Predicazioni/Geremia/Abbattere e ricostruire: il nostro compito?
Abbattere e ricostruire: il nostro compito?
Come cristiani, che cosa ci distingue ormai più dagli altri? La fede cristiana è diventata in gran parte una credenza privata sostanzialmente irrilevante. Essa, infatti, si risolve oggi prevalentemente in tradizioni che si stanno annacquando sempre di più fino a scomparire. E’ l’effetto castrante e omogeneizzante del laicismo su tutte le identità particolari, l’ideologia che ci vorrebbe tutti nell’unico e indistinto calderone per renderci massa da sfruttare da parte dei potenti di turno.
Questo degrado dipende molto anche dall’influenza di compiacenti leader cristiani corrotti e venduti che, nel corso del tempo, con il pretesto di “farlo progredire”, hanno tanto alterato il messaggio cristiano tanto da renderlo, di fatto, irriconoscibile. Non era così un tempo, e soprattutto nei primi secoli del cristianesimo: allora i cristiani “facevano differenza” rispetto alla società nel suo insieme per il loro modo di pensare e di vivere che influiva in modo rilevante sul resto della società. Non per nulla la fede cristiana veniva avversata e perseguitata: era infatti una minaccia per il potere politico ed economico di quel tempo. Non riuscendo però a reprimere il movimento cristiano, avrebbero poi cambiato strategia: corromperlo ed “addomesticarlo”. È quello che vediamo oggi.
Il messaggio cristiano, l’Evangelo, non può però essere soppresso: è una forza invincibile che si ripropone, anche nei tempi più bui, con la predicazione profetica e la militanza di cristiani che non si arrendono alla corruzione imperante. Sono essi, infatti, a riproporre “ostinatamente”, a diffondere e a vivere il suo messaggio di libertà, perché: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno" (Ebrei 13:8), come pure, come scrive l’apostolo Paolo: “Io non mi vergogno del Vangelo, anzi, è proprio questo il mezzo potente, di cui Dio si serve per salvare chiunque crede” (Romani 1:16 BDG)
È allora necessario sradicare, demolire, abbattere, distruggere il falso cristianesimo corrotto, abbandonarlo per potere ricostruire e piantare ciò che è conforme al Cristo delle Sacre Scritture. Èil compito dei cristiani di ogni generazione fedeli al Suo insegnamento, in attesa del Suo trionfo finale.
La vocazione di Geremia
L'espressione: "...sradicare, demolire, abbattere, distruggere ...per ricostruire e piantare" proviene dal libro del profeta Geremia. Esso fa parte della vocazione che Dio rivolge a Geremia, del compito che Egli gli affida per la sua generazione. La vocazione profetica di Geremia rimane valida nel ruolo che le Sacre Scritture, la Bibbia, devono continuare ad avere anche per noi. Abbattere e ricostruire. Che cosa? Ascoltiamo il testo al capitolo 1 dal versetto 4 al 10 del profeta Geremia.
“La parola dell'Eterno mi fu rivolta, dicendo: 'Prima ch'io ti avessi formato nel seno di tua madre, io t'ho conosciuto; e prima che tu uscissi dal suo seno, io t'ho consacrato e t'ho costituito profeta delle nazioni'. E io risposi: 'Ahimè, Signore, Eterno, io non so parlare, poiché non sono che un fanciullo'. Ma l'Eterno mi disse: 'Non dire: - Sono un fanciullo, - poiché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò. Non li temere, perché io son teco per liberarti, dice l'Eterno'. Poi l'Eterno stese la mano e mi toccò la bocca; e l'Eterno disse: 'Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Vedi, io ti costituisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per svellere, per demolire, per abbattere, per distruggere, per edificare e per piantare'” (Geremia 1:4-10).
