Letteratura/Legge/12
Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony |
Capitoli: Prefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 |
12. LA LEGGE NEL VECCHIO TESTAMENTO
1. DIO IL RE
La parola in ebraico per “legge” è torah, che significa “un evidenziare, una direzione, o direzione autoritativa” dal Signore [1]. Proprio fin dal principio della relazione di Israele con Dio, ci fu dunque bisogno di una legge, o direzione autoritativa. In precedenza, direzioni autoritative erano state date ad Adamo, alla discendenza di Seth, a Noè e ai suoi discendenti, ad Abrahamo e ai suoi eredi, come pure ad altre persone (come testimoniano Melchisedek e Giobbe). È impossibile che una relazione con Dio esista senza legge.
Siccome il modernista è privo di una fede nel Dio sovrano, non può accettare l’esistenza di una data legge fin dal principio. Deve postulare invece un’evoluzione nell’auto-consapevolezza dell’uomo e uno sviluppo della legge nei termini della sua esperienza con la realtà. Come risultato, il modernista vede la legge come una tarda codificazione dell’esperienza nazionale d’Israele. S. R. Driver, nel suo lavoro molto influente: An Introduction to the Literature of the Old Testament (1897), assunse una posizione evoluzionista e non fece alcun tentativo di provare la sua tesi; la fede dell’epoca era dalla sua parte. Alla stessa posizione fu data un’importante riaffermazione da parte di Robert H. Pfeiffer, nella sua Introduction to the Old Testament (1941). Il presupposto basilare di tali critici è un umanesimo evoluzionista e filosofico. Non sorprende che con Darwin questa religione sia giunta a maturazione. Il commento di Allis su questo punto è significativo:
Anche un esame superficiale della letteratura della critica testuale rende chiaro che sta diventando sempre più dominata da tre grandi principi della teoria dell’evoluzione: (1) che lo sviluppo è la spiegazione di tutti i fenomeni, (2) che questo sviluppo risulta da forze latenti nell’uomo senza alcuna assistenza soprannaturale, e (3) che il metodo “comparativo” che utilizza un metro naturalistico, deve determinare la natura e il tasso di questo sviluppo [2].
Nella storia biblica, poiché la legge è sempre la prospettiva assunta da ogni libro del Vecchio Testamento, i giudizi dei profeti e degli scrittori partono sempre dai presupposti della legge.
Il libro di Giosuè, per esempio, comincia ricordando al popolo che il loro privilegio e forza è d’essere il popolo della legge, che possiede le direzioni autoritative di Dio (Gs. 1:7-9). Viene loro ripetutamente rammentato che, come nazione, la legge è la loro fonte di forza e il segno del loro legame pattizio con Dio (Gs. 22:5; 23:1-16; 24:1-27). Il segno individuale del patto, la circoncisione, è citato in Giosuè 5 insieme alla pasqua. Le leggi dell’interdetto e di conquista compaiono nei capitoli 6:17; 9:23; e 11:20. La divisione della terra nei termini della legge è descritta nei capitoli 13:14-33; 14:1-15; e 17-19; e le città rifugio al capitolo 20.
Passando a Ruth, troviamo le pratiche della spigolatura, della redenzione della terra, e del levirato.
Il libro di Giudici è particolarmente ben delineato nella sua presupposizione della legge. Descrive l’apostasia d’Israele da Dio e dalla sua legge (Gc. 2:1-2, 10, 15, 17; 3:7-8; 6:1, 10, 25 s; 10:13, 14, ecc.).
Il punto centrale e il tema di Giudici è dichiarato ripetutamente (17:6; 18:1; 21:25): “In quel tempo non c’era alcun re in Israele; ognuno faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi” (21:25). Lo stesso tema introduce un orribile racconto di depravazione nei capitoli 19 e 20 (19:1).
L’interpretazione di Myers di quest’affermazione è che “Poiché non c’era re in Israele non c’era restrizione sulle famiglie eccetto quella esercitata dall’autorità tribale e dalle usanze”[3]. Egli assume che il significato sia la mancanza di un monarca umano e dell’istituzione della monarchia. Il triste commento di Farrar è simile:
Questo dimostra che queste narrative furono scritte, o più probabilmente compilate, ai giorni della monarchia. …
Faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi. — Questa nota è aggiunta per mostrare perché non ci fossero interferenze autoritative di principe o governante a prevenire procedimenti idolatrici o illegali. (De. 12:8: “Non farete come facciamo oggi qui, dove ognuno fa tutto ciò che è giusto ai propri occhi”.) [4]
Il fatto sorprendente della cecità di Farrar è che ha citato Deuteronomio 12:8, che è parte di una dichiarazione della regalità di Dio e la rivendicazione della sua legge sovrana. Il punto di Giudici è che Israele ha ripetutamente abbandonato Dio il Re, e abbandonato la sua legge, per andare a “prostituirsi ad altri dèi” “mancando di obbedire ai comandamenti del Signore” (Gc. 2:17). Dio era il legislatore d’Israele sia come Dio sovrano e re universale sia come re pattizio d’Israele. La monarchia umana non è la soluzione. Di fatto, gli oppressori pagani d’Israele avevano re umani, e Israele stesso ebbe, su parte del suo reame, un re umano: Abimelek (capitoli 9 e 10). La monarchia di Abimelek è presentata come un aspetto del diniego della regalità di Dio.
Un altro vivido contrasto viene tracciato tra il regno di Jabin, re di Canaan, che regnava ad Hazor, il cui capitano era Sisera (Gc. 4:2), e il regno di Dio. Il cantico di Debora ci offre una povera immagine d’Israele, sconfitto, codardo, e male armato. La battaglia fu vinta da Dio, il re d’Israele: “Dal cielo le stelle combatterono, dai loro percorsi combatterono contro Sisera.” (Gc. 5:20). Dio quale re universale usò gli elementi per sconfiggere e distruggere gli eserciti canaaniti. In quanto Re, egli poi comminò maledizione e benedizione nei termini della lealtà alla sua causa.
Maledite Meroz”, disse l’Angelo dell’Eterno, “maledite, maledite i suoi abitanti, perché non vennero in aiuto dell’Eterno, in aiuto dell’Eterno in mezzo ai suoi prodi!”. Benedetta sia fra le donne Jael moglie di Heber, il Keneo! Sia benedetta fra le donne che abitano nelle tende! (Gc. 5:23-24).
Qui abbiamo la maledizione e la benedizione della legge pronunciata dal datore della legge, il Re.
Dopo aver descritto l’esecuzione della pena capitale su Sisera da parte di Jael, Debora dichiarò: La madre di Sisera guardò dalla finestra e gridò attraverso l’inferriata:
“Perché il suo carro tarda tanto ad arrivare? Perché procedono così al rilento i suoi carri?”. Le più savie delle sue dame le risposero, ed ella ripetè tra sé le sue parole: “Essi hanno trovato bottino e stanno facendo le parti. Per ogni uomo una o due fanciulle; per Sisera un bottino di vesti variopinte, un bottino di vesti variopinte e ricamate, di vesti variopinte e ricamate d’ambo i lati per le spalle di quelli che portano via il bottino”. Così periscano tutti i tuoi nemici, o Eterno! Ma quelli che ti amano siano come il sole, quando si leva in tutta la sua forza!». Poi il paese ebbe riposo per quarant’anni (Gc. 5:28-31).
Il linguaggio di Debora è intenso e grafico. Le “fanciulle” che gli uomini di Sisera sognavano di possedere è letteralmente “utero”, “per ogni uomo un utero o due” [5]. Keil e Delitzsch, traducono la seconda parte del verso 21 come Diodati: “Ma quelli che ti amano siano come il sole, quando si leva in tutta la sua forza” e affermano che questa “è una sorprendente immagine d’esaltazione d’Israele verso un dispiegamento del suo destino sempre più glorioso” [6]. Anche di più: è un’immagine della benedizione di Dio il Re su quelli che lo amano, servono, e obbediscono.
In un salmo che celebra la legge di Dio (Sa. 19:7-14), è citato anche il governo di Dio sull’universo, e di nuovo abbiamo l’immagine del “sole; ed esso è come uno sposo che esce dalla sua camera di nozze, esulta come un prode che percorre la sua via” (Sa. 19:4, 5). È dopo aver descritto la legge e l’ordine visibili nei cieli, il firmamento, la terra, ed il sole, che Davide gioiosamente dichiara: “La legge dell’Eterno è perfetta, essa ristora
l’anima” (Sa. 19:7). La gloria di Dio è rivelata in tutto l’universo mediante il suo ordine di legge; quella stessa gloria è manifestata nell’uomo e nel suo mondo quando la legge è obbedita. Questa stessa immagine è in mente nel cantico di Debora. Fu perché la legge e il governo regale di Dio furono negati da Israele, e “ogni uomo faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi”, che, anziché essere paragonabile al sole nella sua gloria tra le nazioni, Israele era invece fin troppo spesso in cattività a potenze straniere.
Tornando a torah, o direzione, un indicare, Gesù Cristo fece riferimento a se stesso come la torah quando dichiarò: “Io sono la via, la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv. 14:6). La parola greca per “via” è odos, un procedere, una direzione di comportamento; in Atti 13:10, Romani 11:33, e Apocalisse 15:3, secondo il Greek-English Lexicon of the New Testament di Joseph Henry Thayer, significa “i propositi e gli ordinamenti di Dio, il suo modo di trattare con l’uomo”. L’uso di “Io sono” echeggiò il nome divino (Es. 3:14); il riferimento alla “via” parlò della legge. Gesù Cristo, come Dio incarnato, era anche la dichiarazione della giustizia e della legge di Dio. Con questa frase Gesù Cristo dichiarò di essere inseparabile tanto dalla Divinità che dalla legge. Egli è la torah o direzione di Dio; con la sua dichiarazione Cristo rese sia se stesso che la legge più prontamente identificabili.
L’alternativa a Cristo e alla legge è quindi anarchia e anomia; significa una vita senza significato o direzione. Cristo è la dichiarazione della direzione o legge di Dio; la legge ci indirizza sulla via giusta. Il peccato, hamartia, è mancare il bersaglio; implica un movimento verso la giusta direzione, ma è un arrivare corti, un mancare il bersaglio. Anomia, peccato, è essere senza legge di Dio; significa muoversi nella direzione sbagliata e rifiutare direzione: è anarchia. “Se diciamo di non avere peccato (hamartia), inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1 Gv. 1:8). Sono i senza Dio ad essere peccatori nel senso di essere anti-legge, ostili alla direzione di Dio. La parola usata è anomos, senza legge (At. 2:23; 2 Te. 2:8; 2 pi. 2:8). Però, tutti gli uomini che commettono peccati (hamartia) abitualmente e con noncuranza in realtà non sono cristiani e sono colpevoli di non volere legge (anomia). “Chiunque commette peccato (hamartia, ovvero tutti coloro i quali praticano il peccato come modo di vivere) trasgrediscono anche la legge (anomia, tali persone sono in realtà contro la legge, fuorilegge); perché il peccato (hamartia, l’abituale pratica del peccato) è la trasgressione della legge (anomia, è la pratica di vivere senza legge)” (1 Gv. 3:4).
