Predicazioni/Marco/L’amore è la cosa più importante

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L’amore è la cosa più importante, ma che cos’è l’amore e come amare veramente?

Su una cosa sembriamo tutti d’accordo in questo mondo (almeno a parole): come cantavano i Beatles: “All you need is love”: tutto ciò di cui avete bisogno è l’amore. Ogni religione, si dice, atei compresi, “gente di buona volontà”: tutti d’accordo. L’amore indubbiamente è un bisogno umano fondamentale. Che cosa bisogna però intendere esattamente con “amore”? Le opinioni sono molto diverse al riguardo e, di fatto, diventa un valore molto soggettivo, e quindi relativo, la cui mancanza la si giustifica fin troppo facilmente. Di fatto, l’amore, 

nonostante sia così fondamentale, non solo è un bene raro in questo mondo, ma  può essere facilmente dissimulato e prevale l’egoismo, tanto da mettere in dubbio dell’effettiva capacità umana ad amare.

Ad una domanda che un giorno gli era stata posta a Gesù su quale fosse il più importante dovere morale dell’essere umano, Gesù risponde essere quello di amare. Rispondendo, però, Egli chiarisce che cosa sia l’amore, quale ne sia la base e soprattutto ne fornisce un esempio concreto: quello che egli stesso si accingeva a fare poco tempo dopo. Ascoltiamo quanto troviamo nel vangelo secondo Marco, al capitolo 12, dal versetto 28.

Il testo biblico

“Or uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto ch'egli aveva loro ben risposto, si accostò e gli domandò: Qual è il comandamento primo fra tutti? E Gesù rispose: Il primo è: Ascolta, Israele: Il Signore Iddio nostro è l'unico Signore: ama dunque il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua e con tutta la mente tua e con tutta la forza tua. Il secondo è questo: Ama il tuo prossimo come te stesso. Non v'è alcun altro comandamento maggiore di questi. E lo scriba gli disse: Maestro, ben hai detto secondo verità che v'è un Dio solo e che fuori di lui non ve n'è alcun altro; e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l'intelletto e con tutta la forza e amare il prossimo come sé stesso, è assai più che tutti gli olocausti e i sacrifici. E Gesù, vedendo ch'egli aveva risposto avvedutamente, gli disse: Tu non sei lontano dal regno di Dio. E nessuno ardiva più interrogarlo” (Marco 12:28-34).

Il contesto

Per comprendere rettamente gli episodi del vangelo secondo Marco che stiamo esaminando in queste settimane, li dobbiamo considerare tutti nell’ottica della sofferenza e morte di Gesù, che costituisce il momento culminante della Sua opera e quindi del messaggio dell’Evangelo. Con i Suoi discepoli, Gesù stava salendo verso Gerusalemme non per “prendere il potere” secondo i criteri di questo mondo, ma per realizzare, con l’estremo sacrificio della Sua vita, la redenzione che Egli era venuto a realizzare: espressione più alta di amore. I Suoi miracoli, incontri ed insegnamenti erano parte di una mirata pedagogia attraverso la quale Gesù preparava i Suoi discepoli proprio a quegli avvenimenti cruciali. Quando l’evangelista Marco ce li racconta, egli vuole fare lo stesso con noi: farci gradualmente comprendere il significato ed il valore salvifico del sacrificio di Gesù e l’etica, lo stile di vita, che esso implica per tutti coloro che Lo seguono.

L'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme inizia questa sezione (11:1-11). Quindi Gesù maledice un albero di fico sterile (un commento appena velato sulla sterilità della religione del tempio). Quindi Egli “purifica” il tempio (11:15-19) suscitando l'ostilità dei capi dei sacerdoti e degli scribi, che ora complottano per ucciderlo (11:18). Gesù, infatti, mettendo in questione il loro insegnamento, prassi e potere, entra in aperto conflitto con i gestori della religione ufficiale che da Lui si sentono minacciati. Non tutti loro, però, cercano d’intrappolare Gesù mettendolo alla prova. Come vediamo in questo episodio, uno scriba gli pone una domanda sincera che Gesù non manca di apprezzare. Non si tratta, infatti, di “due religioni” in conflitto, quella di Gesù e quella dei Giudei. Gesù era un israelita e Gesù si contrappone loro perché di fatto essi pervertivano la fede di Abramo, Isacco e Giacobbe, quella che Egli, Gesù, era venuto per portare a compimento.

