Predicazioni/Matteo/Grazia riabilitante in vista d’opere di misericordia
Grazia riabilitante in vista d’opere di misericordia
La certezza della pena è un principio di giustizia che impone di perseguire i reati e di condannare effettivamente i colpevoli. Vale in modo supremo nel quadro giuridico in cui Dio ha inserito le creature umane. Esso però comprende anche il concetto di grazia, che non è un perdono fine a sé stesso, ispirato da generica benevolenza e tolleranza, ma è finalizzata all'effettiva trasformazione morale e spirituale di colui o colei che ne è oggetto. La grazia è l’opera riabilitante di Dio che si manifesta necessariamente in chi la riceve con opere conseguenti. Lo vediamo in quanto Gesù dice a proposito del Giudizio universale in Matteo 25:31-46, il testo che esamineremo oggi.
Criminali da rieducare
Uno dei principi della moderna giustizia penale è contenuto nell’articolo 27 della Costituzione della Repubblica italiana [1] che, fra l’altro, dice: “Le pene ... devono tendere alla rieducazione del condannato”. Questo articolo, con il suo richiamo alla rieducazione del condannato, si allinea con una visione che vede il sistema carcerario non solo come un mezzo di punizione, ma anche e soprattutto come uno strumento per il recupero sociale del detenuto. In pratica, questa norma costituzionale ha influenzato la legislazione e la prassi penitenziaria in Italia, promuovendo programmi di educazione, formazione professionale, e assistenza psicologica per i detenuti. Essa rappresenta una guida per le politiche penali e penitenziarie, incoraggiando un sistema che facilita il reinserimento dei detenuti come cittadini produttivi e rispettosi della legge. A questo principio si riferiscono pure le "Regole minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti" (conosciute come Regole di Mandela [1]), adottate inizialmente nel 1955 e revisionate nel 2015, che mettono un forte accento sulla riabilitazione e il recupero dei detenuti, riconoscendo l'importanza di preparare i prigionieri per il loro reinserimento nella società. Si può certo contestare che questa riabilitazione avvenga, che non sia solo una bella teoria e di fatto abbia successo, ma questo principio è indubbiamente importante.
La riabilitazione del peccatore sta alla base del concetto biblico e cristiano evangelico di grazia - un termine giuridico. La grazia di Dio in Gesù Cristo è finalizzata alla riabilitazione, al ricupero, al riscatto del peccatore davanti a Dio e nella società umana. La grazia di Dio in Gesù Cristo non è un perdono fine a sé stesso, ispirato da generica benevolenza e tolleranza, ma è finalizzata all'effettiva trasformazione morale e spirituale di colui o colei che ne è oggetto e la riceve, perché in quel senso non fallisce mai, quando è concessa. Se non si manifesta in tale fattuale, sia pur graduale, trasformazione morale e spirituale della persona, si può ben dire che non sia stata effettivamente né proclamata né ricevuta. La grazia, infatti, è l’opera misericordiosa di Dio per la quale lo Spirito Santo porta una persona al ravvedimento dai propri peccati, alla fede in Gesù Cristo (che la rende possibile) e ad incamminarsi come Suo discepolo in un processo di trasformazione della sua condotta in conformità alla Sua volontà rivelata. La grazia è salvezza dalla forza mortifera e dalle conseguenze temporali ed eterne del peccato, la quale produce la “riabilitazione”, “il reinserimento” della creatura umana nel mondo di Dio come “cittadino produttivo” e rispettoso della Sua legge. Il rinnovamento morale e spirituale del peccatore eletto alla grazia della salvezza è parte dei propositi di Dio di ristabilimento di tutte le cose in Cristo. Come dice l’Apostolo: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Corinzi 5:17). ...e questo in maniera fattuale, qui ed ora!
La grazia di Dio in Gesù Cristo - quando è autenticamente proclamata e ricevuta - è sempre efficace e produce risultati tangibili e verificabili. Lo vediamo esemplificato nei vangeli, uno fra i tanti esempi, nel caso di Zaccheo, un noto peccatore, al quale Gesù dice: “’Oggi devo fermarmi in casa tua’ ... allora egli si affrettò a scendere e lo accolse con gioia”. È la grazia elettiva di Dio in Gesù Cristo che “gli fa visita”. Qual è il risultato di questo incontro? “Zaccheo, presentatosi al Signore, gli disse: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho frodato qualcuno di qualcosa, gli rendo il quadruplo”. Gesù gli disse: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa. ... poiché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto” (Luca 19:8-10). Il peccatore Zaccheo, ricevendo la grazia di Dio, viene così “riabilitato” di fronte a Dio ed alla società tanto che lui si comporta e si comporterà in maniera conseguente compensando le vittime del suo malfare e iniziando a vivere secondo giustizia.