Se siamo diretti nella direzione sbagliata la legge è un’accusa, una sentenza di morte. Se ci muoviamo sul sentiero indicato da Dio, la legge è un precettore che ci guida tutti i nostri giorni nella via della giustizia e della verità di Dio. Galati 3:24, 25 dichiara che “venuta la fede, non siamo più sotto precettore” (Ga. 3:25). Questo significa forse la fine della legge? Al contrario, ora noi impariamo, non dalla legge come un’accusa, ma da Cristo come la via, e da Dio nostro Padre, come camminare nella direzione indicata ovvero nella legge: “perché voi tutti siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù” (Ga. 3:26). Il contrasto non è tra legge e niente legge, ma tra la vita immatura della schiavitù sotto un precettore (e) la vita di figliolanza, con tutti i suoi privilegi e diritti” [7]. Lutero vide come aboliti tanto la legge che il peccato e dichiarò che: “nella misura in cui mi afferro a Cristo per fede, conseguentemente in quella misura la Legge è stata abrogata per me” [8]. Questo è antinomismo, e alieno a san Paolo. San Paolo attaccò le leggi fatte dall’uomo, e interpretazioni della legge fatte dall’uomo come metodo di giustificazione; la legge non può mai giustificare; ma per certo santifica, e non c’è santificazione mediante l’anomia (vivere senza legge).
Note:
1 S. R. Driver, “Law (in the Old Testament)”, in Hasting’s A Dictionary of the Bible, III, 64.
2 Oswald T. Allis, The Five Books of Moses; Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Company, 1943, p. 228 s.
3 Jacob M. Myers, “Judges” in Interpreter’s Bible, II, 801.
4 F. W. Farrar, “Judges” in Ellicott, II, 254.
5 Keil and Delitzsch, Joshua, Judges and Ruth; Grand Rapids: Eerdmans, 1950, p 234. 6 Ibid., p. 325.
7 Herman N. Ridderbos, The Epistle of Paul to the Churches of Galatia; Grand Rapids: Eerdmans, 1953, p. 146.
8 Jeroslav Pelikan, Walter A. Hansen, editori, Luther’s Works, vol 20, Lectures on Galatians, 1535; Sant Louis: Concordia, 1963, p. 350 s.
2. LA LEGGE E I PROFETI
La funzione dei profeti in Israele era di parlare per Dio nei termini della legge, e, sotto ispirazione, anche di predire specificamente le maledizioni e le benedizioni della legge come sarebbero avvenute nella storia della nazione. Il peso della parola profetica fu riassunto da Isaia in questo modo:
Attenetevi alla legge e alla testimonianza! Se un popolo non parla in questo modo, non ci sarà per lui nessuna aurora (Is. 8:20 NR).
Il ricorso a qualsiasi altra cosa: alla monarchia, agli eserciti, ai maghi, alleanze straniere o altri dèi, non sarebbe servito a niente. I fedeli potevano dire alle nazioni nemiche: “Fate pure dei piani, ma saranno sventati. Proferite una parola, ma non si realizzerà, perché Dio è con noi” (Is. 8:10).
Nell’analizzare Isaia 8:20, è triste notare che il molto capace Edward J. Young non collegò fermamente “legge” con la legge mosaica [1]. Plumptre negò perfino che ci sia un remoto collegamento con la legge di Mosè: “‘Alla legge e alla testimonianza’ sono qui ovviamente, come al verso 16, la ‘parola di Jehovah’ detta al profeta stesso, la rivelazione che gli era pervenuta con tale intensità di potenza”[2]. Una tal opinione distrugge l’unità della Scrittura e nega l’intero scopo della profezia. Alexander, prima dei loro giorni, dichiarò il significato con semplicità e chiarezza:
Anziché fare ricorso a queste risorse inutili e proibite, i discepoli di Jehovah vengono istruiti a fare ricorso alla legge e alla testimonianza (ovvero alla rivelazione divina considerata come sistema di fede e come regola di dovere)— se parlano (ovvero, se qualcuno parla) non secondo questa parola (in questo modo) è perché in esso non c’è alba o mattino (ovvero non c’è sollievo dalla scura notte di calamità) [3].
Alexander avrebbe dovuto aggiungere che, mentre tutta la Scrittura è parola legge di Dio, il cuore di quella legge è la legge di Mosè.
Quando Israele rigettò Dio come re, Dio dichiarò che avevano rifiutato Lui stesso “hanno rigettato me, perché io non regni su di loro” (1 Sa. 8:7). Nei termini della loro scelta, Dio poi profetizzò il loro destino (1 Sa. 8:9-18; 12:6-25). A causa della loro dipartita da Dio il Re, e dalla legge di quel Re, certe conseguenze avrebbero fatto seguito. La profezia di Dio nell’epilogo alla legge, nel corpo della legge, e mediante Samuele, ci dà sia la condizione formale sia il contenuto basilare di tutte la profezie successive.
La nuova monarchia, non meno della vecchia federazione, aveva una responsabilità d’obbedire Dio e la sua legge, e Saul fu conseguentemente giudicato nei termini della legge (1Sa. 15:22-35). Davide fu chiamato ad essere fedele, fu benedetto per la sua fedeltà, e punito severamente per la sua infrazione della legge (2 Sa. 12:9-14). Il regno di Salomone similmente registra benedizioni e penalità nei termini di obbedienza e disobbedienza, e lo stesso vale per tutti i successivi governanti tanto di Giuda che d’Israele. Le riforme richiamavano gli uomini alla legge; l’apostasia indicava un disprezzo e un abbandono della legge, e del Dio della legge. La cattività a Babilonia è mostrata essere un compimento delle maledizioni della legge. Geremia, nei termini della legge, aveva pronunciato la sua maledizione su Giuda, e la cattività babilonese venne “affinché si adempisse la parola dell’Eterno pronunciata per bocca di Geremia, finché il paese avesse osservato i suoi sabati. Infatti esso osservò il sabato per tutto il tempo della sua desolazione finché furono compiuti i settant’anni” (2 Cr. 36:21).
Separare la profezia dalla legge è rendere ambedue insignificanti. Ambedue, la legge e i profeti, fanno riferimento ad un fatto fondamentale, il Regno di Dio, il governo di Dio su tutta la terra mediante la sua legge. Come osservò Edersheim nelle Lezioni Warburton del 1880-1884:
L’unica idea pervasiva e impellente del Vecchio Testamento è il regno di Dio come Re sulla terra. … Quasi mille anni prima di Cristo sale l’anelito che invoca il futuro regno di Dio — un regno che ha da conquistare e vincere tutte le nazioni, e piantare in Israele giustizia, conoscenza, pace, e benedizione — quel Regno di Dio nel quale Dio, o il suo vice-reggente, il Messia, deve essere Re su tutta la terra, e tutte le generazioni saliranno e adoreranno il Signore degli Eserciti [4].
I sostenitori del premillennialismo hanno avuto ragione su un aspetto: il fine della storia biblica è il Regno di Dio. Hanno errato nel farlo puramente escatologico, al di là della portata della storia presente, e hanno di fatto negato il regno negando la validità della sua legge oggi. Con la loro dottrina di una parentesi tra il regno del Vecchio Testamento e il presunto futuro regno millenario, hanno negato la legge, i profeti, e il dominio regale di Cristo. Se neghiamo la legge del Re, neghiamo il Re. Separando il regno dall’era cristiana, il governo di Dio è negato, e il mondo è consegnato a Satana. Non è una sorpresa che le persone di scuola Scofieldiana, dispensazionalista dichiarino che l’era presente è governata da Satana.
Lungo tutto il Vecchio Testamento, quando i profeti accusavano che la nazione aveva abbandonato il patto, virtualmente il tema di tutti i profeti (1 Re 19:10, ecc.), accusavano chiaramente la nazione d’aver disertato Dio il Re e la sua legge pattizia. Senza un patto non c’è legge; un patto richiede una legge. Rinnovare il patto, come fu fatto ripetutamente nel Vecchio Testamento, e in modo supremo da Cristo nell’Ultima Cena, era rinnovare la legge del patto. Pertanto, ogni rinnovamento del patto fu un rinnovamento della legge del patto. Fu così per la riforma di Giosia, e di ogni altra riforma nella storia biblica:
Poi il re, stando in piedi sul palco, stabilì un patto davanti all’Eterno, impegnandosi a seguire l’Eterno e a osservare i suoi comandamenti, i suoi precetti e i suoi statuti con tutto il cuore e con tutta l’anima, per mettere in pratica le parole di questo patto, scritte in quel libro. Tutto il popolo aderì al patto (2Re 23:3).
Anche il testo di Cronache enfatizza lo stesso fatto, mentre chiariva che il desiderio di riforma provenne dal re e fu imposto al popolo:
Poi il re, stando in piedi sul palco fece un patto davanti all’Eterno, impegnandosi a seguire l’Eterno e a osservare i suoi comandamenti, i suoi precetti e i suoi statuti con tutto il cuore e con tutta l’anima, per mettere in pratica le parole del patto scritte in quel libro.
E vi fece aderire tutti quelli che si trovavano a Gerusalemme e in Beniamino; gli abitanti di Gerusalemme agirono in conformità al patto di DIO, il DIO dei loro padri (2 Cr. 34:31-32).
La legge del patto dichiara che Dio è il Signore sovrano, il quale “persegue il suo cammino nel turbine e nella tempesta e le nuvole sono la polvere dei suoi piedi” (Na. 1:3). Tempesta e pestilenza sono i suoi strumenti nel trattare con un reame ribelle.
Ciò compare con forza particolare nella sfida lanciata da Dio per mezzo di Elia ai sacerdoti di Baal. Dio ordinò una terribile siccità in Israele. Ellison fa un eccellente resoconto del combattimento:
Come ci hanno dimostrato gli scavi di Ugarit, Baal era soprattutto il dio delle piogge invernali. Ma per quanto Jezebel, i suoi sacerdoti e profeti ululassero a Baal quanto potessero, non ci sarebbe stata pioggia in Israele, no, neppure rugiada, finché l’avrebbe data Jehovah, e Egli avrebbe annunciato in precedenza che l’avrebbe data per mezzo del suo servo Elia, affinché qualcuno non desse la gloria ad altri. Non c’è suggerimento che la carestia fosse una punizione, benché allo stesso tempo fosse anche punizione; era soprattutto una prova innegabile della potenza di Jehovah e dell’impotenza di Baal precisamente in quell’ambito che era considerato la sua specialità. Permise che la lezione facesse presa completamente. Passarono tre anni senza pioggia e tre estati senza raccolto (1 Re 18:1). Possiamo facilmente immaginare come gli adoratori, profeti e sacerdoti di Baal fossero ridotti in disperazione. Solo allora Dio gli disse di uscire dal nascondiglio e di dire ad Achab che Jehovah avrebbe avuto misericordia di una terra che dev’essere stata vicina all’ultimo respiro.
