
paragrafo 25 leggiamo:
"Di questa
infallibilità il Romano Pontefice, Capo del Collegio dei Vescovi, gode in virtù
del suo ufficio quando, quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che
conferma nella fede i suoi fratelli, sancisce con atto definitivo una dottrina
riguardante la fede e la morale. Perciò le sue definizioni giustamente sono
dette irreformabili per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa... Né
ammettono appello alcuno ad altro giudizio".
Il Catechismo della
Chiesa Cattolica, pubblicato nel 1992 dal Vaticano, ribadisce questo concetto
citando sia il Concilio Vaticano I sia il Concilio Vaticano II . Sarà stato
quindi disilluso chi pensava che vi fossero grandi cambiamenti nelle dottrine
ufficiali della Chiesa Cattolica, e particolarmente per quanto riguarda la
figura e la funzione del Papa.
Ora, se ad un teologo
cattolico dite che dagli scritti del Nuovo Testamento non risulta affatto che
Pietro, presunto primo Papa, abbia mai esercitato un'autorità suprema nella
Chiesa, e che il famoso passo del Vangelo di Matteo nel capitolo 16 - "Tu
sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, ecc" - se gli dite
che questo passo per alcuni secoli non fu affatto interpretato come l'interpreta
oggi la Chiesa Cattolica, e che di un vero e proprio Papato si può cominciare a
parlare forse dal V- VI secolo in poi; e se gli dite anche che non vi spiegate
come mai ci siano voluti tanti secoli per arrivare alla definizione ufficiale
dell'infallibilità papale - se dite tutto questo ad un teologo cattolico, vi
risponderà che nel caso del Papato, come di varie altre dottrine proprie del
Cattolicesimo Romano, questa dottrina era contenuta implicitamente nelle
Scritture e che è stata compresa sempre meglio fino ad arrivare alla sua
definizione ufficiale, così come un albero viene fuori da un seme: l'albero è
già contenuto sostanzialmente nel seme, ma deve solo spuntare e crescere.
Oltre a ciò, il teologo
cattolico vi dirà che la Scrittura non è l'unica fonte della Rivelazione
cristiana, ma c'è anche la tradizione. Ecco come si esprime a tal riguardo il
Catechismo della Chiesa Cattolica, al paragrafo 81, citando la Costituzione
Dogmatica "Dei Verbum" ( La Parola di Dio ) del Concilio Vaticano II:
" La Sacra Scrittura
è la Parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello
Spirito divino. Quanto alla Sacra Tradizione, essa conserva la Parola di Dio,
affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, e la trasmette
integralmente ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito
della verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e
la diffondano. Accade così che la Chiesa, alla quale è affidata la
trasmissione e l'interpretazione della Rivelazione, attinga la sua certezza su
tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l'una e l'altra (
cioè la Scrittura e la Tradizione ) devono essere accettate e venerate con pari
sentimento di pietà e di rispetto".
Una tale affermazione
riflette ciò che era stato già dichiarato dal Concilio di Trento l' 8 aprile
del 1546, e cioè che la Rivelazione divina è contenuta "in Libris
scriptis et sine scripto traditionibus", cioè "In Libri scritti ( la
Sacra Scrittura ) e nelle tradizioni non scritte" ( Denzinger 1501 ), nel
senso di tradizioni che si trovano al di fuori della Sacra Scrittura. Si ritiene
che tali tradizioni contengano gli insegnamenti orali di Cristo trasmessi agli
Apostoli e non riportati nel Nuovo Testamento. Tali insegnamenti orali, sempre
secondo la dottrina cattolica, furono poi in vario modo messi per iscritto e si
trovano nei cosiddetti "Padri della Chiesa", cioè gli scrittori
cristiani dei primi quattro secoli - di particolare importanza sono considerati
gli scritti dei "Padri Apostolici", cioè degli scrittori della prima
metà del secondo secolo.
Ma il fatto è che su
vari punti le dottrine della Chiesa Cattolica, a cominciare proprio dal Papato,
sono molto diverse sia da quanto deduciamo dalla Sacra Scrittura, sia da quanto
deduciamo proprio dai "Padri della Chiesa". Inoltre, si notano alcune
divergenze dottrinali tra la testimonianza del Nuovo Testamento e le
affermazioni degli stessi "Padri della Chiesa", quanto più ci
allontaniamo dall'epoca apostolica, cioè dal primo secolo. Ora, se, come dicono
i documenti cattolici, le due fonti della Rivelazione divina - la Sacra
Scrittura e la tradizione - scaturiscono da un'unica fonte, non vi dovrebbero
essere tali differenze; ma esse pur vi sono, come si può dimostrare.
Ho già accennato al
fatto che, tra l'altro, il Papa è ufficialmente chiamato Vicarius Christi, cioè
Vicario di Cristo, nei documenti ufficiali. Ma qual è il significato di
Vicarius? In latino indica chi sostituisce un altro, prende il posto di un
altro, rappresenta un altro. In questo caso significa che il Papa rappresenta
Cristo sulla terra. Si ha quindi la netta impressione che il Papa potrebbe dire
a tutti ciò che Cristo disse a Filippo a proposito del Suo rapporto con Dio
Padre, ma cambiando naturalmente i termini del paragone. Il Papa potrebbe dunque
dire così: "Chiunque ha visto me, ha visto Gesù Cristo" (
si veda Gv.14:9 ). Certo, i Cattolici negherebbero tutto ciò, dandosi a
sottili distinzioni, ma è proprio questo che deduciamo dai loro documenti
ufficiali, se l'espressione "Vicario di Cristo" ha un senso. E'
comunque un fatto che i Papi hanno sempre cercato di prendere il posto di
Cristo, proprio in forza dell'ufficio che hanno esercitato, o meglio usurpato -
sia che il Papa si chiami Giovanni XXIII o Giovanni Paolo II.
Storicamente parlando,
non abbiamo notizie di alcun Papa, come lo si intende oggi, per almeno cinque
secoli. C 'erano vescovi nella Chiesa di Roma, ma non avevano nessuna autorità
assoluta, né dottrinale né amministrativa, su tutta la Chiesa - soltanto un
Concilio generale, a cui partecipava almeno la maggior parte dei vescovi, era
considerato autorevole, quando definiva dottrine riguardanti la fede e la
morale. Dobbiamo però ammettere che la Chiesa di Roma ebbe sempre un posto
importante nella Cristianità. La ragione è che Roma per secoli è stata il
cuore dell'Impero Romano. E la sua importanza non venne meno neanche quando
Costantino fece di Costantinopoli la nuova capitale politica dell'Impero.
