Predicazioni/Luca/Promesse rassicuranti per un piccolo gregge

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Promesse rassicuranti per un piccolo gregge

Sintesi. Essere cristiani militanti vuol dire oggi far parte di un “piccolo gregge”. La “gente del mondo” segue altre strade. Ci chiediamo talvolta se ne valga la pena o se conseguiamo un qualche sostanziale profitto. Meglio stare con la maggioranza della gente? Si tratta però di tentazione ingannevole. La prospettiva che aveva vissuto e insegnato Gesù era molto più vasta e i Suoi valori disprezzati da questo mondo, sono quelli che più contano e nei quali dobbiamo investire con coraggio e fiducia. Esaminiamo che cosa Gesù ci insegna al riguardo e che troviamo in Luca 12:32-34.

Il “piccolo gregge” dei discepoli di Gesù è chiamato a distinguersi nettamente quanto a valori e priorità, senza timore, da ciò che caratterizza la “gente del mondo”. Esso deve apprendere a vivere ciò che contraddistingue il regno di Dio, che con Gesù di Nazareth ha fatto irruzione in questo mondo scuotendone le fondamenta. Non per nulla le autorità dell’antica Tessalonica avevano esclamato al riguardo di Paolo e Sila che vi avevano annunciato l’Evangelo: “Costoro che hanno messo sottosopra il mondo sono venuti anche qua … tutti costoro vanno contro agli statuti di Cesare dicendo che c’è un altro re, Gesù” (Atti 17:6-7). Non si trattava di un’accusa pretestuosa o di un equivoco: avevano ben compreso il carattere sovversivo dell’Evangelo che metteva pericolosamente in questione i principi sui quali era fondata la loro società. Come tale non poteva essere da loro tollerato e le violente loro reazioni non si sarebbero fatte attendere. Questo rimane vero ancora oggi quando l’Evangelo di Cristo non è annacquato e compromesso.

Può essere molto frustrante, però, far parte di una minoranza e forti sono le tentazioni di “passare dall’altra parte”, quella di chi pare aver successo e di ottenere tutto quel che vuole. Dubbi, incertezze, scoraggiamento sono sempre dietro l’angolo. “Ci porteranno via tutto, renderanno impossibile la nostra stessa vita… E’ inutile quello che facciamo, tanto vinceranno sempre loro…”. Sono i sentimenti che spesso esprimevano gli uomini e le donne di Dio nell’antico Israele quando vane e impossibili da vincere sembravano le loro battaglie. Dio, però, doveva sempre a più riprese confortarli e incoraggiarli. Lo doveva fare spesso Gesù con i Suoi discepoli; lo dovevano fare ripetutamente gli apostoli come Paolo quando scriveva, per esempio: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).

Promesse rassicuranti per “il piccolo gregge” le troviamo nel frammento del capitolo 12 di Luca che oggi ci è proposto alla nostra riflessione, dal versetto 32 al 34. Ascoltiamolo.

“Non temere, o piccolo gregge; poiché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno. Vendete i vostri beni, e fatene elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro che non venga meno nei cieli, dove ladro non s'accosta e tignola non guasta. Perché dov'è il vostro tesoro, quivi sarà anche il vostro cuore” (Luca 12:32-34).

Alla scuola di Gesù

Il capitolo 12 del vangelo secondo Luca ci fa, per così dire, entrare nell’aula dove è in corso una delle importanti lezioni che Gesù impartisce ai Suoi discepoli. In primo luogo Egli, chiamando i Suoi discepoli “voi che siete miei amici” (12:4) li mette in guardia contro l’effetto corruttore della religiosità formale, “il lievito dei farisei, che è l’ipocrisia” (12:1). Una tale religione si contrappone all’annuncio dell’Evangelo: essi, però, non devono temere le minacce dei loro avversari, ma piuttosto devono temere di ricadere nei loro stessi errori. 

Poi li ammonisce, tramite la parabola del ricco stolto a non cedere alle tentazioni della cupidigia, “perché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede che egli ha la sua vita” (12:15). Concentrare la nostra attenzione sui beni di questo mondo, per quanto ci siano necessari, distorce solo le nostre prospettive e ci induce ansietà paralizzante. 

