Teologia/I grandi sistemi teologici

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


I grandi sistemi teologici

Henri Blocher (da “Studi di teologia”, n. 6, 1980)

All'interno della teologia cristiana, generalmente riconosciuta come tale, possiamo distinguere quattro tipi teologici principali: i primi due (liberale e neo-ortodosso) si rifanno ad una norma soggettiva; gli altri due (cattolico ed evangelico) ad una norma oggettiva. Il primo ed il terzo sono espressione di tendenze antropocentriche (si fondano infatti sull'esperienza religiosa in senso ampio, o sulla realtà della chiesa attraverso i tempi, considerata come manifestazione del divino); il secondo e il quarto si considerano teocentrici (se la realtà divina s'incarna ed appare fra gli uomini se ne sottolinea l'alterità e si da rilievo alla dimensione verticale).

IL TIPO LIBERALE

Si potrebbe anche definirlo tipo "modernista" (termine usato soprattutto per designare il liberalismo cattolico, ma che meglio degli altri esprime le motivazioni centrali di questa teologia), oppure tipo "neo-protestante" (come lo chiamava Karl Barth), o anche tipo "critico".

La nozione di rivelazione (se si da ancora il nome di rivelazione a ciò che permette di parlare di Dio). La capacità di conoscere Dio è insita nell'uomo: essa è una potenzialità della sua natura - per lo meno se è religioso. Dio è rivelato in maniera costante e costituzionale nella sua creatura spirituale, la quale deve e può con i suoi mezzi - individualmente e socialmente – stabilire che cosa si debba dire di Lui. L'accento è posto sulla continuità fra Dio e l'uomo e sull'immanenza divina. (Auguste Sabatier, il fondatore della scuola simbolo-fideista, scelse come motto per il suo Esquisse de la philosophie de la religion: Quid interius Deo? ).

Lo statuto della Scrittura. Malgrado la loro nozione di rivelazione, i liberali conservano alla Scrittura un certo posto, più o meno ampio. La Bibbia viene considerata come il frutto raffinato della capacità naturale dell'uomo di conoscere Dio. Come tale essa resta intrisecamente umana. Non vi è differenza qualitativa fra essa e gli altri testi religiosi antichi e moderni. Anch'essa rivela la sua dipendenza dalla legge del progresso umano. Essa contiene numerose imperfezioni: al teologo il compito di operare una cernita in base alle certezze che è riuscito ad acquisire in maniera immediata. L.'A.T. e Paolo sono alquanto svalutati in favore del "semplice Vangelo di Gesù".

Varietà del liberalismo La realtà spirituale dell'uomo è differenziata: la sua "capacità" di captare il divino si può quindi collocare su diversi piani:

a) la ragione (liberalismo razionalista): I deisti, prima di Kant, riducono il cristianesimo ad una religione razionale che postula l'esistenza di un Dio unico ed i principi della morale. Gli idealisti, dopo Kant, seguono soprattutto Hegel in un razionalismo più ambizioso con sfumature panteistiche: la Bibbia ha avuto il merito di inculcare nel popolo puerile, attraverso l'immagine (Vorstellung) l'Idea (Begriff) che solo dalla ragione può essere formulata in maniera pura: tutto ciò che nella Bibbia non è Begriff è superstizione;

b) il sentimento religioso (liberalismo pietista e romantico): Schleiermacher conserva meglio di quanto non facciano i razionalisti l'elemento peculiare, sui generis, della religione: l'esperienza religiosa è nello stesso tempo onte e norma della teologia. Quest'ultima è Giaubenslehre: dottrina della fede intesa soggettivamente. Al centro della fede-esperienza è il sentimento di dipendenza, indifferente alla verità: il peccato deve essere inteso come coscienza del peccato, cioè come insufficiente sentimento di dipendenza (esso è strettamente legato alla natura individuale che implica differenza). La fede cristiana aggiunge a ciò due note specifiche: il senso teologico (morale) e la figura di Gesù: Gesù è "Dio" nel senso che egli raggiunge la perfetta coscienza di Dio (della sua dipendenza e unità con l'Assoluto) ed è il Redentore per il fluido spirituale che emana da lui. I dogmi sono dei simboli: tutta la cultura storica del cristianesimo e della letteratura biblica ha una funzione paragonabile a quella delle opere d'arte: tradurre e trasmettere il sentimento d'appartenenza e di compenetrazione[1] .