Non era sufficiente, però, dare la pioggia nel nome di Jehovah. La guerra doveva essere portata dentro al campo nemico. Questo fece Elia sfidando Baal sul suo terreno. Non solo il versante del Carmelo che guarda il mare era reclamato dalla Fenicia, ma era considerato particolarmente sacro a Baal. Qui, sul territorio proprio di Baal, fu sfidato a mandare i suoi lampi dal cielo, perché i suoi adoratori guardavano a lui come colui che controlla i temporali. Quale fu il successo di Elia nel suo scopo si può vedere nel tradurre il grido del popolo letteralmente: “Jehovah, Lui è il potente; Jehova, Lui è il potente” (1 Re 18:39) [5].
La preghiera di Elia fu nei termini di Deuteronomio 28:23, la dichiarazione di Dio che il cielo sarebbe stato come il rame (niente pioggia) e la terra come ferro (niente raccolto), se il popolo avesse disobbedito la sua legge.
Elia pertanto pregò nei termini della legge di Dio, per la maledizione di Dio su un popolo senza legge. Essere dentro la cornice della legge è un requisito della vera preghiera. Possiamo pregare che peccatori siano convertiti, ma non che siano benedetti nella loro empietà. Possiamo pregare per la benedizione di Dio sulla nostra obbedienza, ma non per una benedizione sulla disobbedienza. La preghiera non può essere antinomiana.
Pregare per grazia verso un peccatore è pregare entro la legge, perché il fatto basilare della grazia è che non è antinomiana. Il peccatore accetta il giudizio legale di Dio sul suo peccato quando accetta la grazia di Dio, e la grazia è inseparabile da quel giudizio.
La ragione per cui la preghiera di Elia fu efficace fu semplicemente perché fu la preghiera di un uomo giusto dentro al contesto della legge di Dio.
La preghiera di Elia per una siccità fu una preghiera per far avanzare il regno di Dio; è citata da Giacomo come tipo di una vera preghiera (5:16-18). Lo scopo di quella preghiera efficace fu di spezzare il potere di false autorità e di stabilire il regno di Dio nel mezzo dei suoi nemici.
L’interesse della legge e dei profeti era il regno di Dio. I giudici erano in un senso dei re sotto Dio. Come ha notato Ellison “la parola che nel Vecchio Testamento rendiamo con giudice (sophet) era tra i fenici il loro titolo per re. Il fatto del governo non è mai stato contrario alla volontà di Dio 6. Ciò che Dio condannò fu la reiezione del suo governo regale che segnò l’istituzione della monarchia di Saul. L’intero punto di 1 Samuele 8 fu che i loro re umani avrebbero dato loro una legge, una legge fatta dall’uomo, insieme a tutti i suoi mali e le sue ingiustizie. Le accuse dei profeti sono atti di denuncia di particolari offese contro la legge di Dio e giudizi nei termini di quella legge. La legge non può essere separata dai profeti quanto l’acqua dall’essere bagnata perché a quel punto non sarebbe più acqua ma qualcos’altro.
Ma questo non è tutto. La legge non può essere separata da Dio senza distruggerla. Troppo spesso, ai nostri tempi, la legge è astratta da Dio e vista in modo isolato. Per citare un esempio specifico, ai nostri giorni la proprietà privata molto comunemente è fortemente difesa dai conservatori senza allo stesso tempo più che un servizio di labbra a Dio e nessuna attenzione alla legge della decima. Ma la Scrittura rende chiaro che la terra è del Signore e perciò soggetta alla sua legge, e alla sua tassa: la decima. La proprietà privata separatamente dalla sua legge è maledetta. Ciascun uomo finisce con l’essere un’isola nella sua proprietà, circondato da un mondo alieno, senza legge di Dio, fatto di uomini rapaci. L’alternativa non è migliore: una società comunistica nella quale gli uomini hanno la terra in comune, ma la vita in tacita ostilità e sospetto. È ovvio che nessun arrangiamento concernente la proprietà può supplire la perdita di Dio e del suo potere rigenerante. Dall’altro lato, tra i rigenerati, può prevalere con successo una varietà di ordinamenti economici. Gli Hutteriti, una setta orientata alla comunalità, sono capaci di competere e superare in America i loro vicini che vivono in fattorie di proprietà. La ragione è che la forza motrice non è la proprietà privata ma la fede. È chiaro che la bibbia stabilisce effettivamente la proprietà privata come la forma ordinata da Dio di possesso della terra, ma è altrettanto chiaro che non identifica l’arrangiamento della proprietà della terra come fonte di benedizione. Inoltre, poiché la comunità Hutterita è un ordine volontario che poggia su una fede, è chiaramente non comunistico e non viola il concetto di proprietà privata più di una società commerciale, o di un club, o di azioni in una società, violino la proprietà privata perché ci sono proprietari multipli. La multi-proprietà non è socialismo statale.
La multi-proprietà, però, non ha più successo della proprietà unica se Dio ne è lasciato fuori. Nelle nostre città e paesi, il proprietario di casa singola è sempre più minacciato da forze senza legge, ma è la stessa cosa per il proprietario di un appartamento in condominio. Di fatto, il condominio può includere e include sempre più persone senza legge; il custode alla porta non può tenere fuori i nemici interni. Similmente, la peggior12. 2. minaccia a proprietari singoli è rappresentato dalla loro famiglie, figlie e figlie senza legge.
Chiaramente, la legge non può essere separata da Dio senza distruggerla. A quel punto la legge è senza radici e presto morta. I profeti non presentarono mai una legge senza radici ma sempre il Dio vivente e la sua volontà sovrana, la legge.
Note:
1 Edward J. Young, The Book of Isaiah; Grand Rapids: Eerdmans, 1965, I, 319.
2 E. H. Plumptre, “Isaiah” in Ellicott, IV, 443.
3 Joseph Addison Alexander, Commentary on the Prophecy of Isaiah, p. 193.
4 Edersheim stava qui citando da Keim. Alfred Edersheim, Prophecy and History; Grand Rapids: Baker Book House, 1955, p. 48.
5 H. L. Ellison, The Prophets of Israel; Grand Rapids, 1969, p. 30 s. La misura in cui la legge è ripresa attraverso tutta la bibbia compare nella richiesta di Eliseo d’avere una doppia porzione dello spirito di Elia (2Re 2:9), di cui Ellison accuratamente osserva: “Egli stava chiedendo la parte del primogenito (cfr. De. 21:17) e non di poter essere più grande del suo padrone” (p. 44); Eliseo stava chiedendo di diventare l’erede dell’ufficio di Elia.
6 Ibid., p. 129.
3. LEGGE NATURALE E LEGGE SOPRANNATURALE.
La bibbia non riconosce come valida nessuna legge eccetto la legge di Dio, e questa legge è data per rivelazione ai patriarchi e a Mosè, spiegata dai profeti, da Gesù Cristo e dagli apostoli. Avere due tipi di legge è avere due tipi di dèi; non sorprende che il mondo antico, come quello moderno, fosse politeista; avendo molte leggi, aveva molti dèi.
Alcuni lo negheranno. Dopo aver adottato un concetto greco e razionalista di legge naturale, cercano di innestarlo nella religione biblica. Si prenda atto, per esempio, della ragione data da Melantone in Loci Communes:
Alcune leggi sono leggi naturali, altre divine, altre umane. Riguardo a quelle naturali, non ho ancora visto nulla scritto degnamente da teologi o giuristi. Poiché quando le leggi naturali vengono proclamate, è corretto che le loro formule siano raccolte dal metodo della ragione umana mediante il sillogismo naturale. Non l’ho ancora visto fatto da nessuno, e non so proprio se si possa fare, visto che la ragione umana è così asservita e accecata — almeno lo è stata fino ad oggi. Inoltre, Paolo insegna in Romani 2:15 in un argomento singolarmente fine e chiaro che nei gentili c’è una coscienza che o difende o accusa le loro azioni, e perciò è legge. Infatti, cos’è la coscienza se non un giudizio sulle nostre azioni che è derivato da qualche legge o regola comune? La legge della natura, perciò, è un giudizio comune a cui tutti gli uomini danno lo stesso consenso. Questa legge, che Dio ha inciso nella mente di ciascuno è adatta per modellare il senso morale [1].
Virtualmente tutti i leader della Riforma hanno dato il loro assenso a questa tesi, e con ciò negarono la Riforma. L’uomo non rigenerato, decaduto, incapace di salvarsi e colpevole di soffocare o sopprimere la verità di Dio nell’ingiustizia (Ro. 1:18), è in qualche modo capace di conoscere una legge inerente la natura e farne il fondamento “per modellare il senso morale”!
Esaminiamo adesso queste leggi della natura che Melantone ci riporta, e vediamo quanto queste siano degne di rimpiazzare la legge di Mosè:
Sorvolo quelle cose che abbiamo in comune con le bestie, l’istinto di preservazione, di partorire, di procreare. I giuristi mettono queste cose in relazione con la legge della natura, ma io le chiamo certe disposizioni naturali comunemente impiantate negli esseri viventi. Delle leggi che appartengono propriamente l’uomo, comunque, le principali sembrano essere le seguenti:
1. Dio deve essere adorato.
2. Poiché siamo nati dentro una vita che è sociale, nessuno deve essere leso.
3. La società umana richiede che facciamo uso comune di tutte le cose [2].
Con un modo di pensare come questo i riformatori si diedero da fare per castrarsi! Melantone prende la sua prima legge naturale da Romani 1 anziché dalla natura. Fonda flebilmente la seconda su Genesi 2:8, benché non ci dica perché abbia bisogno di un solo verso per sostenere la sua posizione dopo che ha scartato tutti i libri di Mosè. Il fondamento “naturale” della seconda legge della natura di Melantone è la maggioranza:
Perciò, quelli che disturbano la pace pubblica e fanno del male agli innocenti devono essere coartati, repressi e tolti di mezzo. La maggioranza deve essere preservata mediante la rimozione di quelli che hanno causato danno. La legge dice: “Non far male a nessuno!” Ma se qualcuno ha subito lesione colui che ne è responsabile deve essere soppresso affinché altri non ne siano danneggiati. È più importante preservare il gruppo intero che uno o due individui. Perciò l’uomo che minaccia l’intero gruppo con alcune azioni che costituiscano cattivo esempio deve essere eliminato. Questa è la ragione per cui ci sono magistrature nello stato, questa è la ragione per cui ci sono punizioni per i colpevoli, questa è la ragione per cui ci sono contese, per tutte queste i giuristi rimanderanno alla legge delle nazioni (ius gentium) [3].