Questo lo deduciamo anche
da un importante documento che riguarda la posizione della Chiesa Cristiana
nell'Impero Romano, cioè l'Editto di Tessalonica, emesso da Teodosio I,
imperatore di Oriente e da Graziano, imperatore d'Occidente, nel 380.
Nell'ottobre del 382 Teodosio concluse uno storico trattato con i Visigoti
ammettendoli come truppe alleate nell'ambito dell'impero. Teodosio, inoltre,
dovette anche proteggere il suo collega occidentale da vari rivali. Egli però
è passato alla storia specialmente per la sua presunta vittoria sul paganesimo.
Infatti col famoso editto si dichiarò, almeno implicitamente, ma chiaramente,
che il Cristianesimo era ora religione di Stato. Ma ecco l'editto come ci è
stato conservato nel Codice di Giustiniano, l'imperatore che promosse la
sistemazione del diritto romano nel VI secolo - la versione dal latino è mia:
"Gli imperatori
Graziano Valentiniano e Teodosio al popolo della città di Costantinopoli. Tutte
le nazioni governate dalla nostra Clemenza rimarranno in quella religione che fu
tramandata dall'Apostolo Pietro ai Romani e che ora è seguita dal Pontefice
Damaso e da Pietro, vescovo d'Alessandria ed uomo dalla santità apostolica, in
modo che crediamo che, secondo l'insegnamento apostolico e la dottrina
evangelica, v'è un solo Dio, che sussiste in tre Persone, Padre, Figlio e
Spirito Santo, che godono della stessa dignità e quindi costituiscono la santa
Trinità. Ordiniamo dunque a quelli che osservono questa legge di prendere il
nome di Cristiani Cattolici, mentre tutti gli altri, che noi riteniamo stupidi e
pazzi, devono essere dichiarati eretici. Essi saranno puniti dall'ira di Dio, ma
anche dalla Nostra Autorità, guidati come siamo dalla sapienza divina".
Da questo editto
deduciamo che la Chiesa di Roma era considerata dagli imperatori come un
importante punto di riferimento per quanto riguardava la fede cristiana. Tale
fede era quella di Damaso, vescovo di Roma, ed anche del vescovo d'Alessandria,
un'altra importante chiesa dell'epoca. Ma anche se nell'editto è menzionato
anche il vescovo della chiesa d'Alessandria, è un fatto che la chiesa di Roma
acquistò sempre più importanza e la fede ivi professata era l'unica fede
ammessa nell'Impero. Perciò gli eretici Ariani, che negavano la divinità di
Cristo, furono considerati fuorilegge e quindi passibili anche di pene
giudiziarie. Anche i pagani cominciarono ad essere perseguitati e tra il 391 ed
il 392 i sacrifici pagani furono proibiti e molti templi furono chiusi. Possiamo
dunque dire che per l'anno 394 il Cristianesimo era diventato una vera e propria
religione di Stato e che l'Impero era stato "cristianizzato", nel
senso che essere cristiani non era più soltanto una questione di fede personale
in Cristo, ma anche una questione politica. Ed in tutto questo la Chiesa di
Roma, col suo vescovo, aveva sempre più la preminenza sulle altre chiese.
Ma per quale ragione
specifica il Vescovo di Roma divenne sempre più importante? Prima di tutto,
secondo una tradizione che ritengo attendibile, Pietro fu a Roma e dovette
esercitarvi il suo ministero apostolico. Ora, Pietro era considerato un grande
leader ed il suo insegnamento non si discuteva, essendo stato uno dei discepoli
prediletti da Gesù. Ne seguiva che nella Chiesa di Roma, dove Pietro aveva
insegnato, certamente si professava la verità. Da ciò seguì anche che tutto
ciò che veniva insegnato nelle altre chiese doveva essere in accordo con quanto
veniva insegnato nella Chiesa di Roma. Non dico che questa era una regola
generale ed ufficiale, ma questa era certamente la tendenza della Chiesa
Cristiana nel suo insieme.
La Chiesa di Roma era
quindi considerata la "Chiesa Cattolica" per eccellenza, poiché
dottrinalmente esprimeva la fede di tutta la Chiesa Cristiana. e questa sembra
sia stata la tendenza sin dalla seconda metà del secondo secolo, tanto è vero
che Ireneo, vescovo di Lione, nella sua famosa opera "Conro le Eresie"
parla della Chiesa di Roma come della "chiesa più grande ed antica, nota a
tutti, fondata e costituita dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo", e
quindi, secondo lui, "ogni altra chiesa deve essere d'accordo con questa
chiesa a causa della sua maggiore autorità" ( Ireneo, Contro le Eresie III,
3, 2 ).
Leopoldo Ranke, famoso
storico tedesco del secolo scorso, ha comunque ragione quando afferma nel primo
capitolo della sua "Storia dei Papi" che "è una pretesa vana
asserire che la supremazia dei vescovi di Roma era universalmente riconosciuta
in Oriente ed in Occidente già dal primo secolo in poi "; ma egli aggiunge
subito: "è però ugualmente certo che i vescovi di Roma ottennero ben
presto la preminenza, elevandosi al di sopra di tutti gli altri dignitari
ecclesiastici ".
A tal proposito, c'è un
importantissimo documento - una vera pietra miliare nella storia del Papato -
tradizionalmente noto come "Decreto Gelasiano", perché attribuito a
Gelasio I, vescovo di Roma dal 492 al 496. Questo documento si presenta come il
risultato di un sinodo romano tenuto nel 494. Sembra però che soltanto una
parte possa essere attribuita a Gelasio senza alcun dubbio. Ciò che comunque
qui ci interessa è che in tale decreto è chiaramente affermata la presunta
origine apostolica del Papato e si insiste sulla supremazia del Vescovo di Roma
su tutta la Chiesa Cristiana. Si asserisce in esso esplicitamente che, sebbene
la Chiesa di Cristo, sparsa in tutto il mondo, sia una, "la Chiesa di Roma
non è stata preposta alle altre chiese da qualche sinodo ecclesiastico, ma ha
ricevuto la supremazia dalla voce stessa del Signore e Salvatore nostro" (
Denzinger 350 ). Quindi nel documento si cita Matteo 16:18-19, dove Gesù dice a
Pietro: " Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le
porte dell'inferno non le potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei
cieli, e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto
ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto in cielo ". Secondo la
tradizionale interpretazione cattolica di questo famoso passo, Pietro fu
costituito da Gesù quale primo Papa o Capo della Chiesa Universale, ed il suo
ufficio fu trasmesso anche ai suoi successori nell'episcopato romano. Vi sono
anche altre chiese importanti, ma la Chiesa di Roma, con il suo Vescovo, è la
più importante ed ha la supremazia su tutte le altre chiese locali - questo è
quanto, in fondo, viene affermato nel Decreto Gelasiano. Questa dottrina sul
Papato è stata poi sviluppata attraverso i secoli fino a prendere la sua forma
attuale nei documenti ufficiali degli ultimi Concilii Ecumenici.
