Teopedia/Neocalvinismo

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Neocalvinismo

Il prefisso "neo" può avere una connotazione negativa o positiva. E’ negativa se evoca una degenerazione del movimento al quale si collega, mentre è positiva se ne rappresenta un aggiornamento compatibile con le proprie origini storiche.
Quasi tutti i movimenti hanno registrato tentativi di ripresa e per tutti si pone la questione se siano stati rispettati o meno le premesse del movimento originario: neortodossia, neofondamentalismo, neotomismo, neoliberalismo, neoevangelicalismo. L’interrogativo vale ovviamente anche per il termine "neocalvinismo", ma prima delle precisazioni necessarie, si può tentare una definizione approssimativa del movimento.
Col termine neocalvinismo si indica una ripresa del pensiero calvinista alla fine del XIX° secolo e all’inizio del XX°, una ripresa che si prefigge di ripensare le categorie calviniane in un nuovo contesto storico, culturale e teologico.

Origini e caratteristiche

Come spesso accade, il termine deve le sue origini ad una polemica. Fu infatti usato in modo negativo nei confronti di Abraham Kuyper (1837-1920) per squalificare il suo impressionante tentativo di ripensare la fede riformata come una visione del mondo onnicomprensiva.
In Olanda Kuyper si era infatti fatto interprete e instancabile promotore della fede riformata non solo in ambito ecclesiastico, ma anche pubblicistico, giornalistico, accademico, sociale e politico. L’impegno di Kuyper manifestava infatti un’am-piezza di prospettive tale da far pensare al Riformatore ginevrino.

Col tempo il termine di "neocalvinista" finì per denotare una sempre più vasta area di pensiero e acquisire un diritto di cittadinanza nell’am-bito teologico. Tuttavia non mancano coloro che continuano a mostrare qualche reticenza nell’utilizzo del termine privilegiando piuttosto quello classico di "riformato". Ecco perché in molti Dizionari non esiste neppure tale "voce".

Per cogliere qualche elemento essenziale del neocalvinismo può essere utile tenere presente la situazione teologica tra il XIX° e il XX° secolo. Si confrontavano allora diverse impostazioni di fondo. C’erano quelle di stampo liberale (razionalista, morale, del sentimento religioso, di un cristianesimo sociale) e c’erano quelle più conservatrici. Nel fare i conti con la modernità, c’era da un lato chi assumeva le categorie del liberalismo e dall’altro chi vi si contrapponeva in maniera frontale.
Il neocalvinismo tentava di tracciare una via diversa, una via che si distinguesse sia dal liberalismo che dal fondamentalismo pietista e dispensazionalista e che cercasse di fare i conti con la cultura secondo la specificità del cristianesimo. Il neocalvinismo si distingueva nettamente dalla neortodossia, perché rimaneva profondamente ancorato alla concezione della Scrittura propria dei Riformatori e in particolare di Calvino. Il Dio totalmente altro di Barth, silenzioso e lontano, era assai diverso dal Dio che si era rivelato in una rivelazione storica e che attestava se stesso in essa.

Ma il neocalvinismo non si accontentava neppure di una strategia di tipo difensivistico nei confronti della modernità come accadeva in ambito neofondamentalista. Sottolineava piuttosto la dipendenza assoluta di tutta la realtà da Dio e sosteneva la necessità di rifarsi a Lui in tutte le sfere dell’esistenza. Il cristianesimo doveva concepirsi in "antitesi" rispetto alle altre visioni del mondo senza che questo comportasse l’arroccamento dei cristiani ai margini della società. Al contrario essi avrebbero dovuto rivendicare la verità e la ricchezza del messaggio evangelico per tutti gli ambiti della vita.

Senza complicare troppo le cose si può dire che la visione neocalvinista si rifaceva agli interpreti classici del calvinismo e ne prolungava il pensiero rappresentando un’autenti-ca ventata d’aria fresca. Le sue intuizioni e la sua capacità di tradurle in pratica costituivano una sfida non indifferente nel confronto con le più svariate tendenza della cultura.