Anche il suo onesto interlocutore esprime apprezzamento per Gesù: “Or uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto ch'egli aveva loro ben risposto, si accostò e gli domandò: Qual è il comandamento primo fra tutti?”. A differenza della maggior parte dei racconti in cui un funzionario religioso pone una domanda a Gesù, non vi è alcuna indicazione, infatti, che questo scriba stesse cercando d’intrappolare Gesù: gli fa una domanda sincera.

Lo scriba sta chiedendo non quale comandamento sia il primo di molti, ma piuttosto quale comandamento definisca il nucleo della legge della Torah - quale ne stia al centro, lo riassuma. C'è una legge che possa considerarsi la chiave di tutte le leggi? La legge ebraica comprende 613 comandamenti (365 divieti e 248 comandamenti positivi). Gli scribi li dividevano in comandamenti "leggeri" e comandamenti "pesanti"; i comandamenti leggeri erano i meno importanti e quelli pesanti più importanti. Gli scribi esaminavano ogni legge nei minimi dettagli e escogitavano regole complesse per aiutare le persone a capire come obbedire a ciascuna legge in ogni situazione immaginabile. Il loro senso del dovere era molto alto.

Un certo numero di profeti e rabbini indubbiamente già avevano cercato di riassumere la legge: “O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il SIGNORE, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?” (Michea 6:8). “Ciò che odi per te stesso, non farlo al tuo prossimo. Questa è tutta la legge, il resto è commento”, diceva Hillel. Akiba diceva: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Nulla di nuovo in questo.

Il comandamento numero uno

“Gesù rispose: Il primo è: Ascolta, Israele: Il Signore Iddio nostro è l'unico Signore [o “Il Signore è uno]: ama [in greco agapeseis, amore-agàpe] dunque il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore [in greco kardias] e con tutta l'anima tua [in greco psyche] e con tutta la mente tua e con tutta la forza tua” (29-30). Questo è il primo comandamento.

Gli ebrei si riferiscono a queste parole come lo "Shemà", che significa "ascoltare" e deriva da Deuteronomio 6:4-5. Lo Shema è recitato regolarmente nel culto della sinagoga e nelle preghiere quotidiane, ed è una delle scritture conservate nei filatteri (un piccolo contenitore indossato sulla propria persona contenente scritture) e nelle mezuzah (un contenitore simile per lo stipite della propria casa) come costante promemoria. Recitando lo Shema, Gesù va alla Torah, al centro della fede e della pratica d’Israele. Gesù lo usa per introdurre il comandamento di amare Dio. Lo Shemà non è di per sé un comandamento, né un semplice preludio letterario, ma ha la sua importanza determinante: stabilisce il fondamento per il comandamento di amare Dio e il nostro prossimo.

Gesù mette in evidenza come il primo dovere morale della creatura umana sia quello di amare Colui che è la fonte stessa e sostegno della nostra vita. Prima dell’amore “orizzontale” viene quello “verticale”. Anzi, è il nostro rapporto con Dio che determina la nostra stessa capacità ed efficacia di amare il nostro prossimo.

Dobbiamo amare Dio di tutto cuore (“dal profondo del cuore”). Non si tratta di un sentimento superficiale, ma deve essere qualcosa di molto profondo e, direi, appassionato. Inoltre dobbiamo amare Dio anche “con tutta la nostra anima”. La parola greca che sta dietro a questo è psiche da cui derivano le nostre parole come psiche e psicologia. È strettamente correlato a ciò che pensiamo come personalità. Significa davvero “Ama il Signore Dio tuo con tutto ciò che ti rende TE. Sei spensierato, estroverso, socievole? Bene. Quindi lascia che la tua esuberanza si rifletta nel modo in cui servi Dio. Sei tranquillo, introspettivo, molto più a tuo agio fuori dalle luci della ribalta che dentro? Magnifico. Quindi lascia che la tua tranquilla stabilità sia messa all'opera nel nome del tuo Signore. Una taglia NON va bene per tutti. Ama il Signore Dio tuo con tutta l'anima tua. E senza riserve.

