Letteratura/Legge/08

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Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

L’OTTAVO COMANDAMENTO

1. IL DOMINIO

L’uomo fu creato ad immagine di Dio e gli fu comandato di sottomettere la terra e di avere dominio su di essa (Ge. 1:26-27). Esercitare il dominio non solo è la sua vocazione, ma farlo è anche nella sua natura. Poiché Dio è il Signore e Creatore assoluto e sovrano, il cui dominio è totale e il cui potere è senza limiti, l’uomo, creato a sua immagine, condivide questo comunicabile attributo di Dio. L’uomo fu creato perché esercitasse il dominio sotto Dio e come vicereggente sulla terra da Lui ordinato. Il dominio è pertanto una pulsione fondamentale della natura dell’uomo.

Come conseguenza della caduta, però, la pulsione al dominio dell’uomo è ora una pulsione pervertita, non più un esercizio del potere sotto Dio e alla sua gloria, ma un desiderio di essere come Dio. Questa fu precisamente la tentazione di Satana, che ogni uomo sia il proprio dio decidendo da sé cosa costituisca bene e male (Ge. 3:5). Fu asserita l’ultimità dell’uomo sia nella legge che nel potere.

La storia perciò ha assistito alle lunghe e amare conseguenze della pervertita pulsione al dominio dell’uomo. L’uomo ha fatto uso crudele e pervertito dell’uomo individualmente, in attività di branco, di folla, e nella forma di un esercito o di una nazione. La storia è un lungo racconto d’orrore nel quale l’uomo ha ricercato il potere e il dominio come fini a se stessi. George Orwell, in 1984 comprese il significato di questa decaduta pulsione al dominio: “Se vuoi un simbolo figurato del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano – per sempre.” Questa peccaminosa, decaduta pulsione al dominio è prominente in ogni sfera della vita moderna, quanto in tutta la storia. Per certo governa il mondo politico, dove lo stato quotidianamente usa il suo potere solo al fine di aumentare il potere.

Come risultato di tutto questo, molti sono diventati spaventati da ogni potere e ostili al concetto di Dominio. Cristiani liberali e neo-ortodossi, esistenzialisti ed altri hanno rinunciato all’idea del potere come un’illusione o una tentazione, e al possesso di potere come un male. Il risultato è stato che hanno accentuato la deriva verso il potere totalitario.

Il dominio non scompare quando l’uomo vi rinunci; è semplicemente trasferito ad un’altra persona, magari a sua moglie, ai figli, al datore di lavoro, o allo stato. Ove l’individuo arrenda il dominio a lui dovuto, ove la famiglia lo abdichi, e l’operaio e il datore di lavoro lo riducano, lì un’altra entità, generalmente lo stato, concentra il dominio. Ove la società organizzata arrenda potere, la turba lo guadagna proporzionatamente alla resa.

Questo fatto pone il problema, che per un Orwell, che vide il problema con chiarezza, è impossibile da risolvere. L’esercizio del dominio da parte dell’uomo decaduto è demonico, è potere per amore del potere, e il suo obbiettivo è “Uno stivale che calpesta un volto umano — per sempre”. La sua alternativa è il dominio dell’anarchia, il sanguinario e tumultuoso regno di chi è forte in quel momento.

Chiaramente, non c’è speranza per l’uomo eccetto che nella rigenerazione. Il Catechismo Breve dei dottori di Westminster, nel trattare con l’immagine di Dio, dichiarò:

D. 10. Dio, come ha creato l’uomo?
R. Dio ha creato l’uomo maschio e femmina, secondo la propria immagine, in conoscenza, giustizia e santità, col dominio sulle creature (Ge. 1:26-28; Cl. 3:10; Ef. 4:24).

La salvezza dell’uomo include la sua restaurazione all’immagine di Dio e alla vocazione implicita in quell’immagine, di sottomettere la terra ed esercitare il dominio. Ecco perché, secondo il Nuovo Testamento, la proclamazione del vangelo era anche la proclamazione del regno di Dio.

In seguito il neoplatonismo insinuò nella chiesa una radicale deformazione del vangelo e della vocazione dell’uomo redento. Il dominio fu rinunciato, la terra fu considerata il reame del diavolo, il corpo fu disprezzato e fu coltivata una falsa umiltà e mitezza. Il dominio fu considerato un peso della carne anziché una pia responsabilità. Specialmente col pietismo, Gesù fu raffigurato come mite e impotente, pacifista e di maniere gentili.