I modernisti cattolici sono assai vicini al liberalismo pietista. Il simbolo-fideismo francese unisce a tali elementi quelli della corrente di cui ci occuperemo ora.

e) La coscienza (liberalismo moralista). Kant, separando la ragione pura dalla ragione pratica, mette la fede in relazione coi postulati di quest'ultima: non si sa niente sull'aldilà. Sulla sua scorta, influenzato da Lotze, A. Ritschi critica tanto il razionalismo speculativo quanto il pietismo e separa i giudizi di fatto dai giudizi di valore: questi ultimi esprimerebbero delle opzioni pratiche. L'agnosticismo metafisico esclude ogni possibilità di conoscere Dio in base al primo tipo di giudizio: non restano che i valori che Gesù ha predicato e "incarnato". Lo slogan è "deeds, but not creeds". Ciò che nella Scrittura appare come fatto metafisico deve essere re-interpretato come valore pratico (compresa la divinità di Gesù). Ritschi insiste sulla comunità e sulla storia: i suoi discepoli cominciano dopo di lui a distinguere fra "Historie" (storia esterna dei fatti) e "Geschichte" (storia inferiore delle scelte). Le correnti neo-liberali del XX secolo sono più complesse: nello stesso tempo sintetiche ed estremiste. Bultmann che sembrava negare ogni immanenza, la ristabilisce in maniera paradossale: Dio corrisponde alla negazione del mondo, quindi al mondo negato: il suo soggettivismo lo pone sulla stessa linea di Schleirmacher e la sua separazione fra fede e fatti su quella di Ritschl. La rivelazione coincide per lui con il sorgere della libertà, dell'esistenza autentica. Tillich, dal canto suo, si rifà piuttosto a Hegel ed a Schleiermacher: per il suo "naturalismo estatico" (l'espressione è sua) la rivelazione è l'estasi della ragione che percepisce la profondità dell'Essere e tutto ciò che si dice di Dio ha valore simbolico.

Obiezioni Nelle sue diverse forme, la teologia liberale: a) è in aperto contrasto con l'insegnamento apostolico e con l'attitudine degli uomini della Bibbia, l'autorità dottrinale degli apostoli non ha più alcun peso. Con quale diritto dirsi cristiani quando si respinge la sola definizione storica del cristianesimo? Molto meglio fondare un'altra religione, come ha sostenuto J. Gresham Machen nel suo libro Christianity and Liberalism (1923),

b) lede gravemente la teologia della Bibbia: l'opposizione non è soltanto formale (rifiuto dell'autorità), ma anche materiale (amputazione del contenuto, che nei casi estremi viene quasi totalmente eliminato). La gravita del peccato viene ignorata. La libertà di Dio subisce un'intollerabile limitazione da parte della pretesa pietà dell'uomo.

c) è affetta da instabilità congenita: il carattere soggettivo della norma la rende facile preda di tutte le mode filosofiche. La storia della teologia liberale ci mostra come essa poggi sulle sabbie mobili, esposta ad ogni vento di dottrina.

d) non può che restare muta di fronte a Feuerbach e a Freud: il Dio di cui essa intende parlare non è altro, per il modo in cui è stato costruito, che una proiezione umana. Certamente si può concedere che un Dio venga raggiunto attraverso il sentimento religioso, il senso morale ecc. non deva necessariamente essere una proiezione umana. Potrebbe infatti avere una realtà indipendente. Ma la tendenza al panteismo, quasi sempre presente nel liberalismo, conferma il sospetto dei critici: il Dio di cui si parla potrebbe benissimo non essere altro che una proiezione della realtà umana, presa concretamente come riferimento ultimo di questa.

Da quanto detto risulta che la teologia liberale cade, con conseguenze ancora più gravi, nelle stesse insidie dei movimenti entusiasti. Essa aggiunge di suo la mondanità: all'ispirazione dei singoli sostituisce lo "spirito del tempo". Il sottrarre alla Scrittura tante sue parti provoca danni ancora maggiori che non l'aggiungervi qualcosa.

IL TIPO NEO-ORTODOSSO

Si potrebbe definirlo anche tipo "dialettico" (è questa la designazione più frequente in Germania dopo che si è parlato di "teologia della crisi"), o "barthiano" (dal nome del suo esponente più ragguardevole), i

La nozione di rivelazione (è un concetto centrale di questa teologia, la cui parola-chiave è proprio "rivelazione"). Se Dio. non si rivela personalmente, l'uomo non ha alcun mezzo per conoscerlo: la teologia dialettica sostiene esattamente l'opposto della teologia liberale. La rivelazione è talmente estranea alla natura dell'uomo che non assume mai una forma stabile ed adeguata al livello di quest'ultimo; essa resta unicamente in atto e la sua forma creata è, secondo Barth, contraddizione precisa del suo contenuto. Barth rifiuta perfino il "punto di contatto" (Anknupfungspunkt) formale, ancora ammesso da Brunner. L'accento cade quindi sulla trascendenza e sulla discontinuità (“l’infinita differenza qualitativa" kierkegaardiana fra tempo ed eternità, su cui Barth dichiara, nel 1921, di fondare tutta la sua teologia).

