Predicazioni/Matteo/La misericordia come controcultura radicale

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La misericordia come controcultura radicale

“Pietà l’è morta” è un canto partigiano composto nel 1944 che esprime tutto l’orrore della brutalità, della spietatezza e dell'efferatezza delle guerre in cui sono costrette come vittime ignare popolazioni altrimenti pacifiche. Sembra che la pietà, la compassione e la misericordia da allora sia rimasta morta. La misericordia però risorge e si diffonde quando i discepoli di Cristo annunciano e vivono fedelmente ciò che il Salvatore Gesù Cristo praticava. Egli dice: “Beati i misericordiosi, perché a essi misericordia sarà fatta” (Matteo 5:7).  Perché e come la misericordia rimane un valore salvifico? Lo vedremo oggi.

Pietà l’è morta?

“Pietà l’è morta” [1] è il titolo di un canto composto nel 1944 da Nuto Revelli, scrittore cuneese e ufficiale degli alpini della Tridentina nella disastrosa campagna nazifascista di Russia prima, e poi comandante partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Testimone e narratore delle esperienze di quelli che chiama “i vinti” [2], esprime in questo canto tutto l’orrore della brutalità, della spietatezza e dell'efferatezza delle guerre in cui sono costrette come vittime ignare popolazioni altrimenti pacifiche. Non c’è più, quindi, pietà, compassione e misericordia? Sembra che in questo oggi siamo giunti al culmine.

C’era un tempo in cui tragici eventi come le guerre suscitavano generale riprovazione. Come al tempo della guerra in Vietnam giornalisti coraggiosi e grandi manifestazioni popolari ne denunciavano le ingiustizie e spesso avevano costretto i politici a terminarle. Oggi, però, col moltiplicarsi dei conflitti in tutto il mondo, la propaganda è diventata così pervasiva tanto da “anestetizzare” gran parte della popolazione, rendendo di fatto le guerre “fatti normali” e persino “necessarie”. Come ci sono riusciti? In molte maniere: in primo luogo corrompendo gran parte dei giornalisti e neutralizzando le forze di opposizione politica, facendone strumento di propaganda, e “giustificando” così, agli occhi di gran parte del pubblico, la corsa agli armamenti e gli interventi armati. Questo ha ridotto le legittime proteste a manifestazioni di minoranze sempre più impotenti a cambiare il corso degli eventi. Per il potere è importante che si sappia di non potere essere contrastato, che ogni resistenza è futile. Indubbiamente questo è un successo per i guerrafondai che, per coprire i loro interessi, creano artificiosi “nemici” da combattere e diffondono ingannevoli miti.

Uno di questi miti, che ancora resiste, nonostante le molte evidenze contrarie, è che “gli Occidentali”, in particolare gli Stati Uniti d’America e i loro alleati, siano “i buoni” per antonomasia, i paladini “del vero, del giusto e del buono”, della “libertà” e della “democrazia”. Non è questo ciò che Hollywood da sempre propaganda? A partire già con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, sono riusciti a giustificare crimini atroci. E ancora lo fanno, come quelli commessi in Iraq, Libia, o nell’ex Jugoslavia. Tutto “giustificato”, dicono. Più recentemente sono persino riusciti a “sdoganare” terroristi islamici o dei neo-nazisti ucraini, “se servono alla causa”, ai loro obiettivi di potere. All’insegna del fine che giustifica i mezzi, “il nostro fine”, dicono, è “sempre buono”. In questo senso anche la menzogna su larga scala, la tortura e il massacro di civili “può essere utile” e la maggior parte della gente “ci casca come allocchi”.

