Storia/Saluzzo riformata/Prefazione
Arturo Pascal, “Il Marchesato di Saluzzo e la Riforma protestante durante il periodo della dominazione francese (1548-1588)”. Firenze: Sansoni Editore, 1960.
Prefazione
Come ogni altro movimento di natura religiosa e spirituale, la Riforma Protestante non può essere considerata come un fatto per sé stante, da studiarsi esclusivamente nei suoi elementi costitutivi e nelle sue peculiari vicende, ma esige di essere collocata in una visuale più ampia e studiata in relazione costante con l'ambiente e con il tempo, nei quali sorse e si svolse e dai quali attinse le cause determinanti dei suoi fatti interiori e le sue particolari caratteristiche. Perciò abbiamo voluto che nel nostro studio, alla storia, per così dire interna e ristretta del movimento riformato saluzzese si accompagnasse, sufficientemente completo, l'esame di tutti quei fattori locali: geografici, politici, militari, economici, sociali, religiosi e morali, i quali in varia misura, con apporto diretto od indiretto, favorevole o sfavorevole, influirono sulle condizioni del movimento riformato saluzzese durante il periodo della dominazione francese (1548-1588). Crediamo che una storia, così condotta, mentre indubbiamente riceve essa stessa luce e chiarificazione dalla storia profana, la quale così spesso e così strettamente s'intreccia con quella religiosa, possa, a sua volta servire ad una più esatta ed obbiettiva valutazione di molti fatti di altra natura, i quali, per essere stati studiati finora con troppo scarso riferimento alle vicende ed allo spirito della Riforma Protestante, non hanno trovato né il loro completo sviluppo, né il loro reale valore.
In questa nuova visuale debbono essere posti per non citare che alcuni fatti il trattato stesso di Castel-Cambresis, la lotta contro le immunità ecclesiastiche, la rivolta del maresciallo Roger de Bellegarde (1579), le costanti aspirazioni sabaude al possesso del Marchesato e la successiva conquista di esso per opera di Carlo Emanuele I (1588), le lunghe controversie tra Francia e Savoia per l'aggiudicazione del Marchesato, ed il trattato stesso di Lione (1601), che ne riconobbe definitivamente il possesso al duca sabaudo.
I continui ed intimi riferimenti ai fatti civili e profani fanno si che la nostra narrazione, mentre rimane sostanzialmente la storia della Riforma Protestante nelle terre saluzzesi, diventi in taluni momenti, e non sempre nei minori, anche una pagina di storia civile del Marchesato. E non solo per ciò che concerne le sue vicende interne, ma soprattutto per quanto riguarda le sue relazioni esterne e politiche.
Infatti, profondamente incuneato nei domini sabaudi cisalpini e transalpini, tra il Piemonte, la Contea di Nizza e la Vicaria di Barcellonetta: situato sulle facili vie di comunicazione, che conducevano dalla pianura al Delfinato ed alla Provenza e legato per vari rapporti alle restanti provincie del regno di Francia, il Marchesato di Saluzzo non poté fare a meno di sentire, ora più ora meno fortemente, i contraccolpi degli avvenimenti di varia natura, che seguirono in questo periodo, così al di qua come al di là delle Alpi, e di essere, a sua volta, causa e stimolo pulsante di parecchi degli avvenimenti maturati nelle terre limitrofe. Ciò spiega perché la nostra trattazione debba assai spesso esulare dai limiti ristretti del Marchesato per seguire sulle terre di Savoia e di Francia quei fatti, che di volta in volta servono a spiegare le speciali vicende del movimento riformato saluzzese od a chiarirne i mutevoli aspetti. È necessario, invero, per la cosciente valutazione dei fatti, che noi teniamo costantemente d'occhio non solo le guerre civili e religiose di Francia, ma la politica religiosa, che i duchi di Savoia perseguono nelle terre contigue del Piemonte: che consideriamo attentamente le ripercussioni, che gli editti di persecuzione o di pacificazione provocheranno nelle terre finitime del Cuneese, del Pinerolese, del Delfinato e della Provenza che ci addentriamo nella fitta rete di intrighi e di complotti abilmente tessuti dalla diplomazia francese, sabauda e spagnola, per decidere a proprio favore le sorti del Marchesato. Giacché intrighi politici, fatti militari e vicende religiose sono in questo periodo così strettamente intrecciati fra loro che la storia profana non può essere scissa da quella religiosa, né questa da quella, a meno di dare all'una e all'altra una visione ristretta e parziale dei fatti.