Gesù, però, mette in particolare evidenza che dobbiamo amare Dio: “con tutta la nostra mente” (o intelligenza). Il comandamento originale in Deuteronomio 6:5 parla di amare Dio con il proprio cuore, anima e forza. Gesù vi aggiunge  con la mente. Era ciò che facevano gli studiosi israeliti. Studiavano le scritture come un cercatore d'oro studia le rocce alla ricerca di segni d'oro. Percorrevano lo stesso terreno sempre di nuovo nella speranza di trovare un nuovo tesoro. Il loro era un approccio intellettuale alle Scritture. Gesù non lo cr itica affatto, anzi lo raccomanda come pure necessario! Pure per Gesù questo era e resta importante. Amare Dio con cuore, anima, mente e forza è amare Dio con tutto ciò che noi siamo. Gli ebrei pensano al cuore come al centro del pensiero e dei sentimenti. Pensavano all'anima come a ciò che dà vita o respiro a una persona. Il cuore e l’anima deve essere associato all’intelligenza. 

Infine, "forza" (amare Dio con tutta la nostra forza). Il greco dietro questo è dynamis da cui otteniamo ...la dinamite. La forza  potrebbe riferirsi a tutto ciò che ci dà eccellenza: forza fisica, bellezza, ricchezza, posizione, reputazione o talento. Questo è un potere serio. C'è una concentrazione di sforzo. Messa a fuoco. Tutte le risorse sono riunite in una causa comune. 

Dobbiamo amare Dio, però, con amore “agàpe”. Questo vuol dire che è più un "fare" che un "sentire", sebbene coinvolga entrambi. L'agape richiede azione, richiede che dimostriamo il nostro amore in modo pratico. La persona che ama Dio partecipa all'adorazione, cerca di obbedire a Dio, cerca opportunità per servire Dio secondo i propri doni e talenti. L'amore agape richiede un'espressione pratica. In tutto questo già vediamo come Gesù si differenzi nettamente dalle concezioni di amore presenti in questo mondo. Prima deve venire un amore appassionato per Dio. Da questo sorge ogni altra espressione di amore.

Il comandamento numero due

“Il secondo è questo: Ama il tuo prossimo come te stesso” (v. 31a). Lo scriba ha chiesto di un comandamento, ma Gesù ne dà due, legandoli insieme con l'affermazione “Non v'è alcun altro comandamento maggiore di questi” (v. 31b). La capacità di Gesù di sintetizzare questi due comandamenti in uno dimostra la Sua completa padronanza della Torah.

Questi due comandamenti (ama Dio e ama il tuo prossimo) riassumono ordinatamente la prima e la seconda tavola del Decalogo (i Dieci Comandamenti). La prima tavola sottolinea la relazione della persona con Dio richiedendo lealtà a Dio (Esodo 20:3), astenendosi dall'idolatria (Esodo 20:4-6), rispettando il nome di Dio (Esodo 20:7) e osservando il santo giorno del riposo (Esodo 20:8-11). La seconda tavola sottolinea la relazione della persona con le altre persone comandando di onorare padre e madre (Esodo 20:12) di rispettare e promuovere vita (non uccidere) (Esodo 20:13), di rispettare il patto coniugale (non commettere adulterio (Esodo 20:14), di rispettare la proprietà privata (non rubare) (Esodo 20:15); di onorare la verità (non fare false testimonianza (Esodo 20:16) e di bandire da noi ogni cupidigia (Esodo 20:17).

Il comandamento di amare il prossimo è tratto da Levitico 19:18, ma è in armonia con tutta la Legge e i Profeti, entrambi i quali mettono in rilievo i giusti rapporti con le persone e con Dio. La legge ebraica entrava in grande dettaglio riguardo al nostro comportamento in relazione agli altri. I profeti fanno un passo avanti, chiamandoci alla compassione e alla giustizia anche in situazioni non coperte dalla legge.

Cristo ci chiama a bilanciare questi due grandi comandamenti. La persona che ama Dio ma non ama il prossimo è gravemente carente. “Se uno dice: Io amo Dio, e odia il suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama il suo fratello che ha veduto, non può amar Dio che non ha veduto. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: che chi ama Dio ami anche il suo fratello” (1 Giovanni 4,20-21). Questo è un linguaggio duro, data la difficoltà che la maggior parte di noi sperimenta nell'amare certe persone delle quali diciamo che “non se lo meritano”. Il “merito”, però, non entra in alcun conto della Legge divina. Nella parabola del Buon Samaritano Gesù amplia la nostra comprensione del prossimo per includere coloro che sono molto al di fuori della nostra solita cerchia di amici e colleghi, e persino i nostri nemici e coloro che ci perseguitano (Matteo 5:44; Luca 6:27-35). L’amore pratico e servizievole non solo include ogni tipo di persona, ma anche ogni circostanza, da quella più apparentemente insignificante a quella più macroscopica. Ad ogni livello, richiede di guardare oltre se stessi per vedere i bisogni del prossimo e agire per aiutare con quei bisogni.

