Predicazioni/Giovanni/Il pastore e le sue pecore
Il pastore e le sue pecore (Giovanni 10:1-10)
Il mondo della pastorizia, comune al tempo in cui Gesù predicava ed operava, era spesso rappresentato nelle sue parabole. Quelle immagini potrebbero non esserci oggi famigliari. In esse, però, continuano a nascondersi “i misteri del regno dei cieli” accessibili solo a coloro che gli appartengono, perché in esse loro riconoscono inequivocabile, la voce del Maestro. Egli aveva infatti detto: “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato” (Matteo 13:11). Si tratta di una “discriminante” questa che al mondo non garba, ma che rimane oggi un dato di fatto, piaccia o non piaccia. Qual è la sua funzione? Lo scopriamo oggi attraverso la lettura del decimo capitolo del vangelo secondo Giovanni. Ascoltiamone una parte.
“In verità, in verità io vi dico: Chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, quello è un ladro e un brigante; ma chi entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio; le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire le sue pecore, va davanti a loro; e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Non seguiranno però alcun estraneo, ma fuggiranno lontano da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa stesse loro parlando. Perciò Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me sono stati ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta; se uno entra per mezzo di me, sarà salvato; entrerà, uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; ma io sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giovanni 10:1-10).
Quando insegnava, Gesù faceva spesso uso di parabole. La parabola, però, era più che un’illustrazione per far capire meglio il significato del suo discorso o per farlo rammentare più facilmente. Nell’ascoltare una parabola di Gesù, tanti non capivano affatto ciò che egli intendesse dire. E’ il caso di quella su cui riflettiamo oggi, della quale è detto espressamente: “Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa stesse loro parlando” (10:6). Gesù lo faceva apposta: la parabola aveva per lui di fatto una funzione discriminante. La capiva chi doveva capirla, salvo poi spiegarla più tardi al suo gruppo ristretto di discepoli. L’ambiguità di Gesù era intenzionale: era il suo modo per schermarsi dalla gente in malafede che lo ascoltava, da chi verso di lui aveva pregiudizi o cattive intenzioni. Lo stesso era per la sua identità di Messia, di promesso Salvatore. Non lo affermava mai espressamente se non in rarissime occasioni. Questo faceva piuttosto innervosire i suoi avversari. Più avanti nel capitolo, infatti, essi gli dicono: “Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente” (10:24). Non glielo avrebbe detto: dovevano intuirlo e trarne le debite conseguenze. Glielo aveva “detto”, si, ma attraverso le sue opere: “le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me” (10:25): dovevano trarne le conclusioni solo su quella base. Loro, però avrebbero fatto “orecchie da mercante” rifiutandosi di credere in lui.
Gesù era, e rimane, l’espressione della grazia di Dio che, dalla massa dell’umanità perduta di questo mondo, salva un numero selezionato di persone attraverso il ravvedimento e la fede in lui. Gesù non è venuto per salvare “tutti” . “Il Figlio dell’uomo … è venuto … per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:45). Per molti, ma non per tutti. Sono quelli che la Scrittura chiama “il suo popolo”: “Ella partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai loro peccati” (Matteo 1:21). Essi sono quelle persone che dall’eternità Iddio ha sovranamente destinato alla grazia della salvezza in Cristo e che estrae da questa umanità perduta.
Per usare la similitudine del nostro testo, egli è il loro pastore ed essi sono le sue pecore, il gregge che gli appartiene. Esse “conoscono la sua voce” e fuggono dalla voce degli estranei, “perché non conoscono la voce degli estranei” (10:5), perché solo di lui hanno fiducia. Lui le porta in “pascoli di tenera erba” e le guida “lungo acque riposanti”, non solo, ma le protegge quand’anche dovessero attraversare la “valle dell’ombra della morte” (Salmo 23). Queste “pecore” sanno quindi riconoscere “ladri e briganti”, falsi leader politici e religiosi che solo conducono i loro seguaci alla perdizione. Essi, soprattutto, sanno distinguere il Pastore dal mercenario. “il mercenario, che non è pastore e a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore … perché è mercenario e non si cura delle pecore” (10:12,13). Il buon Pastore, però, depone la sua vita per le pecore (10:15). Gesù soltanto, così come si esprime l’apostolo Pietro: “portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, viviamo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti” (1 Pietro 2:24).
Le sue “pecore” riconoscono la sua voce, ne comprendono la lingua, ne intendono i comandi, ubbidienti lo seguono fiduciosamente sapendo che egli mai le tradirà. Quand’anche quei comandi non fossero per loro del tutto chiari, egli si prende il tempo di addestrarle, privatamente, in disparte: “Poi, rivolto verso i discepoli, disse loro in disparte: Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete” (Luca 10:23).
Masse di persone seguono ciecamente i loro leader verso la perdizione, ma per i discepoli di Cristo, uno solo è il loro Signore, e quello seguono. I potenti di questo mondo potrebbero anche costringerli alla sottomissione, ma i discepoli di Cristo opporranno loro resistenza e non si piegheranno loro, costi quello che costi, anche a costo della sofferenza e della morte: “A questo infatti siete stati chiamati, perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, affinché seguitate le sue orme” (1 Petro 2:21).
Il “gregge” di Cristo non è identificabile in alcuna particolare organizzazione ecclesiastica: la Chiesa di Cristo trascende le organizzazioni ecclesiastiche. Esse possono servire (nessuna prevenzione verso di esse), ma possono anche diventare un peso oppressivo. La “zizzania” e “ladri” e “mercenari” potrebbero prenderne il sopravvento ed allora coloro che appartengono a Cristo, se non possono altrimenti, fanno bene ad abbandonarle. Non si perderanno, però, perché troveranno sempre il modo di ritrovarsi con altre “pecore del gregge di Cristo” che riconosceranno immediatamente (così come riconoscono la voce del Pastore, il Cristo delle Scritture, fra tanti altri). Essi allora faranno come la prima chiesa: “Essi erano perseveranti nel seguire l’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nel rompere il pane e nelle preghiera … rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore … lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo” (Atti 2:42,46,47).
Infine, che cosa faceva Dio in quel contesto? “Il Signore aggiungeva alla chiesa ogni giorno coloro che erano salvati” (Atti 2:47b), o meglio: “il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvazione” (Riv.), cioè quelli che erano stati destinati da Dio alla grazia della salvezza in Cristo. Continua a realizzarsi, così, quanto aveva detto Gesù stesso: “Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore” (Giovanni 10:16).
Questa è la realtà del gregge del Signore che sfida tutte le pretese umane, nella loro arroganza, tanto che questa fase della storia giungerà a compimento quando tutte le “pecore” di Cristo saranno raccolte nel suo gregge spirituale. Infatti: “questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine” (Matteo 24:14). Riconosci tu la voce del buon Pastore? Egli viene a cercarti e ti porterà nel suo gregge, quello di cui egli ha cura.
Preghiamo: Dio onnipotente, ti ringraziamo per aver donato a tuo Figlio – Pastore e Porta dell’ovile – il gregge di cui egli si prende cura. Ti ringraziamo per averci fatto diventare le sue pecore, per averci dato salvezza, sicurezza, vita e gioiosa abbondanza mentre seguiamo il nostro Pastore e ci allontaniamo da ladri, briganti e mercenari. Aiutaci ad avere la saggezza di conoscere la differenza tra tutte le voci che ascoltiamo. Aiutaci a sottometterci alla guida del nostro Pastore. E rallegriamoci sempre che siamo nel suo ovile. Nel Nome di Gesù preghiamo, Amen.