Lo statuto della Scrittura. La Scrittura gode di considerazione assai maggiore che non presso i liberali, ma senza che il suo statuto sia quello di rivelazione o di Parola di Dio[2]. L'avvenimento, sospeso alla libera grazia di Dio, non può fissarsi, coagularsi in un libro. Di per sé la Sacra Scrittura non è che una testimonianza umana, fallibile, della Rivelazione. Essa è una testimonianza privilegiata ed unica in virtù della sua associazione a Gesù Cristo (che è, da parte sua, l'avvenimento della Parola di Dio) ed in virtù dell'uso che lo Spirito Santo ne fa nella Chiesa (per mezzo della Bibbia lo Spirito Santo "ripete soggettivamente" l'avvenimento della rivelazione, rendendoci contemporanei di Gesù Cristo). Nonostante ciò la Scrittura deve essere sottoposta alla critica, senza che le venga riconosciuto alcun privilegio in questo campo.

I neo-ortodossi negano di operare una scelta all'interno della Scrittura, ma in realtà essi enucleano da essa quanto possono sostenere le loro intuizioni fondamentali. In linea di massima essi sono molto paolini pur manifestando scarso entusiasmo per le epistole pastorali...si rifanno ai riformatori: a Lutero con maggior fiducia che a Calvino e, a quanto sembra, anche con maggior diritto.

I vari orientamenti all'interno della neo-ortodossia. A seconda dell'intuizione-chiave, a seconda del modo in cui viene prospettato l'avvenimento della rivelazione, nascono all'interno della neoortodossia vari orientamenti.

a) La concentrazione cristologia (Barth e i barthiani). Il pensiero dell'ultimo Barth mette l'accento sull'oggettività dell'avvenimento della rivelazione in Gesù Cristo incarnato e risuscitato. In quella grande Summa che è la Dogmatica ecclesiale tutti i problemi sono risolti in funzione del coinvolgimento sia di Dio che degli uomini in questo avvenimento. Non si può tuttavia fare a meno di notare come la pretesa oggettività dell'avvenimento sia circondata da un alone di soggettivismo:

- l'avvenimento ci è esclusivamente accessibi1-e nella sua ripetizione soggettiva, hic et nunc, quando Dio lo desidera, senza che esista un deposito oggettivo (discorse adeguato ecc.).

- il fatto della resurrezione si è effettivamente verificato (Geschichte), ma non fa parte del campo della storia che è oggetto dell'indagine degli storici (Historie).

b) II personalismo esistenzialista (Brunner e molti neo-ortodossi anglosassoni). Influenzati da una forma moderata di esistenzialismo che oppone il rapporto lo-Tu al rapporto lo-qua (Ferdinand Ebner, Martin Buber), questi studiosi comprendono generalmente l'avvenimento della rivelazione come incontro personale (titolo di un'opera di Brunner: La verità come incontro). L'antinomia fondamentale della verità-tu e della verità-qua (solo l'ultima assimilabile dalla ragione), impedisce che l'incontro sia tradotto in termini oggettivi.

c) Gli atti di Dio nella storia (scuola della "Heiisgeschichte" e "Biblical theology"). Un gruppo di teologi, formato soprattutto da biblisti (pochi sono fra essi i dogmatici), introduce nella neo-ortodossia una sfumatura di empirismo e si distacca maggiormente da Barth. Dio si rivela nella serie dei suoi alti atti salvifici come l'Esodo e, in maniera suprema, l'opera di Gesù Cristo. Resta una certa ambiguità per quanto riguarda il rapporto fra questa "storia della salvezza" e la storia senza ulteriori specificazioni, la Scrittura non è che una testimonianza della rivelazione, necessariamente fallibile perché umana. Pannenberg si propone di superare questa ambiguità e di ripudiare ogni forma di fideismo, ma il suo tentativo fallisce quando si tratta di riallacciare la storia, che egli vede dominata nella maniera più assoluta dal contingente, al suo fine, in cui si situa la rivelazione[3].

La costruzione teologica. La libertà della rivelazione e l'antitesi Natura-Grazia in Barth, così come l'antitesi esistenzialista in Brunner implicano una scissione della ragione nel discorso che commenta la testimonianza, già di per sé inadeguato ad esprimere la rivelazione. In teologia il pensiero non potrà quindi essere che dialettico: esso non si concederà alcuna sosta, non si lascerà distorcere da ricorsi alla logica classica ed arriverà così al di là di se stesso. Secondo Barth esso può servirsi di ogni filosofia senza asservirsi ad alcuna di esse. Le confessioni di fede sono tenute in alta considerazione fra i neo-ortodossi (atteggiamento, questo, in netta antitesi con quello dei liberali), ma senza che si richieda una stretta sottomissione ad essa. Questo rispetto è espressione della volontà di lavorare nella e per la chiesa.