Con queste parole Melantone s’è associato a Caiafa, il quale disse, riguardo a Cristo: “conviene per noi che un sol uomo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione” (Gv 11:50). La persecuzione dei primi cristiani, e di tutte le minoranze che arrechino fastidio riceve un solido fondamento in questa legge naturale.
La terza legge naturale di Melantone portò ad un pericoloso comunismo anabattista e fu pertanto necessario affermare sia questo concetto di maggioranza, di uomo di massa e sia mantenere la proprietà privata, domini principeschi, università, professori, e signori nelle loro proprietà. Di conseguenza, egli postulò “contratti” come strumenti per “condividere” cose, in modo che per contratto i governanti potevano mantenere le loro non comuni proprietà di cose comuni. Come risultato, Melantone “condensò” le tre leggi basilari in quattro e aggiunse un arrogante epilogo:
Basta così per le regole generali delle leggi della natura, che possono essere condensate nel seguente modo:
1. Adorate Dio!
2. Poiché siamo nati dentro una vita che è sociale, una vita condivisa, non far del male a nessuno, ma aiuta tutti con gentilezza.
3. Se sia impossibile che nessuno venga leso, fate in modo che il numero dei danneggiati sia ridotto al minimo. Quelli che disturbano la pace pubblica siano rimossi. A questo scopo siano istituite magistrature e punizioni per i colpevoli.
4. La proprietà sarà divisa per il bene della pace pubblica. Per il rimanente, alcuni allevieranno i bisogni di altri mediante contratti.
Chi voglia farlo, a questo può aggiungere idee particolari dai poeti, oratori, e storici che generalmente hanno una correlazione con la legge delle nazioni (ius gentium), quelle che si possono leggere qui e la riguardo a matrimonio, adulterio, la restituzione di un favore, ingratitudine, ospitalità, lo scambio di proprietà, e altre questioni di questo tipo. Ma ho pensato fosse adeguato menzionare solo le forme più comuni. E non si consideri affrettatamente che qualunque dei pensieri degli scrittori Gentili siano leggi, infatti molte delle loro idee popolari esprimono gl’interessi depravati della nostra natura, e non leggi. Di questo tipo è questo pensiero da Esiodo: “Ama chi ti ama, e vai da chi viene a te. Noi diamo a chi dà a noi, e non diamo a chi non ci dà” (Hesiod, Works and Days, 353, 354). Infatti in queste righe l’amicizia è misurata solo dall’utilità. Di questo tipo è anche il detto popolare: “Dà e prendi”. L’affermazione che “alla forza si risponde con la forza” qui è pertinente, come quella che compare nello Ione di Euripide: “È bene onorare la pietà per quelli che sono prosperi, ma ogni qualvolta si voglia trattare male i propri nemici, non c’è legge che l’impedisca”.
Anche, la cosiddetta legge civile contiene molte cose che sono ovviamente interessi umani piuttosto che leggi naturali. Infatti, cos’è più estraneo alla natura della schiavitù? E in alcuni contratti ciò che veramente conta è ingiustamente occultato. Ma di più su questo più avanti. Un uomo buono mitigherà le costituzioni civili con diritto e giustizia, cioè tanto con leggi divine che con leggi naturali. Qualsiasi cosa che sia promulgato contrariamente alle leggi divine e naturali non può essere giusto. Circa le leggi della natura basta così. Definitele voi con ragionamenti più esatti e acuti se potete [4].
Lo scopo principale della legge di Dio data per mezzo di Mosè sembrerebbe essere quello di convincere l’uomo di peccato, in modo che l’uomo possa poi essere salvato per grazia e liberato dalla legge di Dio e inserito nella legge naturale. La salvezza è in effetti da Dio alla natura. “La legge richiede cose impossibili come l’amore per Dio e per il nostro prossimo”[5]. Ad ogni modo, “Quella parte della legge chiamata Decalogo o i comandamenti morali è stata abrogata dal Nuovo Testamento” [6]. Alcuni degli anabattisti misero in pratica ciò che Melantone predicava ma ne furono solo dannati. Lo Spirito guida i cristiani a “praticare la legge” anche se la legge è ora abrogata! [7]. Lo Spirito santo è quindi più attento alla legge di Melantone.
Melantone non era solo in questo tipo di assurdità. Bucero, in De Regno Christi, richiese un regime totalitario come conseguenza della sua fede nella legge naturale. Il suo consiglio a Edoardo VI d’Inghilterra fu significativo, e si dovrebbe notare che Bucero citò Platone e non la bibbia:
E questo deve essere ordinato, primo, che a nessuno sia permesso di entrare nel commercio se gli ufficiali non l’abbiano prima giudicato adatto a questa sorta di cosa, avendolo trovato pio, un amante del bene comune piuttosto che dell’interesse privato, acceso di sobrietà e temperanza, vigile e industrioso. In secondo luogo, che costoro non importino o esportino altre mercanzie di quelle che vostra maestà ha decretato. E decreterà che siano esportate solo quelle merci di cui il popolo del reame ha realmente abbondanza in modo che la loro esportazione non sia di minore beneficio al popolo di questo reame, al quale queste cose sono in più, di quello delle persone che le portano in nazioni estere e ne traggono un profitto. Così, anche, non dovrebbe permettere che sia importata mercanzia fatta eccezione per quella che giudica buona per il pio, sobrio e salutare uso del bene comune. Infine, che sia stabilito dei singoli articoli di mercanzia un prezzo definito ed equo, che può facilmente essere arrangiato ed è assai necessario (tale è l’avarizia umana) per conservare la giustizia e la decenza tra i cittadini.
Gli stessi statuti devono essere applicati ad ambulanti e dettaglianti, al cui compito, poiché è così basso e sordido, non dovrebbe essere ammesso nessuno a meno che non manchi di abilità o abbia delle incapacità fisiche da renderlo inadatto per abilità più liberali, com’era pure opinione di Platone (Platone, Repubblica, II, 371 c-d) [8] .
Emettevano bestemmie e la chiamavano Riforma. Accantonarono la legge di Dio per le razionalizzazioni dell’uomo e le dichiararono essere una legge superiore per uomini e nazioni.
Bucero, avendo scacciato a calci la legge di Dio in favore di Platone, continuò a parlare piamente della legge di Dio e trasferì i suoi presupposti morali alla legge naturale:
Infatti, poiché siamo stati liberati dall’insegnamento di Mosè per mezzo di Cristo il Signore, talché non è più necessario per noi osservare i decreti civili della legge di Mosè, ossia, nei termini dei modi e delle circostanze in cui sono descritti, nondimeno, per quanto concerne la sostanza e lo scopo proprio di questi comandamenti, e specialmente di quelli che intimano la disciplina che è necessaria per l’intera federazione, chiunque non ritenga che tali comandamenti non debbano essere osservati coscienziosamente, per certo non sta attribuendo a Dio né la suprema sapienza né una retta cura per la nostra salvezza [9].
La funzione principale di questa re-introduzione della legge di Mosè è di consolidare il potere dello stato con la pena di morte, col dovere d’obbedienza e cose simili [10].
Abbiamo visto che Melantone era così orgoglioso della sua formulazione della legge naturale che dichiarò fieramente: “Definitele voi con ragionamenti più esatti e acuti se potete”. Molti fecero proprio quello. Ogni uomo aveva la sua propria legge naturale nella propria natura decaduta. Il diciottesimo secolo e il deismo, e nel ventesimo secolo Lenny Bruce e gli hippy, s’unirono al poeta Pope nell’affermare: “Qualsiasi cosa esista è giusta”. Ogni cosa in natura, ogni crimine e ogni perversione era, secondo il Marchese de Sade, una legge della natura; per lui, l’unica violazione della legge della natura era la religione cristiana. Così, ogniqualvolta si è sostenuto che la natura fosse la fonte della legge, la legge è finita col riflettere o essere identica col peccato dell’uomo.
La bibbia come mette in correlazione legge e natura? Il Salmo 1 è la dichiarazione più chiara che possa esserci. Quando parla della legge, intende “la legge di Mosè”[11]. Jackman traduce in questo modo il verso 1: “Benedetto è l’uomo che non cammina nel consiglio dei senza legge, non si ferma nella via degli illegali, né si siede sul baco degli schernitori” Nei versi 4-6 Anche “empi” è reso con “senza legge”[12]. L’uomo il cui diletto è nella legge del Signore, la legge biblica, è “come un albero piantato presso i rivi d’acqua che porta il suo frutto in stagione” (vs. 3). Si noti il pronto collegamento tra l’obbedienza alla legge biblica e il prosperare nel mondo naturale. È la legge soprannaturale di Dio rivelata, su cui l’uomo pio medita e che obbedisce, e che si trasforma in una fruttuosità sulla terra. Avere radici nella legge rivelata di Dio è avere radici nel mondo naturale di Dio, poiché essendo stato creato da Dio quel mondo è totalmente ricettivo degli stessi propositi che ha la sua parola.
Ma questo non è tutto. Il salmo rende chiaro anche che il modo migliore se non l’unico modo per avere le proprie radici nel mondo naturale è d’essere fermamente radicati nella legge soprannaturale di Dio. “Le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa prospererà”. Gli empi, o secondo Jackman, i senza legge, quelli che negano la legge di Dio “non sono così, ma sono come pula che il vento porta via” (v.4). Essere senza radici in Dio significa essere senza radici in questo mondo, ed essere non meglio della pula che è soffiata via al primo vento contrario.
Il mondo naturale intorno a noi è governato totalmente da Dio e dalla sua legge. Ci sono leggi operative nel, e sul mondo naturale, leggi di biologia, fisica e simili, ma mai come sistemi chiusi. Quando e dove sia negata la legge rivelata di Dio, in ultima analisi sono negati anche l’assoluto decreto e la legge di Dio nel mondo naturale. È impossibile creare una filosofia di legge naturale; svanisce dentro al niente. Lo stesso vale per quei moderni sostituti della legge naturale che prendono il nome di grazia comune. Se è negato il Dio sovrano e trino anche qualsiasi legge da qualsiasi parte è in effetti negata.
