Predicazioni/Romani/Dio unico sapiente

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DIO, UNICO SAPIENTE

"a Dio, unico sapiente, sia la gloria in eterno, per mezzo di Gesù Cristo. Amen" (Ro. 16:27).

I. La sapienza e le sue caratteristiche

Significato. Un vocabolario della lingua italiana così definisce la sapienza: "l'uso retto e più vasto possibile, di tutte le forze della mente e del cuore", ed è lo stesso vocabolario che ci dice che la sapienza è uno degli attributi di Dio, che Dio è la somma Sapienza.

Che cosa intende dire la Bibbia quando chiama Dio "sapiente"? Nella Scrittura la sapienza è sia una qualità che riguarda la mente che la morale. Non è soltanto saperci fare con le cose e con le persone, cavarsela in ogni circostanza, l'intelligenza e l'abilità del vivere. Non è tanto "essere furbi". Per essere veramente saggi, nella Bibbia, è necessario che la propria intelligenza e ingegnosità sia diretta ad un giusto fine, che la propria intelligenza venga usata in modo conforme a giustizia. Sapienza è la capacità di vedere, e l'inclinazione a scegliere, l'obiettivo migliore e più alto delle proprie azioni, insieme all'uso dei mezzi più appropriati per raggiungerlo.

Si dice che "il fine giustifica i mezzi": la sapienza, però, per arrivare ad un giusto fine, usa dei mezzi ugualmente giusti, secondo i criteri di Dio.

Una sapienza infallibile. La sapienza, di fatto, è il lato pratico della bontà. Come tale, essa si trova nella sua pienezza, solo in Dio. Egli solo è per natura, completamente ed invariabilmente sapiente. La Sua sapienza "non dorme mai": tutto quello che Dio compie è sempre impostato a grande sapienza. Dio sa quello che sta facendo, anche se a noi possa pare il contrario. La sapienza fa parte integrante del Suo essere, tanto quanto lo è potenza, verità e bontà. La sapienza è un elemento essenziale del Suo carattere.

A volte anche i nostri migliori consigli e le decisioni più ponderate non conseguono il fine sperato perché non abbiamo il potere di guidare tutti gli eventi e le circostanze. Possono accadere imprevisti e non possiamo costringerli altri a comportarsi in un certo modo.

Sapienza e onnipotenza. I propositi di Dio, però, impostati a grande sapienza, raggiungono sempre un buon fine. La sapienza di Dio non può essere frustrata, perché essa è sempre congiunta con l'onnipotenza. Quello che Dio si propone, nella Sua infinita saggezza, di realizzare, arriva sempre ad un buon fine, perché Egli ha il potere di controllare tutti gli avvenimenti. Ma è anche vero il contrario: la sua infinita potenza è sempre governata da un'infinita sapienza. Dio è sapienza infinita e potere infinito, e le due cose in Lui vanno sempre insieme. Potenza e sapienza sono due caratteristiche inscindibili di Dio. Dice infatti la Bibbia: *Dio è saggio di cuore e potente per la forza+ (Gb. 9:4). *In lui risiedono la sapienza e la forza+ (12:13). *E' potente nella forza della sua sapienza+ (36:5). La Bibbia parla del' *la potenza della sua forza+ e della sua intelligenza imperscrutabile ((Is. 40:26,28). *A lui appartengono la sapienza e la forza'+ (Da. 2:20). Anche il Nuovo Testamento rileva la stessa associazione fra sapienza e forza: *Ora, a colui che vi può raffermare secondo il mio evangelo... a Dio, unico sapiente...+ (Ro. 16:25,27). Essere sapienti, senza potere mettere in pratica questa sapienza sarebbe patetico; potere senza sapienza sarebbe terrificante; in Dio però sapienza illimitata e potere senza fine sono unite, e questo Lo rende sommamente degno della nostra più totale fiducia.

Palese in tutte le opere di Dio. L'onnipotente sapienza di Dio è sempre attiva, e non fallisce mai. Tutte le Sue opere nella creazione, nella provvidenza e nella grazia lo dimostrano, e dobbiamo prenderne coscienza per evitare frequenti equivoci sulla Persona di Dio.