Obiezioni La teologia neo-ortodossa nelle sue differenti forme e soprattutto in quella barthiana (che è di gran lunga la più vigorosa)

a) è anch'essa in contraddizione con alcuni testi molto chiari del N.T., come quelli che identificano la Scrittura con la Parola di Dio stesso e quelli che proibiscono al cristiano di rimettere in discussione un qualsiasi punto dell'insegnamento apostolico (cfr. I Tess. 2, 13; I Cor. 14,37). I neo-ortodossi si appellano costantemente, contro la Scrittura, a Cristo. Ma a quale Cristo? (cfr. Gv. 10).

b) Deforma i due temi biblici cui in opposizione ai liberali, vuole ridare il posto che loro compete. La gravita del peccato viene infatti riconosciuta, ma il suo carattere di colpa viene attenuato: il dualismo, che generalmente costituisce un presupposto, fa si che il peccato venga pericolosamente accostato alla finitudine. La libertà di Dio assume un carattere di instabilità sconosciuto alla Scrittura. Senza alcun sostegno biblico la si pone in contraddizione con la sua espressione terrestre. Perché? E' facile scorgere in ciò l'effetto di presupposti filosofici confessati o latenti.

c) Abbandona l'individuo all'arbitrarietà della scelta individuale: senza una norma oggettiva da seguire, l'uomo resta prigioniero delle sue intuizioni personali e se ne serve come di un criterio extrabiblico per interpretare i testi biblici e al tempo stesso operare delle distinzioni fra di essi. Se poi si afferma che queste intuizioni personali sono il frutto dell'avvenimento della rivelazione, così come lo produce lo Spirito Santo, si cade in pieno entusiasmo. In realtà i neo-ortodossi non sono degli entusiasti ed il loro avvenimento della rivelazione non assomiglia affatto all'esperienza di Montano: il loro pensiero è influenzato, piuttosto, dalle loro letture e dagli ambienti accademici. Potremmo cosi parlare di un entusiasmo colto.

d) II suo teocentrismo è alquanto equivoco: il preteso teocentrismo viene infatti rimesso in causa quando si attribuisce al soggetto, al teologo, la responsabilità critica. Poiché manca una rigorosa obbedienza alla Sacra Scrittura, Dio non è in realtà il Signore della teologia. E' un fatto eloquente che Bultmann, il cui pensiero è così fortemente antropocentrico, sia sembrato per un certo tempo seguire la stessa strada dei teologi dialettici.

IL TIPO CATTOLICO

Si potrebbe definirlo "tradizionalista" o "istituzionale". Il termine cattolico deriva da Kat' holon (secondo la totalità) e richiama l'idea di universalità geografica e di integrità dottrinale (nel primo caso il termine si riferisce all'estensione - la chiesa si definisce romana, ma non latina, nel secondo alla verità: l'eresia costituirebbe così la scelta di una parte soltanto dei dati della rivelazione).

La nozione di rivelazione. La conoscenza di Dio è possibile in due modi e a due livelli diversi: a) la rivelazione naturale permette alla ragione, anche senza il soccorso della grazia, di provare l'esistenza di Dio e di riconoscere numerosi suoi attribuiti (il Concilio Vaticano I ha condannato la tesi opposta)} b) la rivelazione propriamente detta permette alla fede di conoscere i misteri a condizione che questi vengano sottoposti alla chiesa che li ha ricevuti in deposito.

Nel periodo successivo alla Riforma (e alla Controriforma), questa rivelazione è stata praticamente identificata con l'insegnamento proposizionale della gerarchia ecclesiastica, mentre la fede è stata identificata con l'adesione intellettuale. Una forte reazione vitalista e personalista ha modificato profondamente, negli ultimi anni, questa situazione. Oggetto della fede è oggi il mistero divino, in cui si realizza una comunione d'amore: vi confluiscono l'opera storica della salvezza, la parola legata ad essa la sua realizzazione nel credente. La fede vi corrisponde come una "simpatia spirituale", una luce affine, grazia soprannaturale che è partecipazione al mistero stesso[4].

In relazione con il rinnovato interesse biblico e con l'accento posto sull'incarnazione, l'ephapax biblico viene esaltato, ma solo nella prospettiva di una incarnazione continuata all'interno e per mezzo della chiesa[5]. Lo statuto della Scrittura, della tradizione e del magistero

Per il Concilio di Trento, così come per il Vaticano I e per il Vaticano II la Scrittura è dato rivelato, Parola di Dio, in virtù dell'ispirazione. Di conseguenza essa è inerrante. Secondo la più recente formulazione "si deve dichiarare che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errori la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere"[6]. Secondo le interpretazioni più diffuse, tuttavia, l'aggiunta "per la nostra salvezza" assegna carattere di infallibilità alla sola verità "salutare", distinta dal resto della Scrittura, almeno come dimensione a sé stante. Nella realtà dei fatti, gli esegeti cattolici contemporanei se ne servono come di un implicito permesso a mettere da parte ogni idea di inerranza e praticano senza alcun freno una critica di ispirazione naturalista. Le bellissime parola di Congar sull'ispirazione[7] sembrano piuttosto trovare eco pratica nello studio scientifico dei testi.