1. Non parola umana
“La parola dell'Eterno mi fu rivolta, dicendo…” (4). Geremia nasce nell’ambito di una famiglia sacerdotale che abitava nei pressi di Gerusalemme verso il 650 avanti Cristo. Il compito istituzionale dei sacerdoti era allora quello di occuparsi delle cerimonie del tempio. Geremia, però, sente di avere ricevuto una missione molto più alta: essere portatore della Parola stessa di Dio, che dovrà ricevere e ritrasmettere fedelmente a tutto il popolo. Questo sarà per lui un compito tutt’altro che facile. Verranno per lui, infatti, momenti in cui questo compito sarà così pesante e pericoloso che se la prende con Dio per averglielo affidato e persino vorrebbe non essere mai nato per non trovarsi in questa situazione! È infatti molto più facile una religione fatta di riti, cerimonie, e discorsetti di circostanza che fanno tutti contenti…
È cosa, invece, molto dura portare una parola che colpisce, taglia, denuncia, accusa, mette in crisi, smaschera, chiama a un cambiamento radicale, alla conversione... È come servire un piatto che scotta e brucia, appena uscito dal forno. Denuncia infatti ipocrisia, pregiudizio, ingiustizia, idolatria, compiacenza e il giudizio inappellabile di Dio se da tutto questo non ci si ravvede. Tutto questo la gente non lo vorrebbe sentire e, infatti, vorrebbe convincere Geremia a non dire “quelle cose” e a fare come tutti gli altri (falsi) profeti compiacenti che dicono solo cose gradite. Egli però insiste e allora vorrebbero farlo tacere, lo minacciano, lo emarginano, lo respingono, lo estromettono, strappano e bruciano i suoi scritti… Giungono persino a usare violenza contro di lui. La fede nel Dio vero e vivente, però, è vedersi rivolta una Parola spesso “scomoda” sia per chi la porta che per chi la riceve, ma salutare, una parola che incide sulla realtà personale e sociale ed è intesa a trasformarla e a cambiarla.
Inoltre, la Parola che Geremia porta, come quella di tutti gli autori biblici, non proviene da loro, dalla loro personale riflessione, dalla loro autorevolezza, dalle loro opinioni, ma da un’autorità esterna, quella di Dio stesso, tant’è vero che gli stessi scrittori biblici, come Geremia, spesso le resistono e non vorrebbero comunicarla! L’apostolo Paolo scrive: “Noi rendiamo del continuo grazie a Dio: perché quando riceveste da noi la parola della predicazione, cioè la parola di Dio, voi l'accettaste non come parola d'uomini, ma, quale essa è veramente, come parola di Dio, la quale opera efficacemente in voi che credete” (1 Tessalonicesi 2:13).
2. Una Parola predestinata
La prima parola che Dio gli rivolge è strettamente personale. Dio gli dice: «Prima ch'io ti avessi formato nel seno di tua madre, io t'ho conosciuto; e prima che tu uscissi dal suo seno, io t'ho consacrato e t'ho costituito profeta delle nazioni» (5).
Questa parola proclama l’assoluta sovranità di Dio su tutta la realtà e su ciascuna persona. Dio non solo è il Creatore di ogni cosa, ma anche Colui che determina ogni cosa e persona secondo i Suoi eterni propositi. L’Apostolo scrive: “In lui, dico, nel quale siamo pur stati fatti eredi, a ciò predestinati conforme al proposito di Colui che opera tutte le cose secondo il consiglio della propria volontà” (Efesini 1:11).
Nessuno nasce per caso e a ciascuno Iddio affida un compito, una funzione da assolvere nel Suo mondo. Di sé l’apostolo Paolo scrive: “...quando Iddio, che m'aveva appartato fin dal seno di mia madre e m'ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il suo Figliuolo perché io lo annunziassi fra i Gentili, io non mi consigliai con carne e sangue” (Galati 1:15-16). Geremia prende coscienza di essere stato destinato ad assolvere un compito nella sua vita: essere portatore della Sua Parola di giudizio e di salvezza.