Ora, c'era una qualche
verità nell'affermazione che la vera fede era conservata nella Chiesa di Roma.
Difatti, come ho già accennato, personalmente credo che Pietro sia stato a
Roma, considerando la costante tradizione a riguardo. Tuttavia in nessuno dei
documenti più antichi a nostra disposizione è scritto che Pietro era
considerato il Capo della Chiesa Universale e che da Roma governava tutta la
Cristianità. In particolare, Eusebio di Cesarea, vescovo e storico,
contemporaneo dell'imperatore Costantino - siamo quindi nel IV secolo - parla
sia di Pietro che di Paolo come responsabili della Chiesa di Roma, ma non fa
alcuna distinzione tra di loro. Ma ecco le sue parole tratte dalla "Storia
Ecclesiastica":
"Sembra che Pietro
abbia predicato ai Giudei della diaspora nel Ponto, nella Galazia nella Bitinia,
nella Cappadocia, nell'Asia, e, da ultimo, venuto a Roma vi fu crocifisso con la
testa all'ingiù, poiché egli espressamente aveva chiesto di soffrire quel
genere di morte". Poi Eusebio aggiunge: "Che dire poi di Paolo? Da
Gerusalemme fino all'Illirico compì la predicazione del Vangelo di Cristo e,
compiuta la sua missione, più tardi subì il martirio a Roma, sotto Nerone...
Dopo il martirio di Paolo e Pietro, il primo che ottenne l'episcopato della
chiesa romana fu Lino" ( III,1,2-3 ; III,2,1 ed. Desclée 1964, p.150 ).
Notate che, nell'ultima frase citata Paolo è menzionato prima di Pietro. E'
certo quindi che un tale eminente scrittore e vescovo non credeva che Pietro
fosse il primo Papa o Capo della Chiesa Universale.
In un altro passo della
sua opera Eusebio cita, a sua volta, Ireneo, vescovo di Lione, che fa un elenco
dei vescovi di Roma - ecco il testo:
"I beati Apostoli,
che hanno fondato ed edificato la Chiesa di Roma, ne trasmisero il governo
episcopale a Lino, ricordato da Paolo nelle Lettere a Timoteo. Lino ebbe come
successore Anacleto. E dopo Anacleto, terzo a partire dagli Apostoli, Clemente.
Anche Clemente aveva veduto i beati Apostoli; era vissuto con loro, ne aveva
sentito con i propri orecchi la predicazione, ed aveva quindi veduto bene lo
svolgersi della tradizione. Non era solo. Al suo tempo, poi, vivevano ancora
molti di quelli che erano stati ammaestrati nella fede degli Apostoli... A
Clemente successe Evaristo..." ( V ,6, 1-5 ; ed. cit.pp.366,368 ; si veda
Ireneo,Contro le Eresie III, 3, 3 ).
E così via - l'elenco
arriva fino al vescovo di Roma contemporaneo di Ireneo. E la conclusione di
Ireneo, citato da Eusebio, è questa: "Attraverso questa serie di Pastori
ed il loro insegnamento, sono pervenute a noi la tradizione degli Apostoli e la
predicazione della verità".
Anche qui Pietro non è
elencato come il primo vescovo di Roma, dal momento che è menzionato assieme a
Paolo. Questo poi non è l'elenco dei primi Papi, ma soltanto di quei vescovi
che si supponeva avessero ben custodito e trasmesso ad altri la dottrina
insegnata dagli Apostoli. In fondo qui si applica il principio stabilito
dall'Apostolo Paolo nella II Lettera a Timoteo 2: 1-2, " Tu dunque,
figliuolo mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù, e le cose che
hai udito da me in presenza di molti testimoni, affidale ad uomini fedeli, i
quali siano capaci di insegnarle anche ad altri ".
Ma - possiamo chiederci -
come si può esser certi che ciò che è stato tramandato alle nuove generazioni
di cristiani è sempre costituito dagli stessi autentici insegnamenti di Gesù
Cristo e degli Apostoli?
Ireneo di Lione, che ho
citato, e che è stato citato anche dallo storico Eusebio di Cesarea, lui stesso
ci dice, all'inizio del III Libro della sua opera "Contro le Eresie",
che gli Apostoli nel loro insieme, "e ciascuno di loro avevano lo stesso
Vangelo di Dio.Matteo che stava tra gli Ebrei pubblicò il Vangelo in ebraico,
mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la chiesa. Dopo la
loro scomparsa, Marco, discepolo ed interprete di Pietro, pose per iscritto ciò
che Pietro aveva insegnato. Luca, compagno di Paolo, redasse a sua volta il
Vangelo da questi predicato. Più tardi Giovanni, discepolo del Signore, che posò
il capo sul petto di Lui, pubblicò il suo Vangelo al tempo che dimorava ad
Efeso, in Asia" ( ed. Cantagalli, Siena 1968, vol. I, p.231 ).
Tutto questo significa
che, secondo Ireneo, l'insegnamento di Gesù e degli Apostoli è stato
fedelmente riportato prima di tutto nei Vangeli e nel resto del Nuovo
Testamento, tanto che Ireneo lo cita spesso nella sua opera, perché considerava
le Scritture come il punto assoluto di riferimento in questioni riguardanti la
fede cristiana. La tradizione orale, diceva Ireneo, è utile per quelli che non
sanno leggere; deve essere inoltre usata quando si ha a che fare con gli eretici
che non accettano tutte le Scritture: a costoro bisogna indicare ciò che si
insegna nelle chiese dove gli Apostoli hanno insegnato. Dopo tutto, scriveva
Ireneo, "se gli Apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si
sarebbe forse dovuto seguire l'ordine della tradizione da essa trasmessa a
quelli ai quali affidavano le chiese? " ( op.cit. III, 4, 1 ; ed.cit.vol.