Con il termine di "Sacre Lettere" il cattolicesimo intende :

a) il canone ebraico dell'A.T.

b) i cosiddetti libri deutero-canonici (apocrifi per i protestanti) e cioè: Tobia, Giuditta, I e II Maccabei, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, nonché alcune aggiunte ai libri di Ester e di Daniele. Questi testi sono presenti in alcuni manoscritti della traduzione greca dell'A.T. (Septuaginta) ed i cattolici traggono la conclusione che essi appartenessero ad un "canone alessandrino".

e) il canone comunemente riconosciuto del N.T. Malgrado le aggiunte, tuttavia, il canone non è la sola autorità che determini le scelte teologiche. Alla Scrittura vengono infatti associati la tradizione e il magistero. Il cattolicesimo del periodo successivo alla Controriforma insegnava infatti la teoria delle due fonti della rivelazione? la tradizione era considerata un deposito originariamente orale che risaliva agli apostoli e che completava i dati scritti, espressi e commentati dai Padri e dalla Chiesa.

Oggi si trovano ancora tracce di questa concezione[8], ma più spesso si sente proporre una nuova interpretazione de-lle formule tridentine. Dato che i padri conciliari del XVI secolo avevano preferito a una formulazione che ponesse 1'Evangelo "in parte nelle Sacre Scritture, in parte nelle tradizioni non scritte" un'altra formulazione in cui compariva un più generico "e", Eiselmann sostiene che la tradizione apostolica interamente contenuta nella Scrittura senza ridursi ad essa[9]. La tradizione è per lui il mistero vivente che si esprime in modo particolare per mezzo della Scrittura, ma di cui la storia della chiesa e la tradizione apostolica mostrano il senso completo[10].

Chi enuncia questo senso si identifica con chi definisce la tradizione. Ma a chi spetta questo ruolo? Senza dubbi alla chiesa! Infatti ad essa è stato affidato il deposito perché lo custodisse e ne testimoniasse: è essa che vive il mistero[11]. La "ecclesia docens", cioè la gerarchia ecclesiastica, continua l'opera degli apostoli nella custodia e nell'interpretazione del deposito: essa ha ricevuto da Dio un magistero autorizzato.

La "ecclesia audiens" può aver piena fiducia nell'infallibilità del magistero per tutto quanto riguarda la fede e la morale. Questa fiducia si basa sulle promesse del Signore e sulla continuità ecclesiale. Il magistero concretizza l'illuminazione dello Spirito Santo (lumen fidei), difficile a discernersi nei casi individuali, ma non per 1'intero corpo.

E’ vero, non tutti gli interventi della gerarchia sono infallibili. Lo è soltanto l'indirizzo generale seguito nell'esercizio ordinario del magistero, sorretto dai decreti infallibili dei concili ecumenici e dalle dichiarazioni ex cathedra del Papa (infallibile quest1ultimo di per sé e non in virtù del consenso della chiesa)[12]

II magistero così descritto ha sempre l'ultima parola: "il giudizio della gerarchia è l'elemento formale che costituisce la tradizione nel suo valore dogmatico". L'oggetto primario della fede è quindi la chiesa.

Lo sviluppo dogmatico La presenza di più autorità infallibili solleva un problema: e se esse non vanno d'accordo? Le evidenti differenze fra l'insegnamento del magistero e quello della Scrittura, considerata di per sé, rendono spinoso tale problema. Per risolverlo sul piano teorico il cattolicesimo sostiene a sostanziale unità delle tre autorità: per risolverlo sul piano pratico fa prevalere la terza, quella del magistero.

L'apologetica di un tempo (Bossuet) esaltava l'immutabilità del dogma cattolico di fronte alla "mutevolezza, protestante". Per spiegare le aggiunte alla dottrina neotestamentaria si faceva ricorso al principio dello sviluppo logico e soprattutto si invocava la seconda fonte, la tradizione apostolica orale. Allorché la critica storica rese insostenibile questa soluzione ed il Romanticismo introdusse una nuova valutazione positiva del divenire, sorse una nuova apologetica (Mohler, Newmann). Essa pone l'accento sulla vita del magistero che cresce come un albero all'interno della chiesa, la quale gli resta fedele mentre esso si sviluppa.

Con risonanze vitalistiche più o meno marcate i teologi cattolici contemporanei descrivono l'evoluzione del dogma come un passaggio dall'implicito all'esplicito: dall'intuizione globale alla progressiva presa di coscienza[13].

La Scrittura non può contenere che suggerimenti, tali da provocare successive espressioni, grazie al "dinamismo oggettivo" della Parola di Dio[14]. Fondamento teologico dello sviluppo è il principio della cooperazione umana alla rivelazione[15].

