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Che fare di fronte a situazioni frustranti?
Spesso ci troviamo in situazioni frustranti dove il perseguimento dei nostri obiettivi ci sembra impossibile, insormontabile. È facile allora cadere nello scoraggiamento e nel disfattismo e, quel che è peggio, nell’apatia e nell’ignavia. Anche Gesù aveva affrontato la frustrazione di una situazione che, come un muro di gomma, respingeva di fatto il suo ministero. In che modo Gesù gestiva una situazione frustrante? Lo vediamo oggi dal testo di Matteo 11:16-19.
Siete mai stati in una situazione frustrante? L'aggettivo "frustrante" descrive la situazione in cui si può trovare quando le difficoltà che si incontrano per realizzare un certo obiettivo sembrano insormontabili. In una situazione frustrante, ci si sente bloccati, impotenti o delusi perché si incontrano ostacoli, difficoltà o fallimenti che impediscono di ottenere ciò che ci si aspettava o desiderava, come si dice “battere la testa contro un muro”. La frustrazione è un'emozione comune e naturale che può manifestarsi in tutti gli aspetti della vita.
Di fronte ad una situazione di tal fatta è importante riconoscere e affrontare la frustrazione in modo costruttivo per evitare che possa portare a un impatto negativo sulla nostra salute mentale e benessere. La gestione della frustrazione è essenziale e può includere l'identificazione delle sue cause, lo sviluppo di strategie per superare gli ostacoli e il mantenimento di una prospettiva realistica sulle aspettative e gli obiettivi.
Le difficoltà incontrate dall’Evangelo
Che dire, però, quando la situazione frustrante è quella dell’apparente impossibilità in una certa situazione, di comunicare efficacemente e di vivere l’Evangelo del Signore e Salvatore Gesù Cristo? Anche Lui, Gesù, si era trovato di fronte ad una situazione del genere!
Egli la esprime tramite una parabola che troviamo nel vangelo secondo Matteo, al capitolo 11 dal verso 16. Ascoltiamola e poi cercheremo di comprendere la situazione che descrive e, soprattutto, le lezioni che ci impartisce, perché la situazione frustrante non va accettata fatalisticamente, ma va gestita.
“Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile ai fanciulli seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono: 'Vi abbiamo suonato il flauto e voi non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e voi non avete fatto cordoglio'. Difatti è venuto Giovanni, non mangiando né bevendo, e dicono: 'Ha un demonio!'. È venuto il Figlio dell'uomo, mangiando e bevendo, e dicono: 'Ecco un mangiatore e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!'. Ma la sapienza è stata giustificata dalle sue opere” (Matteo 11:16-19).
La necessità vitale di un pensiero critico
La prima cosa che dobbiamo rilevare al riguardo è che la situazione frustrante va analizzata, compresa e valutata. “Ma a chi paragonerò io questa generazione?”, “Come potrei descriverla?”: ecco la domanda che Gesù pone apparentemente a sé stesso in questo testo. Sembra dire:“Voglio trovarne un paragone adatto”. Gesù non sta qui parlando fra sé e sé, riflettendo ad alta voce per trovare, magari con l’aiuto dei suoi discepoli, al termine del ragionamento, la migliore strategia per rendere più efficace il suo messaggio nel suo particolare contesto. Egli sa come stanno le cose (!), ma pone retoricamente la domanda: “A chi paragonerò io questa generazione?” per stimolare nei suoi discepoli (e quindi anche in noi) la necessità vitale di un pensiero critico [1]. È come se dicesse: “Analizzate criticamente la situazione della società nella quale viviamo. Quali ne sono le sue caratteristiche? Quale valutazione potreste darne? Dobbiamo agire, prendere delle decisioni su quella base”. A tutt’oggi, l’azione dei cristiani chiamati a svolgere i compiti che Dio loro affida per promuovere il Suo Regno è spesso, infatti, inefficace e frustrante perché è “casuale”, non basata cioè su un’accurata analisi, su “un’intelligenza” della situazione. Lo “spontaneismo” non paga.
Un vicolo cieco
Allora Gesù è qui così come se dicesse: “Io l’ho fatta questa analisi critica e la voglio condividere con voi”. Egli la fa nel suo tipico stile parabolico, tramite immagini che valgono più di lunghi discorsi - per chi può o vuole capire.