I criteri del giudizio ultimo di Dio
Come creature morali dovremo rendere conto a Dio della nostra vita. La Scrittura dice infatti: “... è stabilito che gli uomini muoiano ... dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27). Gesù stesso parla del giudizio universale al capitolo 25 del vangelo secondo Matteo. Ascoltiamone una parte, notando il carattere eminentemente etico e morale di questo giudizio. Dio si aspetta che le creature umane vivano secondo giustizia e misericordia, altrimenti non saranno ammesse nel Suo favore, poiché, come dice la Scrittura: “... voi sapete molto bene che nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio” (Efesini 5:5).
“Quando il Figlio dell'uomo sarà venuto nella sua gloria con tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il Re dirà a quelli della sua destra: 'Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo! Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui infermo e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi'. Allora i giusti gli risponderanno: 'Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O avere sete e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto infermo o in prigione e siamo venuti a trovarti?'. E il Re, rispondendo, dirà loro: 'In verità vi dico che, in quanto l'avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me'. Allora dirà anche a coloro della sinistra: 'Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non mi accoglieste; nudo e non mi rivestiste; infermo e in prigione, e non mi visitaste'. Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: 'Signore, quando ti abbiamo visto avere fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o infermo, o in prigione e non ti abbiamo assistito?'. Allora risponderà loro, dicendo: 'In verità vi dico che, in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me'. E questi se ne andranno a punizione eterna, ma i giusti a vita eterna” (Matteo 25:31-46).
Chi sono i giusti?
Il testo che abbiamo udito è spesso equivocato, perché, come tutti gli altri, va considerato sempre nella prospettiva della dottrina dell’Evangelo e non secondo le illusioni e i pregiudizi umani. Esaminiamolo con attenzione.
Vi sono due categorie di persone che compariranno davanti al trono di Cristo per esservi giudicate e il cui destino eterno è diverso. Sono distinti con un'immagine proverbiale che illustra il loro carattere: le "pecore", umili ed ubbidienti al pastore, il Cristo, e "i capri", ribelli, indocili ed egoiste. Le "pecore" sono chiamate "i giusti", i "benedetti dal Padre mio", coloro per i quali, dice, "è stato preparato un regno fin dalla fondazione del mondo".
Com'è possibile, però, che vi siano "giusti" in questo mondo nel quale: “Non c'è alcun giusto, neppure uno. Non c'è nessuno che abbia intendimento, non c'è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti sono diventati inutili. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” (Romani 3:10-12)? Com'è possibile che vi siano "eredi del regno di Dio" quando l'umanità, a causa dei suoi peccati, è stata abbandonata da Dio e cacciata dalla Sua presenza? L’accoglienza da parte di Dio se la sono forse meritata producendo opere giuste, con la loro propria giustizia? Impossibile: “Tutti quanti siamo diventati come l'uomo impuro e tutta la nostra giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come una foglia e le nostre iniquità ci portano via come il vento” (Isaia 64:6). Come potrebbero "alberi cattivi" quali noi siamo fare frutti buoni? Gesù dice infatti: “Voi li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l'albero cattivo fa frutti cattivi” (Matteo 7:16-17). Come possono esservi persone giuste e benedette, “alberi buoni” che fanno opere di misericordia in un giardino di alberi cattivi che producono solo frutti velenosi?
In un solo modo! A causa dell’opera della grazia di Dio in Gesù Cristo! È stata questa ad intervenire nel quadro desolante di un’umanità perduta per rigenerare moralmente e spiritualmente peccatori condannati scelti immeritatamente da Dio per ricevere la Sua grazia riabilitante. È essa e solo essa che li mette in grado di compiere opere giuste. Essi sono stati portati al ravvedimento ed alla fede nel Salvatore Gesù Cristo. In loro si è realizzata di fatto un'opera potente, quella di Cristo e dello Spirito Santo, che li ha giustificati e riconciliati con Dio e così resi docili e ubbidienti come pecore. È in questo modo che essi hanno potuto operare ciò che è gradito a Dio e conforme alla Sua Legge morale suprema. È così che hanno potuto vivere secondo il Suo stile di vita e compiere evangeliche opere di misericordia verso le persone in cui Cristo "si nasconde". È così che essi potranno “ereditare il regno che è stato preparato per loro fin dalla fondazione del mondo”. La lode va solo alla grazia efficace di Dio in Cristo per la potenza rigeneratrice dello Spirito Santo!