Lo stesso vale per la mariologia: l'appellativo Kecharitoméne (Luca 1,28) suggerisce che Maria possieda tutte le grazie che una creatura ha la possibilità di ricevere[16]. Il legame fra la chiesa e Maria nel quarto Vangelo e nell'Apocalisse ed il tema di Dio che visita il suo popolo (Luca capp. 1 e 2) giustificano, "sia pure in maniera confusa ed allusiva" il successivo sviluppo[17]. Ma a chi il compito di distinguere fra sviluppi legittimi e deviazioni? Gli argomenti razionali e storici possono essere d'aiuto in questo campo, ma la decisione spetta al magistero.

Le scuole teologiche All'interno di questa cornice teologica esistono diverse scuole. Le più importanti sono senza dubbio quella agostiniana, quella tomista e quella gesuita (la terza è la più aperta alle influenze filosofiche moderne).

Il tomismo rappresenta una posizione d'equilibrio (su ragione e fede, su natura e grazia) e gode di una posizione privilegiata nel campo del l’insegnamento. Ma il "doctor communis", come veniva chiamato S. Tommaso, non è affatto infallibile (si pensi al suo energico rifiuto di ammettere l'immacolata concezione!) ed un teologo è libero di non seguirlo. Negli ultimi anni un numero sempre crescente di teologi fa uso di questa libertà; S. Tommaso è ancora un "dottore per tutti, ma non è più il dottore di tutti", come afferma K. Rahner[18].

Obiezioni Le sue qualità tecniche e la sua sottigliezza di ragionamento rendono la teologia cattolica assai più difficile da criticare che non le precedenti. Prenderemo di mira la forma più rappresentativa del "tipo": quella di un tomismo aperto, che non ha ancora imboccato la strada del modernismo.

a) Attribuisce alla chiesa un ruolo che non le viene riconosciuto nel N.T. Le conferisce un potere di definizione dogmatica che appartiene solo agli apostoli (il fondamento è stato posto una volta per tutte e non deve essere sostituito o proseguito per ogni nuova generazione). I testi citati per provare la continuità (da Pietro ai suoi "successori romani", per esempio) vengono sottoposti evidentemente a singolari sollecitazioni. Benché gli venga reso l'omaggio delle "labbra", 1' ephapax non. riceve affatto l'onore che gli è dovuto: la dualità di Opera e di Parola che esso implica si dissolve nella penombra mistico- misterica, l'idea dell'incarnazione continuata, ostentando continuamente l'Avvenimento, gli toglie ogni vigore.

b) Non tiene conto, neppure essa, come K. Barth ha ben detto, della gravita del peccato (la ragione naturale è in grado, senza la grazia, di conoscere delle verità su Dio, l'uomo coopera alla rivelazione) ne della libertà di Dio (si può parlare di una "canalizzazione dello Spirito Santo").

c) L'evoluzione del dogma pone dei problemi insolubili. Anche le teorie più elasti che trovano un ostacolo insormontabile in certi fatti (per esempio il papa Onorio I lancia l'anatema contro i diteliti ed il Concilio di Costantinopoli, nel 680, lo lancia contro i" monotelitiche erano stati approvati da Onorio...). Soprattutto il gioco dei suggerimenti impliciti è un po' troppo facile. In realtà la Bibbia non ha più la funzione di norma fondamentale, benché sia riconosciuta come tale. La chiesa non viene più giudicata dalla Parola. Al contrario, proprio ciò che la chiesa crede ha peso decisivo e questa pretesa viene giustificata adducendo un'illuminazione da parte dello Spirito Santo. Si riconosce in ciò l'essenza stessa del pensiero entusiasta, ma in una versione collettiva o istituzionale.

d) II profondo antropocentrismo del sistema cattolico si manifesta nello scivolamento della maggior parte dei teologi di oggi in una nuova forma di modernismo. Ci si può domandare se il tipo "cattolico", che costituisce il più abile adattamento della teologia cristiana all'antropocentrismo di una mentalità ellenizzata e della religione naturale abbia ancora un avvenire dinanzi a sé. Infatti oggi questa mentalità è scomparsa ed il paganesimo ha cambiato volto.

IL TIPO EVANGELICO

Lo si definisce anche "biblicista" (se non si riserva questa definizione alla scuola di Beck fiorita nella Germania del XIX secolo) o "protestante .ortodosso". A volte si usano i termini "conservatore" o "fondamentalista", anche se numerosi esponenti del tipo "evangelico" mostrerebbero una certa esitazione di fronte ad essi. I Riformatori devono essere considerati i padri di questo tipo.