Il frenetico perseguimento di beni materiali è, infatti, ciò che occupa la maggior parte del tempo della gente di questo mondo e il timore di rimanerne privi è la principale causa delle sue paure e ansie. Per garantirsi le risorse materiali utili al suo essere e benessere, la gente di questo mondo non ha scrupoli, è disposta a tutto, persino a fare guerre per impadronirsi delle risorse vitali altrui. Gesù, però, insegna ai Suoi discepoli a relativizzare i beni materiali e a non stare in ansia per “ciò che mangeremo” e “ciò di cui ci vestiremo”. “La vita”, ciò che più conta della vita, dice Gesù, non dipende da quello: “La vita è più del nutrimento e il corpo più del vestito” (12:23). La vita ha un valore che trascende anche i mezzi che servono per sostenerla. Piuttosto, come Suoi discepoli, noi dobbiamo concentrarci sulla promozione in questo mondo della causa di Dio: “Cercate piuttosto il suo regno e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte” (12:31) - se farete in modo che il Regno di Dio sia il vostro primo interesse, Dio vi darà tutto il resto. Tutto il resto ci sarà provveduto da Dio come un “di più”, perché: “il Padre vostro sa che ne avete bisogno” (12:30 b). Infatti, “...il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14:17).

Anche qui Gesù ripropone il Suo “Non temere”, simile alla precedente Sua esortazione a non temere gli avversari e a non stare in ansia per la nostra vita, né di quel che mangeremo o di che ci vestiremo. Perché? “... poiché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno” (12:32 b).

Che possiamo fare, pochi come siamo?

In primo luogo, indubbiamente quello di Gesù è “un piccolo gregge” (12:32 a). Queste sono parole che Gesù aveva rivolto allora ai Suoi discepoli, ma sono vere anche per chi in ogni tempo e paese segue Gesù come il suo Buon Pastore. Distinti dal resto del mondo nell’elezione, nella redenzione e dalla loro efficace vocazione, raccolti in piccole comunità, essi si distinguono per la loro pazienza, mansuetudine, umiltà e innocuità. Sono pochi di numero rispetto agli increduli e ribelli a Dio di questo mondo. Sono considerati di poco conto, ignorati e derisi. Le loro paure sono indubbiamente di vario genere, e ricorrono anche oggi fra i discepoli di Gesù. Non conformandosi alle vie di questo mondo, temono di rimanere privi dei mezzi di sussistenza, del necessario per vivere. Temono di non riuscire a perseverare fino alla fine e, cedendo alle tentazioni e rinnegando la fede, rimanere privi della grazia e dell’eterne benedizioni di Dio. Temono che il loro Pastore li abbandoni… Gesù, però, non è un mercenario “che si dà alla fuga perché è mercenario e non si cura delle pecore” (Giovanni 10:13). No, Dio è dalla loro parte, non li lascerà, né li abbandonerà. Cristo li ha riscattati con il Suo stesso sangue e neanche uno di loro andrà perduto. Gesù l’avrebbe ribadito al momento del Suo arresto nel Getsemani: “...’lasciate andare questi’ e ciò affinché si adempisse la parola che egli aveva detto. ‘Di quelli che tu mi hai dato, non ne ho perduto nessuno’” (Giovanni 18:8,9).

Non devono temere “...poiché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno” (12:32), non solo la buona notizia dell’Evangelo e la conoscenza dei suoi misteri, non solo le benedizioni e privilegi della comunità cristiana, non solo il diritto alle sue ordinanze, non solo la grazia che non può essere ritirata, ma la gloria del Suo regno. Essa è un dono per loro, ottenuta senza alcun loro merito od opera. A loro appartiene per irrevocabile decreto divino, perché, come dice Giovanni: “... a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non son nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma son nati da Dio” (Giovanni 1:12-13).