Pertanto, la bibbia, mentre non è un libro di testo di fisica o biologia, è lo stesso basilare alla fisica e alla biologia. Senza il Dio sovrano delle Scritture e la sua parola-legge, non può esistere nessuna scienza, nessun fatto, nessun apprendimento. Nessun fatto esiste da e per se stesso. Come ha reso chiaro Van Til, tutta la realtà è rivelazionale di Dio e non può essere realmente compresa separatamente da Lui. “Se Dio esiste non ci sono crudi fatti; se Dio esiste il nostro studio dei fatti deve essere uno sforzo di conoscerli come Dio vuole che siano conosciuti da noi. Dobbiamo pertanto cercare di pensare i pensieri di Dio dopo di Lui (nella sua cornice di pensiero). Assumere che esistano crudi fatti è pertanto assumere che Dio non esista [13].
Perciò, siccome Dio esiste, non ci sono crudi fatti, né qualsivoglia crude leggi (un concetto impossibile) in quel mondo di cruda fattualità. La filosofia della legge naturale cerca di trovare crude leggi in un mondo di crudi fatti, ovvero leggi in ultima analisi senza significato in un mondo di fatti in ultima analisi e immediatamente senza significato. I filosofi della legge naturale cercano di presentarci il mondo di Dio senza il Dio delle Scritture e senza la legge delle Scritture, e riescono solo a presentarci un campione di se stessi.
Il solo approccio che si può tenere nei confronti delle leggi operative su, e all’interno del mondo naturale è pertanto mediante la soprannaturale parola-legge di Dio. Se non vorranno avere Mosè non avranno neppure questo mondo o alcuna legge in esso. La scelta pertanto non è tra la legge biblica e la legge naturale: è tra avere o non avere legge. Rigettare Mosè è rigettare il Dio di Mosè.
Perfino ridotto a scegliere tra Mosè e Platone, la scelta di Bucero fu una scelta molto incresciosa. Avendo la legge rivelata di Dio perché un uomo vorrebbe desiderare di formare una legge morale e civile a partire dagli elementi decaduti e pervertiti della mente umana?
La ragione per cui gli uomini scelgono di cercare un fondamento nell’uomo è per la loro ricerca di un terreno comune con tutti gli uomini e tutta la realtà al di fuori di Dio. Vogliono evitare ciò che chiamano “un sistema ‘settario’ di pensiero”. Dichiarano che la necessità è per “la philosophia perennis”, una filosofia comune a tutti gli uomini in quanto uomini, separatamente da considerazioni teologiche. Con questo metodo questi pensatori affermano di poter stabilire tutte le verità della religione biblica in una maniera soddisfacente per tutti gli uomini. Così, si sostiene, si può stabilire un terreno migliore, comune, al posto di una rivelazione esclusiva o parrocchiale. In una tale filosofia, lo stato, anziché essere un ministero di giustizia ordinato da Dio, diventa “un’istituzione ‘naturale’”, un prodotto dell’ “esistenza ‘sociale’” dell’uomo [14]. Poiché gli uomini vivono una vita sociale, sorgono conflitti a causa di svariati desideri.
Ovvio che sorga la necessità di qualche compromesso; le differenze individuali devono essere risolte; qualcuno, o qualche gruppo scelto per deliberare e parlare per tutta la comunità, deve prendere le decisioni. E in questo modo sorge, proprio tanto naturale quanto chiaramente data da Dio in origine come la natura societaria stessa dell’uomo, l’istituzione dell’autorità [15].
Tale filosofia di legge naturale poggia, non su un Dio assoluto, né su una legge assoluta, ma sul compromesso. La base dell’autorità è pertanto il relativismo, il compromesso, non la verità.
Questa filosofia di legge naturale si posa sul valore ultimo della mente dell’uomo e fa appello a una comune razionalità in tutti gli uomini. Ma l’uomo decaduto usa la sua ragione come strumento per la sua guerra contro Dio, e quindi l’aspetto comune della razionalità dell’uomo apostata è la determinazione di escludere il Dio sovrano delle Scritture.
Ma se l’uomo naturale, senza fede salvifica, può farsi strada verso Dio e verso una legge universale, allora di fatto non ha bisogno né di Dio, né della legge di Dio, né ha bisogno della bibbia, di teologi, o di alcuna rivelazione da Dio; l’uomo stesso è a quel punto il principio della rivelazione e della verità, la fonte di legge sulla terra. Ove prevalgono la legge naturale e la teologia naturale, o le sue moderne variazioni di grazia comune, lì la chiesa ha solo poche limitate opzioni. Può diventare l’ancella dello stato e adoperarsi per l’azione sociale, o può abbandonare il mondo mediante il pietismo e il misticismo. In qualunque caso non le rimane più alcun Dio se non l’uomo.
La fonte della legge è anche l’ubicazione del dio di qualsiasi sistema, e se la legge è ubicata nella razionalità dell’uomo, allora l’uomo è il dio di quella filosofia. Non sorprende, dunque, che il pensiero occidentale, avendo adottato un fondamento di legge naturale per i suoi ordini sociali, prima considerò la legge come logica, un aspetto della razionalità dell’uomo, e poi come esperienza, un aspetto dell’essere dell’uomo. E cosa significa: esperienza? “Quella reale considerazione che i giudici rarissimamente menzionano, e sempre con un’apologia, sono le radici segrete da cui la legge assorbe i succhi della vita, Intendo, ovviamente, le considerazioni per ciò che sia utile per la comunità in questione” [16]. La legge naturale ha iniziato col compromesso, e finisce con l’utilità, avendo viaggiato, con parecchio sforzo, da nessuna parte. Nel processo di stare ferma, è riuscita a fare qualcosa: ha perso verità e autorità, e non le è rimasto alcun terreno comune, perché l’esperienza e l’utilità di ogni uomo è il suo privato mondo di compromesso. Ogni uomo diventa il proprio mondo di legge, il proprio ambito d’esperienza, e il proprio criterio d’utilità.
La filosofia della legge naturale comincia con “l’assunto che il modo di ragionare non-cristiano sia il solo modo possibile di ragionare” [17]. Come Van Til osservò ulteriormente, nel contendere contro la stessa filosofia che si definisce da sé una dottrina della grazia comune:
Una dottrina della grazia comune che sia congegnata per fare appello ancora una volta a un terreno neutrale tra credenti e non credenti, è precisamente come l’apologetica del vecchio Princeton, in linea con un tipo di teologia naturale Romanesca. Perché dovremmo dunque pretendere di possedere qualcosa di unico? E perché quindi potremmo pretendere di possedere una corretta base per la scienza? Niente che sia meno della dottrina calvinista della provvidenza onni- controllante di Dio, e il carattere indelebilmente rivelazionale di ogni fatto dell’universo creato, può fornire un reale fondamento per la scienza. E come possiamo pretendere di essere capaci di fare buon uso dei risultati degli sforzi scientifici di scienziati non-cristiani, se, poggiando su basi essenzialmente romaniste, non possiamo fare buon uso nemmeno dei nostri sforzi?
Perché vivere in un modo dei sogni, ingannando noi stessi e campando false apparenze davanti al mondo? La visione non- cristiana della scienza:
(a) presuppone l’autonomia dell’uomo,
(b) Presuppone il carattere non-creato, ovvero il carattere controllato dal caso dei fatti; e
(c) presuppone che le leggi siano fondate non in Dio ma da qualche parte nell’universo.
Ora, se sviluppiamo una dottrina della grazia comune in linea con gli insegnamenti di Hepp riguardo alla generale testimonianza dello Spirito a quel punto stiamo incorporando nel nostro edificio scientifico proprio quelle forze di distruzione contro cui quella testimonianza è vincolata a procedere [18].
Il solo vero terreno comune è in Dio, ovvero nel fatto che egli ha creato e governa tutte le cose, talché tutte le cose sono rivelazionali di lui. La comprensione di tutte le cose perciò comincia in lui, la sottomissione da parte dell’uomo al giudizio di Dio, alla salvezza e alla parola-legge. Van Til, nel discutere contro l’opinione di un leader riformato: Masselink, osservò:
Ma ho discusso a lungo, in particolare contro Barth, che l’immagine di Dio nell’uomo consiste di reale contenuto di conoscenza. L’uomo non comincia nel corso della storia meramente con una capacita per conoscere Dio. Al contrario, comincia il suo corso con una effettiva conoscenza di Dio. Inoltre, non può neppure eradicare questa conoscenza di Dio. È questo il fatto che fa essere il peccato: peccato “contro miglior conoscenza”.
… La teologia Cattolico Romana pensa che la creatura sia cominciata dai confini del non-essere. Secondo la teologia Romana c’è nell’uomo, come nella realtà creata in generale, un inerente tendenza a sprofondare indietro nella non-esistenza. Ecco il perché del bisogno dell’aiuto soprannaturale fin dall’inizio dell’esistenza dell’uomo. C’è una confusione nella teologia romana tra l’aspetto metafisico e quello etico dell’esistenza dell’uomo. … La tendenza distruttiva del peccato non dev’essere vista in una graduale diminuzione della razionalità e moralità dell’uomo. Quando l’uomo volta le spalle a Dio e odia il suo creatore non è meno di quanto lo fosse prima una creatura, una creatura di Dio razionale e morale. Perciò, quando Dio dà all’uomo la sua grazia, la sua grazia salvifica, questo non ripristina la sua razionalità e moralità. Ripristina la sua vera conoscenza, giustizia e santità (Cl. 3:10; Ef. 4:29). Ripristina l’uomo eticamente, non metafisicamente. Così, anche, se intendiamo che la grazia comune sia ciò che ha a che vedere con il contenimento del peccato, allora quella che esegue è una funzione etica e non metafisica. Non mantiene, come il dr. Masselink sembra contendere, le caratteristiche creazionali dell’uomo. Non sostiene l’immagine di Dio nell’uomo “in senso ampio” che consiste della sua razionalità e moralità. Trattiene l’uomo, che sarà comunque razionale, dall’esprimere la sua ostilità nei confronti di Dio nel campo della conoscenza in una misura che gli rende impossibile distruggere la conoscenza. E nel contenerlo nella sua ostilità etica verso Dio, Dio rilascia i suoi poteri creaturali talché può dare un contributo positivo al campo della conoscenza e dell’arte. Similmente, nel contenerlo dall’esprimere la sua ostilità etica verso Dio c’è un rilascio al suo interno dei suoi poteri morali talché può compiere ciò ch’è moralmente, benché non spiritualmente, buono. Come costitutivi della razionalità e della moralità dell’uomo questi poteri non erano diminuiti a causa del peccato. L’uomo non può essere amorale. Ma peccando l’uomo cadde eticamente, è diventato ostile a Dio. E la grazia comune è lo strumento mediante il quale Dio trattiene l’uomo dall’esprimere il principio dell’ostilità nella sua piena misura, abilitando in questo modo l’uomo a fare il “relativamente buono” [19].