Non possiamo però riconoscere la sapienza di Dio fintanto che noi non conosciamo il fine per cui Egli faccia certe cose. opera. Questo è esattamente il punto in cui molti oggi sbagliano. Non comprendere per esempio ciò che la Bibbia intende quando dice che Egli è amore può portare a pensare che Dio voglia per tutti una vita libera da preoccupazioni, senza alcuna considerazione dello stato morale e spirituale di ciascuno. Molti ne concludono così che tutto ciò che è doloroso e sconvolgente (come la malattia, un incidente, una ferita, la disoccupazione, la perdita di una persona cara) indichi o che Dio abbia fallito nel suo potere o sapienza, oppure che Dio non esista. Anche in queste cose "negative" però, possiamo trovare in Dio un senso ed un fine ben preciso.

. La sapienza di Dio non è e non è mai stata intesa a mantenere felice un mondo corrotto e decaduto, o a rendere confortevole la ribellione verso Dio. Nemmeno ai cristiani Dio ha promesso una vita libera da preoccupazioni: è vero anzi il contrario. Egli ha in vista altri fini per la vita in questo mondo che semplicemente renderla facile e comoda per tutti.

La finalità dell'agire di Dio. Che cosa dunque si prefigge Dio? Qual è il Suo obiettivo? A che cosa mira? Quando aveva creato l'essere umano, il Suo proposito era che questi dovesse amarLo ed onorarlo, lodandolo per la complessità meravigliosamente ordinata e la varietà del Suo mondo, per usarlo secondo la Sua volontà, e godendo in questo modo sia di esso sia di Lui. Sebbene l'umanità sia decaduta, Dio non ha abbandonato il Suo proposito originario. Ancora Egli si è prefisso che un grande numero di persone giungano ad amarLo ed a onorarLo. Il Suo obiettivo ultimo è di portarle in una condizione tale in cui esse Gli siano completamente gradite e Lo lodino in modo adeguato, in una condizione in cui Egli sia tutto per loro, dove ci si possa continuamente rallegrare nella conoscenza del loro reciproco amore -l'uomo che si rallegra dell'amore salvifico di Dio, rivolto verso di loro dall'eternità, e Dio che si rallegra dell'amore riconoscente che l'uomo ha per Lui, reso possibile dalla grazia attraverso l'Evangelo.

Questa sola sarà la "gloria" di Dio, come pure la "gloria" dell'uomo. Essa sarà però pienamente realizzata nel mondo futuro, nel contesto della trasformazione dell'intero ordinamento creato. Nel frattempo, però, Dio opera in vista di questo. I suoi obiettivi immediati sono attirare singoli uomini e donne in un rapporto di fede, speranza, ed amore, verso Sé stesso, liberandoli dal peccato e manifestando nella loro vita la potenza della Sua grazia; difendendo il Suo popolo dalle forze del male; e diffondendo in tutto il mondo l'Evangelo per mezzo del quale Egli opera salvezza. Nell'adempimento di ciascun aspetto del Suo proposito, il Signore Gesù Cristo è centrale, perché Dio lo ha stabilito come il solo che possa salvare dal peccato, il solo in cui gli uomini debbano confidare, e come Signore della Chiesa, che gli uomini devono ubbidire.

Dio si rapporta con infinita sapienza nella vita dei Suoi eletti, facendo si che tutte le circostanze della loro vita siano finalizzate al renderle conformi con il Suo progetto originario per l'essere umano, visibile in Cristo.

II. Due esempi di sapienza di Dio

A questo punto ci può aiutare ciò che la Bibbia racconta sulla vita di diversi personaggi che ne sono protagonisti. Non esiste migliore illustrazione di questa di come la sapienza di Dio si rapporti con vite umane.

Abrahamo

Prendete per esempio la vita di Abrahamo. Abrahamo non era un uomo esemplare per nulla. Lo si vede chiaramente nella Bibbia. Era capace di patetici inganni; aveva ben poco coraggio morale ed era troppo ansioso sulla propria sicurezza personale. Era vulnerabile quando era sottoposto a pressioni. Abrahamo, chiaramente, non era un uomo di solidi principi, ed il suo senso di responsabilità lasciava spesso molto a desiderare. Dio però, nella Sua sapienza aveva trattato con quest'uomo, questo anti-eroe, a tal punto che egli non solo avrebbe adempiuto fedelmente il ruolo che gli era stato affidato nella storia della salvezza, come pioniere nella terra promessa, primo contraente del patto divino, e come padre di Isacco (figlio-miracolo), ma pure un uomo completamente rinnovato.