Coloro che appartengono al “piccolo gregge” non devono temere, né per il tempo, né per l’eternità. Gesù dice loro: “Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti” (Giovanni 14:27). L’Apostolo lo conferma: “Il Signore è vicino. Non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna; ma in ogni cosa siano le vostre richieste rese note a Dio in preghiera e supplicazione con azioni di grazie. E la pace di Dio che sopravanza ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Filippesi 4:6-7). Come pure: “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà egli anche tutte le cose con lui? (...)  Poiché io son persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potestà, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore“ (Romani 8:32,38,39)

Disfarci del poco che già abbiamo?

Le parole di rassicurazione che Gesù rivolge al Suo piccolo gregge diventano qui anche una sfida che Egli rivolge loro. Non solo non dovranno temere di rimanere privi del necessario, ma tanta dovrà essere la loro fede nella provvidenza di Dio che quello che hanno dovranno essere disposti a disfarsene, a deliberatamente darlo via! “Vendete i vostri beni e fatene elemosina” (12:33). E’ il contrario del “tenersi ben stretto quello che si ha”. Potremmo dire che non vi sia nulla più di questo in grado di essere ansiogeno! Eppure…

Niente di tutto ciò ha senso a parte dalla fede che Dio ha già stabilito il regno e ci ha invitato a iniziare la vita secondo le Regole del Regno. Il mondo dice: "Arraffa tutto ciò che puoi ottenere" e "Vince la persona che muore con il maggior numero di giocattoli". Gesù capovolge la sapienza del mondo quando dice: "Vendi ciò che hai e fai doni ai bisognosi".

Qui alcuni pretendono di scoprire in queste parole “la salvezza mediante il valore meritorio della povertà volontaria e delle elemosine” così come si proponeva il Francescanesimo medioevale che credeva di dover ubbidire “sine glossa” a ciò che trovava nei vangeli ed esortava a “seguire nudi un Cristo nudo”. Nel nostro testo il regno viene assicurato agli eletti per grazia non in seguito al loro spogliarsi meritorio dei beni di questo mondo. Questa ingiunzione, in realtà, non è che la ripetizione, sotto forma più viva, di quanto è detto negativamente in Matteo 6:19: “Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano”. Lì abbiamo la proibizione: «non vi fate tesori», qui l'ordine: «vendete i vostri beni», e la prima spiega il secondo. 

Viene loro qui ingiunto di coltivare una disposizione generosa, invece d’inclinazioni alla cupidigia, di dare ai poveri e bisognosi molto più del loro superfluo, ricordandosi che “Chi ha pietà del povero presta all’Eterno, che gli ricambierà l’opera buona” (Proverbi 19:17). Questo il modo migliore di mettere a frutto le ricchezze di questo mondo. Non è qui comandato al cristiano di vendere, alla lettera, tutto quanto possiede. Nel trasporto di gioia, riconoscenza e amore prodotto dalla effusione dello Spirito alla Pentecoste, lo si era pure fatto per qualche tempo, per provvedere alle necessità dei credenti poveri in Gerusalemme; ma non appena la Chiesa fu organizzata, tal sistema era caduto in disuso e non troviamo più indizio alcuno di una simile usanza. L’idea era quella di staccare il proprio cuore dai beni di questo mondo ed essere disposti a condividerli secondo il principio paolino: “... quelli che comprano, come se non possedessero; e quelli che usano di questo mondo, come se non ne usassero, perché la figura di questo mondo passa” (1 Corinzi 7:30-31).

Investimenti sicuri

Al termine della nostra pericope Gesù dice: “fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro che non venga meno nei cieli, dove ladro non s'accosta e tignola non guasta”.

I discepoli di Gesù, lungi dal dover essere indifferenti ai beni di questo mondo, sono chiamati a discernere quali siano i valori più importanti, non argento, non oro, non diamanti, non il potere e popolarità di questo mondo, ma i valori di Dio che Gesù stesso vive pienamente. Quando Gesù dice ai discepoli di vendere i loro beni e di fare l'elemosina, ha in mente qualcosa che va oltre la carità dell'usato, qualcosa che va oltre il dare solo ciò di cui non abbiamo più bisogno. Poiché l'elemosina genera un tesoro in cielo, non ha senso limitare l'elemosina a ciò che ha poco valore. La persona saggia darà generosamente. Il dono delle cose terrene (che sono soggette a furto e decadimento) costituisce un investimento in cielo (una borsa che non si consuma). Il dono di cose che ci risulteranno utili solo temporaneamente non produce crediti dai quali possiamo attingere per tutta l'eternità.

