Sionismo/La falsa attribuzione di un nome

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L'Israele moderno: la falsa attribuzione di un nome

Il sionismo aveva insistito che l’entità nazionale stabilita nel 1948 nel territorio che anticamente era chiamato Israele portasse di nuovo quel nome. La cosa era stata molto contestata per diversi motivi anche da circoli ebraici, ma poi sono prevalse le intenzioni del sionismo. Tanto oggi ci siamo abituati al nome dato a questa realtà politica da promuovere confusione ed equivoci a non finire anche in bene-intenzionati circoli cristiani che le attribuiscono un significato religioso - cosa per altro sfruttata da scaltri politicanti. Di fatto le cose non sono quel che sembrano essere e molti cristiani hanno preso al riguardo un grave abbaglio. L’Israele di cui parla la Bibbia è ben altro. Il seguente articolo intende, anche se solo sommariamente, farvi chiarezza.

In giurisprudenza si parla del reato di usurpazione di nome quando una persona utilizza il nome di un'altra persona senza il suo consenso, facendosi passare per quest'ultima per espressamente confondere e quindi trarne vantaggio, oppure arrecarle intenzionalmente danno. Questo “furto di identità” o uso improprio del nome, quando è reiterato e non è contestato o contestabile legalmente, ottiene l'effetto psicologico di condurre la percezione generalizzata a costanti equivoci ed al discredito del nome stesso.

Una cosa simile avviene con il nome di “Israele”. Oggi tanto siamo abituati ad identificare “Israele” con il moderno stato che si è attribuito questo nome da farne automaticamente l’identificazione con quanto la Bibbia ci racconta, come se si trattasse della stessa cosa o di un suo “naturale” prolungamento. Non è affatto così. L’equivoco è promosso più o meno intenzionalmente presso molti ebrei e cristiani che leggono la Bibbia e la odono predicare - e che quindi sono esposti costantemente al significato spirituale di “Israele”. Quando pure essi odono quanto riguarda il moderno Stato chiamato pure “Israele” diventa naturale per molti di essi farne una (indebita) identificazione. Da un lato c’è chi si entusiasma per gli avvenimenti che lo riguardano e che sembrano loro (o vengono fatti passare) per “l’adempimento” delle antiche profezie bibliche, dall’altro le ingiustizie e i crimini commessi dal moderno Stato di Israele ottengono il risultato pure presso molti di discreditare, di rendere odioso, lo stesso racconto biblico riguardante l’antico Israele, il cui messaggio spirituale sfugge loro o viene ignorato per mancanza di esperienza al riguardo.

Esaminiamo così sommariamente in che modo lo Stato di Israele ha assunto quel nome, chi anche fra gli ebrei vi si era opposto e che cosa dice la Bibbia su chi avrebbe il diritto di portare quel nome.

Origine moderna

Il moderno stato di Israele è nato ufficialmente il 14 maggio 1948, con la sua unilaterale dichiarazione d'indipendenza, e si è attribuito il nome "Israele" fin dall'inizio. Il termine deriva dall'antico regno biblico di Israele, che ha significati religiosi, culturali e storici profondamente radicati per il popolo ebraico e per il giudaismo. Ben-Gurion e i fondatori del nuovo Stato avevano scelto "Israele" come nome ufficiale non solo per richiamare il legame storico con quel territorio, ma anche, nelle loro intenzioni, per consolidare l'identità di uno stato che doveva rappresentare un “ritorno” del popolo ebraico alla sua terra.

La scelta del nome e dell'identità nazionale non è stata immune da controversie. Gli stati arabi vicini e molti leader arabi delle popolazioni da secoli stanziate in quel territorio, contestano subito l'istituzione dello Stato di Israele. Considerano la scelta del nome come una provocazione e un’implicita rivendicazione territoriale su tutta la Palestina storica di qualcosa di artificioso che non corrispondeva più da molto tempo a quelle ambizioni. Anche internamente, alcuni sionisti religiosi avrebbero preferito nomi come "Sion" o "Giuda", per sottolineare un legame religioso piuttosto che politico o culturale. Tuttavia, "Israele" è prevalso come nome ufficiale, probabilmente per la sua maggiore capacità di rappresentare un’identità ebraica inclusiva, che andava oltre le divisioni religiose e culturali, ma ignorando del tutto i diritti delle popolazioni locali di diversa identità.