Quello che Abrahamo doveva particolarmente imparare era come vivere alla presenza di Dio, come vedere la vita in rapporto con Dio, come guardare a Lui ed a Lui solo come Comandante, Difensore, e Rimuneratore. Questa era la grande lezione che Dio, nella Sua sapienza, si era concentrato ad insegnargli. *Non temere, o Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima'+ (15:1); *Io sono il Dio onnipotente; cammina alla mia presenza, e sii integro+ (17:1). Sempre di nuovo Iddio metteva Abrahamo difronte a Sé, e lo conduceva al punto in cui il suo cuore poteva dire con il Salmista: *Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra io non desidero altri che te... Dio è la rocca del mio cuore, e la mia parte in eterno'+. (Sl. 73:25,26).

Vediamo proprio dalla sua storia i risultati dell'aver imparato questa lezione. Le vecchie debolezze a volte ancora riappaiono, ma accanto ad esse emerge una nuova nobiltà ed indipendenza, la manifestazione dell'abitudine che Abrahamo aveva sviluppato di camminare con Dio, di appoggiarsi nella Sua volontà rivelata, di confidare in Lui, di attendere il Suo agire, di inchinarsi alla Sua provvidenza, e di obbedirGli anche quando gli comanda qualcosa di strano o di insolito. Da uomo del mondo, Abrahamo diventa un uomo di Dio.

Così, quando risponde alla chiamata di Dio, egli lascia casa e viaggia per la terra che i suoi discendenti dovranno possedere (12:7), anche se di quella terra Abrahamo non ne possederà più che la sua stessa tomba. (23). In lui osserviamo una nuova umiltà quando rinuncia a pretendere la sua precedenza sul suo nipote Lot (13:8ss). Vediamo pure in lui un nuovo coraggio, quando con solo 300 uomini intraprende l'azione di ricupero di Lot dalle forze combinate di quattro re (14:14ss). Vediamo in lui una nuova dignità, quando rifiuta di tenersi il bottino riconquistato a che non apparisse che fosse stato il re di Sodoma a farlo diventare ricco piuttosto che l'Iddio altissimo (14:22ss). Vediamo in lui una nuova pazienza quando egli attende per un quarto di secolo, dall'età di 75 fino all'età di 100, la nascita di un promesso erede (12:4; 21:5). Lo vediamo diventare uomo di preghiera, intercessore importuno con il fardello del senso di responsabilità davanti a Dio per il benessere altrui (18:23ss). Lo vediamo alla fine così completamente consacrato alla volontà di Dio, e così fiducioso che Dio sa quello che sta facendo, che egli è pronto, al comando di Dio, di uccidere il suo proprio figlio che per tanto tempo aveva atteso (22). Con quanta sapienza Dio gli aveva insegnato le sue lezioni, e quanto bene Abrahamo le aveva apprese!

            Giacobbe

Giacobbe, nipote di Abrahamo, aveva invece bisogno di un trattamento diverso. Giacobbe era il caparbio cocco di mamma, benedetto (o maledetto) con l'istinto dell'opportunismo e dell'immoralità senza scrupoli dell'uomo d'affari che sa quello che vuole e come procurarselo. Dio, nella Sua sapienza, aveva deciso che Giacobbe, sebbene fosse il figlio più giovane, dovesse avere i diritti di primogenitura e le benedizioni relative e diventasse così il portatore della promessa del Patto (cf. 28:13ss). Inoltre Iddio aveva deciso che egli dovesse sposare le sue cugine Lea e Rachele e diventasse il padre di dodici patriarchi, ai quali sarebbe stata passata la promessa (cf. 48, 49). Dio però, nella Sua sapienza, aveva anche deciso di instillare nel cuore di Giacobbe vera religione.

Tutt'altro che santo. L'intero atteggiamento di Giacobbe nella sua vita era tutt'altro che religioso, ed aveva bisogno di essere cambiato. Giacobbe doveva essere piegato nel suo carattere affinché non confidasse più nella propria astuzia e capacità, ma in Dio solo, fino a fargli aborrire la doppiezza d'animo che gli veniva così naturale. Giacobbe, dunque doveva essere portato a sentire la propria totale debolezza e follia, doveva essere portato a diffidare completamente di sé stesso affinché non avesse più cercato di sfruttare l'altrui persona. L'arroganza di Giacobbe doveva scomparire, e per sempre. Con paziente sapienza (perché Dio attende sempre il momento più propizio) Dio aveva condotto giacobbe al punto in cui egli potesse imprimere il richiesto senso di impotenza, indelebilmente e decisivamente sull'anima di Giacobbe. E' istruttivo seguire passo per passo come questo era potuto avvenire.