La nostra riabilitazione davanti a Dio non dipende dalla quantità o qualità delle opere buone che da noi stessi potremmo produrre con la nostra “buona volontà”. C’è qualcosa che deve accadere nelle persone prima che esse compiano effettivamente opere giuste, e quell’opera la deve fare Dio! Una volta avevano chiesto a Gesù: “«Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato»” (Giovanni 6:28-29). Quella è la prima “opera” necessaria. I nostri sforzi per essere persone giuste e accettabili di fronte a Dio non saranno mai sufficienti di per sé, per questo è necessaria un’opera preliminare ed abilitante che sono Dio può realizzare in noi. È essa che ci rende discepoli di Cristo. È essa che ci riabilita e che gradualmente ci trasforma da creature perdute a creature ritrovate, salvate. Il termine “riabilitazione” è qui particolarmente appropriato perché l’opera di Cristo ci rende nuovamente “abili” ad essere e fare ciò che è buono, giusto e doveroso di fronte a Dio.
Le conseguenti opere di misericordia
Le buone opere che ci salvano sono “Il frutto dello Spirito [che è] amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22). L’amore gli uni per gli altri è il risultato dell’essere fedeli discepoli di Gesù Cristo cioè persone che imparano da Lui: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35). E questo amore si concretizza nelle opere di misericordia che Gesù descrive nel testo sul Giudizio universale.
In tutta la Scrittura, Dio dimostra il suo cuore per i bisognosi e il suo severo giudizio su coloro il cui cuore è duro nei loro confronti. Rifiuta i rituali religiosi vuoti che sono solo una questione di spettacolo. Ciò che dimostra veramente la nostra fede è il modo in cui amiamo Dio e amiamo il nostro prossimo. Isaia 58 arriva a questa idea in modo magnifico. I versetti 6-7 dicono: “Il digiuno di cui mi compiaccio non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che s'infranga ogni sorta di giogo? Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici senza riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra, e che tu non ti nasconda a chi è carne della tua carne?”. Isaia, Gesù, Giacomo e altri nella Bibbia ci ricordano che la vera fede ama i poveri e che l'amore si dimostra attraverso l'azione. Non auguriamo ogni bene ai poveri e torniamo nelle nostre confortevoli case. Aiutiamo a provvedere, serviamo, nutriamo, vestiamo, con un cuore umile che sa che il nostro Dio ha fatto lo stesso per noi.
Nel discorso sul Giudizio universale, Gesù descrive quelle che la tradizione cristiana ha chiamato “opere di misericordia” [3], quelle che Egli compiva ed insegnava ai Suoi discepoli a compiere. Queste opere si riferiscono alle preoccupazioni primarie della vita: mangiare, bere, vestire, ospitare, curare, visitare!
- Dar da mangiare agli affamati - Fornire cibo a coloro che ne hanno bisogno. Si deve riflettere però sul fatto che quanto più evoluta si fa la vita, tanto più le situazioni materiali in cui bisogna praticare la carità assumono aspetti ed esigenze nuove. Essere attenti perché ai fratelli non manchi il lavoro è indubbiamente come dar loro da mangiare, da bere, da vestire; è come aiutarli ad essere inseriti in modo degno nel contesto della società in cui si muovono. Si deve quindi trovare l'impegno per far sì che ogni persona abbia il proprio lavoro. Ognuno pensa a sé senza riflettere, senza considerare che il suo star meglio può essere pagato da qualcuno col suo star peggio.
- Dar da bere agli assetati - Fornire acqua a chi ne è privo.
- Vestire gli ignudi - Fornire vestiti a chi ne è privo.
- Ospitare i pellegrini - Accogliere e dare rifugio a chi è in viaggio e non ha un posto dove stare. Nella realtà odierna ospitare i pellegrini non è offrire un semplice aiuto, ma aprirsi alla persona e non soltanto ai suoi bisogni. Accogliere il pellegrino, lo straniero, è fare loro spazio nella propria città, nelle proprie leggi, nella propria casa, nelle proprie amicizie, mentre spesso oggi l'aridità d'animo non è sensibile alle necessità di chi si trova in stato di bisogno.
