Predicazioni/Galati/Come adattarci al nostro uditorio?

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Come adattarci al nostro uditorio?

Ogni cristiano sa che è suo dovere trasmettere la fede cristiana (perché il Signore Gesù ce lo comanda esplicitamente). Per quanto sia solo il Santo Spirito di Dio a rendere efficace la nostra proclamazione dell'Evangelo, deve essere nostro impegno spiegarlo con un linguaggio che sia il più comprensibile possibile. Per questo dobbiamo adattarci al nostro particolare uditorio. Qualcuno, però, ritiene che non sia solo il linguaggio, ma anche che la sostanza dell'Evangelo che debba essere adattata ai tempi e alle circostanze, e persino "aggiornata"! C'era una differenza di linguaggio fra l'evangelizzazione operata da Paolo (rivolta ai pagani) e quella operata da Pietro (rivolta agli ebrei), ma la sostanza dell'Evangelo era la stessa. Lo vediamo sommariamente oggi nella discussione del testo biblico di Galati 2:6-10).

"Ma da parte di quelli che godevano maggior credito (quali fossero stati, non m'importa nulla; Dio non ha riguardo a persona), ebbene, quelli che godono maggior credito non m'imposero nulla di più. Anzi al contrario, avendo visto che mi era stato affidato l'evangelo per gli incirconcisi, come a Pietro quello per i circoncisi (poiché colui che aveva potentemente operato in Pietro per l'apostolato dei circoncisi, aveva potentemente operato anche in me per i gentili), avendo conosciuto la grazia che mi era stata data, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano di associazione, affinché noi andassimo fra i gentili, ed essi fra i circoncisi. Soltanto ci raccomandarono che ci ricordassimo dei poveri, proprio quello che anch'io mi ero proposto di fare" (Galati 2:6-10).

È con un certo qual fastidio che Paolo qui si senta costretto a giustificarsi di fronte a chi lo contesta. Quello che predica non è un Evangelo differente da quello annunziato dagli apostoli di Gerusalemme, eminenti primi discepoli di Cristo, come se essi soli fossero i Suoi più fedeli interpreti e lui, Paolo, una sorta di fastidioso deviazionista che rinnega la fede di Israele (cosa che essi non farebbero). Esiste un solo Evangelo e proprio “le colonne” della fede cristiana (Pietro, Giacomo e Giovanni) riconoscono la piena legittimità del messaggio e della missione di Paolo, cosa che essi gli certificano in occasione del suo viaggio a Gerusalemme. Quel che differenzia Paolo e gli apostoli di Gerusalemme è solo il target, il particolare tipo di persone che essi sono chiamati a raggiungere attraverso quello stesso Evangelo: Pietro gli ebrei, Paolo i pagani, le genti.

L'Evangelo, dunque, non cambia: non c'è un Evangelo dei pagani ed uno degli ebrei. È solo il linguaggio che deve essere adattato a coloro ai quali ci rivolgiamo, un linguaggio che essi devono poter comprendere. Paolo conosce bene e pratica questo principio quando scrive: “Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni. E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri” (1 Corinzi 9:19-23).

Paolo è fedele all'Evangelo di Cristo, ma lo rende comprensibile al particolare uditorio che incontra, e questo anche a rischio di essere frainteso da coloro che non intendono il suo metodo. Con i pagani utilizza categorie che potrebbero essere estranee alla mentalità ebraica, con gli ebrei categorie ebraiche che gli altri non intenderebbero, ma si tratta dello stesso Evangelo. Adattare il linguaggio senza alterare la sostanza dell'Evangelo è un'arte raffinata che dobbiamo apprendere se vogliamo comunicarlo con efficacia.

Quanto spesso, però, è anche vero che l'insuccesso evangelistico è dovuto non alla durezza dell'uditorio, ma alla nostra incapacità di parlare il linguaggio della gente adattandoci ad essa. Parliamo magari nel “dialetto” della nostra chiesa senza chiederci se gli altri lo capiscano! Non dobbiamo temere di essere infedeli se con alcuni utilizziamo un linguaggio diverso. È vero: corriamo dei rischi, ma sono rischi che pure dobbiamo assumerci. Qualcuno potrà esserne scandalizzato, pazienza. Dobbiamo imparare dalla franchezza e dalla determinazione di Paolo: evangelizzare, ad ogni costo! Ma senza cambiare la sostanza dell'Evangelo, i cui termini ci sono stati dati una volta per sempre.

Paolo scrive: "Ora, fratelli, vi dichiaro l'evangelo che vi ho annunziato, e che voi avete ricevuto e nel quale state saldi, e mediante il quale siete salvati, se ritenete fermamente quella parola che vi ho annunziato, a meno che non abbiate creduto invano" (1 Corinzi 15:1-2). Così pure l'apostolo Giuda: "Carissimi, anche se avevo una grande premura di scrivervi circa la nostra comune salvezza, sono stato obbligato a farlo per esortarvi a combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa una volta per sempre ai santi" (Giuda 3). In Apocalisse, poi, troviamo: "Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo e che aveva l'evangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo" (Apocalisse 14:6).

Preghiera. Dammi, o Signore, la sapienza di comunicare l'Evangelo fedelmente, ma in modo comprensibile! Nel nome di Cristo. Amen.