Teopedia/Vinci il male con il bene
Vinci il male con il bene
Il principio biblico di Romani 12:21 afferma: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene". Questo passo biblico esorta i credenti a reagire al male e all'ingiustizia con la bontà e la compassione, invece di reagire con la violenza o l'odio.
In molti altri passi biblici, come ad esempio nei Vangeli, si esorta i credenti ad amare i propri nemici e a pregare per coloro che li perseguitano (Matteo 5:44). Questo insegnamento sottolinea l'importanza di rispondere al male con l'amore, anziché con la vendetta o la violenza.
Anche la storia di Giuseppe, figlio di Giacobbe, fornito nella Genesi, rappresenta un esempio di come rispondere al male con la bontà. Giuseppe è stato venduto dai suoi fratelli come schiavo in Egitto, ma non ha mai risposto al male con il male. Invece, ha mostrato compassione e misericordia verso i suoi fratelli, che si sono pentiti e si sono riconciliati con lui alla fine.
Allo stesso modo, anche la figura di Gesù rappresenta l'esempio più alto di come rispondere al male con la bontà. Gesù ha subito l'ingiustizia e la violenza, ma non ha reagito con la violenza o la vendetta. Invece, ha esortato i suoi seguaci a amare i loro nemici e a pregare per coloro che li perseguitano, come una dimostrazione del suo insegnamento sulla non-violenza e sull'amore universale.
In sintesi, il principio biblico di Romani 12:21 esorta i credenti a rispondere al male con la bontà, seguendo l'esempio di Giuseppe e di Gesù. Questo principio ha una grande rilevanza oggi, in un mondo in cui la violenza e l'odio sembrano essere diffusi. La risposta al male e all'ingiustizia non dovrebbe essere la violenza, ma piuttosto la bontà, la compassione e l'amore.
Dal Commentario del Bosio
L'incontro del cristiano colla malvagità umana sotto forma d'inimicizia personale, di offese di torti, di calunnie, di. persecuzioni, costituisce per lui un serio cimento, una lotta in cui la passione ha, per alleato, il sentimento stesso, della giustizia, ed in cui la sconfitta e la vittoria stanno appunto là dove il mondo ed il cuor naturale non le mettono. Il render male per male. Il lasciarsi travolgere dall'ira o dal rancore, il farsi giustizia da sè, anzichè rimettersi a Dio, è un esser vinto dal male, inquantochè il male, sotto forma d'inimicizia, volta contro a noi, è riuscito a trovare il nostro lato debole, ci ha feriti e fatti cadere. Per contro, il non cedere ai moti del cuor naturale, il render il bene per il male in modo da recare un turbamento salutare, fino nel cuore o nella coscienza del nostro nemico, è un vincere il male in lui mediante il bene fatto da noi: «il capolavoro della carità» (cfr. 1Corinzi 13; 1Pietro 2:2).
RIFLESSIONI
1. Le ventisette brevi esortazioni di questo paragrafo sono come collegate insieme da un filo d'oro che è l'amore cristiano, di cui Paolo dirà in Romani 13:10, ch'esso è «l'adempimento della legge». Quando si paragoni questa collana di doveri cristiani con 1Corinzi 13, colpiscono le molte analogie e il brano dell'Epistola ai Romani appare come la traduzione in prosa esortativa dell'inno alla carità dettato un anno prima. L'amor cristiano è sincero, è santo e aborre il, male anche in quelli che predilige, è pieno di fraterna tenerezza, di cortesi e rispettosi riguardi, di premura nel rendere servizi, di fervore spirituale al servizio del Signore. Attinge forza nella speranza, nella pazienza e nella preghiera perseverante; è benefico verso i bisognosi; benedice ai persecutori, simpatizza colle gioie, come coi dolori altrui, è umile e pacifico, non è vendicativo, ma trionfa del male col far del bene ai nemici.
2. «Si sviluppa spesso, nelle congregazioni dei fedeli, una tendenza aristocratica, forzandosi ognuno, in virtù della fraternità cristiana, di stringer relazioni con quelli che, per i loro talenti o per le loro ricchezze, occupano una posizione più elevata. Da ciò nascon piccole consorterie animate da spirito di alterigia, e che danno luogo ad esclusioni offensive e penose. L'Apostolo conosce queste piccinerie: e vuol prevenirle; raccomanda perciò ai membri della chiesa di stabilire relazioni con tutti ugualmente e, se voglion fare preferenze, di farle piuttosto a favore dei più meschini dei più indigenti, dei più ignoranti, dei meno influenti nella chiesa. L'antipatia che Paolo sente per ogni specie d'aristocrazia spirituale, per qualunque distinzione di caste in seno alla chiesa, si rivela anche nel precetto che condanna il sentire presuntuoso che ciascuno ha della propria saviezza, sentimento che porta a non tener conto dell'opinione degli umili ed a coltivar relazioni soprattutto con quelli che ci adulano ed il cui consorzio ci onora agli occhi degli uomini» (Godet).
3. Il non vendicarsi, il non maledire quelli che ci perseguitato anzi, l'invocar su di loro le benedizioni di Dio, il far loro del bene quando se ne offra l'occasione, è tal dovere che oltrepassa manifestamente le forze della natura e fa parte dello straordinario del Vangelo Matteo 5:47-48. Non lo può praticare se non chi ha ricevuto dallo Spirito un cuor nuovo e può esclamare con Paolo: «Io posso ogni cosa in Cristo, che mi fortifica». Gli stoici affermavano che «la voluttà della vendetta è propria d'un animo debole e piccino; ma è più facile l'avvolgersi orgogliosamente nel manto della propria dignità, che, non lo sradicar dal cuore i sentimenti dell'odio che maledice il nemico. Il cristiano non ottiene quella suprema vittoria se non dallo Spirito d'ella vita che lo porta a tener lo sguardo fiso in Dio ch'è il solo giudice infallibile e giusto, ma ch'è altresì l'Iddio delle infinite compassioni, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, che ha dato il suo Figliuolo per coloro ch'erano nemici, che ci ha riconciliati a sè mezzo di Cristo, che vuol salvati tutti uomini e non ignora quanta parte abbia l'ignoranza nei persecutori i quali «non sanno quello che fanno» e possono esser tratti a ravvedimento dall'amore che ricambia il loro odio.
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