I, p. 237 ). Ma, grazie a Dio, aggiungo qui io, gli Apostoli ci hanno lasciato
le Scritture, e noi consideriamo le Scritture come unica fonte autentica delle
dottrine che stanno alla base della fede cristiana.
In ogni caso, se vi fosse
un'autentica tradizione al di fuori delle Scritture, tale tradizione non
potrebbe mai essere in contrasto con le Scritture, dato che la Rivelazione di
Dio è una e senza contraddizione. Ma proprio questo è il punto! Difatti ciò
che il Cattolicesimo Romano presenta come tradizione e genuina rivelazione di
Dio, spesso è in contraddizione con quanto leggiamo nelle Scritture. In
particolare, le Scritture sono contro la dottrina secondo cui la Chiesa
Cristiana dovrebbe avere un capo universale che esercita un'autorità suprema su
tutta la Chiesa, e che sarebbe infallibile quando definisce dottrine concernenti
la fede e la morale. Come ho già accennato, a parte l'interpretazione del
famoso passo di Matteo 16:18-19, si deduce dai Vangeli, dagli Atti degli
Apostoli e dal resto del Nuovo Testamento che Pietro non esercitò mai una tale
autorità suprema su tutta la Chiesa. E se vogliamo parlare di tradizione a
tutti i costi, è un fatto che per almeno cinque secoli non c'è stato nessun
Papato nella Chiesa.
Quanto al passo di Matteo
a cui ho fatto riferimento più di una volta, io credo che effettivamente Gesù
abbia voluto fondare la Sua Chiesa su Pietro, ma non su Pietro come individuo,
ma su Pietro come simbolo vivente del vero Cristiano. Ciò significa che Gesù
ha fondato la Sua Chiesa sulla fede di Pietro, che rappresenta tutti i veri
credenti - Petros , che corrisponde all'aramaico Cefa , che significa
"roccia", come difatti è esplicitamente chiamato a volte Pietro nel
Nuovo Testamento. Si tratta, insomma, della roccia della sua fede posta sulla
Roccia per eccellenza, cioè su Gesù stesso. E la fede di Pietro era come una
roccia, perché il suo oggetto era lo stesso Gesù. A tal proposito, dobbiamo
tener presente ciò che lo stesso Pietro ha scritto nella sua I Lettera :
"Accostandovi a Lui ( cioè a Gesù ), pietra vivente, riprovata bensì
dagli uomini, ma innanzi a Dio eletta e preziosa, anche voi, come pietre
viventi, siete edificati quale casa spirituale, per essere un sacerdozio santo,
per offrire sacrifici spirituali, accettevoli a Dio per mezzo di Gesù Cristo
". Ora, né in questo passo né nel resto del Nuovo Testamento troviamo un
versetto in cui si dice che Pietro è la pietra più importante basata sulla
Pietra angolare che è Cristo. Infatti tutti i Cristiani indistintamente sono
"pietre viventi" basate sulla Pietra vivente, che è il Signore Gesù
Cristo.
Sono inoltre interessanti
le parole rivolte da Gesù a Pietro, secondo Luca 22:31-32, " Simone,
Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho
pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai
convertito, conferma i tuoi fratelli ". Indubbiamente all'inizio e per
alcuni anni l'Apostolo Pietro fu un esponente di primo piano del gruppo
apostolico, un leader riconosciuto tra loro, ma mai un "Papa" con
poteri assoluti sulla Chiesa, seppur in nome del Signore.
Lo stesso dicasi di
Giovanni 21:15-19, "Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon
Pietro:
'Simone di Giovanni, mi
ami più di questi?' Egli rispose: 'Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene'.
Gesù gli disse: 'Pasci i miei agnelli'. Gli disse di nuovo, una seconda volta:
'Simone di Giovanni, mi ami?' ' Egli rispose: 'Sì, Signore; tu sai che ti
voglio bene'. Gesù gli disse: ' Pastura le mie pecore'. Gli disse la terza
volta: 'Simone di Giovanni, mi vuoi bene?' Pietro fu rattristato che egli avesse
detto la terza volta: 'Mi vuoi bene?' Egli rispose: 'Signore, tu sai ogni cosa;
tu conosci che ti voglio bene'. Gesù gli disse: 'Pasci le mie pecore. In verità,
in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove
volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e
ti condurrà dove non vorresti '. Disse questo per indicare con quale morte
avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: "Seguimi".
Il riferimento al fatto
che Pietro aveva rinnegato Gesù è evidente: qui si tratta della riabilitazione
ufficiale dell'Apostolo, che certamente non fu il solo a "pascere il
gregge" del Signore. Pietro aveva bisogno di quelle parole di conforto, che
confermavano la sua chiamata all'apostolato.
Quanto poi alla posizione
di Pietro nella Chiesa del primo secolo, sono degni di considerazione i suoi
rapporti con l'Apostolo Paolo. Molto illuminante è a tal riguardo il capitolo 2
della Lettera ai Galati. Paolo, per ispirazione divina, andò a Gerusalemme per
esporre ai leaders della Chiesa, gli Apostoli, i contenuti della sua
predicazione. Si trattò di un'opportuna verifica, considerando anche che egli
non apparteneva al gruppo dei Dodici ed era quindi nel numero degli Apostoli
che, come Barnaba ed altri, nel primo secolo ed in seguito sarebbero stati le
guide della Chiesa, pur non possedendo tutte le caratteristiche dei Dodici, come
quella di essere stati discepoli di Gesù mentre Egli era sulla terra, e
testimoni oculari della Sua risurrezione ( Atti 1:21-22 ).
Paolo è messo qui sullo
stesso piano di Pietro - "...perché Colui che aveva operato in Pietro per
farlo Apostolo dei circoncisi aveva anche operato in me per farmi Apostolo dei
Gentili ", cioè dei non-Ebrei (
Ga.2:8 ). Anzi nel versetto 9 Pietro o Cefa è menzionato tra Giacomo e
Giovanni, "che sono reputati colonne", e con Paolo viene menzionato
Barnaba - Paolo e Barnaba avrebbero evangelizzato prevalentemente i non ebrei,
mentre gli altri avrebbero evangelizzato prevalentemente gli Ebrei.