Guardate come giustificano il genocidio di Palestinesi da parte degli Israeliani nella striscia di Gaza, inclusa la soppressione indiscriminata di decine di migliaia di bambini, donne ed anziani. Nascondere, negare o sottovalutare tutto questo in forza dell’ampiamente abusato “diritto alla difesa” è un altro fra i popolari miti che si diffondono. Se queste inenarrabili violenze le fa lo stato di Israele, questo sarebbe buono e sempre giustificato, come se esso fosse “al di là del bene e del male”. Se lo critichi sei subito bollato come “antisemita”, oppure, in certi ambienti, “vai contro Dio”, vai contro “chi Dio benedice”. Per noi parlare poi praticamente della distruzione della popolazione dell’Ucraina per promuovere le ambizioni e gli interessi predatori di potentati occidentali che si nascondono dietro a “grandi ideali”. Davvero, per la maggior parte della gente “pietà l’è morta”.

Dov’è finita la misericordia?

A morire è la pietà, in questo caso quelli che un tempo erano gli ideali umanistici, sempre più calpestati e, in particolare, il valore cristiano della misericordia che risuona nelle “beatitudini” proclamate e vissute dal Salvatore Gesù Cristo, che dice: “Beati i misericordiosi, perché a essi misericordia sarà fatta” (Matteo 5:7). Appare solo due versetti prima di “Beati quelli che s'adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (9). Cosa significa essere misericordiosi secondo l’insegnamento di Cristo e come praticare la misericordia nel mondo contemporaneo? Perché la misericordia è altrettanto rilevante come la pace per salvaguardare il concetto stesso di umanità?

Il termine tradotto con ‘misericordiosi’ è derivato da eleos, che significa compassione, pietà, commozione verso chi è in difficoltà. Si collega all’idea ebraica di hesed (grazia, amore fedele, bontà) e rachamim (compassione materna).

Nel mondo greco-romano, la misericordia era talvolta considerata una debolezza perché contrapponeva un ideale di compassione e perdono alla virtù della giustizia rigorosa e della forza. Gli stoici, ad esempio, vedevano la pietà come una passione irrazionale, un cedimento emotivo che poteva compromettere la capacità di giudicare con equità. Nella cultura romana, l'enfasi sulla disciplina e sull'autorità spesso relegava la misericordia a un ruolo marginale, ritenendola inadatta per un leader forte. Questo contrasta nettamente con la visione biblica, dove la misericordia è esaltata come una delle qualità più alte e divine, che si integra perfettamente con la giustizia di Dio.

Nell’antico Israele, la misericordia era profondamente radicata nella comprensione del carattere di Dio, che si rivelava come ricco in misericordia (Esodo 34:6). Questo si manifestava attraverso il termine ebraico hesed, spesso tradotto come "amore fedele" o “grazia”, che indica una bontà costante e immutabile, espressione dell'alleanza divina con il Suo popolo. Dio non solo mostrava compassione verso i peccatori, ma si impegnava a soccorrere i bisognosi, perdonare le colpe e rinnovare la Sua fedeltà anche quando il popolo lo tradiva. La misericordia divina non era una concessione debole, ma una forza trasformante, capace di risollevare, redimere e ristabilire chiunque si affidasse a Lui. Questo ideale, profondamente intrecciato con la vita comunitaria e religiosa di Israele, costituiva anche un modello per il comportamento umano. Dice Gesù: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Luca 6:36).

Essere misericordiosi significa riflettere il carattere di Dio alla cui immagine siamo stati creati e partecipare al Suo amore verso il mondo. Non quindi giustizia inflessibile o dimostrazione di potere tirannico, ma esercizio di autorità creativa e redentrice che rispetta ogni creatura umana e se ne prende cura.

Misericordia in azione nel ministero di Gesù  

Vediamo alcuni esempi di misericordia in azione nel ministero di Gesù come ce la descrivono i vangeli.

1. La parabola del Buon Samaritano (Luca 10:25-37) illustra la misericordia come un'azione concreta e inclusiva che trascende le barriere culturali, etniche e religiose. Il sacerdote e il levita, figure rappresentative della legge e del culto, vedono l’uomo ferito ma non intervengono, forse per paura di contaminarsi o per mancanza di compassione. Al contrario, il Samaritano, appartenente a un gruppo disprezzato dai giudei, si ferma, prova compassione e agisce con generosità, curando le ferite dell'uomo e provvedendo al suo sostentamento.