Van Til suggerì “grazia della creazione” come termine migliore di “grazia comune”. Per certo il termine “grazia comune” che è giunto a essere un’indicazione d’umanismo e di conflitto contro Dio, deve essere abbandonato perché termine bastardo, in quanto mette insieme illegittimamente due concetti alieni.
In breve, cominciare con qualcosa di meno che la legge di Dio quale solo fondamento per l’ordine sociale significa finire del tutto senza legge e con il governo della sola logica e dell’esperienza dell’uomo.
Pertanto, le leggi della fisica, dell’economia, della biologia e di qualsiasi altra scienza o studio sono solidamente fondati nel decreto eterno di Dio; poiché il potere predestinante e sovrano di Dio è totale, ci sono leggi in ogni ambito. Queste leggi derivano, non dalla natura, ma da Dio. Quando sia negato il decreto eterno, anche le leggi sono in effetti negate, e gradualmente scompaiono.
Fu l’umanesimo dell’Illuminismo a sviluppare la filosofia della legge naturale quale propria alternativa al Dio sovrano predestinante delle Scritture. Più tardi, i loro eredi attaccarono il concetto di legge naturale perché concetto che additava in direzione di Dio; meglio eliminare tutta la legge, non lasciare di Dio alcuna indicazione, niente evidenze di disegno nell’universo che parlassero del suo creatore. Il mondo era pronto ad accettare Darwin e un universo cieco, senza legge, e in evoluzione per sfuggire un Dio la cui legge governa tutta la realtà.
Il concetto di “inerente legge naturale … si pose tra la natura e Dio e … fu concepito come indipendente da qualsiasi legislatore esterno per la propria validità ed operazione” [20]. Nell’accettare la legge naturale come sostituto per Dio, l’Illuminismo la vide progressivamente in termini meccanicistici. “La realtà non era più primariamente una questione di volontà e scopo personali” [21]. L’universo fu paragonato al meccanismo di un
orologio.
Eppure nulla è più ridicolo, dal punto di vista cristiano, che paragonare l’universo ad un pezzo d’orologio. Questa zuppa per la quale fu svenduto il diritto biblico di primogenitura fu una sostituzione di disegno per proposito; la resa del concetto di meta per un conglomerato di fini meccanici espressi in termini filosofici di ordine, bellezza, armonia, e perfezione. Gli argomenti derivati dal disegno indicano indietro alla creazione, non in avanti al compimento. …
Grozio, l’archetipo dell’umanismo, sviluppò la distinzione tra la legge di Dio e la legge della natura ove la legge della natura includeva l’uomo e la sua storia. Il risultato di questa distinzione tra Provvidenza e il processo della vita e della storia fu che comparve la possibilità di modellare la vita e la storia separatamente da qualsiasi legge di Dio. E questo era un fine desiderabile visto che la legge di Dio aveva permesso guerre e disastri. Il plasmare la storia secondo la legge naturale indicava verso l’idea di progresso e in questo modo incideva direttamente sulla questione di un’escatologia. L’uomo avrebbe adesso operato la propria salvezza, ma in un senso radicalmente diverso dal significato della parola biblica, e ovviamente senza timore e tremore (Fl. 2:12) [22].
Come risultato di questo sviluppo, la legge della natura, che nella sua antichità pagana era la legge delle nazioni, divenne nuovamente la legge
delle nazioni, la legge dell’uomo. Siccome né Dio né la natura avevano eliminato le guerre, l’uomo, il nuovo dio e legislatore, avrebbe plasmato le nazioni e tutti gli uomini per eliminare le guerre.
Il governo generale e particolare di Dio sarebbe stato rimpiazzato dal governo generale e particolare dell’uomo. Il governo generale di Dio stabilisce l’uomo in una cornice di legge totale; il governo particolare di Dio è consapevole di ogni nostro bisogno, non cade un capello senza la sua sovrana cura e supervisione. Il nuovo stato sovrano opera per avvolgerci in una cornice di legge progressivamente sempre più totale, e per osservarci nella sua rete di particolare supervisione. Il redattore capo di un importante periodico americano ha dato la sua approvazione a questa radicale invasione della vita privata da parte del governo totale dello stato moderno in un importante editoriale:
A mano a mano che la tecnologia de-personalizza e de-umanizza sempre più le nostre vite, sta nascendo in noi un bisogno di riaffermare ciò ch’è più basilare e vitale in noi, i nostri istinti. Inoltre, la tecnologia ci sta sbattendo in un’epoca in cui la privacy sta diventando letteralmente impossibile. Diventerà impossibile, da un lato puramente a causa della densità della popolazione e, dall’altro, a causa del rapido avanzamento di mezzi tecnologici di sorveglianza in una civiltà le cui società ovviamente intendono tenere sotto costante osservazione tutti gli individui.
Sta pertanto sorgendo una fondamentale necessità: la necessità di dimorare, più o meno come esseri umani, in una società nella quale la privacy è fuori questione. Sembra che la nostra risposta dovrà essere d’adottare un modo di vivere in cui la privacy non è più considerata necessaria. Perciò io sospetto che il sesso pubblico sarà considerato l’onda del futuro …[23].
La legge naturale finisce sempre col diventare la legge dello stato, e in più di uno stato anti-cristiano.
Note:
1 Wilhelm Pauck, editore, The Library of Christian Classics, vol. XIX, Melancton and Bucer; Philadelphia: Westminster Press, 1969, p. 50.
2 Ibid., p. 50 s.
3 Ibid., p. 51 s.
4 Ibid., p. 52 s.
5 Ibid., p. 117.
6 Ibid., p. 121.
7 Ibid., p. 124.
8 Ibid., p. 344 s.
9 Ibid., p. 378.
10 Per le visioni contorte di Lutero sulla legge, vedi Ferdinand Edward Cranz, Harvard Theological Studies XIX, An Essay on the Development of Luther’s Thought on Justice, Law, and Society; Cambridge: Harvard University Press, 1059.
11 J. A. Alexander, Psalms, p. 10.
12 T. R. Jackman, Psalm for Today, p. 7.
13 Cornelius Van Til, “A Calvin University” in The Banner, 9 nov., 1939, ripubblicato in C. Van Til, Science Articles, a Syllabus; Philadelphia: Westminster Theological Seminary, p. 26.
14 Harold C Gardiner, S.J., Catholic Viewpoint on Censorship; garde City, N.Y.: Hannover House, 1958, p. 14.
15 Ibid., p. 20.
16 O. W. Holmes, Jr., The Common Law; Boston: Little, Brown, 1881, p. 35.
17 Cornelius Van Til, Common Grace; Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Company, 1947, p. 48.
18 C. Van Til, A Letter on Common Grace; Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1955, p. 66.
19 Ibid., p. 36.
20 James P. Martin, The Last Judgment in Protestant Theology from Orthodoxy to Ritschl; Grand Rapids: Eerdmans, 1963, p. 102.
21 Ibid., p. 103.
22 Ibid., p. 107.
23 Frank Trippet, “What’s happening to Sexual Privacy?” In Look, vol. 34, n° 21 (20 ottobre, 1970), p. 50.
4. LA LEGGE COME DIREZIONE E VITA
La parola biblica basilare per “legge” è tora (o torah). Tora significa non solo istruzione o insegnamento, ma, fondamentalmente: “direzione”. La legge dunque dà la direzione di vita ordinata da Dio; una vita senza legge è una vita senza direzione nel senso che senza Dio non esiste vero significato. Il male non è assenza o sottigliezza dell’essere, ma è una separazione etica, non metafisica, da Dio. Maggiore la separazione, maggiore la perdita di significato. L’inferno non ha né comunità né significato. È il collasso di ogni comunità, significato e vita dentro a una radicale negazione.
Il libro di Proverbi è essenzialmente un libro sulla legge intesa come direzione e guida per la vita. La to'ra nei Proverbi
Dove compare senza qualifiche (28:9; 29:18) è chiaramente la legge divina (è anche il termine giudaico per Pentateuco); ma la mia legge, “la legge di tua madre” (1:8), ecc. fanno riferimento alle massime presenti e agli insegnamenti domestici, basati sicuramente sulla legge, ma non identici a essa [1] .
Così, ogni direzione si fonda e deve fondarsi sulla fondamentale tora, legge o direzione di Dio. La legge di un genitore, la legge di un insegnante o di un datore di lavoro, deve essere un’applicazione della legge di Dio. Quando così applicata, la legge di Dio diventa il tessuto della vita e la direzione della società. Come lo ha dichiarato Salomone:
Chi disprezza la parola sarà distrutto, ma chi rispetta il comandamento sarà ricompensato.
L’insegnamento del saggio è una fonte di vita per far evitare a uno i lacci della morte (Pr. 13:13-14).
Come osserva Kidner:
La frase: legge del saggio (AV, RV; tutte le italiane versioni It. traducono “insegnamento”) indica che la legge (tora) è qui usata nel suo senso originale di “direzione” o “istruzione”; è la voce dell’esperienza spirituale piuttosto che il comando divino, benché sarà in armonia con la Torah (come enfatizza la sua contiguità col verso 13) [2].
La legge di Dio è data a tutti gli uomini; la società pia e gli uomini pii medieranno quella legge a ciascuna nuova generazione e in questo modo assicureranno la sua salute e benessere. Come l’ha riassunto Delitzsch:
Il proverbio è designato a dichiarare che la vita che sgorga dalla dottrina dell’uomo saggio, come da una fonte di salute, per il discepolo che la riceve, gli comunica conoscenza e forza, per conoscere ove risiedano la trappole della distruzione e per scappare velocemente quando minacciano di intrappolarlo [3].
Questo riafferma il significato basilare di tora: direzione, e la direzione fornita dalla legge è la via della salute, della conoscenza e della vita. Inoltre:
Quelli che abbandonano la legge lodano gli empi; ma quelli che osservano la legge fanno loro guerra.
Gli uomini malvagi non comprendono la giustizia, ma quelli che cercano l’Eterno comprendono ogni cosa (Pr. 28:4-5).
Tornando di nuovo a Delitzsch:
Quelli che lodano i senza-Dio si allontanano dalla parola di Dio rivelata (Sl. lxxiii. 11-15); quelli che, al contrario, sono ligi alla parola di Dio (xxix. 18) si levano contro di essi, sono profondamente mossi dal loro comportamento, non possono tacere e permettere che la loro iniquità rimanga impunita. … Chi fa della malvagità il proprio elemento morale cade nella confusione quanto al concepire la moralità; ma chi ha per fine l’unico Dio vivente, da ciò guadagna, in ogni situazione di vita, anche in mezzo alle più gravi difficoltà, la conoscenza di ciò ch’è moralmente giusto. Similmente l’Apostolo Giovanni (1 Gv. ii. 20): “Ma voi avete l’unzione dal Santo e conoscete ogni cosa”: ovvero, voi avete bisogno di ricercare quella conoscenza che volete, e che bramate, non dentro voi stessi, ma nelle nuove fondamenta divine della vostra vita personale; da lì tutto ciò di cui avete bisogno per la crescita della vostra vita spirituale, e per stornare da voi le influenze ostili, perverrà nelle vostre coscienze. Qui s’intende una conoscenza potenziale, di carattere onnicomprensivo, e ovviamente una conoscenza umana, relativa [4].