Dal versetto 11 fino alla
fine del capitolo ci troviamo poi dinanzi ad un Paolo che riprende in pubblico
il presunto "primo Papa". Infatti Pietro che ormai non osservava più
tante norme tradizionali giudaiche, tra cui quella di non mangiare assieme a non
giudei, quando si accorse della presenza di giudei cristiani, ma ancora
incoerentemente osservanti di tali norme, anch'gli si separò dai non giudei, ma
cristiani, non mangiando più con loro, ed inducendo così anche altri, tra cui
lo stesso Barnaba, a fare lo stesso. C'era quindi bisogno di un chiarimento di
idee sia di ordine dottrinale che di ordine morale, e questo fu proprio quello
che Paolo fece, sottolineando il fatto che ormai le "opere della
Legge" non avevano più il valore di un tempo, perché ora si era
giustificati dinanzi a Dio esclusivamente "mediante la fede in Cristo"
( v.16 ).
Paolo non ci dice quale
sia stata la reazione di Pietro, che, comunque, certamente non fece leva su un
suo presunto "primato" per giustificarsi: se lo avesse fatto, sarebbe
stato un evento troppo importante da non trascurare in quella lettera. Ma non
troviamo qui il minimo accenno ad una simile reazione.
Tutto questo dunque
ridimenziona di molto il ruolo avuto da Pietro nella Chiesa del primo secolo :
tra la posizione dell'Apostolo e quella di un Giovanni Paolo II nella Chiesa
Cattolica di oggi c'è un abisso che neanche le più sofisticate argomentazioni
della teologia cattolica possono e potranno mai colmare.
E' comunque un fatto che
il celebre passo di Matteo 16:18 ss. non fu interpretato da Pietro stesso e
dagli altri Apostoli come l'interpreta oggi la Chiesa Cattolica. Non c'è dubbio
che Pietro svolse un ruolo importante nella Chiesa del primo secolo, ma solo per
qualche tempo, considerando che gli Atti degli Apostoli si occupano per lo più
di ciò che fece Paolo, e nelle Scritture non si fa alcuna differenza tra ciò
che fece Pietro e ciò che fece Paolo. Certo, Pietro fu adoperato dal Signore
per aprire la porta del Regno di Dio ai non-ebrei, come deduciamo dall'episodio
della conversione di Cornelio e della sua famiglia, narrato nei capitoli 10 e 11
degli Atti degli Apostoli ; ma dopo di ciò Dio usò Paolo e molti altri, tutti
forniti delle "chiavi" dell'Evangelo per far sì che molti potessero
entrare nel Regno di Dio. Sebbene Pietro sia stato una figura eminente tra gli
Apostoli, non ne fu mai il capo riconosciuto - tra l'altro, fa fede di questo
specialmente un passo degli Atti degli Apostoli 8:14, dove leggiamo: " Ora
gli Apostoli che erano a Gerusalemme, avendo inteso che la Samaria aveva
ricevuto la Parola di Dio, vi mandarono Pietro e Giovanni ". Si noti qui
che il testo non dice che Pietro, quale capo degli Apostoli e della Chiesa, mandò
Giovanni, ma che gli Apostoli, nel loro insieme, decisero di mandare in Samaria
Pietro e Giovanni.
Inoltre, sempre negli
Atti degli Apostoli, capitolo 11, Pietro fu chiamato dagli altri Apostoli a
rendere ragione del fatto che aveva mangiato assieme ad un incirconciso. Pietro,
allora, non si appellò ad una sua presunta autorità personale su tutta la
Chiesa per giustificare il suo atteggiamento, ma, come un qualsiasi altro
Apostolo trovatosi in una circostanza simile, spiegò loro che la sua iniziativa
era stata presa in seguito ad un chiaro intervento del Signore ( Atti 10 ).
Quanto al senso di Matteo
16:19, " Io ti darò le chiavi del Regno dei Cieli; e tutto ciò che avrai
legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto sulla
terra sarà sciolto nei cieli ", bisogna tener conto soprattutto della
terminologia rabbinica qui usata. Difatti i termini greci deô ( legare ) e luô
( sciogliere ) corrispondono rispettivamente ai termini aramaici asàr e shera'
, che si riferiscono alla facoltà che avevano le autorità religiose giudaiche
di dichiarare proibite o lecite determinate cose. Inoltre tale facoltà
comprendeva la "scomunica", cioè il potere di allontanare dalla
sinagoga chi era ritenuto indegno ( come, ad esempio, in
Gv.9:22 ) e riammetterlo, se si pentiva sinceramente ( si veda
Strack-Billerbeck , Kommentar zum neuen Testament aus Talmud und Midrasch,
Munchen, ed. 1982, vol. I, pp.738 ss. ).
In Matteo 16:19 la facoltà
di "legare e sciogliere" sembra dunque essere una precisazione del
potere delle "chiavi del regno dei cieli": chi possiede queste
"chiavi", può anche "legare e sciogliere".
C'è inoltre da
considerare che il potere dato a Pietro secondo questo passo, è dato da Gesù
anche agli altri discepoli secondo Matteo 18:18. Da ciò si può dedurre che la
detenzione della "chiavi" non comporta uno speciale potere concesso
soltanto a Pietro, in quanto tale potere si identifica con quello di
"legare e sciogliere", concesso anche agli altri discepoli - " Io
vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate
nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel
cielo ". Queste parole seguono immediatamente le disposizioni del Signore
concernenti la disciplina da praticare nella Chiesa:
" Se tuo fratello ha
peccato contro di te, va e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai
guadagnato tuo fratello; ma se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due
persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni.
Se rifiuta d'ascoltarli, dillo alla chiesa; e se rifiuta d'ascoltare anche la
chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano. Io vi dico in verità che
tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le
cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo " (
Mt.18:15-18 ).
Queste ultime parole non
possono logicamente essere legate a quelle che seguono nei versetti 19 e 20 e
che riguardano la preghiera comunitaria - esse seguono logicamente ciò che è
stato affermato dal versetto 15 al versetto 17.
Tenendo quindi conto di
tutto il contesto del Nuovo Testamento, possiamo dire che i discepoli del
Signore, per quanto riguarda l'evangelizzazione, con l'annunzio dell'Evangelo
"legano" cioè dichiarano che una determinata persona è ancora legata
dal peccato e dall'ignoranza, se non ha accettato l'Evangelo, credendo in Gesù
quale Signore e Salvatore, e quindi "chiudono" il Regno di Dio ad una
tale persona; oppure "sciolgono", cioè dichiarano che una persona è
libera dal peccato ed è figlio o figlia di Dio, perché ha creduto in Gesù
quale Signore e Salvatore, dopo essersi sinceramente pentito dei propri peccati
- in tal caso, i Cristiani che evangelizzano, "aprono" il Regno di
Dio. Inoltre, come già ho affermato, il potere di "legare e
sciogliere" comporta anche la facoltà di una chiesa locale di esercitare
la disciplina nei confronti dei suoi membri indegni e che hanno commesso un
peccato pubblico. La chiesa, mediante il presbiterio o insieme degli Anziani ,
può mettere un suo membro "fuori comunione", non ammettendolo alla
Cena del Signore finché non si sia sinceramente pentito del mal fatto, e quindi
può essere riammesso (
si veda 1Co.5:1-5 ; 2Co.2:5-11 ). Quando i Cristiani esercitano tali
funzioni secondo la volontà di Dio, ogni loro decisione o dichiarazione è
avallata da Lui stesso.