In primo luogo, per un periodo di circa 20 anni, Dio aveva lasciato che Giacobbe sprofondasse nella sua stessa tela di inganni, con le relative ed inevitabili conseguenze -sfiducia reciproca, amici che diventavano nemici, e isolamento. Le conseguenze dell'astuzia di Giacobbe erano già in sé stesse un giudizio di Dio. Quando Giacobbe si appropria del diritto di primogenitura di Esaù, con le relative benedizioni (25:29ss; 27), Esaù gli si rivolta contro e Giacobbe deve subito lasciare casa. Va così da suo zio Labano, il quale si dimostra non meno astuto di Giacobbe. Labano sfrutta la posizione di Giacobbe e lo incastra così bene da farlo sposare, non solo con la sua bella prima figlia, che Giacobbe desiderava, ma anche quella brutta, per la quale avrebbe faticato non poco per trovarle marito (29:15-30). L'esperienza di Giacobbe con Labano era la sua meritata contropartita: Dio l'aveva permessa per mostrare a Giacobbe come ci si doveva sentire a stare dalla parte di chi è ingannato -qualcosa che Giacobbe doveva imparare se doveva abbandonare il suo precedente modo di vivere. Giacobbe però non era ancora del tutto curato. La sua reazione immediata era stata quella di rendere pan per focaccia, tanto che aveva manipolato così astutamente l'allevamento di pecore di Labano da riceverne egli stesso profitto. Il che fa infuriare Labano, e Giacobbe è costretto a fuggire con la sua famiglia in Canaan per evitare la vendetta del primo (30:25-31). Dio così, che fino ad allora aveva sopportato la disonestà di Giacobbe senza riprenderla, lo incoraggia a partire (30:11ss, cf. 32:1ss,9ss); perché Egli sa che cosa egli avrebbe fatto prima che il viaggio fosse terminato. Non appena Giacobbe fugge Labano lo insegue facendogli capire che non avrebbe più voluto vederlo tornare (c. 31). Quando la carovana di Giacobbe raggiunge i confini del paese di Esaù, Giacobbe manda a suo fratello un messaggio per avvisarlo del suo arrivo. Gli arriva però notizia che Esaù stava armandosi per affrontarlo e vendicarsi così del torto subito vent'anni prima, e questo lo getta nella più completa disperazione. Il tempo che Dio aveva prefissato era venuto. Quella notte Giacobbe sta da solo presso al torrente Jabbok e Dio gli va incontro (32:24ss). Sono ore di lotta spirituale disperata, perfino fisica, come sembrava a Giacobbe. Vuole avere una benedizione, una certificazione del favore divino e di protezione in quella crisi, ma non poteva ottenere quel che cercava. Anzi, diventa sempre più consapevole della sua vera posizione -di completa impotenza, e senza l'aiuto di Dio, di totale disperazione. Sente tutta l'amarezza del suo atteggiamento cinico e senza scrupoli, che ora non gli serve più a nulla. Fino ad allora era stato sicuro di sé, credeva di potere affrontare qualunque cosa, ora però si sentiva completamente impotente di affrontare la situazione e sapeva con certezza che da ora in poi non avrebbe più osato credere di essere onnipotente e di potersi conformare da solo il proprio destino. Non avrebbe più confidato nella sua propria astuzia.

Per renderglielo ancora più chiaro, nella sua lotta con Dio, viene reso zoppo, come memoriale perpetuo della sua propria debolezza spirituale, del suo bisogno di appoggiarsi solo a Dio, proprio come per il resto della sua vita si sarebbe appoggiato ad un bastone. Giacobbe ora odiava sé stesso, per la prima volta si era trovato ad odiare la propria presunzione. Aveva messo Esaù contro sé stesso, per non menzionare Labano ed ora pareva che Dio non avesse più alcuna intenzione di benedirlo, *Lasciami andare...+ aveva detto Colui con il quale lottava; sembrava che Dio volesse abbandonarlo. Giacobbe però teneva diro: *Non ti lascerò andare se non mi avrai prima benedetto'+ (v. 26). E ora finalmente Dio pronuncia la parola di benedizione: perché ora Giacobbe era debole e disperato, e umile, e abbastanza dipendente per essere benedetto. *Per via egli ha diminuito il mio vigore+ dice il Salmista: e questo era ciò che Dio aveva fatto con Giacobbe. In Giacobbe non c'era ora più traccia di autosufficienza, quando Dio aveva finito di venire alle prese con lui. La natura di Giacobbe di "prevalere" con Dio era semplicemente dovuta al fatto che aveva continuato ad aggrapparsi a Dio anche se Dio lo aveva reso debole ed aveva infuso in lui uno spirito di sottomissione e di dipendenza, fino al punto di cadere così in basso da far si che Dio lo risollevasse parlandogli di pace e rassicurandolo che egli non avrebbe più dovuto temere Esaù. Certo, Giacobbe non era diventato perfetto, ma in principio, Dio aveva vinto la sua battaglia con Giacobbe. Giacobbe non sarebbe più caduto negli antichi vizi. Lo zoppicante Giacobbe aveva appreso la lezione. La sapienza di Dio aveva compiuto la sua opera.