Questa parabola ridefinisce il concetto di "prossimo", mostrando che non è determinato da vicinanza etnica o religiosa, ma da un atteggiamento di misericordia attiva verso chiunque si trovi nel bisogno. Gesù sottolinea che la vera obbedienza alla legge di Dio si manifesta nell’amare il prossimo attraverso atti di cura, indipendentemente dalle differenze. Il Samaritano diventa un esempio di come la misericordia non sia solo un sentimento, ma un impegno che coinvolge il cuore, le mani e le risorse personali.

2. Quando i farisei interrogano Gesù sul tema del divorzio, Egli risponde: “Fu per la durezza del vostro cuore che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli, ma da principio non era così” (Matteo 19:8). In questa risposta, Gesù riconosce l’ideale originario dell’indissolubilità del matrimonio, voluto da Dio nella creazione, ma evidenzia anche come la legge mosaica, pur essendo perfetta, tenga conto della realtà del peccato umano. La concessione del divorzio nella legge di Mosè non rappresenta una deroga al progetto divino, ma un atto di misericordia che cerca di mitigare le conseguenze distruttive della durezza di cuore. Un’applicazione rigida del principio dell’indissolubilità, in un contesto di peccato e fallimento relazionale, rischierebbe infatti di produrre sofferenze maggiori, specialmente per i più vulnerabili, come le donne e i figli. Questo mostra come Dio non sia legalista, ma consideri la fragilità umana, introducendo una misura che protegga le persone dalla durezza e dall’ingiustizia. La misericordia qui si manifesta come una concessione temporanea e limitata, volta a preservare la dignità e il benessere delle persone in situazioni eccezionali, senza però perdere di vista il principio divino dell’amore fedele e della riconciliazione.

3. L'episodio di Gesù e l'adultera (Giovanni 8:1-11) evidenzia il conflitto tra legalismo e misericordia. I farisei e gli scribi conducono davanti a Gesù una donna sorpresa in adulterio, invocando la legge mosaica che prescrive la lapidazione per tale peccato. Tuttavia, il loro intento non è la giustizia, ma mettere Gesù in una posizione di difficoltà, sperando che contraddica la legge. Gesù, con calma, ribalta la situazione, sfidando i suoi accusatori con la famosa frase: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». Di fronte alla loro coscienza colpita, gli accusatori si allontanano uno dopo l’altro, lasciando solo la donna e Gesù.

Questo episodio mostra come la misericordia divina vada oltre il legalismo umano. Gesù non nega la gravità del peccato, ma rifiuta di distruggere la vita di quella donna, rivolgendosi a lei con compassione: «Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». La misericordia di Gesù non è una licenza per continuare nel peccato, ma un’opportunità per la trasformazione e la rinascita. Egli dimostra che la giustizia di Dio non è separata dall’amore, ma mira a restaurare i peccatori, offrendo loro una via per tornare alla comunione con Lui. In questo atto, Gesù rivela che la vera obbedienza alla legge consiste nel riflettere il cuore di Dio, che è lento all’ira e ricco in misericordia.

4. L'episodio della guarigione dei dieci lebbrosi (Luca 17:11-19) è una dimostrazione evidente della misericordia di Gesù, che si estende senza condizioni a chiunque si rivolga a Lui con fede, indipendentemente dalla loro origine o status. Dieci lebbrosi, esclusi dalla società a causa della loro malattia, gridano da lontano invocando: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!». La risposta di Gesù è immediata e compassionevole: li invita a presentarsi ai sacerdoti, un atto necessario per essere dichiarati puri. Nel loro andare, vengono guariti, mostrando che la guarigione di Gesù non dipendeva dalla loro appartenenza religiosa o merito personale, ma solo dalla Sua grazia.