Geremia non è “uno qualunque”, allo stesso modo in cui la Bibbia non è “un libro come un altro”: essa è “predestinata”. La Bibbia è unica, insostituibile, inalterabile: è portatrice dell’infallibile Parola di Dio di giudizio e di salvezza rivolta “alle nazioni”, a persone di ogni tempo e paese. L’apostolo Pietro scrive: “Abbiamo pure la parola profetica, più ferma, alla quale fate bene di prestare attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga ne' vostri cuori” (2 Pietro 1:19). Il messaggio biblico è destinato a far sorgere nei nostri cuori il Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Per quanto eventualmente sgradita, Geremia, come tutti i fedeli servitori del Signore, sentono di avere il preciso dovere, costi quel che costi, di trasmettere inalterata la Parola di Dio. L’apostolo Paolo scrive: “...abbiamo rinunziato alle cose nascoste e vergognose, non procedendo con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma mediante la manifestazione della verità raccomandando noi stessi alla coscienza di ogni uomo nel cospetto di Dio” (2 Corinzi 4:2).
3. Una parola incarnata
A questa parola di rivelazione e di vocazione, Geremia risponde confessando tutta la sua inadeguatezza. Si sente inadatto al compito a cui Dio lo chiama. Geremia non è che un ragazzo quando riceve dal Signore la chiamata a diventare profeta. Egli si sente inadeguato a questo compito. La chiamata del Signore intimidisce (e a ragione) e molti personaggi biblici che, di fronte a essa, confessano di non essere all’altezza del compito loro affidato. Di fronte alla chiamata del Signore vi è persino chi fugge e si nasconde come Giona. Di fronte ai compiti che ci vengono affidati, spesso anche noi spesso confessiamo di essere inadatti. Può essere senz’altro vero, come pure può essere anche una scusa per non doverci impegnare, faticare, scomodare, metterci in evidenza, essere criticati, essere respinti… Geremia stesso avrà più volte occasione di dire: “Ma chi me lo ha fatto fa re! Perché è stato chiesto proprio a me di farlo e non a un altro?”. Il proprio dovere, verso Dio e verso gli altri, però, non può essere evitato, eluso. Gesù stesso non va alla croce con baldanza... Egli prega: «Padre mio, se proprio devo bere questo calice di dolore, sia fatta la tua volontà» (TILC).
Geremia si rivela una personalità tormentata, spesso preda della disperazione, ma mai definitivamente sconfitto dai suoi avversari e dalle sue debolezze e paure perché è rafforzato non solo dal senso del dovere che deve adempiere, ma anche dalla promessa del Signore: “Io sono con te per liberarti”. Dio non ci chiede mai di fare qualcosa per il quale Egli pure non ci dia le risorse sufficienti per portarlo avanti con successo.
Tutto questo ci indica pure come la Bibbia non sia “un libro piovuto dal cielo”, ma un libro scritto da veri uomini e vere donne come noi, con tutti i nostri limiti e contraddizioni. La Bibbia è un libro umano, ma anche divino, come lo stesso Gesù Cristo, che era vero uomo e anche vero Dio, Parola “fattasi carne”. Nella Bibbia traspare l’umanità dei suoi scrittori, la loro personalità e anche i loro difetti. Eppure essa è anche, per grazia di Dio, in modo unico e irripetibile, Parola di Dio perché, come Geremia, essi andranno da tutti quelli ai quali il Signore li manderà per dire fedelmente tutto quello che il Signore loro comanda. Perché? Perché Egli ha messo le Sue Parole nella bocca di ogni profeta e di ogni apostolo.
La Bibbia rimane perciò a tutt’oggi il libro privilegiato nelle mani di Dio attraverso il quale Egli comunica la Sua Parola dove, come e quando Egli ha stabilito. L’apostolo Paolo scrive: “...io sono stato presso di voi con debolezza, e con timore, e con gran tremore; e la mia parola e la mia predicazione non hanno consistito in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio” (1 Corinzi 2:3-5).
4. Una parola per demolire e per costruire
Ecco così, nell’ultimo nostro versetto, affermato lo scopo della missione di Geremia: “Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Vedi, io ti costituisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per svellere, per demolire, per abbattere, per distruggere, per edificare e per piantare" (10). Demolire e ricostruire è la finalità della missione che Dio affida al profeta Geremia. Possiamo però anche dire che la stessa sia la missione del messaggio dell’Evangelo, dell’intera Bibbia.