Immaginate dei bambini che in piazza giocano imitando gli adulti. Prima imitano una festa di nozze e suonano dei flauti invitando alla danza. Poi imitano un funerale e cantano dei lamenti. Si tratta di due gruppi di bambini: il primo che prende creativamente delle iniziative e che invita il secondo gruppo a partecipare ai loro giochi. Il primo gruppo, quello creativo, diventa però ben presto frustrato del secondo, che proprio non vuole “stare al gioco”. Infatti, prima avevano invitato i propri compagni a “giocare al matrimonio”, ma essi “non hanno ballato”. Poi li avevano invitati a “giocare a fare un funerale”. Hanno cantato dei lamenti, ma essi non hanno fatto finta di fare cordoglio e piangere... Il secondo gruppo di bambini sono proprio dei “guastafeste”, non è vero? Che problemi hanno? Sembra che non vada per loro mai bene nulla. Se ne stanno lì, apatici, seduti ai lati della piazza, magari annoiati, e criticano gli altri che vogliono giocare, fare qualcosa!
Questa è la situazione che Gesù si trova davanti. La Sua è una generazione sostanzialmente apatica, conformista e aliena dalle passioni. A reagire, ad agire creativamente è solo una minoranza impegnata - per altro criticata dalla maggioranza apatica. È venuto Giovanni il Battezzatore, il quale conduceva una vita fatta di rinunce, che si negava i piaceri della vita e chiamava al ravvedimento, e di lui dicevano: “È un indemoniato”. Poi è venuto Gesù, il quale non disdegna la vita in società e partecipa ai festini, e dicono: “Questo è un mangione e un beone, amico di quelli delle tasse e di altre persone di cattiva reputazione”.
Che problemi ha questa gente? Non va loro mai bene niente! In pratica: non vogliono essere minimamente disturbati. Si atteggiano a scettici e magari anche a pessimisti. Dicono: “Non ne vale la pena di reagire e impegnarsi in qualcosa ... Non servirebbe a nulla ... Non cambierebbe niente”. E nel contempo si fanno i loro affari profittando il più possibile della situazione, destreggiandosi fra poteri politici, religiosi, leggi e responsabilità. Scelgono la via più facile, più comoda. Per loro i principi etici, morali, religiosi sono solo di impaccio: essi si ritengono “realisti”! in ogni caso, “non vogliono rogne”. Una volta Gesù, frustrato e rattristato, aveva esclamato: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Matteo 24:37).
Che fare di fronte ad una società siffatta? Salvarne certo alcuni è possibile, ma i più sono sostanzialmente da “abbandonare al loro destino” - e rivolgersi ad altri. Ricordate Paolo a Corinto? Paolo predicava la fede cristiana agli Ebrei della sinagoga di Corinto, ma incontra sistematicamente ostinazione e resistenza. È lì che allora l‘Apostolo prende una decisione: “Poiché essi lo contrastavano e lo insultavano, egli scosse le sue vesti e disse loro: “Il vostro sangue ricada sul vostro capo; io ne sono netto; d'ora in poi andrò dai Gentili” (Atti 18:6).
Si potrebbe così parlare di una situazione dove prevale l’apatia. L’apatia è sostanzialmente uno stato di indifferenza verso il mondo circostante, caratterizzato da mancanza di passioni, di sentimenti e di volontà di azione. Forse però bisognerebbe meglio parlare di “ignavia”. “Ignavia" è un termine che si riferisce a uno stato di indolenza, mancanza di iniziativa e motivazione nel compiere azioni o nel perseguire obiettivi. Ha a che fare con una condizione di pigrizia, indifferenza o passività che porta una persona a non agire o a non prendere responsabilità di fronte alle sfide o agli obblighi che le si presentano.
L'ignavia può manifestarsi in vari contesti della vita quotidiana, come ad esempio nel lavoro, negli studi, nelle relazioni personali o nel perseguire i propri interessi e passioni. Una persona affetta da ignavia può trovare difficoltà a prendere decisioni, a svolgere compiti importanti o a intraprendere azioni necessarie per raggiungere i suoi obiettivi. Questo atteggiamento può portare a un senso di frustrazione, perdita di opportunità e, a lungo termine, alla mancanza di realizzazione personale. L'ignavia può essere influenzata da diversi fattori, tra cui la mancanza di fiducia in sé stessi, l'eccessiva paura di fallire, l'assenza di una chiara direzione o scopo nella vita, o la mancanza di interesse o passione per ciò che si sta facendo. La società moderna, caratterizzata da una rapida accelerazione e da una grande quantità di stimoli, può anche contribuire a generare un senso di stanchezza e inerzia che favorisce l'insorgere dell'ignavia.. L'ignavia diventa un problema quando diventa una costante e interferisce negativamente con la realizzazione di obiettivi e con il benessere generale. L’ignavia è utile “al sistema” iniquo e sicuramente esso la favorisce.