La parola mite (o mansueto) è un termine biblico. È usato in Numeri 12:3 per descrivere Mosè, che è chiamato “molto mite”; Mosè mal s’accorda col concetto moderno di mitezza. Di fatto, Mosè è descritto come “mite più di chiunque altro sulla terra”. Marsh indica il significato di mite: “Mosè non lotta per la propria posizione davanti agli uomini, ma è preoccupato d’essere il servo di Yehowah. Perciò Yehowah si prende cura di lui e della sua posizione in seno al popolo”[1]  La parola mite pertanto fa riferimento primariamente ad uno stato spirituale in relazione a Dio. Elliott notò: “si può osservare, inoltre, che la parola anav, mite, è frequentemente alternata con la parola affine ani, e che il significato potrebbe essere chinato o oppresso”.[2]  Il significato è reso ulteriormente chiaro dalla beatitudine: “Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra” (Mt. 5:5). Il dominio sopra la terra è dato ai mansueti, e la mansuetudine è chiaramente in riferimento a Dio. I mansueti sono i redenti che Dio ha caricato, oppresso, e piegato alla briglia talché sono addomesticati e malleabili. Dio sottopose Mosè ad una disciplina più rigorosa di qualsiasi altro credente dei suoi giorni, e Mosè accetto quell’oppressione, crebbe nei suoi termini, e divenne disciplinato e forte. Di qui, Mosè fu l’uomo più mite della sua epoca. La mansuetudine pertanto non è una timorosa inefficacia, ma forza disciplinata in Dio e sotto di Lui.

Gesù Cristo si descrisse come “mansueto e umile di cuore” (Mt. 11:29). Si descrisse così in relazione a quelli che lo cercavano. Nella sua relazione con i farisei e i sadducei, il comportamento di Cristo fu fermo e risoluto. Il termine mansuetudine, come Cristo lo usò, significava, non la resa del dominio, ma piuttosto il saggio, misericordioso, benigno uso del dominio a cui fa riferimento. I mansueti beati sono gli addomesticati da Dio, quelli legati alla sua parola legge e vocazione come un bue è legato all’aratro, questi erediteranno la terra (Mt. 5:5).I mansueti beati sono quelli che si sottomettono al dominio di Dio, e hanno pertanto dominio su se stessi, e sono capaci di esercitare il dominio sulla terra. Essi perciò ereditano la terra.

Questo punto è di grande importanza. Senza di esso il vangelo è pervertito. L’uomo possiede, data da Dio, una pulsione per il dominio, per il potere. Lo scopo della rigenerazione è di ristabilire l’uomo nel suo mandato creazionale: di esercitare il dominio e sottomettere la terra. Lo scopo della legge è dare all’uomo la via al dominio ordinata da Dio. Lo scopo della chiamata all’obbedienza è l’esercizio del dominio.

Cosa accade dunque quando sia presentata una caricatura di Gesù, quando l’obbedienza sia costantemente richiesta senza l’obbiettivo ordinato da Dio che stiamo menzionando, e quando l’uomo è continuamente chiamato a prepararsi nel Signore, ma senza scopo? A quel punto il ministero della chiesa diventa banale e la vita del credente diventa una frustrazione.

Ma la pulsione al dominio non scompare semplicemente perché la chiesa non ne parla. Ricompare, invece, come un’orrenda e peccaminosa lotta per il potere nella chiesa; essendo trascurato o negato il legittimo dominio, il dominio peccaminoso comincia allora ad emergere. La vita della chiesa diventa allora una orrenda lotta su banalità insignificanti nella quale il solo scopo è: potere e dominio peccaminosi. Fin troppo spesso questa peccaminosa pulsione al dominio è mascherata da ipocrita mansuetudine.

È dunque assolutamente necessario riconoscere che la pulsione al dominio è data da Dio ed è basilare alla natura umana. Un aspetto di questo dominio è la proprietà.