Queste osservazioni abbiamo voluto premettere per giustificare il titolo ed il contenuto della nostra trattazione, la quale non pretende già di essere una storia generale del Marchesato, bensì una storia del Marchesato studiata prevalentemente nei suoi più intimi e particolari rapporti con le vicende della Riforma Protestante.
La quale Riforma ebbe nelle terre del Marchesato una durata di più di cento anni, dai primi decenni del secolo XVI al quarto decennio del secolo XVII. Il corso delle sue vicende si può cronologicamente dividere in quattro periodi con caratteri nettamente distinti.
Il primo periodo, che va dal 1525 circa al 1548, è il periodo incerto, confuso, frammentario dell'incubazione e della preparazione del moto sotto il rapido declino del governo marchionale. Sono anni incessanti di guerre tra Francia ed Impero e di lotte fratricide tra i figli di Ludovico II, l'ultimo dei grandi marchesi. Truppe luterane e riformate, al soldo dell'una o dell'altra parte, seminano, insieme con le stragi ed i saccheggi inevitabili, le nuove dottrine della Riforma, diffondono libri ereticali e, spesso assistite da ministri e cappellani, predicano il Vangelo al popolo, preparando qua e là nelle piazze del Marchesato, dove soggiornano come guarnigione, i primi nuclei delle congreghe riformate, che saranno attestate dai documenti più sicuri dei decenni posteriori. All'opera delle truppe e della Ufficialità straniera riformata si affianca quella di numerosi frati apostati e relapsi, dalle dottrine talora incerte o volutamente ambigue per eludere i sospetti della Santa Inquisizione, talora invece già così apertamente eterodosse da trarre sul capo degli arditi novatori il carcere o il martirio. Ma il moto nel suo complesso appare ancora sporadico, frammentario, mobile e fluttuante, come mobili sono le vicende del Marchesato e fluttuanti gli eserciti che ne corrono le terre. E il periodo della seminagione: la semente, a seconda del terreno che trova, germina e si sviluppa o intristisce e muore, anche se talora risorgerà con maggiore vigore negli anni successivi.
Il secondo periodo è quello che si svolge per quarant'anni sotto il dominio di Francia (1548-1588).
I nuclei riformati si infittiscono e si trasformano in piccole congreghe, cercano catechisti e ministri nel proprio seno o ne reclamano da Ginevra, dal Delfinato e dalle Valli Valdesi: si stringono in più stretta unione con le chiese riformate di oltralpe e delle valli del Pellice e del Chisone; assumono l'organizzazione ecclesiastica delle chiese calviniste di Francia: esercitano nella vita civile cariche, ambascerie ed uffici importanti; siedono, finché è loro concesso, nel Collegio degli Eletti, nelle Congregazioni Generali e nei Consigli Comunali, e, a dispetto degli editti retrivi di Francia, osano apertamente reclamare la libertà di coscienza e di culto e difenderla con estrema tenacia, talvolta perfino con la violenza e le armi. In alcune terre ed in determinati periodi il loro numero e la loro baldanza, accresciuta da aiuti stranieri, giunge a tal punto da avere nelle mani quasi tutta l'amministrazione del Comune, da tenere soggetta la popolazione cattolica e da prorompere in deplorevoli atti di violenza e di profanazione contro persone ecclesiastiche o contro cose sacre.
Vescovi e governatori si affannano a porre un argine al pericolo crescente dell'eresia, gli uni con i sinodi, con le visite pastorali e con le missioni di frati predicatori e gesuiti; gli altri con editti di persecuzione, con schiere armate, con arresti e confische di persone e di beni, con l'esclusione del Marchesato dai benefici effetti delle paci tolleranti di Francia, col divieto del pubblico esercizio del culto riformato o con l'interdizione dalle pubbliche cariche e dalle professioni liberali. Ma il moto, fiaccato o disperso in un luogo, si afferma in un altro: se cede nella pianura, conquista gran parte delle valli montane del Po, della Varaita, della Macra e della Stura, e attraverso i valichi alpini alimenta incessantemente le sue forze, ricevendo assistenza dalle chiese riformate del Delfinato e della Provenza.