Fuggire da una situazione del genere, quando si incontra questo muro invalicabile, impermeabile all’Evangelo, e rivolgersi altrove può essere certamente una soluzione, ma non bisogna disperare. Con la preghiera che invoca l’intervento dello Spirito Santo, affrontare l'ignavia è possibile. Sicuramente può essere una sfida, ma è possibile superarla stimolando in chi ne è affetto, la consapevolezza di sé, la definizione di obiettivi chiari e realistici, la creazione di routine strutturate, la gestione dello stress e insegnare una mentalità proattiva. L'acquisizione di abitudini e tecniche per mantenere la motivazione e l'entusiasmo può aiutare a superare l'ignavia e a vivere una vita più soddisfacente e gratificante. Solo però lo Spirito Santo di Dio, attraverso la rigenerazione spirituale da Egli operata può risolvere questa situazione. Una volta, di fronte alla frustrazione dell’aver a che fare con un’apparentemente insormontabile durezza di cuore, i discepoli di Gesù disperano, ma: “Gesù, guardandoli fissi, disse loro: ‘Agli uomini questo è impossibile, ma a Dio ogni cosa è possibile’” (Matteo 19:26). E’ per questo che dobbiamo pregare di fronte ad una situazione frustrante dove pare umanamente impossibile operare per la causa dell’Evangelo.
La mentalità proattiva è vincente
Gesù conclude con un proverbio che giustificava sia Giovanni che il suo stile di vita: “Ma la sapienza è stata giustificata dalle sue opere”. Gli ebrei avevano criticato sia Giovanni che Gesù per il modo in cui vivevano. Il punto di Gesù era che le buone azioni compiute da Giovanni e Gesù giustificavano le loro scelte di vivere come loro. Chi potrebbe giustamente criticarli dal momento che sono andati in giro a fare del bene? La sapienza nell'Antico Testamento è quasi un sinonimo di Dio in molti luoghi.
Gesù afferma che lui e Giovanni vivevano saggiamente, in modo proattivo (si direbbe oggi) sotto il controllo di Dio. Non c’è alcuna sapienza nell’apatia, nell’ignavia, nel conformismo, nella pigrizia, nell’indifferenza o passività che porta una persona a non agire o a non prendere responsabilità di fronte alle sfide o agli obblighi che le si presentano. Quello è uno stile di vita fallimentare, controproducente, auto-distruttivo, che non produce nulla di buono.
Sia Giovanni che Gesù, nonostante le frustrazioni indotte dalla situazione, avevano però una mentalità proattiva. Una mentalità proattiva è un atteggiamento mentale e comportamentale che si focalizza sulla presa di iniziativa, sull'assunzione di responsabilità e sull'anticipazione degli eventi, piuttosto che reagire passivamente alle circostanze o aspettare che le cose accadano da sole. Una persona con una mentalità proattiva è orientata all'azione e prende il controllo della propria vita, cercando attivamente di influenzare gli esiti e migliorare le situazioni, anziché lasciare che gli eventi e gli altri determinino il corso delle cose. Caratteristiche chiave della mentalità proattiva includono l'assunzione di responsabilità per i propri obiettivi e azioni, l'iniziativa nel creare opportunità, la capacità di guardare avanti e prepararsi per il futuro, la ricerca di soluzioni creative ai problemi e l'autodisciplina nel rimanere focalizzati sugli obiettivi.
Indubbiamente questo era lo stile di vita di Gesù, quello che insegnava ed insegna ai Suoi discepoli. Gesù non si lasciava scoraggiare da situazioni frustranti. La lettera agli Ebrei dice: “Corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, riguardando a Gesù, autore e compitore di fede, il quale, per la gioia che gli era posta dinanzi, sopportò la croce disprezzando l'infamia e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:1-2). Coltivare una mentalità proattiva richiede consapevolezza, pratica e perseveranza, ma porta a una vita più soddisfacente e di successo. Partiamo dunque da un’attento esame critico della situazione, valutiamola e agiamo su quella base con fiducia, senza lasciarci scoraggiare, fiduciosi nelle promesse di Dio e animati dal Suo Spirito.
Paolo Castellina, 1 luglio 2023