È consuetudine dei socialisti ecclesiastici  negare che ci sia giustificazione biblica per la proprietà privata. Il loro argomento si fonda sulla dichiarazione biblica spesso ripetuta: “La terra appartiene all’Eterno” (Es. 9:29; ecc.). Scelgono di negligere la totale testimonianza delle Scritture alla proprietà privata. Il cosiddetto comunismo di Atti 2:41-47, anch’esso citato dai socialisti ecclesiastici, fu semplicemente una condivisione volontaria da parte di alcuni (Atti 5). Fu limitato a Gerusalemme. Siccome i credenti presero alla lettera le parole di Cristo concernenti a caduta di Gerusalemme (Mt. 24:1-28), liquidarono le loro proprietà in città. I membri più ricchi misero a disposizione della chiesa una parte o il tutto di quei fondi, in modo che potesse essere fatta una testimonianza ai loro amici e parenti prima che Gerusalemme cadesse. Molto presto la persecuzione fece fuggire tutti da Gerusalemme eccetto un piccolo nucleo (At. 8:1).

La terra è certamente del Signore, come lo è ogni dominio, ma Dio ha scelto di dare il dominio sulla terra all’uomo, sottoposto alla sua parola- legge, e la proprietà è un aspetto centrale di quel dominio. Il titolo assoluto e trascendentale a quella proprietà è del Signore; il titolo presente e storico a quella proprietà è dell’uomo. Il possesso di proprietà non lascia questo mondo quando sia negato all’uomo; viene semplicemente trasferito allo stato. Se la tesi dei cristiani liberali che la terra è del Signore e non dell’uomo, debba essere applicata come essi richiedono, allora deve essere applicata equamente anche allo stato; a quel punto deve essere negato allo stato ogni diritto di possedere o controllare la proprietà.

La Scrittura, però, colloca la proprietà nella mani della famiglia, non in quelle dello stato. Dà la proprietà all’uomo in quanto un aspetto del suo dominio, come parte del suo pio sottomettersi la terra.

Se la dottrina del dominio, in Dio e sotto Dio, viene indebolita, allora anche tutta la legge viene indebolita.

Dio concede il dominio all’uomo sotto la sua legge, ma non concede la sua sovranità. Dio solo è Signore e Sovrano assoluto. Negare la sovranità di Dio è trasferire la sovranità da Dio all’uomo, o allo Stato dell’uomo. Ecco che Thomas Paine, in The Right of Man, affermò come principio fondamentale la sovranità dello Stato-Nazione, dichiarando: “La nazione è essenzialmente la fonte di tutta la sovranità; né può alcun INDIVIDUO, o, ALCUN CORPUS DI UOMINI, avere diritto ad alcuna autorità che non sia espressamente derivata da esso.”[3] Con questa dichiarazione Paine e la Rivoluzione Francese affermarono chiaramente il loro totalitarismo. Lo stato-dio divenne la fonte di autorità, moralità e dominio. Assai logicamente, la Rivoluzione divenne uno stivale schiacciato sulla faccia dell’uomo, ma, per grazia di Dio, non per sempre.

Il proposito di Dio non è il dominio del peccato ma il dominio dell’uomo redento sulla terra, sotto Dio. Secondo Paolo la creazione stessa attorno a noi geme ed è in travaglio in attesa del pio dominio dei figli di Dio (Ro. 8:19-23). A causa della caduta, la creazione è ora sotto il dominio dell’uomo peccatore e viene devastata dal suo pervertito uso del potere. Proprio come la pianta si protende verso la luce, così la creazione si protende con bramosia verso il restaurato dominio dell’uomo pio. Proprio come polvere e pietre si muovono nei termini della forza di gravità, così si muovono anche nei termini del dominio dell’uomo su di esse che Dio ha voluto. Il popolo di Dio deve pertanto essere istruito della natura e dei requisiti del dominio pio. Qualsiasi cosa distante da questo è un disprezzo della suprema autorità di Dio, il quale dichiara nella sua parola che farà un patto con le bestie stesse della campagna per assicurare la prosperità dell’uomo nei giorni della sua obbedienza:

In quel giorno io farò per loro un patto con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e i rettili della terra. Spezzerò l’arco, la spada e la guerra eliminandoli dalla terra e li farò riposare al sicuro (Osea 2:18).

Note:

1 John Marsh: “Numbers” in Interpreter’s Bible, II, 201.

2 C. J. Elliott: “Numbers” in Ellicott, I, 516.

3 “Declaration of the Rights of man and of Citizens, By the National Assembly of France”, in The Complete Political Works of Thomas Paine; New York: The Freethought Press Association, 1954, II, 95.