Dopo la proclamazione dell'indipendenza, il nuovo Stato è subito riconosciuto da diverse nazioni, tra cui gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, ma non dai paesi arabi e islamici, che rigettavano l'intero progetto sionista. Essi consideravano illegittima non solo la fondazione dello stato ebraico, ma anche il nome stesso di "Israele", visto come un’espressione coloniale sostanzialmente occidentale di dominio e espansione territoriale e politica, come pure come un'offesa alla sovranità delle popolazioni esistenti su quella terra.

Opposizione nell’ebraismo

Nel 1948, varie correnti ebraiche non sioniste si erano subito opposte alla fondazione dello Stato di Israele e alla sua denominazione, nonostante la spinta internazionale per la creazione di una “patria ebraica”. Questi gruppi differivano ideologicamente dal sionismo per motivi religiosi o politici. Ecco i principali movimenti non sionisti:

Ebraismo ultraortodosso (Haredi)

L’opposizione più forte venne dagli “ultraortodossi”, soprattutto dai gruppi Haredi come i Neturei Karta e i Satmar. Queste comunità ritenevano che la fondazione di uno stato ebraico prima dell’avvento del Messia fosse una violazione della volontà divina, basandosi su interpretazioni della Torah e del Talmud che affermano come solo il Messia abbia l’autorità di radunare il popolo ebraico in quel territorio. Secondo la loro visione, l'idea sionista di uno Stato ebraico laico appariva un’usurpazione del piano divino, e il nome "Israele" applicato a un’entità politica era considerato sacrilego.

Agudat Yisrael

L'Agudat Yisrael, un’organizzazione ebraica ortodossa moderata, aveva inizialmente una posizione ambivalente. Pur non essendo antisionista come i Neturei Karta, si opponeva all’idea di uno Stato laico e riteneva che il progetto sionista minacciasse il rispetto dei valori religiosi ebraici. Con il tempo, l’Agudat Yisrael accettò di collaborare con il governo israeliano per tutelare gli interessi religiosi, ma rimase critica sull’attribuzione del nome "Israele" a uno Stato in cui la legge non si fondasse sui precetti religiosi.

Alcune correnti ebraiche riformate e assimilazioniste

All'inizio del movimento sionista, diversi esponenti dell'ebraismo riformato e delle comunità assimilate europee si erano opposte all'idea di una nazione ebraica, poiché la loro identità si fondava su un'integrazione culturale e religiosa nei rispettivi paesi di appartenenza. Sebbene non si trattasse di un’opposizione esplicitamente antisionista, molte di queste correnti riformate temevano che l'identificazione con uno Stato ebraico potesse minare la loro posizione nelle società occidentali e alimentare accuse di doppia lealtà.

Movimenti comunisti e socialisti ebrei

I movimenti ebraici comunisti e socialisti come il Bund si opponevano al sionismo per motivi ideologici, ritenendo che la questione ebraica dovesse essere risolta con l’uguaglianza sociale nei paesi di residenza, non con la creazione di uno Stato etnico-nazionale. Il Bund e altri gruppi socialisti vedevano il sionismo come una distrazione rispetto alla lotta di classe e temevano che uno stato etnicamente ebraico potesse portare ad ulteriori conflitti nazionalisti.

Ebrei antisionisti secolari

Alcuni ebrei laici o secolari, specialmente in Europa e negli Stati Uniti, erano contrari al progetto sionista. Personalità come il filosofo Martin Buber e il gruppo dei Canaaniti avevano visioni diverse rispetto alla fondazione di uno stato nazionale. Buber, ad esempio, sosteneva un modello di stato binazionale per ebrei e arabi, opponendosi alla visione di un’entità politica esclusivamente ebraica.

Tutte queste correnti ritenevano problematico attribuire il nome "Israele" a un’entità politica laica, considerandolo un nome riservato al popolo ebraico in senso religioso o escatologico. Con il tempo, alcune di queste correnti si sono adattate alla realtà dello Stato di Israele, ma continuano a esistere gruppi che mantengono un’opposizione ideologica, specialmente all'interno dell'ebraismo ultraortodosso.