Oggi molti affermano di volere udire, soprattutto dai pulpiti, messaggi positivi, costruttivi ed edificanti. Se ne risentono molto quando odono accenni di polemica, contestazione, denuncia, accusa… Dicono che oggi di polemiche ve ne siano già fin troppe! Vogliono sentire parlare di pace, di tolleranza, di accoglienza… Demolire, però, può essere necessario, anzi, l’unica cosa da fare, quando, per esempio la condizione di un vecchio fabbricato è così cattiva che non conviene restaurarlo, ma buttare giù tutto e rifare la casa da capo!
Irrecuperabile era la condizione della società israelita al tempo di Geremia. Non bastavano delle piccole riforme, dei ritocchi estetici… Se l’intera nazione, i suoi governanti e ogni suo cittadino non si fosse impegnato in una conversione radicale alla volontà rivelata di Dio ravvedendosi da tutte le loro trasgressioni, il giudizio di Dio si sarebbe abbattuto su di loro. Era quanto legittimamente essi avrebbero potuto aspettarsi da Dio, che non solo è amorevole, ma anche è giusto. Quando Dio dice qualcosa, intende che sia presa sul serio, se no si va incontro a delle conseguenze, che, per altro egli preannuncia. I falsi profeti annunciavano: “…vedrete che andrà tutto bene… non preoccupatevi… Dio è buono… perdona tutto! Alla fine ci salverà!”. Era quanto voleva ascoltare la gente.
Geremia non gode nell’essere “un profeta di sventura”. Egli aveva un animo pacifico e invece era stato inviato, suo malgrado, per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere. Desiderava la pace e deve sempre lottare, contro i suoi, contro re, i sacerdoti, i falsi profeti, tutto il popolo, diventare “Uomo di lite e di contesa per tutto il paese”. I suoi dialoghi interiori con Dio sono disseminati da grida di dolore. Eppure non solo doveva portare il messaggio di Dio, ma vedere pure un popolo che, per la sua ostinazione a non convertirsi, viene duramente castigato, come è testimoniato dalla storia stessa. Geremia aveva ragione.
Un messaggio di ravvedimento
Gesù una volta disse: “… No, vi dico; ma se non vi ravvedete, tutti similmente perirete” (Luca 13:3). È il messaggio dell’Evangelo, quello autentico, che non annuncia una salvezza a buon mercato, ma che chiama al ravvedimento dalle nostre trasgressioni alla volontà rivelata di Dio e alla fede in Gesù Cristo, altrimenti non ci potrà per noi essere speranza. L’Apostolo dice: “...ho annunziato che si ravveda e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento” (Atti 26:20), e ancora: “Iddio dunque, … fa ora annunziare agli uomini che tutti, per ogni dove, abbiano a ravvedersi” (Atti 17:30). Così pure gli altri apostoli: “Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione de' vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo" (Atti 2:38). Il messaggio dell’Evangelo, infatti, prima di proclamare la salvezza in Cristo, ammonisce che l’ira di Dio cadrà implacabile su chi non si ravvede.
Questo, però, chi vorrebbe sentirlo oggi? Molti preferiscono messaggi “che non disturbino più di quel tanto… ”. Stupisce, quindi, la decadenza del Cristianesimo? Stupisce che le chiese e il loro messaggio diventino “insipide” e irrilevanti? Stupisce che generalmente la qualità della vita cristiana oggi sia molto lontana da come venivano descritti i cristiani dei primi secoli e decisamente “altra cosa” rispetto a loro? Ci siamo “evoluti” oppure degenerati? Prendere coscienza di tutto questo significa lasciare che il messaggio di Geremia, anzi, di tutta la Bibbia, sradichi, demolisca, abbatta, di strugga tutto ciò che in noi e intorno a noi non è conforme alla verità rivelata di Dio per poi costruire e piantare in noi un nuovo modo di essere, un nuovo modi di pensare. Tutto il resto è solo apparenza e inganno che non potrà reggere a lungo, come l’Israele dei tempi di Geremia. Rammentiamoci di quanto dice l’Apostolo: Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie son passate: ecco, son diventate nuove” (2 Corinzi 5:17).
Paolo Castellina, 23 gennaio 2022, riduzione di una mia predicazione del 13 agosto 2006.