III. Interpretare il nostro presente

Queste cose sono state scritte per nostra istruzione, perché la stessa sapienza che ha condotto i credenti dei tempi della Bibbia nelle loro vicende, dirige la vita del cristiano oggi. Non dovremmo quindi essere troppo confusi quando ci accadono cose inaspettate, sconvolgenti o scoraggianti. Che significano questi avvenimenti che ci accadono? Semplicemente che Dio, nella sua sapienza intende fare di noi qualcosa che ancora non abbiamo raggiunto, e ci tratta di conseguenza.

Forse intende rafforzarci nella pazienza, nel buon umore, nella compassione, nell'umiltà e nella mansuetudine, dandoci dei compiti supplementari per esercitare queste grazie in posizioni particolarmente difficili. Forse ha da insegnarci nuove lezioni nel dovere di rinnegare noi stessi o in quello di non confidare troppo in noi stessi. Forse desidera spezzare il compiacimento che abbiamo di noi stessi, la nostra mancanza di realismo oppure qualche nostra forma nascosta di orgoglio e di vanità. Forse il Suo proposito è semplicemente di attirarci maggiormente a Sé in consapevole comunione con Lui, perché spesso è il caso, come sanno tutti gli uomini e le donne di Dio, che la comunione con il Padre e con il Figlio è spesso più vivida e dolce, e la gioia più grande, quando la croce è la più pesante. O forse Dio ci prepara a forme di servizio del quale oggi ancora non abbiamo idea.

Paolo vedeva una parte delle ragioni delle sue afflizioni nel fatto che Dio voleva che attraverso le sue esperienze egli potesse aiutare quelli che si trovavano in condizioni difficili. Questo valeva anche per lo stesso Signore Gesù: *Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì+ (Eb. 5:8) affinché potesse efficacemente aiutare così i Suoi discepoli durante i tempi di afflizione.. Egli sa quello che sta facendo con la nostra vita, anche se per il momento noi non lo sappiamo. Dio è sapiente, sempre ed in ogni cosa, ce ne renderemo conto solo dopo. Nel frattempo non dovremmo esitare a confidare nella Sua sapienza, anche quando Egli ci lascia all'oscuro.

Come fare però? In primo luogo accettando le vicende della nostra vita come qualcosa che proviene da Dio e chiedendo a noi stessi che cosa l'Evangelo richieda in queste situazioni. In secondo luogo cercando in preghiera luce sulla nostra vita. Se facciamo questo, noi non ci troveremo mai completamente all'oscuro per quanto riguarda i propositi che Dio dà ai nostri guai. Saremo sempre in grado di vedere almeno altrettanto senso di quanto Paolo per il fastidioso problema fisico di cui soffriva, per il quale aveva pregato di esserne liberato, ma invano. Egli interpreta così la sua situazione: *Inoltre, affinché non insuperbisca per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata data una spina nella carne, un angelo di Satana per schiaffeggiarmi, affinché non mi insuperbisca. A questo riguardo ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma egli mi ha detto: '*La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza'+ (2 Co. 12:7-9).

L'atteggiamento qui che Paolo tiene diventa un modello per noi. Qualunque sia il proposito di un'afflizione che ci turba come cristiani, il minimo che possa significare è che è occasione per renderci umili, e per darci occasione di mostrare, nella nostra vita la potenza di Cristo. Questo ci deve bastare Non è già abbastanza per convincerci della sapienza di Dio nella nostra vita? Una volta Paolo aveva visto come questi suoi problemi gli erano stati mandati per metterlo in grado di glorificare Cristo. Così li aveva accettati come mandati da un'infinita sapienza, e se ne era rallegrato. Dio ci dia la grazia, in tutti i nostri problemi, di andare e di fare altrettanto.

[Da: J.I.Packer, Knowing God, London: Hodder & Stoughton, 1973, p. 96-106. Paolo Castellina, Borgonovo, mercoledì 3 febbraio 1993, tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Versione Nuova Riveduta, ed. 1991, La Buona Novella, Brindisi].