Abbandonare la legge significa abbandonare direzione e vita; una società e uomini che abbandonino la legge di Dio perdono sapienza e con ciò ogni direzione. Il relativismo comanda la società, e con esso, una paralisi sociale. I commenti di Kidner lo dimostrano chiaramente:
28:4. La legge di Dio bastione dell’uomo.
Senza rivelazione, tutto diventa presto relativo, e col relativismo morale, nulla merita veramente d’essere attaccato. Perciò, per esempio, il tiranno viene accettato perché fa le cose; e il pervertito perché la sua condizione è interessate. L’intera sequenza compare in Romani 1:18-32.
25:8. La legge di Dio luce dell’uomo.
Romani 1:21, 28 illuminano la prima riga, come Romani 1:18-32 fa col proverbio precedente. Sulla seconda riga, si confronti il salmo 119:100; Giovanni 7:17, e altri riferimenti dati nella Revised Version [5].
Uno dei desideri più persistenti dell’uomo è camminare per visione, vale a dire, con una conoscenza del futuro, di ciò che verrà. È questo motivo che portò Saul a cercare la strega di Endor. Per mezzo di lei Saul voleva sapere il risultato della sua guerra coi filistei, e ciò che avrebbe dovuto fare (1 Sa. 28:15). Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo abbiamo assistito a un importante ritorno di varie forme di occultismo mediante le quali l’uomo cerca di sondare il futuro e ottenere luce per la quale camminare.
Le Scritture proibiscono tutti questi tentativi di sondare il futuro separatamente da Dio. Lo strumento provvisto mediante il quale l’uomo può conoscere il futuro è la parola-legge di Dio. Nei termini di questo fatto, il salmista dichiarò, nella sua grande meditazione sulla legge, il Salmo 119:
La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
Io ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti decreti (Sl. 119:105-106).
Questo concetto della legge come guida dell’uomo compare dappertutto nelle Scritture. Queste stesse parole furono dichiarate, forse prima di tutti, da Salomone:
Poiché il comandamento è una lampada, l’insegnamento una luce, e le correzioni dell’ammaestramento sono la via della vita (Pr. 6:23).
In questo versetto, come nota Kidner, regole genitoriali basate sulla legge di Dio “sono considerate come espressioni della legge assoluta, divina” [6]. Ancor più basilare è il fatto che la legge di Dio, nella sua dichiarazione biblica quanto fedelmente mediata da famiglia, chiesa, stato, scuola, è il mezzo di luce ordinato da Dio, il valido strumento di predizione. L’uomo, quando cammina per fede in obbedienza alla legge di Dio, cammina in gran misura per visione. Camminare senza legge è camminare nelle tenebre.
La legge mediata non può prendere il posto della legge basilare, la tora di Dio. La legge mediata deve di fatto essere identica con la divina tora. Applicarla, non innovarla o fare addizioni, è il dovere della persona o dell’agenzia di mediazione. Salomone perciò collegò tre cose: primo il timore del Signore e la sua istruzione, direzione o legge; secondo, la stessa legge o istruzione viene applicata da padre e madre al figlio; terzo, la conseguenza dell’obbedienza a questa direzione è un ornamento o corona di vita per il figlio.
Il timore dell’Eterno è il principio della conoscenza, ma gli stolti disprezzano la sapienza e l’ammaestramento.
Ascolta, figlio mio, l’ammaestramento di tuo padre e non trascurare l’insegnamento di tua madre, perché saranno un fregio di grazia al tuo capo e monili al tuo collo (Pr. 1:7-9).
Col termine “principio della conoscenza” è inteso “il primo e dominante principio, piuttosto che uno stadio che ci si lascia indietro” [7]. Delitszch rende il verso 9 in questo modo:”perché questi sono una corona sul tuo capo e gioielli sul tuo collo” [8]. Il principio che controlla la vita, che corona un uomo e ne arricchisce i giorni con la conoscenza, è il timore del Signore, e questo timore è inseparabile dalla legge, istruzione, o direzione di Dio.
La centralità della legge per la vita è esibita potentemente in due ulteriori proverbi:
Se uno volge altrove l’orecchio per non ascoltare la legge, la sua stessa preghiera sarà un abominio (Pr. 28:9).
Quando non c’è visione profetica il popolo diventa sfrenato, ma beato chi osserva la legge (Pr. 29: 18).
Se un uomo nega la legge o direzione di Dio, si è negato qualsiasi relazione con Dio, e “perfino a sua preghiera sarà un abominio” per Dio: un’offesa morale perché pregare a quel Dio la cui direzione disprezziamo è aggiungere insulto alle nostre offese. Inoltre, “senza una rivelazione un popolo diventa ingovernabile” come Delitzsch rende il proverbio 29:18 [9]. La rivelazione di Dio è anche la sua legge, che è per l’uomo l’unica strada alla vera felicità, e il solo mezzo accettabile per servire Dio.
Quando Gesù Cristo disse: “Io sono la via, la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv. 14:6), la parola che usò per
“via” fu hodos, un sentiero naturale, una strada, una via , un percorso per un viaggiatore, o, metaforicamente, un corso di comportamento, un modo di pensare, o giustizia [10]. Westcott citò l’uso della parola “via” nel misticismo di Lao-tse per fare un paragone [11]. Non c’è niente di mistico nell’uso di “via” da parte di nostro Signore. Egli è l’unica direzione a Dio, e nell’identificarsi come direzione, Egli in effetti dichiarò: “Io sono la Torah”. La legge, in quanto l’espressione della giustizia e dei diritti di Dio è per l’uomo l’unica via o direzione valida. Gesù Cristo osservò la legge perfettamente perché la legge era un’espressione del suo essere: Egli era senza peccato e non poteva peccare, perché la legge non era altro che la sua giustizia e i suoi diritti esibiti. Non poteva accantonare la legge perché farlo avrebbe significato negare se stesso e cessare d’esistere. I politici tirannici hanno dichiarato: “Io sono la legge” e infine sono periti sotto la legge di Dio, ma Gesù poté dichiarare assolutamente: Io sono la via o legge, la verità e la vita. La legge non può essere separata da Cristo, né Cristo dalla legge.
Note:
1 Derek Kidner, Proverbs, An Introduction and Commentary; Chicago: Inter-Varsity Press, 1964, p. 63.
2 Ibid., p. 103.
3 Franz Delitzsch, Biblical Commentary on the Proverbs of Solomon; Grand Rapids: Eerdmans [1872], 1950, I, 279.
4 Ibid., II, 226.
5 Kidner, op. cit., p. 169.
6 Ibid., p. 73.
7 Ibid., p. 59.
8 Delitzsch, op. cit., I, 59.
9 Ibid., II, 251.
10 W. E. Vine, Expository Dictionary of New Testament Words, IV, 203.
11 B. F. Westcott, The Gospel According to St. John; Grand Rapids: Eerdmans [1881], 1954, p. 202.
5. LA LEGGE E IL PATTO
Il profeta Isaia incriminò Giuda nel nome di Dio per aver trasgredito la legge, e la sua profezia comincia con un’incriminazione e pure con un richiamo a tornare al Signore. “Ascoltate la parola dell’Eterno, o capi di Sodoma, prestate orecchio alla legge del nostro DIO, o popolo di Gomorra!” (Is. 1:10). Le maledizioni della legge, di Deuteronomio 28, sarebbero scese su Giuda e Gerusalemme “perché hanno rigettato la legge dell’Eterno degli eserciti e hanno disprezzato la parola del Santo d’Israele” (Is. 5:24).
Ma questo non è tutto. Anche le nazioni dell’antichità sono incriminate da Dio (Is. 13:1-23:18). Il peccato del mondo verrà severamente giudicato da Dio il Re (Is. 24:1-27:13). Giuda e Gerusalemme, a causa delle loro relazione empia con l’Egitto e con l’Assiria, sono di nuovo il bersaglio di ulteriori incriminazioni (Is. 28:1-33:24). Pure Edom è sottoposto a incriminazione (Is. 34).
Il giudizio di Giuda sarà talmente radicale che solo una decima parte, un dieci per cento ritornerà, e questo decimo verrà mangiato o consumato fino a che rimarrà solamente una progenie santa (Is. 6:13). Il giudizio su altre nazioni sarà perfino più radicale: “Ecco, l’Eterno vuota la terra e la rende deserta, ne sconvolge la faccia e ne disperde gli abitanti” (Is. 24:1). La ragione è dichiarata apertamente: “La terra è profanata sotto i suoi abitanti, perché essi hanno trasgredito le leggi, hanno cambiato lo statuto, hanno infranto il patto eterno” (Is. 24:5). Secondo Alexander: “I tre termini usati (leggi, statuto, patto) sono sostanzialmente sinonimi, visto che sono continuamente alternati” [1]. Questo punto è di particolare importanza perché enfatizza ancora una volta la posizione delle Scritture che tutti gli uomini e nazioni sono inevitabilmente vincolati al patto di Dio, tanto che siano praticanti o trasgressori del patto. Il patto di Dio è “il patto eterno” con tutti gli uomini. La relazione degli uomini con quel patto cambia da benedizioni a maledizioni, ma il patto rimane. Come notò Copass:
Tutte le persone che peccano finiscono sotto il giudizio temporale di Dio santo onnipotente, il quale è potente a salvare, il quale sa che senza giudizio sul peccato non ci può essere salvezza. Ulteriormente, i peccatori che persistono conosceranno la separazione finale e la punizione eterna [2].
Legge e patto sono quindi utilizzati come sinonimi, e tutti gli uomini sono ineludibilmente implicati in quella realtà. Poiché Dio è Dio, l’assoluto sovrano e solo creatore di tutte le cose, non è possibile in nessun modo alcuna indipendenza da Lui. L’uomo è inevitabilmente legato a Dio nei termini di Dio: il suo patto o legge. Benché un popolo eletto sia testimone di quel patto, la sua testimonianza deve essere sulla rivendicazione di Dio e sul suo patto su tutti i popoli senza eccezione. Poiché mancarono di ascoltare e di testimoniare quel patto, tutte le nazioni dell’antichità furono giudicate e condannate.