Sopito talvolta per timore della persecuzione o per la rigorosa sorveglianza di re e di governatori, il moto riprende improvviso vigore non appena la debolezza del governo o l'incuria del clero lo consentono o quando scendono nel Marchesato bande ugonotte o infuriano lotte intestine, come quelle scoppiate fra Carlo Birago ed il maresciallo di Bellegarde, tra Cesare di Bellegarde, il La Valette ed il D'Anselme (1579-81). E, se anche la San Bartolomeo e le guerre civili di Francia non avranno forti e cruente ripercussioni al di qua delle Alpi, tuttavia, a partire dal settimo decennio del secolo la storia civile e religiosa del Marchesato dovrà registrare incessantemente avvisi di complotti ugonotti, ora contro l'uno ora contro l'altro castello del Marchesato, così da tenere il popolo e le autorità in continua inquietudine e da far temere che il paese possa diventare nuovo campo di lotta per le funeste guerre di Francia o cadere addirittura nelle mani del Lesdiguières o di altri capi ugonotti. Non si formerà mai un vero partito ugonotto, ma allarmi e complotti, in parte veri ed in parte fallaci, offriranno alla fine ottimo pretesto al duca Carlo Emanuele I per portare a buon esito, nel 1588, il sogno lungamente accarezzato della conquista del Marchesato.
Con la dominazione sabauda comincia il terzo periodo della storia della Riforma Protestante nel Marchesato. È il periodo della lotta militare e della controversia diplomatica, lunga e fastidiosa, tra Francia e Savoia per il possesso definitivo del Marchesato dura dal 1588 al trattato di Lione (1601).
L'esito del dominio è incerto per le alterne vicende della guerra e per gli intrighi segreti della diplomazia. Gran parte del popolo del Marchesato, nonostante le manifestazioni esteriori, rimpiange il governo francese ed ha diffidenza per quello sabaudo, più esoso ed assoluto gli emissari pubblici o segreti del governo francese tengono vivi il malcontento ed il rimpianto le nuove tasse richieste dalla necessità della guerra avventurosa, combattuta nel Piemonte, nel Delfinato e nella Provenza, aggravano le già misere condizioni economiche del Marchesato: la calata del Lesdiguières in Piemonte e la permanenza di eserciti francesi ed ugo- notti nelle vicine terre di Cavour e di Bricherasio ravvivano la speranza dei fautori dell'antico regime e dei riformati, moltiplicano il numero dei ribelli e dei sospetti ed accrescono la baldanza degli eretici.
È ovvio quindi che in una situazione così precaria, il duca proceda con grande prudenza e moderazione, perché i pericoli e le insidie non si moltiplichino e la quiete non venga turbata in nessuna terra del Marchesato.
Ma, d'altra parte, il duca ricorda la solenne promessa fatta all'atto dell'occupazione del Marchesato e le giustificazioni strombazzate in ogni Corte d'Europa, d'essere stato mosso all'azione unicamente dal pericolo dell'eresia e dal desiderio di chiuderle per sempre il passo a dilagare nelle contrade d'Italia. Vorrebbe porre mano al rapido e completo sterminio dell'ugonotteria, perché ciò gli è necessario per la sicurezza dei suoi Stati e per conciliarsi i favori del Papato, fatto arbitro nella controversia col re di Francia per il possesso del Marchesato. Ma intuisce che l'ora non è ancora propizia e che bisogna agire per gradi, per non aggravare il male e moltiplicare i pericoli.
Gli Eletti ed i deputati del Marchesato difendono strenuamente ad uno ad uno i loro privilegi e le loro franchigie e nei loro « Memoriali » e «Giuramenti di Fedeltà» osano insistere perché l'Inquisizione sia esclusa, come per il passato, dalle terre saluzzesi e perché ai riformati sia riconosciuto il diritto al pacifico soggiorno in patria ed alla libertà di coscienza e di culto. Il duca non osa apertamente rifiutare, ma risponde alle richieste con formule evasive, che non impegnano il futuro e che gli permettono frattanto di dare un larvato inizio ai suoi propositi.