Anche se è difficile tratteggiare una mappa esaustiva degli esponenti più significativi del movimento, si possono indicare, oltre ad A. Kuyper, H. Bavinck (1854-1921) in Olanda; i teologi della Facoltà teologica di Westminster (J. Gresham Machen, C. Van Til) negli Usa; A. Lecerf (1872-1943) e P. Marcel (1910-1992) in Francia.

Accanto a questi, si potrebbero citare molti altri studiosi che hanno elaborato le intuizioni del neocalvinismo in molti altri campi del sapere. Si pensi ai filosofi D.H.T. Vollenhoeven (1892-1978), H. Dooyeweerd (1894-1977), H. Stoker, ma anche a molti altri studiosi e istituzioni che hanno prolungato la riflessione nell’ambito delle proprie discipline.

E’ possibile delineare le caratteristiche principali del neocalvinismo? Anche se al suo interno, come sempre, si possono trovare sfumature diverse, alcuni elementi possono essere considerati abbastanza diffusi.

Il neocalvinismo sottolinea prima di tutto come Dio sia veramente il fondamento della realtà, della conoscenza e della vita. Egli è ritenuto l’unico sufficiente a se stesso e l’unico punto di riferimento sia per il pensiero che per la condotta umana. La distinzione tra Dio e la creazione è dunque fortemente marcata e conduce a rigettare con determinazione ogni tentativo di superare il confine che separa il Creatore dalla creatura. Si tratta del tema della sovranità di Dio interpretata in tutte le sue implicazioni. Un tema caro alla tradizione riformata che rischiava però di essere messo in discussione dai compromessi con il pensiero moderno.

Un altro elemento caratteristico riguarda la distinzione tra le leggi di Dio e ciò che è soggetto a tali leggi. La creazione presuppone sempre una relazione tra legge e soggetto che non vale solo per il mondo della natura, ma anche per tutti gli altri aspetti della realtà come l’arte, la politica, il commercio, il divertimento, il culto e così via. Dato che Dio è posto in relazione ad ogni dimensione della vita non deve stupire che il neocalvinismo si sia dimostrato attento a tutti gli ambiti.

Un’altra fondamentale distinzione riguarda la realtà del peccato. Se la "struttura" si riferisce al cosmo creato così come doveva essere nel piano originario di Dio, la "direzione" indica l’orientamento errato del creato introdotto a causa del peccato. E siccome il peccato e la redenzione hanno una portata cosmica, questa distinzione vale per tutta la creazione e comprende quindi ogni attività culturale, sociale, morale e religiosa. Così, ad esempio, se la struttura della razionalità è un dato creaturale uguale per ogni soggetto, la direzione non lo è in quanto può darsi in un contesto di comunione oppure di ribellione con Dio. La neutralità è pertanto esclusa.

La salvezza acquista così in questo contesto tutta la sua forza e il suo significato. Può infatti essere intesa come ricreazione e rigenerazione, cioè dire, la grazia non distrugge né integra la natura, ma piuttosto la ricrea e la restaura nell’ambito della nuova relazione col Dio dell’alleanza.

Il neocalvinismo si distingue così dal cattolicesimo romano perché afferma che il Dio infinito si è manifestato e si attesta da sé. Questa è la ragione per cui esso respinge l'idea dell'autonomia delle realtà terrestri e temporali, come quella della autonomia della ragione. Dio solo è infatti autonomo.

Sul piano epistemologico lo spirito finito dell’uomo può svolgere il suo compito in maniera corretta solo se è in rapporto con la rivelazione biblica in comunione con lo Spirito che l’ha ispirata. La fede riceve da Dio i presupposti necessari al funzionamento della ragione. La sua direzione è infatti corrotta e non può pertanto conoscere Dio.

Come il calvinismo è una visione della realtà che si preoccupa di ripensare tutta l’esistenza coram Deo, così il neocalvinismo mostra grande interesse per un prolungamento della prospettiva riformata in tutti i campi della conoscenza. La fede cristiana non è una semplice teoria della conoscenza, ma è anche e indissolubilmente, una vita e un’etica.