- Visitare gli infermi - Assistere e confortare chi è malato. Questa opera di misericordia deve essere ripensata, rivissuta ed anche rivalutata come cultura, come costume, come segno di civiltà e di rispetto della vita. Bisogna porre fine alla consuetudine di scaricare all'ospedale l'ammalato abbandonandolo con i suoi problemi, con i suoi dubbi e le sue incertezze; l'ammalato, ovunque si trovi, bisogna visitarlo, bisogna stargli vicino, bisogna dargli conforto e riconoscergli una priorità di affetti.
- Visitare i carcerati - Offrire conforto e supporto a chi è in prigione. Visitare i carcerati oggi vuole anche significare aiutare, comprendere, accogliere, sostenere con partecipazione e condivisione i congiunti che sono fuori, in un carcere invisibile costituito dall'emarginazione e dall'indifferenza in cui sono costretti a vivere. L'impegno quindi è importante e anche oneroso: attuato con spirito di comprensione e di partecipazione, potrà rappresentare prevenzione verso il crimine ed educazione alla libertà, bene comune e irrinunciabile.
- Seppellire i morti - Dare una degna sepoltura a chi è deceduto. Esprime il rispetto dell'uomo anche nel suo ultimo viaggio. L'hanno praticata fin da quando, con atto di umana pietà, i cristiani si chinavano per strada o nei lazzaretti per raccogliere gli infelici deceduti. È un'opera che autentica e testimonia lo spirito dell'essere cristiani.
A queste opere di misericordia che potremmo dire “corporali”, la tradizione cristiana, sulla base dell’insegnamento biblico, ha aggiunto altre sette opere di misericordia spirituali: (1) Consigliare i dubbiosi - Offrire guida e consiglio a chi è in difficoltà morale o spirituale. (2) Insegnare agli ignoranti - Educare chi è privo di conoscenza religiosa o morale. Il servizio della verità, con il suo coraggio, la sua generosità, deve essere offerto agli sprovveduti davanti alle necessità della vita, oppure inermi e indifesi nel travaglio dei rapporti sociali. (3) Ammonire i peccatori - Avvertire coloro che si stanno comportando male, indirizzandoli verso la retta via. (4) Consolare gli afflitti - Dare conforto a chi è in sofferenza o tristezza. (5) Perdonare le offese - Perdonare chi ci ha fatto un torto. (6) Sopportare pazientemente le persone moleste - Essere pazienti e tolleranti con chi ci causa fastidi. (7) Pregare Dio in favore del nostro prossimo.
Conclusione
Il cristiano è dunque una persona raggiunta dalla grazia salvifica di Dio che viene rieducata e riabilitata ad essere ed a compiere ciò che fin dalla creazione Dio si aspettava dall’essere umano. L’opera di Dio attraverso Gesù Cristo nella potenza dello Spirito Santo produce necessariamente frutti concreti nel discepolo autentico di Cristo e quelli saranno determinanti per il nostro destino eterno. Vera fede in Lui significa che i nostri cuori sono stati cambiati, e un cuore trasformato si dimostra attraverso l’azione. La fede senza azione dimostrabile non è affatto una vera fede. È morta, ci dice Giacomo, come un corpo senza spirito. L’apostolo Paolo dice ciò che più conta davanti a Dio: “... in Cristo Gesù né la circoncisione né l'incirconcisione hanno valore alcuno; quello che vale è la fede operante per mezzo dell'amore” (Galati 5:6). Tutto quello che fin qui abbiamo descritto è evidenza della nostra salvezza eterna? Se è così, un giorno ci verrà detto: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo!”.
Paolo Castellina, 31 Maggio 2024
Note
[1] Cfr. http://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/parte-i/titolo-i/articolo-27
[2] Le Regole Mandela, note anche come Regole minime standard per il trattamento dei detenuti, sono un insieme di principi e regole elaborate dalle Nazioni Unite per garantire il trattamento umano dei detenuti. Sono state adottate dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1955 e aggiornate nel 2015. Cfr. http://www.antoniocasella.eu/archica/MandelaRulesITA.pdf
[3] https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Teopedia/Opere_di_misericordia