Infatti, in questi anni non sarà introdotto pubblicamente il Tribunale della S. Inquisizione, ma al Nunzio torinese, al Vescovo di Saluzzo ed a vari emissari o delegati del Nunzio e del Sant' Ufficio saranno conferiti poteri particolari, uguali a quelli degli Inquisitori; si intensificheranno le Missioni gesuitiche e cappuccinesche, ma alla blanda predicazione si accompagnerà, nelle terre più ostinate, l'efficacia ben maggiore del braccio secolare. Le pene saranno inflitte più spesso sotto pretesto di colpe politiche che per motivo religioso: le minacce si alterneranno con le promesse di speciali favori sovrani, le violenze con i periodi di tregua e di amnistia, in modo che l' intolleranza religiosa appaia più come un atto sporadico richiesto da speciali contingenze politiche o da provocazione altrui che come arte sistematica e deliberata di governo.
Il moto protestante andrà pressoché distrutto nei centri isolati della pianura, ma resisterà gagliardo, per l'assistenza degli ugonotti di Francia, nelle alte valli alpine, sebbene anche colà abiure e fughe verso le Valli Valdesi, il Delfinato e la Svizzera aprano le prime notevoli brecce nella compagine ereticale e la- scino intravedere il funesto epilogo della politica religiosa iniziata dal duca C. Emanuele I.
Il trattato di Lione (1601), che consegna definitivamente il Marchesato nelle mani del duca di Savoia, apre il quarto ed ultimo periodo della Riforma saluzzese. Libero ormai da ogni timore e da ogni riserbo, C. Emanuele I si accinge prontamente ad attuare i suoi principi assolutistici nel campo politico, economico e giudiziario, privando gradatamente il Marchesato delle libertà, franchigie ed istituzioni giuridiche ed amministrative fiorite sotto il dominio marchionale o durante il governo di Francia. Il Marchesato viene ridotto a prefettura: il Collegio degli Eletti è soppresso e le Congregazioni Generali, che fino allora avevano retto il Marchesato, vedono di giorno in giorno scemata la loro autorità e recise le loro attribuzioni cosicché, cancellata ogni traccia di autorità e di regime popolare, il Saluzzese viene anch'esso fortemente incorporato nello Stato Sabaudo e pertanto sottoposto allo stesso sistema politico ed amministrativo, che regola tutte le altre prefetture del ducato.
Ma il livellamento politico e civile attuato nel Marchesato porta naturalmente con sé, a più forte ragione, il livellamento religioso, in quanto che l'eresia può creare uno screzio nella compagine dello Stato e rappresenta agli occhi di un sovrano cattolico ed assoluto, non solo un elemento perturbatore della quiete pub- blica, ma un'offesa ed una ribellione alla volontà ed all'autorità stessa del sovrano, che si crede in diritto di esigere dai sudditi, riguardo alla religione, la stessa integrale ubbidienza richiesta nel campo politico e civile.
Perciò non deve stupire se, di pari passo con l'asservimento del Marchesato al regime assolutista dello Stato Sabaudo, si accompagna, in questo quarto periodo della storia della Riforma Protestante nelle terre saluzzesi, la persecuzione religiosa, che, elevata a sistema, ha appunto l'intento di restaurare nello Stato l'unità della fede e di riaffermare il prestigio della sola religione professata dal sovrano.
Infatti, non è ancora compiuto il trapasso effettivo delle terre tra Francia e Savoia, contemplato dal trattato di Lione, e già appaiono le prime avvisaglie della tremenda persecuzione, che infierirà per oltre un trentennio, salvo i brevi intervalli voluti dalla ragione di Stato, da interessi contingenti, da intercessioni di potenti o di capi ugonotti, la cui amicizia o condiscendenza può riuscire preziosa al duca nel gioco mutevole della sua politica di ambizione, di conquista e di intrighi. È questo il periodo più doloroso e più tragico del movimento riformato saluzzese. Dal 1601 al 1604 gli editti di persecuzione e di bando contro i riformati si susseguono sempre più gravi e frequenti: la persecuzione si fa aperta, violenta e generale: il braccio secolare è posto pubblicamente a sostegno della predicazione dei frati, perché bande di armati accompagnano i missionari nelle loro peregrinazioni attraverso le terre infette del Marchesato, confiscando, bruciando, arrestando quelli che la parola dei frati non persuade o che l'amore del luogo natio tiene incautamente avvinti alle loro case anche nell'ora del pericolo. Alcune terre, nelle alte valli della Macra, della Stura, della Varaita e del Po, si spopolano e si vuotano. Si calcola che più di dodici mila famiglie di riformati, nel corso di pochi anni, abbiano abbandonato le terre del marchesato, cercando un rifugio nel contiguo Delfinato o disperdendosi nelle valli del Pellice e del Chisone o nelle più lontane contrade della Svizzera evangelica.