Lo sfondo neocalvinista ha fatto sì che in certi paesi il mondo evangelico, o meglio evangelicale, ricevesse un vero nutrimento. Questo retroterra teologico e culturale permetteva al movimento evangelicale di trovare un collegamento con la Riforma e quindi col cristianesimo storico. In altri paesi come per esempio l’Italia, l’evangelicalismo si è invece sviluppato quasi in totale indipendenza dalle proprie radici storiche con tutta la fragilità che ciò ha comportato.

Osservazioni

Ci sono diversi modi di collocarsi nella storia e di appropriarsi della sua eredità. Ci si può servire del passato come di un fregio senza contenuti, o come di un momento essenziale per la propria fisionomia. Il collegamento formale o verbale ha infatti un valore relativo, perché ciò che conta è se l’eredità sia sufficientemente salvaguardata e prolungata.

La visione del mondo sviluppata dal Riformatore ginevrino, sia per l’ampiezza di prospettive che per l’enorme impatto avuto, è uno di quei momenti privilegiati nel procedere della fede cristiana e il neocalvinismo appare uno dei modi più rigorosi per conservarne e rilanciarne il pensiero in un mondo profondamente mutato.

Anziché servirsi di un nome come di una reliquia incapace di interagire col presente, o, peggio ancora, di utilizzarlo per fini sostanzialmente estranei alla visione originaria esso ha cercato di prendere sul serio la realtà contemporanea senza perdere il contatto con le origini.
Il confronto con la cultura ha sempre caratterizzato il pensiero riformato classico ed è difficile considerarsene eredi senza fare i conti con questa dimensione. Le pressioni della cultura esigono talvolta un prezzo non indifferente per chi non ha vere radici e all’inizio del secolo, il confronto con la cultura ha registrato fenomeni di fuga, ma anche di estraneità e di risucchio.

I fattori sono molteplici e non è nemmeno possibile evocarli qui brevemente, rimane però un fatto incontrovertibile, e cioè, che la fede riformata deve essere capace di rinnovarsi e di far fronte alle sfide del tempo pur sapendo che l’autorità su cui si fonda non si lascia condizionare dal tempo.

Presa com’è da una simile ambizione, questa visione rischia talvolta di non tenere in debito conto il ruolo dell’individuo all’interno della comunità credente e di propugnare quindi un’ecclesiologia deficitaria. Fu probabilmente questa una delle maggiori lacune della fede riformata al suo nascere e non si può dire che il neocalvinismo abbia sufficientemente operato su questo fronte per correggere quella distorsione. L’impegno per l’Altissimo sembra così trascurare il ruolo della comunità confessante o lasciarla un po’ nell’ombra.
Se si tiene conto delle osservazioni complessive fatte fin qui, il neocalvinismo si configura però come l’autentico prolungamento del calvinismo classico. Di quest’ultimo esprime la forza dinamica e creatrice che, non facendosi irrigidire in un arido formalismo né annientare dalle tentazioni della modernità, sa reinterpretare e ricontestualizzare in modo coerente e omogeneo le intuizioni originarie.

Bibliografia

  • A. Kuyper, Lectures on Calvinism, Grand Rapids, Eerdmans 1931;
  • J. Van der Kroef "Abraham Kuyper and the rise of neo-calvinism in the Netherlands" CH 17(1948) pp. 316-334;
  • H. Hart – J. Van der Hoeven –
  • N. Wolterstorf (edd), Rationality in the calvinian tradition, Lanham, Mm, University Press of Amercia 1983;
  • A. Probst "Qu’est-ce que le néo-calvinisme?" La Revue Réformée XXXIV (1983) pp. 67-76; D. Wells (ed), Reformed Theology in America.
  • A History of Its Modern Development, Grand Rapids, Eerdmans 1985;
  • J. Bratt, Dutch Calvinism in modern America, Grand Rapids, Eerdmans 1988;
  • J. Klapweijk "La philosphie d’après Calvin et le néo-calvinisme" Hokhma 64 (1997) pp. 44-68.