«Ama il tuo prossimo come te stesso» (v. 31a). Molti sermoni sono stati predicati sull'amore per sé stessi come prerequisito per amare il prossimo. Tuttavia, Gesù non sostiene l'amore per sé stessi, ma semplicemente ci chiede di estendere agli altri la stessa cura che abbiamo di noi stessi. L'autostima è utile, ma aiutare gli altri è il modo migliore per coltivare il rispetto per sé stessi. La maggior parte di noi ha sperimentato il senso di soddisfazione che accompagna il fare una buona azione. Come disse l’apostolo Paolo: “In ogni cosa vi ho mostrato ch'egli è con l'affaticarsi così, che bisogna venire in aiuto ai deboli, e ricordarsi delle parole del Signor Gesù, il quale disse egli stesso: Più felice cosa è il dare che il ricevere” (Atti 20:35).

Sulla buona strada

Lo scriba che aveva posto quella domanda a Gesù, benché i suoi colleghi si opponessero a Gesù, è onesto e riconosce che Gesù è davvero un maestro e che ha ragione: “Maestro, ben hai detto secondo verità”. Egli non è andato da Gesù con intenti ostili. Questa conversazione ha luogo nel tempio e lo scriba è impegnato nelle pratiche sacrificali che avvenivano nel tempio di Gerusalemme. Comprende, tuttavia, che l’amore pratico verso Dio ed il prossimo: “...è assai più che tutti gli olocausti e i sacrifici”. Il suo commento è in linea con la tradizione profetica, che ha a lungo sottolineato l’importanza di un cuore spezzato e contrito (Salmo 51,16-17), l'obbedienza a Dio (Geremia 7,21-23), l'amore costante di Dio (Os 6,6) e la pratica della giustizia, l’amare la compassione e camminare umilmente con Dio (Michea 6:8). Tuttavia, è indubbiamente insolito che Gesù incontri un funzionario religioso che riconosca che qualsiasi cosa è più importante dei sacrifici del tempio.

Ecco, così che Gesù loda quest’uomo, ha compreso ed è sulla buona strada: “E Gesù, vedendo ch'egli aveva risposto avvedutamente, gli disse: Tu non sei lontano dal regno di Dio”. Gesù sta lodando lo scriba per la sua buona risposta o avverte che gli manca ancora qualcosa? Forse entrambe le cose! Tuttavia, questo è uno dei pochi incontri positivi di Gesù con un membro dell'élite religiosa e uno dei suoi commenti più positivi a un membro di quel gruppo. 

Quanto dista lo scriba dal regno di Dio, “dal paradiso”? Il racconto si conclude senza dirci se lo scriba diventi discepolo di Gesù oppure no. Sappiamo solo che, a differenza del ricco che trovava troppo difficile fare ciò che era richiesto per possedere la vita eterna (10,23-25), quest'uomo non è lontano dal regno. Probabilmente è meglio non concentrarsi troppo sul destino eterno dello scriba, se è atterrato dalla parte giusta o dalla parte sbagliata della linea. Il cuore di questa lezione evangelica si trova nelle esigenze che pone alla nostra vita.

Dopo di che: “E nessuno ardiva più interrogarlo”, Gesù, cioè: “Nessuno ebbe più il coraggio di fargli altre domande”. Questo non perché non avessero potuto sottoporgli questioni oneste e sincere, ma perché evidentemente l’uditorio in quella circostanza gli era generalmente ostile e si rendevano conto dell’abilità di Gesù nel rispondere superando gli ostacoli e in maniera da mettere loro sempre in imbarazzo sfidandoli, cosa che i polemisti “di professione” preferiscono evitare: troppo scomodo!

E noi, quanto comprendiamo sull’amore come fondamento della nostra stessa vita? Quanto distiamo dal regno di Dio? Riflettiamo bene su quanto qui ci insegna Gesù. Insieme al complesso del Suo insegnamento, e soprattutto del Suo esempio potremo giungere ad amare veramente. Che possa essere così per ciascuno di voi.

Paolo Castellina, 24 ottobre 2021