Pietro quindi,
strettamente parlando, non ebbe nessun potere particolare, ma in base alla sua
dichiarazione di fede che per primo formulò chiaramente sotto l'ispirazione
dello Spirito Santo, ebbe solo il privilegio di essere il primo ad esercitare
tale potere in varie occasioni come, ad esempio, con il suo discorso nel giorno
di Pentecoste, quando si convertirono migliaia di persone, e con la sua missione
presso il centurione Cornelio, fatto questo che costituì il primo passo verso
l'ammissione di non-ebrei nella Chiesa.
Questi testi, infine
devono essere considerati alla luce di Giovanni 20 : 21 - 23, "Allora Gesù
disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi.
Detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi
perdonerete i peccati, saranno perdonati; e chi li riterrete, saranno ritenuti
". Questo non può significare altro - lo ripeto - che i Cristiani possono
dichiarare che una persona è stata liberata dai propri peccati, se crede in Gesù
Signore e Salvatore e si è pentito sinceramente di tali peccati, o che rimane
in stato di peccato se rifiuta di credere. Gesù infatti si riferisce
all'evangelizzazione che Egli affida ai Suoi discepoli.
Da tutto ciò segue che
la tradizionale interpretazione cattolica del passo in questione è errata,
perché è condizionata dalla dottrina cattolica sul Papato, affermatasi non per
obbedienza alla Parola di Dio, ma per un lungo e complesso processo storico, che
qui sarebbe difficile anche riassumere, considerando i limiti di questa
monografia.
Tuttavia è molto
interessante, a questo punto, conoscere il pensiero di alcuni scrittori
cristiani dei primi cinque secoli su tale questione: ci troviamo di fronte ad
una "tradizione", che di solito è in contrasto con l'attuale dottrina
cattolica sul Papato.
Facciamo qui solo qualche
esempio. Ho già fatto riferimento allo storico Eusebio di Cesarea,
contemporaneo dell'imperatore Costantino: Eusebio, a metà del IV secolo non sa
nulla di un primato del vescovo di Roma o Papa, e tanto meno di una sua
infallibilità personale. Ma andiamo a qualche secolo prima, ad Origene, famoso
e controverso dottore e scrittore, che visse tra il II e il III secolo. Ecco che
cosa scriveva sul celebre passo di Matteo 16:18 ss. :
"Se anche noi
abbiamo detto come Pietro, 'Tu sei il Cristo, il Figlio dell'Iddio vivente',
senza che questo ci sia stato rivelato dalla carne e dal sangue, ma dalla luce
proveniente dal Padre Celeste e che è brillata nel nostro cuore, noi diveniamo
Pietro, e quindi anche a noi potrebbe essere detto dalla Parola, 'Tu sei Pietro,
ecc.'. Infatti è una pietra o roccia ogni discepolo di Cristo, dal quale
bevvero quelli che bevvero dalla roccia spirituale che li seguiva, e su ognuna
di tali rocce è fondata ogni parola della Chiesa... Ma se supponi che soltanto
su Pietro sia costruita tutta la Chiesa di Dio, che diresti di Giovanni, il
figlio del tuono, e di ognuno degli Apostoli ?... Le chiavi del Regno dei Cieli
sono state date solo a Pietro ?... Se dunque la promessa ' Io ti darò le chiavi
del regno dei Cieli ' è stata fatta anche agli altri, non è dunque possibile
che tutto ciò che è stato detto prima a Pietro sia stato detto anche a loro
?... Chi imita Cristo, riceve il soprannome di 'Pietro' ( si veda Origene,
Commentario su Matteo, par. 10-11 ).
Anche secondo
Tertulliano, vissuto anche lui tra il II e il III secolo, "Pietro" è
un nome simbolico dato a Simone, in quanto l'Apostolo doveva rappresentare il
credente in Cristo, che basa la sua vita esclusivamente su Cristo, la Pietra o
Roccia per eccellenza. "Muta anche a Pietro il nome", scriveva
Tertulliano, "da quello di Simone, che aveva, poiché anche il Creatore
aveva rifatto i nomi di Abramo, di Sara e di Osea ... Ma perché l'ha chiamato
Pietro? Se fu per il vigore della fede, molte materie e solide, avrebbero potuto
dargli un nome dalla loro sostanza. O non forse perché Cristo è Pietra e Sasso
? Se è vero che leggiamo che Egli è stato posto come Sasso di inciampo e
Pietra dello scandalo... Pertanto cercò di comunicare in modo tutto particolare
al più caro dei Suoi discepoli il suo nome, per mezzo delle sue allegorie"
( Tertulliano, Contro Marcione IV,13,6 ; in Opere scelte, ed. UTET, Torino 1974,
p. 501 ).
Il celebre scrittore poi
precisa il suo pensiero così, commentando proprio Matteo 16:18 ss. :
" 'Su di te - Egli
dice - edificherò la mia chiesa' , e 'ti darò le chiavi', e 'tutto ciò che
scioglierai o legherai '... La Chiesa dunque è stata eretta su Pietro stesso,
cioè mediante lo stesso Pietro; Pietro stesso usò la chiave - ma quale chiave?
Ecco quale chiave: 'Uomini d'Israele, ascoltate queste parole! Gesù il
Nazareno, Uomo che Dio ha accreditato fra di voi...', ecc. (
At.2:22 ). Pietro stesso, dunque, fu il primo, mediante il battesimo di
Cristo, a spalancare la porta del Regno dei Cieli, in cui sono 'sciolti' i
peccati che erano una volta 'legati', e quelli che non sono stati 'sciolti' sono
'legati' nei confronti della vera salvezza" ( Tertulliano, De Pudicitia o
Sulla Modestia 21 ).