Tuttavia, solo uno dei dieci, un Samaritano, ritorna per ringraziare Gesù, evidenziando un altro aspetto della misericordia: essa non solo dona, ma invita al rapporto con Lui. Gesù, pur notando l'ingratitudine degli altri nove, non ritira la guarigione, dimostrando che la Sua misericordia non è condizionata dalla risposta umana. Tuttavia, l'atto del Samaritano sottolinea che riconoscere la misericordia ricevuta conduce a una guarigione ancora più profonda, quella spirituale: «La tua fede ti ha salvato». Questo episodio illustra come la misericordia di Gesù sia universale, gratuita e orientata a una trasformazione completa, fisica e spirituale.

5. Le parole di Gesù sulla croce, «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23:34), rappresentano la suprema espressione della misericordia divina. In un momento di dolore estremo, tradito, schernito e inchiodato alla croce, Gesù non invoca giustizia o vendetta, ma intercede per i Suoi carnefici. La Sua preghiera non riguarda solo i soldati romani che lo hanno crocifisso, ma anche i capi religiosi e la folla che lo ha condannato. La misericordia di Gesù è così radicale da includere persino coloro che non hanno chiesto perdono o non si rendono conto della gravità delle loro azioni.

Questo perdono sulla croce non è un semplice gesto umano, ma la manifestazione del cuore di Dio, che desidera la redenzione dei peccatori. Gesù, nel Suo sacrificio, non solo dimostra misericordia, ma apre la via affinché tutti possano riceverla. Questo atto è il culmine del Suo insegnamento sull’amare i nemici (Matteo 5:44) e sulla grazia che sovrabbonda oltre il peccato. La misericordia di Gesù sulla croce ci invita a seguirlo, mostrando perdono e amore persino nelle situazioni più difficili, riconoscendo che la misericordia è il mezzo attraverso cui Dio redime peccatori.

La misericordia oggi: un valore trascurato

Nel contesto contemporaneo, la misericordia sembra spesso essere un valore dimenticato o relegato a un ruolo marginale, sostituito da atteggiamenti che privilegiano il rigore delle regole e la divisione sociale. Come già abbiamo osservato, due ostacoli principali impediscono alla misericordia di prosperare nella nostra società: il legalismo e il fanatismo. Il legalismo si manifesta in un’ossessiva attenzione al rispetto rigido delle norme, anche a costo della sofferenza altrui. Si tratta di una prospettiva che sacrifica la compassione sull'altare di una giustizia formale, dimenticando che le leggi stesse, sebbene necessarie, devono essere strumenti di bene comune e non armi per opprimere. Il fanatismo religioso, d’altro canto, trasforma l'indignazione morale in un desiderio di punizione. Piuttosto che cercare la redenzione del peccatore, si concentra sull’eliminazione del male con una durezza che contraddice il messaggio di Cristo.

Gli effetti di questa carenza di misericordia sono evidenti. Nei giudizi affrettati sui social media, spesso guidati da una cultura del biasimo, si assiste a una mancanza di empatia che colpisce senza discernimento. Allo stesso modo, la negligenza verso i bisognosi rivela una società che, pur avendo risorse e conoscenze, chiude gli occhi di fronte alla sofferenza e delega la responsabilità ad altri. Per riscoprire la misericordia, è necessario guardare il mondo con gli occhi di Cristo, riconoscendo il valore unico di ogni essere umano. La misericordia non è un semplice sentimento, ma un'azione concreta: visitare un malato, ascoltare con pazienza chi soffre, sostenere chi è in difficoltà. Questi atti quotidiani, apparentemente piccoli, incarnano l’amore redentore di Dio e dimostrano che la vera forza non risiede nella durezza, ma nella compassione che trasforma le vite e il mondo.