In Geremia c’è un giudizio simile su Giuda e anche sulle potenze straniere (Gr. 46:1-56:64). Il giudizio è pronunciato su Babilonia “ perché ha peccato contro l’Eterno” (Gr. 50:14). Inoltre, il principio del giudizio di Dio contro Babilonia è l’opposto della regola d’oro: “ Vendicatevi di lei. Fate a lei come essa ha fatto ad altri” (Gr. 50:15); “ fate a lei esattamente come lei ha fatto ad altri” (Gr. 50:29). Contro Moab, la parola da Dio di Geremia dice che è “Maledetto colui che compie l’opera dell’Eterno fiaccamente, maledetto colui che trattiene la sua spada dallo spargere il sangue!” (Gr. 48:10). Le maledizioni di Deuteronomio 28 sono pronunciate da Geremia su Giuda e su tutte le nazioni per la loro disobbedienza a Dio, “poiché questa è la vendetta dell’Eterno, la vendetta del suo tempio” (Gr. 51:11). Siccome il tempio (e prima il tabernacolo) era la sala del trono di Dio e il centro di governo, questo significa che Dio il Re esercita la vendetta su tutti quelli che trasgrediscono la sua legge.
Il giudizio sulle nazioni compare in Ezechiele 25:1-32:32, e altrove. Daniele ci offre una visione dei grandi imperi e del loro giudizio. Tutti i profeti evidenziano la legge e il patto, e chiamano uomini e nazioni al pentimento, o pronunciano giudizio.
La conclusione di Malachia richiama gli uomini in questo modo: “Ricordatevi della legge di Mosè, mio servo, al quale in Horeb ordinai statuti e decreti per tutto Israele”. Se i padri e i figli non sono uniti in fede e obbedienza, Dio dichiara che “verrà a colpire il paese di completo sterminio” nel giorno del Signore, il tempo di giudizio quando il Messia è rigettato (Ml. 4:4-6).
San Paolo ha riassunto quest’aspetto delle Scritture in Ebrei 12:18-29. La superiorità del patto rinnovato è fortemente evidenziata. Con “Gesù il mediatore del nuovo patto”, quelli che appartengono alla chiesa sono giunti a qualcosa di molto più grande della terrificante manifestazione del Monte Sinai. È lo stesso Dio: “un fuoco consumante” (Eb. 12:29; Es. 20: 18, 19), e quel fatto è dato con maggiore evidenza da san Paolo che da Mosè. Il contrasto tra il Monte Sinai e Mosè da un lato, e Cristo dall’altro, rende l’obbedienza al maggiore ancor più obbligatoria e la disobbedienza più dannante. Le ere fino alla venuta di Cristo rappresentarono un grande scuotimento delle nazioni, che sarebbe culminato nella caduta di Gerusalemme. Il successivo grande scuotimento avrebbe rimosso tutte le cose che possono essere scosse: “come di cose che sono fatte, affinché rimangano quelle che non sono scosse” (Eb 12:27). Le “cose che sono fatte” sono le invenzioni dell’uomo che cercano di soppiantare la legge e il regno di Dio con la città dell’uomo. Ma gli eletti di Dio hanno ricevuto “un regno che non può essere scosso” (Eb 12:28); essi devono dunque servire Dio in modo accettevole, con riverenza e timore.
Pertanto, proprio come l’era del Vecchio Testamento vide la radicale distruzione di tutte le nazioni che rigettarono Dio, così l’era cristiana vedrà un grande scuotimento di tutte le autorità che esistono a causa della loro incredulità, apostasia ed empietà.
Il patto che esiste tra Dio e il suo popolo è stato giustamente chiamato un patto di grazia. È precisamente tale, un patto di grazia o di benedizione fatto dal Dio sovrano con coloro i quali ha redento in Cristo. Contrapposto al patto di grazia o di benedizione c’è il patto di morte o maledizioni. La promessa di Dio per la disobbedienza alla sua legge fin dal principio in Eden è la morte (Ge. 2:17). La maledizione fu operativa immediatamente dopo che l’uomo cadde (Ge. 3:16-19; 4:10-12). Caino fu “maledetto dalla terra” (Ge. 4:11) per il suo assassinio di Abele e di lì in poi la sua vita manifestò un patto di morte.
Il popolo di Dio non può fare patto con quelli che trasgrediscono il patto di Dio (De. 7:2). Quelli che corrono dietro ad altri dèi e si legano con un patto con loro erediteranno tutte le maledizioni della legge (De. 29:18-24). Il destino dei trasgressori del patto è la morte (Ro. 1:31-32). Questo è dichiarato enfaticamente in Isaia 28:14-18:
Perciò ascoltate la parola dell’Eterno, o schernitori, che dominate questo popolo che sta in Gerusalemme!
Voi dite: «Abbiamo concluso un patto con la morte, abbiamo fatto un’alleanza con lo Sceol; quando l’inondante flagello passerà, non giungerà fino a noi, perché abbiamo fatto della menzogna il nostro rifugio e ci siamo nascosti dietro la falsità».
Perciò così dice il Signore, l’Eterno: «Ecco, io pongo come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una testata d’angolo preziosa, un fondamento sicuro; chi crede in essa non avrà alcuna fretta.
Io porrò il diritto come misura e la giustizia come piombino; la grandine spazzerà via il rifugio di menzogna e le acque sommergeranno il vostro rifugio.
Il vostro patto con la morte sarà annullato e la vostra alleanza con lo Sceol non reggerà; quando l’inondante flagello passerà, voi sarete da esso calpestati.
Il significato di questa parola profetica è dichiarato molto bene da Young nel suo commento sul verso 15:
In questo verso Isaia dà una ragione per cui gli uomini di scherno dovrebbero dare ascolto alla Parola del Signore e anche perché sia necessario che Dio ponga in Sion una pietra angolare. Ciò che viene dato non è l’effettivo linguaggio degli schernitori ma una valutazione delle loro azioni. Se quelle azioni fossero tradotte in parole sarebbero parole come quelle. Per dirlo in un altro modo, qui c’è un’espressione dei pensieri e dei propositi concepiti carnalmente dagli schernitori e poiché pensieri come questi hanno motivato le loro azioni, Dio stesso interverrà ed erigerà in Sion una pietra. Isaia si rivolge ai governanti di “questo popolo”. Voi avete detto — non con cotante parole, ma questo è ciò che si erano riproposti nei loro cuori. … Se uno ha fatto patto con la morte, la morte non gli farà del male, perché lui e la morte sono in pace. Il pensiero del profeta sembrerebbe essere: “voi state agendo come se la la morte e la tomba non vi raggiungeranno né vi reclameranno. Giungono ad altri, ma voi ne siete esenti. Intorno a voi avete visto altri cadere, e perfino visto le dieci tribù andare in cattività, ma voi pensate che la morte vi passerà di lato [3].
Un patto con la morte e con l’inferno è quindi il presupposto che la legge pattizia di Dio non sia operativa, che Dio sia dal lato pratico: morto. È una reiezione del mondo di legge e causalità e un insistere che l’uomo vive in un mondo neutrale, non causale, di crudi fatti. Un patto con la morte e con lo Sceol è pertanto un tentativo di annullare la morte e l’inferno; è la reiezione dell’ordine di legge di Dio in favore di un ordine fatto dall’uomo. Tale patto con l’insignificanza è rigettato da Dio e quelli che l’hanno fatto sono calpestati dal giudizio di Dio (Is. 28:18). Questo patto con la morte caratterizza tutta l’incredulità, e la promessa di Dio, come resa dalla Versione Berkeley, è il giudizio su tutti. La parola di Isaia agli schernitori di Gerusalemme fu questa: “Or dunque non fate gli schernitori, perché i vostri legami non abbiano a rafforzarsi. Poiché io ho udito, da parte del Signore, l’Eterno degli eserciti, che è deciso un completo sterminio di tutto il paese” (Is. 28:22).
Uomini e nazioni fanno un patto con la morte, con l’insignificanza, per sfuggire alla legge di Dio, ma la reazione di Dio è di dare loro la morte: “un completo sterminio” nei termini dei suoi sovrani propositi. Non c’è fuga dalla legge e dal significato. Come Ezechiele rese chiaro: il proposito di Dio è di rovesciare tutte le cose che si oppongono a Cristo e al suo regno: “Devastazione, devastazione, io la compirò. Ed essa non sarà più restaurata, finché non verrà colui a cui appartiene il giudizio e al quale io la darò” (Ez. 21:27ND vs. 32NR). La dichiarazione di Dio, ripetuta molte volte attraverso tutto Ezechiele, è che il suo giudizio cade sui trasgressori della legge al fine che “allora riconoscerete che io sono il Signore, l’Eterno” (Ez. 23:49, ecc.). Similmente, la legge fu data, e la giustizia di Dio fu fatta conoscere, il sabato comandato “affinché conosciate che io sono l’Eterno il vostro DIO” (Ez. 20:19-20, ecc.). Tanto la legge di Dio che i giudizi della legge di Dio hanno come scopo la rivelazione di Dio.
la legge come rivelazione è dunque un aspetto basilare della manifestazione che Dio fa di se stesso. Di fatto, è impossibile pensare a una rivelazione di Dio senza legge perché questo significherebbe che Dio non ha natura, che non è una persona con un proposito definito e totalmente auto- consapevole. Poiché Dio è totalmente auto-consapevole e senza potenzialità, senza aspetti non ancora sviluppati, egli ha una legge completa e sviluppata, e quella legge è basilare alla sua rivelazione di sé. Dio non può rivelare se stesso senza legge, né può la legge essere enunciata senza rivelare Dio.
L’implicazione è che la conoscenza di Dio non è possibile se la legge è rigettata. Rigettare la legge è negare la natura di Dio, e negare il significato di Dio il Figlio e della sua espiazione. La conoscenza di Dio non avviene con la legge, ma per la grazia di Dio mediante la fede, ma questa conoscenza di Dio è inseparabile dalla legge. La priorità è Dio, non la legge, ma la legge non può essere divorziata da Dio perché la sua natura non può essere alienata da lui.
Il barthianesimo, perché antinomiano, logicamente presuppone un dio che è inconoscibile e al di la della possibilità di definirsi. Il dio barthiano non dà legge perché non ha legge in se stesso, non ha una natura stabile. Col termine “la libertà di Dio” i barthiani intendono libertà da qualsiasi legge o natura. Non sorprende che il passo teologico successivo sia stato d’annunciare la morte di questo dio.
Note:
1 J. A. Alexander, Commentary on Isaiah, p. 406.
2 Benjamin Andrew Copass, Isaiah, Prince of Old Testament Prophets; Nashville: Broadman Press, 1944, p. 146.
3 Edward J. Young, The Book of Isaiah; Grand Rapids: Eerdmans, 1969, II, 282.