L’attribuzione originale

Nella Bibbia, il nome "Israele" era stato attribuito a Giacobbe dopo la sua lotta con Dio, in un episodio cruciale descritto in Genesi 32:28. Dopo una notte di lotta con una figura divina o angelica, Giacobbe riceve il nome "Israele" da Dio, che dice: “Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, e hai vinto”. Questo nome ha un significato etimologico importante: deriva dall'ebraico יִשְׂרָאֵל (Yisra'el), che significa approssimativamente "Colui che lotta con Dio" o "Dio combatte", anche se le interpretazioni possono variare leggermente.

Significato e motivazione

L'episodio riflette un cambiamento profondo nella vita di Giacobbe, poiché rappresenta una trasformazione spirituale e una promessa. Il nuovo nome "Israele" segna il suo ruolo di capostipite di un popolo che avrebbe avuto una relazione speciale con Dio, a cui avrebbe dato fedeltà e obbedienza. Simbolicamente, il nome rappresenta la perseveranza, la forza e la volontà di lottare per ottenere le benedizioni divine, nonostante le difficoltà e le avversità.

Chi sono i discendenti: fisici o spirituali?

Il nome "Israele" si è esteso in senso primario ai discendenti fisici di Giacobbe, ovvero le dodici tribù di Israele, che diventano il popolo eletto da Dio, l'Israele storico. Tuttavia, già in testi profetici e nei successivi scritti del Nuovo Testamento, emerge un senso più spirituale: il popolo di Israele non è solo definito dalla discendenza biologica ma anche dall’adesione alla fede e all’alleanza con Dio.

Nel Nuovo Testamento, l'apostolo Paolo amplia ulteriormente questo concetto in Romani 9:6-8 e Galati 3:7, affermando che "non tutti quelli che sono d’Israele sono Israele", cioè che l'autentico Israele include chiunque viva in fede secondo le promesse di Dio, indipendentemente dall’appartenenza etnica. Questo allarga la definizione di "Israele" a un gruppo più ampio di credenti spirituali.

Attribuzione condizionale

In effetti, la Bibbia indica che l'attribuzione del nome "Israele" al popolo è condizionata dalla fedeltà all'alleanza con Dio. Nel contesto biblico, Deuteronomio 28 espone benedizioni per l’obbedienza e maledizioni per la disobbedienza, implicando che la relazione speciale con Dio e l'uso del nome "Israele" dipendono da una condotta conforme alle leggi divine. I profeti successivi avrebbero ripreso questo tema, ammonendo il popolo che la sua identità di "Israele" – il popolo scelto – sarebbe stata messa in pericolo se avesse abbandonato Dio.

In conclusione, "Israele" è un nome che parte da un atto simbolico e spirituale, per poi espandersi al popolo in senso fisico e spirituale. Se da un lato include i discendenti fisici di Giacobbe, dall'altro i testi biblici permettono di interpretare Israele come una realtà che si riferisce anche ai "discendenti spirituali", rendendola potenzialmente un'attribuzione condizionale, vincolata alla fedeltà a Dio.

Un’iniziativa essenzialmente secolarista

Dal punto di vista cristiano, così, quello che oggi prende il nome di Israele è fondamentalmente un’iniziativa “senza Cristo”, quando non avversa a Lui (salvo, quando serve loro, sfruttarne abilmente l’idea a proprio vantaggio). Di fatto, tutto ciò che era l’antico Israele, in Cristo Gesù è superato, trasceso - in quanto tale finito per sempre. Quanto riguarda l’Israele biblico, in Cristo è da intendersi spiritualmente. Non dobbiamo lasciarci ingannare dalle molto discutibili interpretazioni delle profezie bibliche di certa letteratura soprattutto dell’ambito evangelicale. “Qui non c'è Greco e Giudeo, circoncisione e incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti” (Colossesi 3:11).

Il vicino oriente, quello che un tempo era Israele o la Palestina, come cristiani di fatto non ci deve più interessare dal punto di vista religioso come fanno certe religioni in concorrenza fra di loro che si fanno la guerra per un pezzo di terra... In Cristo non ci deve interessare né la Gerusalemme terrena, né un tempio in muratura. Il nostro “tempio” è il corpo di Cristo, il Dio che può e deve essere adorato dovunque “in spirito e verità”. In Cristo siamo chiamati a promuovere pace e riconciliazione, non a erigere muri di divisioni. La “terra promessa” oggi è appunto la Terra, il globo terracqueo - che appartiene a Dio e che insieme gli esseri umani sono chiamati a gestire in pace, accordandosi fra di loro.

P.C. 26-10-2024