Tertulliano, dunque, pur
ritenendo che Cristo abbia costruito la Sua Chiesa su Pietro, vide nell'Apostolo
solo colui che ebbe il privilegio, per primo, di essere lo strumento della
conversione dei primi pagani. In altri termini, non vide nelle famose
"chiavi" un potere assoluto conferito da Cristo a Pietro e ai suoi
successori sulla Chiesa.
Tutta particolare, sempre
a tal riguardo, è la posizione di Cipriano, vescovo di Cartagine - siamo così
in pieno III secolo. Egli si inserisce nella schiera degli scrittori cristiani
dei primi secoli, occupando un posto di notevole rilievo. E' noto soprattutto
per la sua opera "Sull'unità della Chiesa". Abbiamo in questo
trattato la prima "teologia della Chiesa", formulata evidentemente
sotto l'incalzare delle eresie che tendevano a minare l'unione dei Cristiani. Si
spiegano quindi le espressioni drastiche di Cipriano come quella rimasta famosa:
"Habere non potest Deum patrem qui Ecclesiam non habet matrem", cioè
"Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre". Ma che
cosa Cipriano intendeva per Chiesa? E' senz'altro il "Corpo di
Cristo", l'insieme di tutti i credenti in Gesù Signore e Salvatore.
Secondo lui, non vi possono essere più "Chiese cristiane", nel senso
di chiese separate l'una dall'altra, con dottrine proprie e con una propria
organizzazione indipendente, per non parlare ovviamente di "chiese
eretiche". "Una è la Chiesa - afferma Cipriano - mentre si estende al
largo abbracciando una grande moltitudine per la sua crescente fecondità. E'
come il sole, che ha molti raggi, ma una sola è la sorgente luminosa" (
Cipriano, L'unità della Chiesa, 5 - 6 ; ed. Città Nuova, Roma 1967, pp. 83 ,
85 ).
Garanti e pilastri di
questa unità sono, a suo avviso, i Vescovi o capi delle comunità locali:
"E' proprio questa
unità che dobbiamo conservare fermamente e difendere soprattutto noi vescovi,
che stiamo a capo della Chiesa, e ciò affinché possiamo provare che anche
l'episcopato è uno e indiviso "( ibidem ).
Cipriano prova che
"l'episcopato è uno ed indiviso" appoggiandosi su una sua
interpretazione, estremamente interessante, del famoso testo di Matteo 16:18-19.
La difficoltà
fondamentale dell'interpretazione del famoso passo da parte di Cipriano è che
essa ci è pervenuta in due differenti edizioni che, a detta di alcuni esperti,
potrebbero benissimo essere dovute entrambe all'autore di tutta l'opera. Eccole:
Prima edizione : "
Sopra uno solo ha edificato la Chiesa. E benchè a tutti gli Apostoli dopo la
Sua risurrezione abbia conferito la stessa potestà, dicendo: 'Come il Padre ha
mandato me, anche Io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i
peccati vi saranno rimessi; a chi li riterrete vi saranno ritenuti', tuttavia,
perché si manifestasse l'unità dispose con la Sua autorità che l'origine
della stessa unità derivasse da uno solo. Anche gli altri Apostoli erano
certamente ciò che era Pietro, insigniti con eguale partecipazione di onore e
di potestà; ma l'inizio viene dall'unità, affinché la Chiesa di Cristo si
mostri una. Chi non conserverà questa unità della Chiesa, crederà forse di
conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, penserà di essere
nella Chiesa? " (
Poi cita Ef.4:4-6 ).
Seconda edizione :
"E dopo la risurrezione gli dice: 'Pasci le mie pecore'. Sopra uno solo
edifica la Chiesa e a lui comanda di pascere le sue pecore. E benché dia a
tutti gli Apostoli una eguale potestà, tuttavia costituisce una sola cattedra e
stabilisce con l'autorità della Sua Parola l'origine dell'unità. Anche gli
altri Apostoli erano certamente ciò che era Pietro, ma il primato fu dato a
Pietro, sicché si mostrasse una la Chiesa e una la cattedra. E tutti sono
pastori, ma ne risulta un sol gregge, poiché tutti gli Apostoli lo pascolano
con unanime accordo. Chi non conserverà questa unità, raccomandata anche da
Paolo, crederà forse di conservare la fede? Chi abbandonerà la cattedra di
Pietro sulla quale è fondata la Chiesa, penserà di essere ancora nella Chiesa?
" (L'unità della Chiesa 4, ed. cit. pp. 80-81).
Come è chiaro, la prima
edizione è poco "pietrina", mentre l'altra sembra addirittura
affermare un primato universale di Pietro e dei suoi successori. Resta però il
fatto che pure nel testo "pietrino" non è evidente che Cipriano
avesse già delineato una chiara dottrina sul Papato. Nella sua interpretazione,
infatti, la ragione per cui fu dato a Pietro il primato è che l'Apostolo doveva
essere simbolo dell'unità che doveva regnare nella Chiesa cristiana.
Particolarmente non risulta affatto che Cipriano ammettesse l'esistenza di
"successori di Pietro", in questa sua particolare funzione simbolica.
La Chiesa locale,
governata dal vescovo o pastore e dal collegio degli anziani ( presbiteri )
godeva quindi di ampia libertà disciplinare e organizzativa. Significativa è,
in questo caso, la famosa controversia sul battesimo degli eretici.
Attorno alla metà del
III secolo si pose il problema della validità del battesimo conferito da
eretici: coloro che provenivano da un'eresia e si convertivano, dovevano essere
ribattezzati ? Cipriano, vescovo di Cartagine, assieme ai vescovi africani, non
ha alcun dubbio in merito:
" Se la Chiesa,
poiché è una ed indivisibile, non ha posto tra gli eretici; se presso di essi
non si trova lo Spirito Santo, poiché è uno e non può essere presso gente
profana e di fuori, evidentemente neppure il battesimo, che posa sulla medesima
unità, può stare presso gli eretici, per la ragione che non può sussistere
distaccato dalla Chiesa e dallo Spirito Santo... Qual pretesa è mai questa di
sostenere polemicamente che si possa ben essere figli di Dio, senza essere nati
nella Chiesa? E' nel battesimo, infatti, che l'uomo vecchio muore e nasce di
nuovo: ne fornisce chiara testimonianza l'Apostolo: 'Ci ha salvati mediante un
lavacro di rigenerazione' ( Tito 3:5 ) " ( Epistola 74,4, 2 ; 74, 6,1 ; in
"Le Lettere", ed. Paoline 1979, pp. 483,484 ).
