Predicazioni/Galati/Di che cosa ti vanti maggiormente
Di che cosa ti vanti maggiormente?
Di che cosa ti vanti maggiormente? Delle tue imprese e bravura, di quello che possiedi, di quello che sai fare, delle tue amicizie importanti, della tua nazionalità? Per te potrebbe essere gratificante farlo, ma è generalmente fastidioso da udire e non fai comunque una bella figura, anche se lo fai con l'intenzione di farti ammirare ed apprezzare, e magari temere. Vantare deriva dal latino vanus, cioè vano, falso, mendace, oppure da venditare, cioè mettere in vendita, far valere. L'apostolo Paolo aveva rinunciato a qualsiasi motivo di vanto se non di una cosa sola che considera non solo legittima, ma anche commendevole. Di che cosa si tratta lo vediamo nel testo biblico di oggi, "Io voglio vantarmi soltanto di questo: della croce del nostro Signore Gesù Cristo: poiché egli è morto in croce, il mondo è morto per me e io sono morto per il mondo. Perciò non conta nulla essere circoncisi o non esserlo. Ciò che importa è essere una nuova creatura" (Galati 6:14-15 TILC). In netta contrapposizione con le orgogliose (e mondane) pretese dei maestri di legalismo, l'Apostolo riafferma con queste sue parole la sua fondamentale dedizione al significato ultimo della croce di Cristo (14) ed alla nuova creazione, quella che Cristo rende possibile in tutti coloro che si affidano a Lui come Signore e Salvatore, per l'opera efficace dello Spirito Santo (15).
Attenersi al significato ultimo della croce di Cristo (così com'é spiegato nel Nuovo Testamento) significa eliminare dalla nostra vita ogni ragione per vantarsi di ciò che siamo in noi stessi o realizziamo. Chi si identifica con Cristo, associandosi alla Sua morte in croce, di fatto "muore a sé stesso", squalifica quel che è in sé e le sue stesse opere, rinnega sé stesso, vanifica ogni umana vanagloria per dare gloria a Dio soltanto e ai Suoi propositi. Il termine abnegazione bene condensa questo concetto, definita dal vocabolario Devoto-Oli come: "la disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere istinti, desiderî, interessi personali, per motivi superiori, specialmente di ordine religioso o sociale". In che misura sono disposto a farlo? Come lo faccio?
Di fatto, su di questo si gioca il nostro essere cristiani e si manifesta la nostra stessa salvezza. Nel mondo tanti si vantano orgogliosamente della loro identità nazionale, della loro condizione sociale e religione, delle loro imprese, cultura, potenza, opere, bontà... Tutto questo è solo empia vanità, vanagloria: "Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole" (Ecclesiaste 2:11). Vivere secondo lo spirito di questo mondo conduce inevitabilmente a queste futili vanaglorie. Quando a tutto questo io "muoio", però, lo spirito di questo mondo non governa più la mia vita. La mia fede nel significato della croce di Cristo include non solo la consapevolezza che Egli sia morto per me, al mio posto, per salvarmi dal giudizio di condanna che la Legge di Dio rendeva inevitabile, ma anche la costante consapevolezza che io debbo considerarmi morto con Lui.
Non ho più motivo alcuno di vantarmi perché il mio vecchio io, caratterizzato dai valori transitori o pretesi di questo mondo, come pure dal peccato che mi rende sgradito a Dio e condannato, è morto. Questa rinuncia assoluta ad ogni possibile vanto, a causa della mia totale identificazione con il Messia crocifisso è l'aspirazione di ogni autentico cristiano.
La fede in Cristo non conduce solo a morire ai valori fallaci di questo mondo, ma conduce anche alla vita, quella vera, e ad un nuovo stile di vita: "Perciò non conta nulla essere circoncisi o non esserlo. Ciò che importa è essere una nuova creatura" (15). Vivere la realtà della nuova creazione può essere considerato il tema di quest'intera lettera. Abbiamo con Dio un nuovo rapporto, non siamo più servi, ma figli, liberi di rivolgerci a Lui come Padre (4:6). Abbiamo un nuovo rapporto l'uno con l'altro: non siamo più imprigionati e divisi da barriere razziali, sociali o sessuali: siamo ora liberi ed uno in Cristo (3:28).
Regola della vita di Paolo, e regola di ogni autentico cristiano è l'Evangelo: esso determina le dimensioni spirituali e sociali della sua vita. Paolo non si rapporta più con Dio sulla base della sua identità nazionale israelita (e noi sulla base di qualsiasi cosa che riteniamo importante secondo i criteri di questo mondo), ma sulla base della sua unione con Cristo nella Sua morte e risurrezione.
Preghiera
Signore, appartengo a Te, ho fiducia in Te e voglio seguirti. Quant'è vero, però, che ancora io debbo ravvedermi da molo di ciò che in questo mondo è motivo di fallace orgoglio! Aiutami a prenderne coscienza e a rinnegarlo, affinché sempre meglio io possa trovare in Cristo e nella Sua opera misericordiosa verso di me, il solo motivo del mio vanto. Amen.