Epilogo: Vivere la misericordia

Dunque: “Pietà l’è morta?”. No, vive nel Signore e Salvatore Gesù Cristo e rinasce e si diffonde ogni qual volta i Suoi discepoli praticano e diffondono, nel Suo nome, la misericordia. Gesù dice: “Beati i misericordiosi, perché a essi misericordia sarà fatta” (Matteo 5:7). La misericordia ritorna su chi la pratica.

Apprendiamo così che la misericordia non è semplicemente un'idea o un valore astratto, ma la viva espressione del cuore di Dio che si manifesta nelle nostre vite. In Gesù Cristo, vediamo la misericordia divina prendere forma umana: Egli perdona peccatori, guarisce malati, soccorre gli emarginati e offre la Sua vita per la redenzione del mondo. Ogni episodio del Vangelo che abbiamo esplorato ci insegna che la misericordia non è mai debolezza, ma la forza trasformante dell'amore di Dio che si piega verso i peccatori, li rialza e li guida verso una nuova vita.

Questa misericordia ci chiama oggi a un compito urgente: rispondere al nostro mondo frammentato e spesso indurito con gesti concreti di compassione. Non possiamo lasciare che l’esercizio tirannico del potere distrugga l’umanità, che il legalismo spenga la luce della grazia, né che il fanatismo offuschi il volto misericordioso di Cristo. Ogni giudizio frettoloso, ogni atto di negligenza verso chi soffre, è un’occasione mancata per rendere visibile il regno di Dio. Guardare il mondo con gli occhi di Cristo significa vedere nell’altro non un avversario o un peso, ma un essere umano amato da Dio. Vivere la misericordia significa farci strumenti della grazia, pronti a donare senza condizioni, a perdonare senza riserve e a servire senza aspettarci nulla in cambio.

In un’epoca che troppo spesso celebra la durezza e il successo personale, la misericordia, così, si erge come una controcultura radicale, un segno del regno di Dio in mezzo a noi. È il modo in cui possiamo rispondere alla chiamata di Gesù: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Luca 6:36). Non è un ideale irraggiungibile, ma un dono che possiamo coltivare ogni giorno. In famiglia, sul lavoro, nelle comunità, sui social media e nei confronti dei più vulnerabili, abbiamo infinite opportunità per praticare la misericordia e riflettere l’amore di Dio. Questo è il cammino che non solo trasforma gli altri, ma cambia anche noi stessi, rendendoci sempre più simili a Cristo, il volto della misericordia perfetta.

Paolo Castellina, 2 Gennaio 2025

Note

[1] Pietà l’è morta [di Nuto Revelli]. “Lassù sulla montagna bandiera nera / E` morto un partigiano nel far la guerra / E` morto un partigiano nel far la guerra / Un altro italiano va sotto terra. / Laggiù sotto terra trova un alpino / Caduto nella Russia con il "Cervino' / E` morto nella steppa assiderato / Ferito o da amputare congelato. / Ma prima di morire ha ancor pregato / Che Dio maledica quell'alleato / Che Dio maledica chi ci ha tradito / Lasciandoci sul Don e poi è fuggito. / Tedeschi traditori l'alpino è morto / Ma un altro combattente oggi è risorto / Combatte la sua guerra da vecchio alpino / Fatiche, freddo e fame gli son compagne. / Combatte il partigiano la sua battaglia / Tedeschi e fascisti fuori d'Italia / Tedeschi e fascisti fuori d'Italia / Gridiamo a tutta forza Pietà l'è morta”.

[2] "Il mondo dei vinti" di Nuto Revelli è una raccolta di testimonianze che documenta la vita e le difficoltà dei contadini delle montagne piemontesi nel dopoguerra. Revelli raccoglie le storie di uomini e donne che hanno vissuto in condizioni di estrema povertà, descrivendo le loro fatiche quotidiane, la miseria, l'emigrazione e la resistenza alla modernizzazione. Il libro offre uno spaccato crudo e autentico della vita rurale, mettendo in luce la dignità e la resilienza di queste persone spesso dimenticate dalla storia ufficiale. https://shorturl.at/i7PGD