Quando, a tratti, la persecuzione rallenta o le necessità di politica e di guerra consigliano al duca di bandire, a certe condizioni, un indulto o di permettere agli esuli il soggiorno in patria, parecchi ritornano, ravvivano l'antica fede negli abiurati, rico- stituiscono le piccole congreghe: ma un successivo editto intollerante li ricaccia un'altra volta in esilio o fa vuoti nelle loro file con nuove abiure, con nuovi arresti e con nuove condanne alla galera ed alla morte. Insieme con i fedeli dividono gli orrori del carcere e del supplizio parecchi ministri riformati.
Decimato, oppresso contemporaneamente da più forze avverse, il moto riformato resiste per circa quattro lustri nei borghi montani e nella valle della Macra: ma l'editto di persecuzione generale, rinnovato nel 1619, ne schianta per sempre la forza di resistenza e sospinge sulla via dolorosa dell'esilio nuove e numerose schiere di infelici. La violenza della persecuzione è tale che ha una forte risonanza in tutta l'Europa protestante e suscita fiere rampogne contro la politica religiosa del duca.
Sopravviveranno alla terribile prova solo più piccoli gruppi spauriti sull'alto impervio dei monti ad attestare la tenace vitalità del moto riformato saluzzese ma, minati da tante forze avverse, anch'essi andranno a mano a mano sfasciandosi e di sperdendosi, finché verso il 1633 il moto potrà dirsi virtualmente spento in tutte le terre del Saluzzese.
Ultimi, più tenaci ad essere distrutti per l'asprezza dei loro monti, per l'antichità della loro fede e per i più intimi contatti con gli eretici di Val Luserna, saranno i gruppi valdesi riformati dell'alta valle del Po, fra i quali la Riforma aveva trovato i suoi primi e più ferventi seguaci al principio del secolo precedente.
Con essi, come si apre, così si chiude la storia della Riforma protestante nelle terre dell'antico Marchesato di Saluzzo, anche se nei decenni seguenti risorgerà qualche caso sporadico di eresia o se il clero cattolico dovrà lamentare una singolare apatia religiosa in parecchie di quelle terre, che avevano nutrito fiorenti congreghe di riformati.
In questo studio noi ci proponiamo di studiare in modo particolare il secondo periodo della storia della Riforma saluzzese, quello cioè che si svolse dal 1548 al 1588, durante l'effettivo dominio dei re di Francia.
Ma, perché questo periodo non potrebbe essere né giustamente né chiaramente inteso senza la conoscenza di quello che lo pre- cede e lo prepara, crediamo necessario iniziare la nostra narrazione dagli ultimi anni del governo marchionale, allacciando in tal modo il primo al secondo periodo. Infatti sono appunto quelli gli anni, nei quali la Riforma affonda nelle terre del Marchesato le prime radici di quella pianta, che benefica a giudizio degli uni, funesta a giudizio degli altri, dapprima esile e vacillante, poi adulta e vigorosa, ebbe in sé, per circa un secolo, tanta consistenza da poter sostenere, sia pure scossa e mutilata, le raffiche violente della persecuzione religiosa e gli sforzi non sempre irenici delle Missioni gesuitiche e cappuccinesche.
Gli altri periodi saranno oggetto di ulteriori studi, se a queste prime fatiche arriderà il benevolo giudizio degli studiosi. Il presente volume prende lo spunto da una tesi di laurea presentata da mia figlia Renata alla Facoltà di Lettere della Università di Torino nell'anno accademico 1951-52.