La nozione di rivelazione. L'uomo peccatore non può conoscere Dio in virtù delle proprie forze, se Dio non gli si rivela in maniera speciale. Dio ha fatto ciò, con una condiscendenza che l'ha fatto discendere allo stesso livello degli uomini. Egli ha dato alla sua Parola una forma adeguata (per quanto riguarda la verità della comunicazione). In tale forma la Parola costituisce per la chiesa il fondamento posto una volta per tutte. La Paro la non è soltanto una raccolta di teoremi: essa è un messaggio personale, mezzo d'incontro fra Dio ed il credente? in quanto tale, tuttavia, essa comprende delle proposizioni che esigono l'assenso del fedele: informazione ed interpretazione rivelate unite ai fatti della salvezza.

Perché l'uomo possa dare il suo assenso, occorre che il suo cuore venga illuminato e cambiato dallo Spirito di Dio, il che implica rincontro personale con il Dio che ha parlato e che "sostiene" la sua Parola. L'incontro fra Dio e l'uomo nella storia non viene addomesticato, ne dissolto nell'immanenza (come avviene nel liberalismo e nel cattolicesimo) e non si volatilizza nella trascendenza (come in Barth).

Lo statuto della Scrittura. La Scrittura è ex genesi Parola di Dio, rivelazione divina (in un senso letterale e distinto da quello secondo cui Gesù Cristo è Parola di Dio). Ciò è vero in virtù dell'ispirazione plenaria degli autori (theopneustia) . La Scrittura ed essa soltanto ha autorità sovrana sulla teologia.

I teologi del XVII secolo enumeravano quattro perfezioni della Scrittura: autorità, necessità (per disposizione divina), perspicuità (chiarezza), sufficienza. Oggi occorre sottolineare l'inerranza e menzionare il carattere progressivo della rivelazione nella storia della Scrittura. Tale carattere progressivo non si riferisce alla verità, pura in tutta la Scrittura, ma all’estensione delle cose rivelate e alla precisione e chiarezza della loro esposizione. La Scrittura è autopistos: essa possiede in sé il diritto di essere creduta. Tuttavia essa riceve il credito che le compete in virtù della testimonianza dello Spirito Santo.

Il canone dell'A.T. era affidato alla Sinagoga che ha reso testimonianza dei suoi limiti; quello del N.T. è stato riconosciuto in maniera provvidenziale dall'insieme dei cristiani (dopo un periodo di inevitabile incertezza sulla sua delimitazione) .

L'interpretazione del la Scrittura Si tratta di un punto nodale decisivo per tutta la teologia, ma in modo particolare per i teologi evangelici. Infatti proprio attraverso l'interpretazione l'unica autorità svolge il suo ruolo. La difficoltà si presenta notevole: se la Scrittura, deve restare sovrana, essa stessa deve guidare la propria interpretazione e fornirne i principi direttivi: ma come potrà farlo se non si comprende ancora ciò che essa dice?

Gli evangelici non hanno ignorato questo problema: può darsi che non l'abbiano affrontato sufficientemente. Essi hanno sottolineato la chiarezza della Scrittura (sulla scorta di Lutero, che parlava di "belle und klare Worte" della Bibbia). Tale chiarezza riduce le dimensioni pratiche del problema, ma non lo risolve teoricamente (la chiarezza che supplisce, per quanto riguarda l'essenziale del messaggio salvifico, alle deficienze di un'interpretazione spontanea e poco rigorosa non esime affatto dal compito di un'interpretazione rigorosa). Gli evangelici hanno sostenuto che la Scrittura si autointerpreta.

Generalmente questo principio ha portato, come conseguenza pratica, a mettere l'accento sulla regola dell'analogia della fede, cioè del confronto dei testi, della spiegazione delle parti oscure per mezzo della dottrina d'insieme, del rispetto per l'armonia della teologia biblica. A volte, già in Calvino e più tardi in Pelano, l'espressione sembra designare la necessità di privilegiare un principio supremo (quello della gloria di Dio). Questa è una tendenza pericolosa, come si può constatare dagli sviluppi che ha avuto in Barth (egli designa con "analogia della fede" un principio cristologico a priori che ci sembra deviante).

La confessione di fede è la cerniera fra l'autorità della Scrittura e la disciplina dottrinale, all'interno della chiesa: norma normata essa riassume l'interpretazione delle dottrine importanti della Scrittura ammessa in una data chiesa. Essa è riformabile in linea di principio in base all'autorità della norma normans che è costituita esclusivamente dalla Scrittura, ma è raro che deva venire riformata.

Le varietà teologiche. Le diverse teologie evangeliche si distinguono piuttosto per il contenuto (su alcuni punti) che per il sistema di costruzione teologico. A livello di questa trattazione di carattere introduttivo notiamo solo diversi gradi di fiducia nella ragione naturale e di simpatia nei riguardi della tradizione cristiana.

La teologia luterana ha scarsa fiducia nei tentativi di sintesi sistematica, pur praticandoli. Essa è la più strettamente confessionale. La teologia riformata mira in maniera più precisa ad una comprensione ordinata e coerente della fede e, pur mantenendo una rigorosa unità confessionale, si mostra più libera ed aperta al dialogo. Le altre teologie (anglicana evangelica e di diversi gruppi dissidenti) sono spesso più sensibili alle influenze esterne o, in un minor numero di casi, tendono a ripiegarsi su se stesse.