C'è qui una tensione tra la salvezza per grazia e la salvezza per opere. Dobbiamo stare attenti a non far sembrare che il lavoro di beneficenza possa portarci la salvezza indipendentemente dal nostro rapporto con Cristo, ma dobbiamo anche stare attenti a non scartare le ricompense che Gesù promette per l'elemosina, le opere di solidarietà.

Oggi ci sono mille corruttori dei tesori terreni. I ladri sono ancora una preoccupazione, ma le maggiori minacce alla ricchezza sono le fluttuazioni del mercato azionario, le fluttuazioni valutarie, l'inflazione, le tasse in fuga, il tratto di penna di un burocrate, le controversie, i disastri naturali e l'obsolescenza. E poi, naturalmente, c'è il riscaldamento globale, l'aria viziata e la prospettiva di essere seppelliti nella propria spazzatura. Da quel famoso 11 settembre abbiamo iniziato a riconoscere il pericolo del terrorismo chimico, biologico o nucleare. Rispetto a tali possibilità davvero disastrose, ladri e tarme sono solo un piccolo irritante. Tuttavia, servono a ricordarci la corruttibilità dei nostri beni.

“Perché dov'è il vostro tesoro, quivi sarà anche il vostro cuore” (v. 34). Il mondo crede il contrario. Il mondo ci dice di trovare qualcosa che amiamo e di usare i nostri soldi per questo. Questo approccio porta a folli eccessi da parte di persone che cercano la realizzazione attraverso beni o avventure costose. Nel peggiore dei casi, porta a comportamenti autodistruttivi, come la tossicodipendenza. Gesù offre un'alternativa, dicendoci di fare opere di solidarietà e assicurandoci che i nostri cuori seguiranno i nostri doni. Questo è un principio che i cristiani hanno dimostrato più e più volte. Le persone che aiutano altre persone si trovano a prendersene cura senza aspettarsi nulla in cambio. Vuol dire aiutare a godere la vita significativa ed eterna che deriva dal soddisfare bisogni reali.

Solo di recente Gesù aveva raccontato la parabola del ricco stolto (vv. 13-21), concludendo quella parabola con questo avvertimento: «Così è colui che tesoreggia per sé e non è ricco davanti a Dio» (v. 21).

Conclusione

Avevamo detto all’inizio di essere oggi entrati nell’aula dove è in corso una delle importanti lezioni che Gesù impartisce ai Suoi discepoli. In effetti potrebbe darsi che qualcuno di voi abbia ascoltato oggi questa lezione di Gesù “per caso”, come un visitatore occasionale, “non iscritto al corso”. Prego il Signore che, se questo è il vostro caso, dell’insegnamento di Gesù ne siate state affascinati e che vogliate “iscrivervi” anche voi come Suoi discepoli e non perdere neanche una Sua lezione. Sarebbe la cosa più importante che potreste fare nella vostra vita. Se invece fate già parte della Sua classe di discepoli, che voi e io possiamo radicare tale lezione nella nostra vita. Che sia grande o piccolo il numero dei discepoli non importa: ne avremo sicuramente un profitto eterno.

Il “piccolo gregge”, gli eletti alla grazia della salvezza, in effetti, sono relativamente pochi. Essi sono raccolti da Gesù per servire a scopi più alti di quelli ricercati, perseguiti dalla “gente del mondo”. Le risorse materiali che abbiamo non vanno accumulate, ammassate egoisticamente, ma vanno generosamente condivise: “Vendete i vostri beni e fatene elemosina”, espressione di misericordia. Se facciamo così, avremo “borse che non invecchiano”, e ci accumuleremo “un tesoro che non venga meno nei cieli”, un tesoro che non potrà esserci mai sottratto né mai si logorerà.

Paolo Castellina, 23 luglio 2022.