Un consiglio di vescovi
riunitosi a Cartagine nel 255 confermò la posizione di Cipriano.
Tuttavia Stefano, vescovo
di Roma, pensava il contrario e non intendeva cambiare idea: " Ci si
attenga alla tradizione! Se degli eretici vengono a voi, si impongano loro le
mani per accoglierli in penitenza " ( parole di Stefano riportate da
Cipriano nell'Epistola 74, 1,2 ; ed. cit. p. 479 ). Egli minacciò perfino di
considerare fuori della comunione fraterna chi avesse agito diversamente.
Cipriano però fu
anch'egli irremovibile, non riconoscendo a Stefano l'autorità di imporre le sue
idee ad altri. Riferendosi quindi all'atteggiamento del vescovo di Roma, egli
domanda a se stesso:
" Se è così che a
Dio si rende onore; se così sono rispettate il timor di Dio e la disciplina dai
suoi adoratori e dai vescovi, abbassiamo le armi, porgiamo le mani alle catene,
cediamo al Diavolo la legge dell'Evangelo, l'ordinamento tracciato dal Cristo,
la maestà stessa di Dio. Sciogliamo il giuramento della divina milizia,
ammainiamo le bandiere dell'accampamento celeste. Si pieghi la Chiesa e
s'arrenda all'eresia, la luce alla tenebra, all'empietà la fede, la speranza
alla sfiducia, il vero all'errore, l'immortalità alla morte; di fronte all'odio
capitoli la carità, alla menzogna la veracità, il Cristo all'Anticristo"
( Lettera 74, 8, 3 ; ed. cit. p.487 ).
Certo, queste non sono
parole da rivolgersi, seppur indirettamente, al vescovo di Roma, ad uno dei
primi "Papi"...
Cipriano in realtà non
riconosceva al vescovo di Roma un'autorità suprema su tutta la Chiesa; infatti
si appellò piuttosto alla Scrittura, negando la validità della tradizione
invocata da Stefano:
"Ma questa
tradizione da dove proviene? Deriva forse dall'autorità del Signore e
dell'Evangelo? Da una disposizione degli Apostoli o dalle Lettere loro?... Ora,
se nell'Evangelo - o almeno nelle Lettere degli Apostoli negli Atti - troviamo
l'ingiunzione di non battezzare 'quelli che provengono dall'eresia, di qualsiasi
sorta essa possa essere', ma di 'imporre loro le mani soltanto, per riceverli a
penitenza', allora questa tradizione, santa e divina, sia rispettata. Se, al
contrario, dapperttutto nessun altro nome è riservato agli eretici che non sia
quello di avversari e di anticristi; se vengono segnati come uomini da schivare,
'gente ormai fuori strada e che si condanna da se stessa' ( Tito 3:11 ), quale
stravaganza è mai quella di non considerare meritevole di condanna persone che
chiaramente, come conferma l'Apostolo, si condannano da se stessi! " (
Lettera 74, 2, 2-3 ; ed. cit. pp. 480,481 ).
Ecco dunque che il
vescovo di Cartagine proclama la netta superiorità della Scrittura al di sopra
della tradizione - anzi la Scrittura deve essere l'unico punto assoluto di
riferimento in questioni riguardanti la fede e la morale - anche se lo stesso
Cipriano, come vedremo in seguito, non sempre sia stato coerente con questa sua
posizione.
Ancor più complessa è
la posizione di Agostino, vescovo di Ippona ( 354-430 d.C. ) e considerato
"santo" dai Cattolici. In un primo tempo egli aveva ritenuto che la
Chiesa fosse stata fondata da Cristo su Pietro come persona, ma in seguito cambiò
idea. Difatti nelle "Ritrattazioni", un'opera in cui fa una revisione
delle sue opinioni teologiche, afferma esplicitamente:
"In un passo di
questo libro ( il suo commentario al Vangelo di Mt.) dissi dell'Apostolo Pietro:
'Su di lui come su una roccia, fu edificata la Chiesa'. So però che in seguito
spesso così ho spiegato ciò che disse il Signore: 'Tu sei Pietro e su questa
pietra edificherò la mia Chiesa' - questo deve essere inteso nel senso che Egli
avrebbe costruito la Chiesa su ciò che Pietro aveva confessato dicendo, 'Tu sei
il Cristo, il Figlio dell'Iddio vivente' . Quindi Pietro, così chiamato da
questa roccia, ha ricevuto le chiavi del Regno dei Cieli. Infatti fu detto a lui
'Tu sei Pietro' e non 'Tu sei la Roccia'. Ma 'la roccia era Cristo', confessando
il quale, come fa tutta la Chiesa, Simone fu chiamato Pietro" ( Agostino,
Ritrattazioni, 20, 1 ).
Altrove così il vescovo
di Ippona precisa ancor più il suo pensiero: Il nome di Pietro gli fu dato dal
Signore, perché doveva simboleggiare la Chiesa. Infatti se Cristo è la Roccia
( Petra ), Pietro è il popolo cristiano...
"Pietro dunque è
così chiamato dalla Roccia, non la Roccia da Pietro, proprio come Cristo non è
chiamato Cristo da cristiano, ma il cristiano da Cristo. 'Quindi', Egli dice,
'Tu sei Pietro e su questa pietra', che hai confessato, su questa pietra che tu
hai riconosciuto dicendo, 'Tu sei il Cristo, il Figlio dell'Iddio vivente, Io
edificherò la mia Chiesa', cioè su Me stesso, il Figlio dell'Iddio vivente,
'costruirò la mia Chiesa'. Costruirò te su Me, non Me su te. Uomini desiderosi
di costruire sugli uomini dicono: 'Io sono di Paolo, io di Apollo, ed io di
Pietro'. Ma altri, che non volevano essere edificati su Pietro, ma volevano
essserlo sulla Roccia, dicevano: Io sono di Cristo" ( Sermone XXVI , 1 - 4
).
Indubbiamente Agostino
esaltò, forse fin troppo, il ruolo di Pietro nella Chiesa del primo secolo, ma
nelle sue opere non c'è traccia del Papato, nel senso che mai l'illustre
teologo sostenne che il vescovo di Roma fosse l'infallibile capo della Chiesa
universale.
(Nota:quando non è indicato altrimenti, le citazioni "patristiche" sono tratte da William Webster, Peter the Rock, ed. Christian Resources Inc., Battle Ground, Wa, U.S.A. 1996 - è un'importante antologia di testi riguardanti l'esegesi di Mt.16:18 ss.).