Tentazioni Riteniamo corretto il tipo evangelico e, a differenza che agli altri, non gli poniamo obiezioni. Tuttavia esso è sottoposto, in pratica, a tentazioni specifiche: è tentato di imitare gli altri, oppure, come reazione contro di essi, può cadere in errori simmetricamente opposti» In ultima analisi anch'esso è tentato di fraintendere la gravita del peccato e la libertà di Dio, di ricadere in un antropocentrismo più o meno sottilmente velato.

a) Come i liberali, gli evangelici subiscono a volte l'influenza della filosofia e della scienza del momento (o di quella sorpassata) senza volerselo confessare. Può invece accadere che, per reazione, cadano nell'oscurantismo e livellino la diversità storica messa in evidenza dai liberali. Spesso essi falliscono nel compito di traduzione transculturale, conservando un linguaggio che ha fatto il suo tempo per non rischiare di perdere il messaggio.

b) Come i neo-ortodossi, gli evangelici si lasciano a volte trascinare in un dualismo che non è biblico (per esempio fra ragione e fede). Ma, come i neo-ortodossi rimproverano loro essi non rispettano sempre la libertà di Dio; mettono in secondo piano la necessità dell'illuminazione da parte dello Spirito Santo non riconoscono sempre in maniera sufficiente la fallibilità delle loro teologie ed il loro carattere provvisorio (theologia viatorum').

c) Come i cattolici, essi considerano spesso la confessione di fede come espressione irriformabile della verità biblica. Per reazione contro i cattolici, al contrario, mancano spesso di senso ecclesiale nelle loro teologie e si privano dei vantaggi che si potrebbero trarre dal lavoro dei fratelli e dei padri nella fede.

Per concludere basterà ricordare che:

- la fedeltà non è conformismo,

- l'obbediensa non è pigrizia,

- la libertà non è comodità.

Note

[1] Ancor oggi il saggio di E. Brunner su Schleiermacher, Die Mystik und das Wort, 1924, è quanto di più acuto sia stato scritto sull'argomento.

[2] La migliore presentazione e discussione della dottrina di Barth sulla Scrittura è quella di Klaas Runia, “Karl Barth: Doctrine of Holy Scripture, Grand Rapids 1962, di cui esiste un riassunto in italiano su Certezze (1967) N. 53-54, pp. 5-11

[3] Ignace Berten, Histoire, révélation et foi. Dialogue avec W. Pannenberg, Bruxelles 1969. Questo autore non è sufficientemente critico, ma ha avvertito la difficoltà che noi osserviamo (tra l'altro), pp.58s., 61, 63 s.

[4] Cfr. il bei concetto degli "occhi della fede" di cui parla Joseph TrUt-sch, Questiona Théologiques aujoùrd'hui, t. I, Pa-rigi 1966, pp. 80 ss.

[5] E. Schilebeeckx, Theologische Peilingen Vol. I: Openbaring en Theologie, Bilhoven 1964(tr. it.. Rivelazione e teologia, Roma 1966, pp. 25,31); cfr. Y. Congar, La Coi et la théologie. Toc mai 1962. p. A4 (tr. it., La fede e la teologia. Roma 1967, p. 53).

[6] “Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione", Enchiridion Vaitcanum, Documenti: II Concilio Vaticano II, Bologna 1971, III, 11.

[7] Y. Congar, op. cit., p. cit (tr. it. p. 12).

[8] Y. Congar, op. cit. p. 144 (tr. it. p. 157).

[9] Josef R. Geiselmann, Die Tradition in Fragen der Theologie heute, Einsiedein 1960, (tr. fr. Parigi 1964, pp. 134 ss.).

[10] E. Schillebeeckx, op. cit., pp. 202, 87 : "La tradizione è l'eucaristia prima della dottrina dell'eucarestia". Congar va nella stessa direzione con maggior moderazione, op. cit., pp.23. (tr. it., pp.30,53)

[11] Y. Congar, op. cit. p. 48 (tr it., p. 56).

[12] Ibid., pp. 159 ss. (tr. it. pp. 172 ss.).

[13] E. Schillebeeckx, op. cit. , pp. 87 s.; Y. Congar, op. cit., p. 98 n. (tr. it., p. 109n.), cfr. p. 115 (tr. it., p. 126).

[14] E. Schillebeeckx, op. cit., pp. 193, 196.

[15] Y. Congar, op. cit., pp. 103 ss. (tr. it. pp. 114 ss.).

[16] Ibid.. p. 103 (tr. it., p. 114).

[17] E. Schillebeex ,op, cit., p. 195 .

[18] Cit.da J. M. Paupert, Vieillards de chrétienté et chrétiens de l'an deux mille, p. 212.